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4 lezioni dagli Australian Open 2020
04 feb 2020
04 feb 2020
Djokovic si è confermato invincibile, intanto. O quasi.
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Nel primo Slam del nuovo decennio il triumvirato Federer-Nadal-Djokovic, vincitore di 51 dei precedenti 59 Major, ha rischiato la caduta dopo 12 successi Slam consecutivi. Quasi tutti i giocatori, all'alba della stagione, concordavano sul fatto che nel 2020 ci sarà un nuovo vincitore Slam e soprattutto Alexander Zverev aveva offerto un interessante punto di vista: «Secondo me il nome nuovo uscirà nei Major sul cemento, perché Rafa è ancora più forte sulla terra e i giovani non conoscono ancora abbastanza bene l'erba».

Dopo la fine del terzo set della grande finale tra Novak Djokovic e Dominic Thiem, la profezia sembrava potersi avverare. Non solo per via del punteggio che premiava Thiem per 2 set a 1, ma soprattutto per le condizioni psico-fisiche di Djokovic che apparivano in netta flessione. Ma forse non avevamo imparato abbastanza di quello che è stato il tennista più vincente del decennio appena trascorso e la lezione che ci ha offerto per vincere il suo ottavo Australian Open è una delle più preziose di questo torneo. Vale la pena approfondirne quattro particolarmente significative.

1. Novak Djokovic e Kobe Bryant

Negli ultimi giorni il discorso sportivo si è doverosamente catalizzato attorno alla legacy di Kobe Bryant, che si è principalmente stretta attorno a un'unica parola magica: ossessione. Non c'è dubbio che, sotto questo aspetto, Novak Djokovic sia stato il tennista che più si è avvicinato a Kobe per molti versi: dalla cura alimentare minuziosa, che per esempio occupa la stragrande maggioranza dello spazio della sua autobiografia, all'ossessione per i record dei due supercampioni che lo avevano preceduto e di cui senza dubbio invidia l'adulazione collettiva, fino a trasformare questa insofferenza in carburante («quando cantano Roger Roger io mi immagino che cantino Novak Novak»).

Djokovic sembra ambire al potere personale e alla cura dei propri interessi sul versante politico del tennis, e non è per nulla infastidito dalle numerose critiche dei colleghi. Ma ciò che conta è che sul campo Djokovic è riuscito negli anni a trasformare il suo gioco in qualcosa di meccanico e difficilmente decodificabile. Perfino Nadal, considerato prima di lui un mostro di costanza e invincibilità, sotto molti aspetti possiede tratti più umani e vulnerabili rispetto a lui.

La finale contro Thiem presentava molti tratti comuni delle partite in cui Djokovic è andato in difficoltà contro tennisti dalle caratteristiche simili, sia quelle contro Wawrinka che perfino quella contro Cecchinato al Roland Garros. La maggiore rotazione e pesantezza di palla da entrambi i lati di questo tipo di giocatori, ovviamente rapportati al loro livello generale, sfidano Djokovic sollecitandolo a sfoderare il proprio massimo nel fondamentale che gli riesce meglio, l'anticipo sulla palla.

Per molti tratti della finale, soprattutto nei due set persi oltre che nel pericoloso inizio di quarto, Djokovic ha ceduto di fronte al peso della palla di Thiem, uscendo con colpi corti o forzati e fuori misura. L'equivoco se il suo fosse un calo fisico o mentale si è presto risolto negli ultimi due parziali: la risalita di condizione di Djokovic era la testimonianza di come l'efficacia prolungata del tennis di Thiem avesse davvero condizionato psicologicamente le certezze di Djokovic al punto da farlo sembrare quasi menomato fisicamente.

La tensione mentale di Djokovic si è vista anche dal fatto che per lunghi tratti ha avuto molta più difficoltà a spingere sulle palle in back di Thiem in finale piuttosto che su quelle di Federer in semifinale, dove da metà primo set in poi era di sicuro in grande controllo. Ma proprio quando la partita sembrava al suo snodo decisivo, con la palla break per Thiem in apertura di quarto set, Djokovic è uscito dal bivio con un serve and volley inatteso e disinvolto. E nonostante la sua prestazione non abbia mai raggiunto livelli massimi di brillantezza, la compattezza del reticolato del suo tennis ha costretto Thiem a dover necessariamente ricorrere a un colpo che non era per nulla in giornata ma che ha in ogni caso dovuto continuare a forzare. Il rovescio lungolinea - perfetto nel loro ultimo precedente alle ATP Finals - ha tradito Thiem e il grande merito di Djokovic è stato quello di riuscire a costringerlo a utilizzare questo colpo senza elaborare alternative.

Quattro punti molto significativi. Nel primo Djokovic, in un momento difficile della partita, resiste sulla diagonale sinistra ai cambi di ritmo di Thiem e lo forza a uscire lungolinea. Nei successivi tre la pesantezza di palla di Thiem con entrambi i fondamentali investe Djokovic, esattamente come fatto spesso da Wawrinka in passato.

La vittoria contro un giocatore in crescita, portabandiera di generazioni che spingono sempre di più per scardinare il potere illimitato dei Big 3 e fastidioso per le sue caratteristiche, è l'ennesimo sigillo dell’equilibrio trovato da Djokovic. Un disegno ossessivo sempre più difficile da scardinare.

2. L'evoluzione di Dominic Thiem

Il grande merito di aver generato una finale emozionante va a Dominic Thiem, a chiudere definitivamente il cerchio sull'ampliamento dei suoi orizzonti e delle sue soluzioni, iniziato già allo US Open 2018. Thiem era nato per essere l'evoluzione di Thomas Muster e Guga Kuerten, e nel tempo si è trasformato in quella di Stan Wawrinka: forse con meno qualità e sicurezza al rovescio ma senza dubbio con una condizione atletica superiore, con più soluzioni al servizio e una migliore capacità sia di manovrare che di chiudere i punti con il dritto.

Per diventare un giocatore quasi indifferentemente competitivo su terra e cemento, Thiem ha avuto bisogno di lavorare sui due aspetti che - all'interno di un tennis dalle dinamiche che comunque lasciano spazio a personalizzazioni - sono diventati imprescindibili: la velocità al servizio, discostandosi dall'uso sistematico del kick; e i progressi nei colpi in anticipo, sia con la risposta che con il rovescio, seguendo lo stesso percorso che teoricamente ha compiuto Tsitsipas negli ultimi mesi per rendersi più solido sul veloce.

Ma non bastano le questioni tecniche a fotografare perché Thiem sia diventato sostanzialmente così forte. I leggeri cali fisici di Nadal e Djokovic, rispetto ai loro tempi d'oro, lo rendono ora il miglior giocatore del circuito dal punto di vista atletico, ma anche a livello mentale la sua tenuta è aumentata esponenzialmente. In passato era molto più facile assistere a dei suoi buchi di rendimento che ora avvengono molto più raramente e soprattutto restano più circoscritti a singoli punti o game. Nella stupenda sfida ai quarti di finale contro Nadal, per esempio, Thiem ha resistito al possibile contraccolpo psicologico dei clamorosi errori che gli hanno impedito di chiudere prima la partita. L'aumento del suo bagaglio tecnico gli ha permesso anche di avere maggiore controllo e sicurezza nei punti importanti, come visto anche dall'autorità con cui ha annullato due set point a Zverev nel terzo set in semifinale, girando in proprio favore la partita.

Fino a pochi mesi fa Thiem non avrebbe mai giocato un punto molto importante in questo modo.

Senza dubbio Thiem è arrivato un po' più tardi rispetto ai più giovani. Va detto però che ha sperimentato prima di altri la durezza dell'impatto contro i Big e soprattutto il fatto che inizialmente era impostato come un giocatore quasi anacronistico. Per questo ha dovuto davvero lavorare a fondo, snaturandosi sotto certi aspetti e dimostrando un'abnegazione tangibile nell'espressione del suo gioco. Ora è giunto a un livello che dovrebbe consentirgli una gloriosa seconda metà di carriera.


3. I giovani, insomma, ancora stentano

La generazione degli under-23, che aveva dato grandi segnali di vitalità alle recenti ATP Finals, è uscita da Melbourne con più delusioni che soddisfazioni in relazione alle aspettative. Alexander Zverev è stato l'unico che, raggiungendo per la prima volta in carriera la semifinale in uno Slam, ha dato l'impressione di aver effettuato una crescita, tirando in ballo questioni prettamente psicologiche: «Gli Slam hanno sempre avuto un significato troppo importante per me, che ho finito per soffrire», ha detto. «In passato durante gli Slam ho sentito la pressione: non uscivo a cena, non parlavo con nessuno. Quest'anno, invece, sono arrivato senza aspettative perché avevo iniziato la stagione in modo orribile, e ci sono arrivato con la giusta serenità».

Pur senza lasciare l'impressione di aver evoluto tecnicamente il suo gioco, se non per una maggiore propensione ad attaccare in controtempo con la volée di rovescio, Zverev ha finalmente trovato una chiave mentale per sbloccare le sue potenzialità anche nei Major senza farle rimanere confinate ai tornei in 2 set su 3. Questo non significa che sia definitivamente sbocciato: in passato le aspettative troppo alte - dichiarò di voler puntare subito al numero 1 dopo la stagione 2017 - sono state controproducenti per il suo tennis traballante dalla parte del dritto. Il fatto che sia arrivato a questo torneo senza mettersi pressione non significa che, dopo questo risultato, sarà ancora capace di affrontare i prossimi Slam trovando subito il giusto equilibrio mentale tra serenità e ambizione.

Anche nella partita fondamentale del suo torneo, quella vinta contro Wawrinka ai quarti, la vittoria è sembrata arrivare più grazie alla determinazione, alla solidità e a qualche errore dello svizzero - apparso non troppo brillante - che non per una reale evoluzione del suo gioco. Anche in semifinale contro Thiem, pur partito molto forte e in grado di rivaleggiare con l'austriaco sulla diagonale del dritto, Zverev ha mostrato a tratti nel secondo set quelle incertezze che ogni tanto riaffiorano a condizionare in negativo il suo controllo sulla partita.

Il punto che forse ha deciso i quarti contro Wawrinka, il break nel terzo set. Zverev mette contemporaneamente in mostra sia i miglioramenti sulla risposta in anticipo degli ultimi mesi, apparsi a sprazzi a Melbourne, ma poi manovra con estrema lentezza con il dritto ed esce vincitore solo grazie a un regalo dello svizzero.

La questione mentale dell'approccio dei giovani agli Slam non è però circoscritta solo alla pressione del grande palcoscenico. Sconfitto da Wawrinka al quinto set negli ottavi di finale, un risultato per lui abbastanza deludente, Daniil Medvedev a fine partita ha dichiarato che «sotto certi aspetti è normale, l'esperienza è la chiave. Più match al meglio dei 5 set giochi, più esperienza accumuli anche se li perdi». Sottolineando poi che «a me non piace giocare match di 5 set, è faticoso».

Il fatto che un giocatore estremamente integro e solido, sia fisicamente che mentalmente, sostenga quanto gli incontri così lunghi sia faticoso rende l'idea sul perché gli Under 23 - che ad esempio avevano monopolizzato le semifinali a Shanghai - facciano più fatica a sconfiggere i più esperti negli Slam. Le partite più elaborate richiedono grandi energie soprattutto dal punto di vista mentale e per i giocatori più anziani è più semplice gestire l'andamento della capacità di manipolare la tensione e i livelli di sicurezza e di rischio, a seconda dell'importanza del punto e della fiducia in un determinato colpo in un momento specifico. In questo senso i giovani, senza poter chiudere le partite in modo brillante in un'ora come avviene negli altri tornei, hanno ancora bisogno di un ulteriore salto di qualità.

L'emblema di questo aspetto è senza dubbio Stefanos Tsitsipas, che per la quarta volta consecutiva non raggiunge la seconda settimana in uno Slam. Forse anche condizionato dal non aver disputato il secondo turno - per il ritiro di Kohlschreiber - che potrebbe avergli spezzato il ritmo partita, il greco non ha fatto valere abbastanza la sua brillantezza al terzo turno perso contro Raonic e soprattutto nei punti importanti è entrato con meno decisione del solito sulla palla, giocando corto ed esponendosi alle accelerazioni del canadese. Visto quanto soffrì dopo la sconfitta contro Wawrinka al Roland Garros - in realtà per nulla drammatica visto il contesto e l'avversario - può darsi che anche Tsitsipas, per via della sua ambizione, stia provando le stesse sensazioni che in passato condizionavano la tranquillità di Zverev in questo tipo di tornei.

Escono però molto male dal torneo anche i due giovani canadesi, entrambi sconfitti da tennisti più esperti al primo turno - Auger-Aliassime da Gulbis, Shapovalov da Fucsovics - con l'ungherese che ha domato anche Sinner al secondo turno. Soprattutto questa partita, anche per via di altri fattori come soprattutto il vento, è l'ennesima testimonianza di quanto aumenti la complessità in questi lunghi incontri e quanto questi giovani, abituati a un tennis veloce e brillante, siano normalizzati da chi - per cause di forza maggiore - ha più esperienza nel saper variare ritmo, altezze e velocità alla palla a seconda dei momenti del match e delle condizioni di gioco.


4. Il 2020 sarà l'ultimo anno trionfale dei grandi vecchi?

Se, come dichiarato da Zverev, il vero pericolo per i Big 3 si nascondeva negli Slam sul duro, la resistenza di Djokovic e il fatto che ora arrivino Major su terra ed erba potrebbe far pensare che il triumvirato al vertice possa ancora durare per qualche tempo, dopo aver monopolizzato gli ultimi 13 Slam.

Nadal e Federer si apprestano a prepararsi ai loro Slam preferiti e a Melbourne hanno sofferto molto le condizioni soprattutto delle palline, che tendevano ad appesantirsi velocemente: da una parte lo spagnolo non riusciva a generare il suo imprescindibile top spin con continuità, finendo per perdere contro un Thiem che non è riuscito a sbattere fuori dal campo dal lato del rovescio; dall'altra Federer, soprattutto nei match serali e in particolare agli ottavi contro Fucsovics, molto spesso è andato a caricare il rovescio un metro più indietro del solito con un'apertura più ampia da terra battuta.

Da notare una quantità di gemiti insolita per lui. Sound on.

Nonostante le condizioni di gioco sfavorevoli e quelle fisiche abbastanza precarie soprattutto dai quarti contro Sandgren, la brillantezza con cui Federer ha tenuto testa a Djokovic è la testimonianza che lo svizzero, soprattutto a Wimbledon, se saprà sfruttare i momenti e se crescerà di condizione atletica, avrà una delle sue ultime carte da sparare. Anche perché potrà sfruttare la scarsa conoscenza della superficie dei giovani. Anche se alcuni, soprattutto Medvedev ma anche Tsitsipas e Shapovalov e forse Berrettini, sembrano avere già la propensione naturale ad essere competitivi sull'erba.

Nadal e Djokovic, che si sono divisi da soli gli ultimi 8 Slam, conservano ancora un margine di vantaggio nei Major sui giovani che li costringono, come avvenuto proprio nei quarti contro Thiem, a dover dare fondo a tutto il repertorio tecnico e alle energie fisiche e mentali per provare a vincere match che, sotto certi aspetti, è come se vengano giocati e vinti due volte. Ci aveva provato Medvedev a New York mischiando il più possibile le carte e ci è riuscito Thiem grazie alla sua perseveranza e alla sua forza. 

In questo momento è soprattutto l'austriaco, anche in vista del Roland Garros, a costituire la principale minaccia della rottura del dominio dei Big 3. Ma il fatto che il pericolo maggiore venga da un tennista che va per i 27 anni ci suggerisce per l'ennesima volta quanto si sia invecchiato il tennis negli ultimi 20 anni e quanto l'allungamento dell'apprendistato dei giovani possa, ancora per qualche mese, lasciare qualche convinzione in più ai Big di poter estendere la loro parabola infinita.




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