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Lewandowski, oggi, è il miglior numero 9 al mondo
13 mar 2020
13 mar 2020
Il centravanti polacco stava giocando in modo formidabile.
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La Bundesliga non riceve la stessa attenzione mediatica della Premier League e della Liga. Robert Lewandowski, forse, non è acclamato internazionalmente quanto le sue prestazioni meriterebbero. Negli scorsi mesi, legittimamente, ci siamo fatti prendere dalla storia di Erling Haaland, il giovane mostro che macina record di precocità e ci permette di sognare cosa potrà diventare. Ma se Haaland può stimolarci l’immaginazione, Lewandowski incarna la realtà della migliore punta al mondo, il miglior interprete di uno dei ruoli più complicati nel 2020.

Quando si parla di Lewandowski bisogna parlare di numeri. In questa stagione è arrivato a 230 gol in 275 partite, e ha superato Karl-Heinz Rumenigge al secondo posto come miglior marcatore di sempre nella storia del Bayern (lui fermo a 217 in 420). Il primo posto di Gerd Müller con 508 gol in 567 partite non sembra veramente raggiungibile, ma anche essere, numeri alla mano, la seconda migliore punta della storia di un club come il Bayern è impressionante.

Sono invece 227 i suoi gol totali segnati nella Bundesliga tra Dortmund e Bayern in 313 partite, che lo pongono come terzo miglior marcatore di sempre nella competizione, dietro ai 268 in 535 partite di Klaus Fischer (leggenda dello Schalke anni ’70) e ai 365 in 427 partite ovviamente di Gerd Müller. Lewandowski ad agosto compirà 32 anni, un’età in cui le prestazioni di un giocatore offensivo dovrebbero iniziare il proprio declino. Intanto, però, è il calciatore ad aver segnato più gol nell’anno solare 2019 (51) e in questo momento, con 25 gol in 23 partite di Bundesliga, è capocannoniere e secondo nella classifica per la Scarpa D’Oro europea dietro a Ciro Immobile e ai suoi 27 gol.

A cosa serve un numero 9 nel calcio di oggi

Ad aver minato il suo status tra i migliori assoluti sta forse il fatto di non essere più riuscito a replicare con il Bayern la stagione con cui aveva trascinato il Borussia Dortmund in finale di Champions League. Di quell’edizione ricordiamo specialmente la partita in cui segnò 4 gol in semifinale contro il Real Madrid al Bernabeu. Il suo dominio in Bundesliga non è in questione, tra record e momenti assurdi, come quei 5 gol in 9 minuti contro il Wolfsburg: «Quando segni cinque gol in nove minuti non hai tempo per pensarci. A un certo punto ho alzato lo sguardo sul maxischermo per vedere quanto tempo mancava e mi sono detto “oh, è 5-1”!». Nelle grandi sfide nella Bundesliga di questa stagione ha segnato sempre tranne che nella partita di ritorno contro il RB Lipsia.

Lewandowski però era stato preso dal Bayern per vincere nella competizione più importante, e in quei momenti chiave i suoi gol sono mancati, ponendo in questione quanto di straordinario fatto in campionato. E proprio questa stagione in cui sembrava diverso, in cui aveva mostrato contro il Chelsea agli ottavi di poter mantenere lo stesso livello anche in Champions League, la stagione si è fermata.

Ora però possiamo apprezzare meglio questo momento in cui Lewandowski stava dominando il calcio europeo: non capita sempre di poter tracciare una linea e fare un ragionamento più grande su un calciatore a cui forse ci siamo fin troppo abituati.

Possiamo per esempio ragionare sull’importanza di una punta di alto livello per ambire ai massimi trofei internazionali. Come scrisse Fabio Barcellona: «Il calcio di alto livello che si gioca oggi non può più permettersi un calciatore statico al centro dell’attacco dedito solo alla finalizzazione. Le strategie di gioco sono ormai troppo raffinate e complesse e richiedono a tutti i componenti della squadra compiti diversi e variegati. La questione quindi non è più tanto avere un centravanti che con i suoi gol “ti fa vincere le partite”, ma avere un giocatore in grado di assolvere i compiti che gli sono stati assegnati».

Ora prendiamo invece le parole con cui Lewandowski al Guardian descrive il suo stile di gioco: «Non voglio essere una punta che spende i 90 minuti in area ad aspettare il pallone. Non mi piace ricevere il pallone 10 volte a partita. Per me non sono abbastanza, rende la partita difficile. A volte devi stare lì ad aspettare il pallone e se lo ricevi una volta nei 90 minuti devi essere pronto. Però io voglio essere parte della squadra, parte del gioco, voglio muovermi e passare il pallone, non soltanto aspettarlo. Per questo sono sempre in cerca dello spazio per ricevere il pallone per poi trovare i miei compagni».

Lewandowski in effetti è un attaccante straordinariamente completo. È difficile ricondurlo a una sola caratteristica in cui eccelle in modo evidente. La padronanza della tecnica di tiro con entrambi i piedi, il senso della posizione, la tecnica nel primo controllo anche in aria, la tecnica nel colpo di testa e la finalizzazione pura. Per non parlare della sua coordinazione aerea Non c’è una singola caratteristica che appartiene a una punta in cui Lewandowski non sia tra i primi tre al mondo. Mettendole tutte insieme si ha il profilo ideale per il ruolo.

Imparare il mestiere del centravanti

Come alcuni magari sapranno, Lewandowski si è affacciato tardi al grande calcio. Tardi, almeno, per uno che sembra in tutto e per tutto un talento naturale. Ha detto per esempio che solo a 20 anni ha capito che poteva diventare un calciatore professionista: quando il Lech Poznán lo ha acquistato dal Znicz Pruszków, con cui era stato capocannoniere di terza e seconda divisione in due anni. Il suo cartellino costò 1.5 milioni di zloty (circa 370.000 euro). Solo allora si è dedicato completamente al calcio. Per capirci, tra le punte della sua generazione alla sua età Benzema era il capocannoniere della Ligue 1 col Lione, Luis Suárez veniva acquistato dall’Ajax per 7.5 milioni, Gonzalo Higuain e Agüero giocavano da un anno nelle due squadre di Madrid e anche un giocatore che viene dall’Europa centrale come Edin Dzeko (che giocava in Repubblica Ceca) veniva comunque comprato dal Wolfsburg per 4 milioni.

Lewandowski, come Dzeko, è cresciuto non pensando che sarebbe diventato una prima punta, almeno fino a quando non ha sviluppato fisicamente. Da giovane gli piacevano giocatori fantasiosi ed eleganti: «Quando ero veramente giovane, sei o otto anni, ammiravo Roberto Baggio. Quando sono cresciuto un po’ ammiravo Alessandro Del Piero e poi quando ho capito di più Thierry Henry. I suoi movimenti, la sua tecnica e il modo con cui calciava il pallone e segnava. Era bellissimo vedergli fare quelle cose da bambino e ho imparato tanto da lui».

Proprio come Henry, Lewandowski ha aggiunto aspetti da prima punta progressivamente nel tempo. Primo fra tutti il gioco spalle alla porta, sviluppato solo con Klopp al Dortmund, dove aveva iniziato partendo lontano dall’area, e infine al Bayern con Guardiola. Il tecnico catalano aveva aggiustato il suo sistema per aumentare il numero di cross in area e favorirne le conclusioni a rete.

Lewandowski ormai è un maestro nella lettura degli spazi in campo, si potrebbe scrivere soltanto della sua capacità di capire dove si trovano i giocatori e dove si troveranno una volta che il pallone si è mosso. Non avendo per questo il fiuto naturale di Benzema, probabilmente lo ha aiutato essere allenato dai due più influenti tecnici del decennio, Klopp e Guardiola.

Rivedere le partite a Dortmund e poi le ultime al Bayern mostrano un giocatore diverso non tanto dal punto di vista atletico quanto in quello dell’interpretazione del ruolo, ora più razionale e quindi ancora più efficace poi in area.

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In quest’azione contro l’Olympiacos, mentre Kimmich allarga per l’ala Coman, Lewandowski esce dall’area per crearsi lo spazio da poi poter attaccare in corsa. Nella seconda immagine corre dritto per chiamare la marcatura del centrale di destra, per poi - come si vede nella terza - tagliare sul primo palo così da avere l’avversario sempre alle spalle e poter ricevere il cross del compagno.

Il Bayern attorno a Lewandowski

Le punte con la sua struttura fisica danno il meglio quando, per esperienza accumulata e capacità di utilizzare il corpo, riescono ad avere un repertorio completo, che gli permette di variare spartito nella stessa partita a seconda di quello che serve alla squadra. È attorno ai 30 anni, spesso, che raggiungono il picco della carriera, il momento in cui si raccoglie quanto seminato in anni di allenamento e partite ad alto livello.

Nel Bayern Lewandowski non si limita a muoversi in profondità e in area di rigore. Il polacco deve creare, attraverso i suoi movimenti, spazio di manovra e allo stesso tempo aiutare la circolazione del pallone nella fascia centrale del campo, per non avere la squadra costretta ad abusare dei cambi di gioco. Lewandowski, insomma, fa da solo il lavoro che qualche anno fa faceva una coppia di attaccanti: è prima e seconda punta, così da far guadagnare al Bayern un giocatore in più a centrocampo senza perdere pressione sulla difesa.

Non è certo una situazione unica: è la realtà per le squadre che giocano con una punta sola e non hanno giocatori accentratori che partono sull’esterno come Messi, Neymar, Hazard o Cristiano Ronaldo. Agüero, per esempio, ha dovuto imparare movimenti incontro e un tipo di gioco spalle alla porta a un tocco che non aveva prima dell’arrivo di Guardiola, quando poteva concentrarsi nel gioco in area di rigore. Nessuno, però, fa il doppio lavoro con la qualità di Lewandowski.

Il Bayern sembra ancora erede di quello di Guardiola e della Robbery: cambiano gli esterni, non il fatto che sviluppi lì maggiormente il suo gioco in uscita palla, con sovrapposizioni continue e la fascia centrale lasciata agli inserimenti delle mezzali. C’è tantissimo spazio quindi per Lewandowski, e per permettergli di sceglire il compagno con cui giocare posizionandosi spalla alla porta. Non è più velocissimo in conduzione, ma nei pressi dell’area è letale nei duelli individuali con i difensori: sa come posizionare il corpo per anticiparlo, come guadagnare quel mezzo metro extra per poter ricevere con spazio, come mandarlo fuori strada.

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Qui contro il Chelsea scende fino a centrocampo sulla sinistra per ricevere richiamando l’attenzione del terzino destro avversario, e con un solo movimento protegge il pallone e serve sulla corsa Alphonso Davies, che può così attaccare la fascia libera.

Per Klopp il gioco spalle alla porta è la sua migliore qualità. Quando si posiziona per ricevere in quelle situazioni fa valere la sua quasi ambidestria per orientare il corpo senza permettere al centrale di prevedere dove si girerà. L’utilizzo del piede perno da judoka lo rendono indifendibile se ha già preso posizione. Il polacco ha detto di conoscere bene il judo perché lo praticava suo padre e lui stesso lo ha praticato da bambino. La sensibilità nel passaggio corto in questo frangente è tale da permettergli di giocare praticamente a 270 gradi, manipolando la posizione dell’avversario e lasciando il tempo al compagno di fare il movimento alle sue spalle. Per questo non gli serve neanche più l’esplosività atletica o i riflessi di inizio carriera. Con questa tecnica può ricevere sotto pressione anche a centrocampo e non è raro vederlo scendere lì mentre un compagno ne occupa la posizione al centro dell’attacco dall’esterno e gli altri si dispongono per ricevere l’eventuale passaggio. Ma il meglio lo dà ricevendo al limite dell’area con il marcatore alle spalle. Ed è un fatto tecnico prima che fisico.

Qui in una partita di Bundesliga esce dall’area quando vede Thiago pronto a passargli il pallone, così da avere l’attenzione di tutta la difesa. Con un tocco di prima di interno collo serve senza spostare la testa il compagno Tolisso che taglia in area per ricevere libero. Tolisso però sbaglierà il controllo.

È interessante quanto detto al Guardian: «Ormai tutti sanno tanto di tattica, prima della partita non puoi metterti a pensare “oggi provo questo movimento”, è impossibile, ma se il tuo corpo conosce il movimento, il gesto tecnico, in un perfetto istante arriva da solo». Per Lewandowski il trucco è osservare il campo e reagire immediatamente con giocatori con cui ha ormai un’intesa telepatica, come Kimmich, Thiago e Müller.

Ultimamente, in particolare, si è sviluppato un rapporto simbiotico con Kimmich, che ha la visione di gioco e la tecnica nel passaggio per trovarlo Lewandowski in area non appena si libera dell’uomo. Per la sensibilità tecnica nel gesto e l’ampiezza del petto Lewandowski potrebbe stoppare anche un supersantos mentre si trova in equilibrio su di un tronco d’albero che galleggia trascinato dalla corrente di un fiume. Gli risulta quindi facilissimo stoppare i precisi lanci di Kimmich, il loro pattern è un modo veloce e sicuro per arrivare in area di rigore al bisogno. Per il Bayern Lewandowski è in sostanza sia il piano A dopo aver sviluppato con calma l’azione, che il piano B se serve il modo di arrivare rapidamente nei pressi dell’area.

Ma in questa stagione si è rivelata ancora più letale l’intesa formata con Thomas Müller, che sembrava un giocatore la cui esperienza al Bayern era finita con Kovac e che invece è rinato con Flick, riscoprendosi protagonista come rifinitore tra le linee partendo dall’esterno destro.

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Qui un esempio contro il Werder Brema di triangolo tra Lewandowski e Müller, con il primo che riceve spalle alla porta e poi si butta in area già sapendo il passaggio arriverà. 7 dei 17 assist in questa stagione di Müller sono stati per Lewandowski.

Lewandowski si sta rivelando una vera pietra filosofale, capace di trasformare ogni pallone che gli arriva in area in un’occasione da gol. E come gli alchimisti ossessionati dalla pietra, anche Kovac prima e Flick ora si sono buttati a capofitto per trovare più modi possibili per sfruttarne la versatilità. Anche a costo di sbilanciare la squadra puntando tutte le fiches sul farlo ricevere in area il maggior numero possibile di palloni a partita. Nelle ultime 5 stagioni è stato sempre sopra i 4,4 tiri per 90 minuti, in questa stagione siamo a 3,6 in area di rigore e addirittura 1,2 in area piccola nelle 6 partite di Champions League giocate, dove ha segnato 11 gol. Il Bayern si sta dimostrando uno degli attacchi migliori al mondo, sempre in grado di far arrivare il pallone al centro dell’area di rigore con continuità contro qualsiasi tipo di avversario. Tranne il pareggio per 0-0 contro il RB Lipsia, il Bayern ha segnato almeno un gol in ogni partita tra Bundesliga, Coppa e Champions League. In 22 partite, sulle 36 giocate, ha segnato almeno 3 reti.

“Il corpo”

Lewandowski è pienamente consapevole delle proprie capacità e di come svilupparle ulteriormente: «Al momento sto provando a migliorare il mio tiro dalla distanza col sinistro. Devo arrivare a un punto in cui il mio cervello non deve pensare, solo reagire, così da avere facilità nel prendere decisioni veloci. Sono gli automatismi, fare qualcosa perché sai già come farla, senza perdere tempo a pensare». Quella degli automatismi è una realtà con cui sono venuti a patto tanti giocatori in un calcio così veloce come quello attuale.

Recentemente Marco van Basten ne ha parlato come suo erede: «Mi ci rivedo. A inizio carriera era simile a me. Molto tecnico, a tutto campo. Poi anche lui ha capito che il segreto per essere grande è fare gol. Io, Cristiano Ronaldo, Ibra. Ci siamo passati tutti. Se vuoi essere il numero uno, devi concentrarti sul gol, solo sul gol. Devi diventare una macchina». E proprio il genio olandese racconta nella stessa intervista al Corriera della Sera di quanto l’istinto sia fondamentale per una prima punta che vuole segnare con continuità. Cosa che va nella direzione di quanto dice lo stesso Lewandowski, per cui però l’istinto deve essere incanalato: «Puoi giocare molto bene, puoi passare bene, crossare bene, ma se vuoi segnare al ritmo di ogni partita devi cambiare la tua mentalità. Non funziona come un interruttore in cui pensi “ok ora segno”, forse il 70% viene dalla tua testa e non dai tuoi piedi. Non tutti possono essere delle punte prolifiche».

In un articolo su The Athletic si sottolinea però la sua assenza di egoismo. Almeno oggi. Lewandowski ha subito una metamorfosi da giocatore “più egoista di Robben” ad attaccante dedito ad aiutare la manovra della squadra e i compagni più giovani, fermandosi anche a fine allenamento per dare consigli. Gli piace parlare di cosa è importante in campo: «Tutto riguarda l’equilibrio di squadra, questa è la cosa più importante, nient’altro. Per questa ragione è facile per me adattarmi a diversi stili di gioco, so che devo adattarmi per il bene della squadra. Per me essere una punta forte non significa soltanto essere prolifico».

Lewandowski, coi capelli sempre uguali, il corpo scultoreo, il colorito pallido, ha l’aria di un automa. Nelle dichiarazioni, del resto, non fa niente per sembrare umano. Il suo livello di professionismo è stellare, a partire dall’aspetto della concentrazione e del lavoro del cervello in campo (un aspetto su cui ha insistito molto la scuola tedesca negli ultimi anni): «Tutto quello che fai prima di una partita, la routine, è importante per mantenere un alto livello di contrazione. Il cervello riceve l’informazione che qualcosa di importante sta arrivando».

Poi c’è una cura fisica quasi caricaturale, che ha reso il suo corpo una specie di statua custodita in un ambiente asettico e in continua manutenzione. Il suo soprannome a Dortmund era “il corpo”; era il migliore nei test fisici e non si infortunava mai. Tolto l’infortunio recente rimediato contro il Chelsea, in nove anni in Bundesliga il più lungo periodo fuori dal campo è stato di massimo due partite consecutive. Nelle prime 5 stagioni al Bayern non ha mai giocato meno di 47 partite a stagione.

È interessante quello che ha detto la moglie sulla sua cura: «Robert sta perfezionato la sua dieta da anni, sa esattamente cosa mangiare e quando. Ci concentriamo sulla sua rigenerazione, sul sonno e sui cicli dei sogni. Sono cruciali per un atleta». Anche il suo ex allenatore Guardiola ne ha sottolineato l’attenzione alla vita fuori dal campo come spiegazione per la sua continuità: «È il giocatore più professionale con cui ho lavorato nella mia carriera. Sa come riposarsi, segue la dieta più adeguata per un atleta, alimentandosi bene, non si fa mai male, perché si allena al meglio e con la dovuta concentrazione. E si sa quanto sia importante la condizione fisica per un calciatore».

Lewandowski si era schierato apertamente contro Ancelotti per le sessioni di allenamento, secondo lui troppo rilassate, ed è stato tra i fondatori del gruppo interno di giocatori che rimanevano a fine giornata per sessioni extra autogestite: «Se la squadra si allena poco allora bisogna fare qualcosa anche individualmente».

Dice di voler giocare ad alti livelli fino a 35 anni, perché con la sua forma fisica pensa di poterci arrivare sano. Lewandowski stesso dice che per lui è fondamentale «Provare a fare qualcosa di nuovo ogni volta», e che proprio l’arrivo di nuovi fenomeni nel ruolo lo motiva a migliorare ancora: «Quando vedi i giovani giocatori non puoi pensare di essere troppo vecchio o di non poter migliorare più. Si può sempre migliorare». Haaland ha tutto il tempo e il materiale a disposizione per diventare in futuro il migliore nel suo ruolo, forse anche per modificare cosa significhi essere una punta. Oggi, però, in un mondo del calcio fermo, può mettersi a studiare i video delle partite di Robert Lewandowski.

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