Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Let's dance
17 mar 2016
Squadre, personaggi e indicazioni per seguire al meglio la March Madness che comincia oggi.
(articolo)
18 min
Dark mode
(ON)

Contenders

di Lorenzo Bottini

Kansas (#1 South Region) - Bill Self ha fatto la storia. Di nuovo. I Jayhawks hanno vinto per la dodicesima volta consecutiva la Big12 (rendendo onore al nome) e successivamente il relativo torneo per la settima volta in dodici anni. Numeri stupefacenti ma che non lasciano del tutto tranquilli entrando nel momento clou della stagione. Kansas è stata altre due volte la numero uno della nazione entrando nel torneo NCAA, ma entrambe le volte non è arrivata alle Final Four. A sfatare il malefico non c’è due senza tre ci penserà il Senior Perry Ellis, che per sua stessa ammissione è a Lawrence da un’eternità, e la supercoppia di backcourt formata da Frank Mason e Devonte’ Graham, due giocatori che sembra siano stati creati per giocare insieme e che hanno una fame di vittoria paragonabile solo al loro swag. Hanno trascinato Kansas per l’ennesima volta attraverso tutte le avversità che solo una conference dal livello spaziale come la Big12 può presentare chiudendo la stagione imbattuti davanti al proprio pubblico, anche grazie a partite come questa.

L’effetto Allen Fieldhouse ha però anche un lieve danno collaterale, ovvero creare dipendenza e incapacità di vincere altrove, sintomi già accusati nelle precedenti edizioni. La squadra di Bill Self deve dimostrare di saper superare il trauma di essere not in Kansas anymore e, come insegna Judy Garland, saltare oltre l’arcobaleno. O se si preferisce, verso Houston.

North Carolina (#1 East) - Numero Uno nei Preseason Poll, vincitrice dell’Atlantic Coast Conference, vincitrice del torneo su Virginia, testa di serie a Est: cos’altro deve fare la squadra di Roy Williams per farsi considerare una reale aspirante al trono da qualcuno che non sia Kenny Smith?

Ad esempio continuare sulla strada tracciata durante il Torneo, dove hanno prima tenuto Notre Dame, uno dei migliori attacchi della nazione, a soli 47 punti con il 30% dal campo e poi gareggiato in intensità con Virginia per prendersi il titolo che mancava a Chapel Hill dal 2008. Due vittorie per guadagnarsi per il 15esimo primo seed della loro storia, ma non per dormire sonni tranquilli. Infatti si partirà subito contro “Dunk City”, Florida Gulf Coast, per poi andarsi a scontrare contro la vincente tra Providence e USC, ovvero o Kris Dunn o Jordan McLaughlin, due guardie di purissimo talento.

Non che a questa versione dei Tar Heels il talento manchi: Brice Johnson è uno dei cinque migliori giocatori della nazione, uno che, nonostante viaggi in doppia doppia (16.6 punti, 10.6 rimbalzi), impatta le partite in un modo che i numeri non riescono a quantificare. Con Marcus Paige fermo ai box, ha dovuto indossare i panni del leader emotivo, e questo nuovo ruolo lo ha aiutato a sbloccarsi anche mentalmente, dandogli quella confidenza che lo rende praticamente inarrestabile. L’assenza di Paige ha giovato anche a Joel Berry, responsabilizzandolo con la palla tra le mani, e ora che il numero 5 è tornato ai livelli che due anni da incubo gli avevano precluso, forse The Jet non sarà il solo a volare alto su Carolina.

Virginia (#1 Midwest) - C’è una palestra a Charlottesville dove il pubblico va in estasi al solo squittire delle suole sul parquet e che segue lo scorrere dei secondi del possesso avversario come se fosse il countdown per il nuovo anno. È la palestra degli Hoos di Tony Bennett, in cui l’esecuzione degli schemi offensivi viene preparata con la stessa pulita ossessività di un esecuzione delle variazioni Goldberg. Già, perché Virginia è una scuola di alta classe, e mentre le altre squadre aspettano la selezione in qualche brutta stanza adiacente la palestra, gli Hoos si ritrovano in una specie di brasserie all’ultima moda.

Eleganti ma allo stesso tempo umili e disponibili al sacrificio, come affermano due dei cinque principi che regolano la disciplina di squadra e che Tony Bennett ha voluto ricamare dentro le canotte di gioco. Il primus inter pares di questa comunità francescana della Division I è Malcom Brogdon, primo Hoos dai tempi di Ralph Sampson ad essere insignito del titolo di First Team All-American. Il senior guida una squadra straordinariamente bilanciata, una delle due nella top-10 per efficienza offensiva e difensiva, ed è affiancato in cabina di comando da London Perrantes, sophomore californiano dal ritmo bradicardico e letale tiratore piedi a terra.

Secondo molti Virginia ha il roster più sostanzioso dell’epoca Bennett e, nonostante quest’anno non si sia ripetuta in ACC, ha ricevuto ugualmente una testa di serie nel MidWest, a coronare lo splendido lavoro dell’allenatore nei suoi sette anni tra i Cavaliers. Si inizierà contro Hampton, poi la vincente tra Butler e Texas Tech. Attenzione che però c’è il trabocchetto: per arrivare alle Final Four si dovrà molto probabilmente passare sugli Spartans di Izzo, la squadra che li ha eliminati nelle ultime due edizioni. Il solito sadismo passivo-aggressivo dei commissioners.

Oregon (#1 West)- Quest’anno in Oregon ci hanno preparato delle sorprese mica da ridere. Come se non bastassero le avventure da personaggio Marvel di Dame Lillard, anche i Ducks hanno voluto stupire tutti e, con una certa nonchalance, sono andati a prendersi la Pac-12 nel formato 2x1, conference+torneo.

Nessuno si era reso conto che all’ombra del “Joseph Young One Man Show” si stava formando un gruppo talentuoso ed estremamente coeso, guidato da Dillon Brooks e Elgin Cook, due ali versatili e ben strutturate. Attorno a loro sono fioriti giocatori inaspettati, come lo pterodattilo Chris Boucher, junior canadese che ha iniziato con il basket organizzato da neanche tre anni e che ora è il secondo miglior stoppatore della nazione, o che si sono dovuti immediatamente confrontare con i palcoscenici più prestigiosi, come è successo al freshman All-American Tyler Dorsey.

La squadra di Dana Altman - uno dei coach più sottovalutati della nazione nonostante i tre riconoscimenti come allenatore dell’anno - da questa stagione si porterà almeno due cartoline-ricordo da mostrare ai nipotini: la prima dal McKale Centre, dove ha chiuso la striscia di 49 vittorie consecutive di Zona; la seconda da Las Vegas dopo aver conquistato il Torneo della Pac-12 e aver sculacciato in malo modo gli Utes (+31). Il seed da regina del West che gli è stata assegnato ha fatto discutere (è la numero uno più bassa di sempre nei rankings di KenPom) ma è l’ennesima prova, se ce ne fosse ancora bisogno, di come il basket collegiale è il luogo dove le favole possono sempre accadere.

Runners

Visto che mai come quest’anno la distanza tra le prime della classe e il resto del gruppo è molto sottile, alcune di queste ultime si sono lamentate del trattamento ricevuto. Tra queste, però, non c’è Michigan State (2# Midwest). Nonostante la scelta della commissione di preferirgli Virginia e Oregon abbia shockato l’intera nazione, Izzo come sempre non ha fatto una piega, e a buona ragione: le uniche due volte che hanno ricevuto un secondo seed, gli Spartans sono arrivati entrambe le volte alle Final Four. Denzel Valentine da futuro Wooden Award guida un gruppo che ha in testa solo il taglio della retina e che sfrutterà lo status di outsider come carburante extra per il viaggio.

L’altra squadra snobbata della Selection Sunday è Villanova (2# South), ma evidentemente neanche i commissioner si fidano più a dare teste di serie ad una squadra che non supera mai il primo weekend. E pensare che prima della finale di Big East, poi persa contro i Pirates di Seton Hall, la squadra di Jay Wright sembrava essere sicura di ricevere la possibilità di fare i regional in casa a Philly. Invece, oltre il danno, la beffa: non solo niente numero uno ma addirittura niente East Coast. Forse cambiare aria farà bene ai Wildcats, che si affideranno come al solito alla loro bilanciata esecuzione offensiva in gran parte affidata agli esterni e copriranno a zona i loro deficit di atletismo in difesa. Da seguire sopratutto Ryan “The Arch” Arcidiacono all’ultima danza e Josh Hart, First Team Big East e scorer implacabile.

A sottrarre il campo di casa a Villanova sono stati gli X-men di Xavier (#2 East) con una stagione da 26 vittorie (pareggiato il numero della stagione 2007/08 in cui arrivarono alle Elite Eight). I Musketeers possono essere la sorpresa di un regional molto combattuto grazie ad un attacco con sei giocatori in doppia cifra di media e una grande attitudine al rimbalzo. Il loro leader è Trevon Bluiett ma attenzione alla possibile esplosione di Myles Davis e Edmond Sumner. Il primo è un tiratore dal rilascio di seta, il secondo un playmaker lungo lungo al primo anno e dalle potenzialità apparentemente infinite. Saranno loro l’ago della bilancia per il team di Chris Mack.

A completare i seed #2 ci pensano gli Oklahoma Sooners (#2 West). Si scrive Oklahoma, si legge Buddy Hield. Il senior bahamense ha vergato una stagione for the ages a suon di triple (127 con il 47%) e ha contagiato l’intera squadra a grandinare da dietro l’arco (seconda migliore della D1 a 42,6). Purtroppo per i tifosi di OU molte delle prestazioni monstre di Hield si sono spesso fermate a un centesimo dal fare il dollaro (o ad un centesimo dal fare l‘impresa).

Neanche i 46 punti contro Kansas sono bastati per far crollare il tabù Allen Fieldhouse

A lungo andare, appigliarsi alle prodezze di Hield non ha giovato alla causa Sooners, che si è spesso accontentata di giocare per lui piuttosto che con lui. Woodard e Spangler, due figure chiave, ad esempio nelle ultime partite hanno tirato i remi in barca appena i primi tiri cominciavano a non entrare. Lon Kruger avrà invece bisogno di una costante produzione da tutto il quintetto per puntare alle sue seconde Final Four. Poi certo, se il karma avesse improvvisamente deciso di restituire a Hield quello che gli ha tolto, attenti ai Sooners.

Sempre nella stessa parte di tabellone ma più in basso troviamo i campioni in carica. Quest’anno i Duke Blue Devils (#4 West) non sono tra i primi della classe, ma conoscendo la voglia di competere di Coach K, aspettiamoci che provino a fare lo sgambetto a qualche grande durante il torneo. D’altronde il tandem Grayson Allen - Brandon Ingram è uno dei più prolifici in America (38.4 punti di media in due) e hanno già dimostrato in stagione che possono battere tutti (chiedere a UNC e Virginia ad esempio). L’infortunio di Jefferson ha limato ancora di più la rotazione, ormai ristretta a sei-sette giocatori, il che può essere sia un vantaggio che uno svantaggio, in quanto il fattore stanchezza è controbilanciato dal giocar sempre con i tuoi migliori atleti in campo. Certo però che per vincere le partite che contano bisogna che uno tra Plumlee, Kennard e Jones si inventi i 40 minuti della vita, e non è così probabile che accada. Al primo turno incroceranno UNC Wilmington (attenzione!), poi una #5 rognosa come i Baylor Bears. Sarà un torneo tutto in salita per i campioni in carica.

Se invece avete un account Netflix e amate Indiana (5# East) potete seguire Everybody Hates Tom (Crean), una delle sitcom più seguite della nazione (“proudly produced by Hoosier Hysteria”). Nelle puntate precedenti prima Kam Chatman con una tripla senza ritmo e senza senso dall’angolo ha regalato a Michigan un posto al gran ballo di fine stagione, poi i sadici commissioner hanno appioppato agli Hoosiers un non irresistibile quinto seed a Est. E pensare che questa stagione dopo un disastroso inizio nel Maui Invitational era culminata nella vittoria a sorpresa della BigTen e nel grand finale all’Assembly Hall contro Maryland. Invece la sconfitta contro Michigan ha fatto ripiombare Indiana nella psicosi e Tom Crean nelle annuali critiche riguardo la sua incapacità di performare sotto pressione. Per rispondere si affiderà al suo giocatore preferito, Yogi Ferrell, guardia di 1.80 che non conosce il termine massa grassa, ai suoi tiratori scelti Hartman e Zeisloft e all’esplosività di Troy Williams e Thomas Bryant. Si inizia contro Chattanooga, ma occhio che due giorni dopo ci potrebbe essere (e qui il condizionale è d’obbligo) la sfida con Kentucky.

Anche a Kentucky (4# West Region) sono indignati per il seed che hanno ricevuto domenica pomeriggio, e John Calipari non si è fatto pregare nel concedere a ESPN una delle sue migliori imitazioni di Joe Pesci per esprimere tutto il suo risentimento:

Kentucky ha finito la stagione in crescendo, prendendosi la rivincita in overtime nella finale contro Texas A&M dopo che gli Aggies li avevano battuti, sempre al supplementare, durante la conference. Ad orchestrare la Big Blue Nation c’è Tyler Ulis, unico superstite con Marcus Lee della gloriosa stagione scorsa, che finalmente libero dagli Harrisons può dirigere l’attacco più efficiente della nazione pur segnando più di 17 punti a partita. Il primo violino risponde al nome di Jamal Murray, tiratore mortifero con il 44% da dietro l’arco e freshman con più punti a tabellone nella storia di Kentucky. Dando un’occhiata a chi è passato da Lexington negli ultimi anni, è un record non indifferente. Aspettando il fiorire di Labissiere (su cui ci dilungheremo in seguito) le possibilità dei Wildcats passano quasi esclusivamente attraverso il loro backcourt. Poteva andare peggio.

Party Crashers

di Lorenzo Neri

Dietro alle squadre ben più attrezzate per la corsa al taglio della retina finale c’è un manipolo di pretendenti capaci di piazzare la sorpresa e rovinare la festa alle maggiori favorite. Sono quelle comunemente identificate con il nome di sleepers, e non ha importanza quale seed gli sia stato attribuito o che stagione abbiano avuto: quelle che andiamo a elencare hanno caratteristiche tali per far saltare il banco alle favorite e fare strada nel Torneo.

Tra queste spicca la presenza di West Virginia (#3 East) che nonostante un seed alto rimane sempre tra le più sottovalutate di tutta la nazione. Le ragioni vanno ricercate principalmente nell’assenza di un realizzatore affidabile e nella scarsa pericolosità da dietro l’arco dei 3 punti, dove tirano con appena il 33%. Ma la squadra di Bob Huggins rimane un avversario molto ostico per la loro press-defense asfissiante (6° in efficenza difensiva a 92.4) e un nucleo di giocatori compatto e profondo, in cui ben 6 giocatori superano i 9 punti di media e dove il miglior realizzatore, il senior Jaysean Paige, esce dalla panchina. Il lungo Devin Williams è l’immagine dei Mountaineers: aggressivi, mai domi e solidi come la roccia. Uno scontro con Xavier alle Sweet 16 avrebbe i contorni dello scontro armato.

Di tutt’altra pasta è invece la California (#4 South) di Cuonzo Martin, farcita di talento in ogni ruolo e con a roster almeno 5 prospetti con ambizioni NBA, due dei quali - Jaylen Brown e Ivan Rabb - hanno alte probabilità di venire scelti in lottery nel Draft di giugno. Hanno iniziato male la stagione e sono cresciuti esponenzialmente con il passare dei mesi, trasformandoli in un dark-horse forse troppo acerbo negli interpreti, ma con un tasso atletico e con una potenza di fuoco invidiabile.

Next stop: NBA

Un possibile incrocio con Maryland (#5 South) al terzo turno metterebbe di fronte due tra le squadre più talentuose della nazione. I Terrapins hanno avuto un’annata difficile, piena di alti e bassi, ma se andiamo a vedere la composizione della squadra troviamo tutti gli ingredienti giusti per dare la caccia al titolo: un leader in regia come Melo Trimble, punti in area da Diamond Stone, l’imprevedibilità di Rasheed Sulaimon sul perimetro e una schiera di collanti capitanata dal biondo Jake Layman. Se c’è una squadra da boom-or-bust nel Torneo, ovvero capace allo stesso modo di arrivare alle Final Four come di finire la corsa già nel turno inaugurale, quelli sono proprio loro.

Altra squadra dal destino difficilmente pronosticabile è Texas (#6 West), da quest’anno allenata da Shaka Smart, uno che con marzo e il Torneo ha sempre avuto un feeling particolare. La loro imprevedibilità è dovuta a uno stile di gioco intenso e maniacale che non sempre permette loro di mantenere la giusta concentrazione per conquistare risultati in serie, ma li rende tremendamente pericolosi nelle partite win-or-go-home, guidati dalla frenesia della point-guard Isaiah Taylor e dalle doti da pallavolista nei dintorni del tabellone di Prince Ibeh. Qualora cercaste una squadra divertente puntate su di loro, con il rischio che vi possano esplodere in mano quando meno ve l’aspettate.

Infine, bisogna fare i conti anche con quella che al momento è la squadra più in forma. Quando vieni dai quartieri meno sorridenti della Grande Mela sei abituato ad essere considerato meno dell’asfalto che calpesti, così nessuno a Seton Hall (#6 Midwest) si è messo a piangere quando la scuola a inizio anno è stata definita la peggiore della Big East. I cinque sophomore in quintetto per i Pirates vengono da Brooklyn, Queens, Coney Island, e Newark, e il Madison Square Garden lo hanno sempre visto da lontano. Quando finalmente ci sono entrati, però, lo hanno trasformato nel loro playground, e hanno dettato legge. Dietro alle gesta di Isaiah Whitehead in tre giorni hanno rispedito nei loro atenei le tre università gesuite che dominano la costa est: giovedì Creighton, venerdì Xavier e sabato Villanova. Domenica riposo aspettando il primo turno contro Gonzaga. Toh guarda: un’altra università gesuita.

Cinderellas

Nell’anno in cui ricade il decimo anniversario della meravigliosa cavalcata di George Mason, che arrivò a giocarsi la Final Four dal basso del tabellone da #11, è inevitabile parlare di quelle mine vaganti che rischiano di mettere a repentaglio la stagione delle top-seed, ma anche il vostro bracket. Probabilmente neanche questo sarà l’anno in cui una #16 avrà la meglio su una #1, evento mai successo nella storia, ma ogni volta le sorprese non mancano e non dovrebbero mancare quest’anno, anche per la presenza di un paio di intruse.

Per capire quanto sia particolare la presenza di Wichita State (#11 South) in questo gruppo vi basta aprire l’autorevole kenpom.com, che si occupa di classificare le squadre collegiali basandosi sulle statistiche avanzate, e notare che gli Shockers sono tra i primi 10 della nazione, e primi per efficenza difensiva (88.6). È l’ultimo giro del gruppo di Gregg Marshall che approdò alle Final Four del 2013, e faranno di tutto per rendere una guerra ogni partita che giocheranno.

Tra le cenerentole improbabili c’è anche Gonzaga (#11 Midwest), che arriva alla 18esima presenza consecutiva al Torneo dopo una stagione regolare tutt’altro che facile, partita con l’infortunio che ha messo definitivamente ai box il centrone polacco Karnowski. Coach Few ha cercato per tutto l’anno di ridisegnare gli equilibri, rischiando di rimanere fuori ma alla fine agguantando l’accesso per i capelli vincendo il titolo della WCC contro St.Mary’s. Gli Zags negli ultimi anni hanno sempre avuto l’ingrato compito di essere i sopravvalutati per eccellenza a causa della piccola Conference da cui provengono: chissà che quest’anno, da underdog, non tirino qualche scherzo mancino. Certo, l’accoppiamento con Seton Hall è il peggiore che gli potesse capitare.

Ah, giusto… ci sarebbe anche Il Principino del Baltico

Nella stessa Region può rivelarsi una piacevole sorpresa Arkansas-Little Rock (#12 Midwest), piccolo ateneo conosciuto storicamente solo per essere l’alma mater di Scottie Pippen che finora ha subito la miseria di 4 sconfitte (solo Kansas come loro) e conquistato ben 12 vittorie lontano dalle mura amiche. Non sono tra le squadre più belle da vedere a causa del ritmo estremamente basso a cui giocano, ma proprio per questo hanno tutte le carte in regola per essere la bracket-buster di quest’anno. Purdue è avvisata.

Altra mid-major da corsa e habitué ormai da 3 anni della March Madness è Stephen F. Austin (#12 East). I Lumberjacks hanno già un upset nel pedigree - su VCU nel 2014 - e nella scorsa edizione hanno dato filo da torcere a Utah, giocando sempre un basket offensivo di una bellezza stordente per tempi, soluzioni e movimenti, senza farsi mancare una buona dose di energia e imprevedibilità - figura perfettamente rappresentata dal loro go-to-guy, il senior Thomas Walkup. Sarà molto interessante vedere un attacco del genere contro il muro di West Virginia.

Una finestra sul Draft

È inevitabile che il Torneo NCAA venga usato come strumento preferito dagli appassionati NBA per dare una prima occhiata ai prospetti che nel breve futuro popoleranno la Lega. Peccato che quest’anno all’appello mancherà l’osservato speciale, colui che da inizio stagione - ma anche precedentemente - viene segnalato come la prima scelta assoluta, ovverosia Ben Simmons.

La sua scelta di andare a LSU per accontentare il padrino-assistente allenatore (già questo dovrebbe far pensare) non si è rivelata molto felice. L’immagine di un’arma totale inedita a livello collegiale si è scontrata in maniera violenta con le evidenti carenze del coaching staff dei Tigers, che non sono riusciti a metterlo nelle condizioni per far rendere al meglio lui e la squadra, trasformando un’annata potenzialmente soddisfacente in un anno di purgatorio prima del salto in NBA.

E così, mentre gli altri pretendenti saranno in campo per giocarsi il Torneo e il futuro in diretta mondiale - con Brandon Ingram (Duke) in pole per cercare di diminuire le sicurezze sulla sua intoccabilità come prima scelta assoluta - Simmons preparerà lo sbarco tra i pro insieme all’agenzia di LeBron James, la Klutch Sports.

Questa mantide infesterà i sogni di Simmons da qui a giugno

Ma l’australiano non è il solo che ha deluso in stagione, anche colui che sembrava poter essere il suo maggior antagonista ha avuto non pochi problemi. Skal Labissiere a Kentucky non è mai sembrato in grado di poter rispondere in maniera positiva alle aspettative riposte su di lui in pre-stagione, portando coach Calipari a dover prendere le contromisure togliendogli minuti con l’avanzare della stagione. Solo nelle ultime partite ha avuto un sussulto, ampliando il range e trovando nel pick&pop con Tyler Ulis una situazione con la quale recuperare credibilità e fiducia. L’haitiano affronterà il Torneo anche per riprendersi la credibilità nei Mock Draft che nel giro di 4 mesi lo hanno visto scendere da una sicura top-3 a una probabile scelta in lottery.

Marzo inoltre è l’occasione per i prospetti fuori dai radar di farsi conoscere al grande pubblico e uno dei candidati a raccogliere i maggiori consensi da parte di appassionati e, perché no, scout NBA sembra essere DeAndre Bembry di Saint Joseph’s (dove gioca anche il nostro Pierfrancesco Oliva). Bembry è un 3 versatile, un jack-of-all-trades che può provvedere a punti (17.3), rimbalzi (7.7), assist (4.5) e una difesa d’anticipo sempre pericolosa sulle linee di passaggio. Questo può fare di lui un intrigante giocatore di ruolo al piano di sopra, considerando che sembra avere ancora potenziale per crescere ulteriormente e che il suo sta diventando sempre di più un ruolo-chiave.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura