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Emanuele Atturo
Le ultime pennellate di Leo Messi
14 dic 2022
14 dic 2022
Nel duello con Gvardiol una delle ultime dimostrazioni della sua magia.
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Emanuele Atturo
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Qatar 2022 si porta dietro questioni problematiche. In questo articolo abbiamo raccolto inchieste e report che riguardano le morti e le sofferenze ad esso connesse.La mattina del 27 luglio, probabilmente con già maturato il proposito del suicidio, Vincent Van Gogh dipinge di fronte a un albero a pochi metri dall’Auberge Ravoux, dove ha trascorso gli ultimi settanta giorni della sua vita. Nel dipinto possiamo distinguere una serie di tronchi e rami che si annodano tra loro, e le chiome verdi rade, e le radici nude sopra l’erba ingiallita, scoperte dalla pioggia che ha reso il terreno accidentato. Tutto sembra fragile e appeso, imprigionato in un’esistenza precaria, eppure anche pieno di vita, di luce e di resistenza. Van Gogh dipinse quest’albero tra la mattina e l’ora di pranzo del 27 luglio; all’ora di cena si tolse la vita.«Le sue pennellate a fine vita, la forza delle sue pennellate, quella non si può spiegare» diceva Francis Bacon di Van Gogh. È come se la sua arte, negli ultimi giorni, attraversasse un processo di ascesi. Qualcosa di simile alle ultime opere dei grandi artisti. Le ninfee di Monet, dipinte su toni rossicci mentre l’autore è quasi del tutto cieco, possiedono un’armonia astratta fuori da questa realtà. L'impero delle luci di Magritte, incompiuto, e per questo carico di un clima crepuscolare che sembra ultraterreno. Mentre il corpo si decompone seguendo il naturale corso, lo spirito si affina, diventa più acuto, più comunicativo, forse perché già in una parte liminale dell’esperienza fra questo mondo e un altro. Le ultime opere di un artista sono spesso le più misteriose, perché modellate su una lingua intricata, o su una così chiara da sembrare ingenua. ___STEADY_PAYWALL___ Abbiamo guardato Messi in queste settimane in attesa delle sue ultime pennellate, sperando che brillassero di una luce particolare. Ogni sera ci siamo messi davanti alla partita col retropensiero angosciante che potesse essere l’ultima. È questo pensiero implicito che ha reso queste partite di Messi un rito collettivo, al pari di quell’ultimo Wimbledon di Federer. Ogni colpo di Federer, come ogni tocco di Messi si portava dietro già una sua piccola morte (l’ultimo cambio di gioco, l’ultima finta, l’ultimo filtrante) ma anche un afflato di vita più vero, più puro proprio perché più vicino alla fine. Lo sappiamo che non sono gli ultimi minuti di Messi, ma sappiamo che sono gli ultimi che possono permettersi la grande epica. Sono i minuti con cui lui ha deciso di scrivere il suo finale: il suo ultimo Mondiale, la sua ultima possibilità di vincerlo con la maglia dell’Argentina. Messi con i capelli ormai corti, la barba e un corpo che ha perso per strada diverse frazioni di secondo. Messi che ha smesso di andare più veloce degli altri, e nella lentezza i frutti del suo genio sono più rari ma più dolci. Messi col fascino e il carisma dell’eroe logoro e a fine corsa, che deve tirare fuori dalla parte più recondita di sé l’ultima scintilla di grandezza.E così ieri sera ci siamo messi di nuovo davanti alla tv per celebrare questo rito pieno d’attesa. Al 69’ un’ultima eccezionale pennellata di Messi è arrivata. La sponda che riceve da Julian Alvarez non è granché, ma è spesso con materiali di scarto che si producono grandi opere. Messi riceve con i piedi quasi sulla riga laterale, la palla che ancora rimbalza, e Gvardiol che sta arrivando a chiuderlo. Prima che la palla possa scorrere in rimessa, Messi la ferma con l’esterno del sinistro, usandolo come sempre come un guanto. C’è un momento di esitazione, in cui la palla gli rimane troppo addosso, e Gvardiol si illude di poter intervenire. Tutta l’azione si reggerà sulle vibrazioni tremolanti dell’illusione. È quello il momento in cui Messi fa un piccolo tocco in avanti con l’interno e scatta oltre l’avversario. È quello, soprattutto, il momento in cui l’azione diventa un duello che Messi vuole portare fino in fondo. Non un duello qualunque, ma quello tra il miglior giocatore al mondo, ma già di un tempo passato, e il miglior difensore al mondo, ma già di un tempo futuro. Un’azione in cui due linee temporali distanti vivono l’imprevisto di incrociarsi.Josko Gvardiol, vent’anni, il nome di un monarca di un oscuro regno medievale del centro-europa. Indossa una maschera nera che ne risucchia l’identità, lo trasforma nell’incarnazione del negativo per eccellenza: l’uomo nato per distruggere tutto, enorme, velocissimo, senza apparenti punti deboli. La forza immane e spersonalizzata della Montagna di Game of Thrones. Personaggio nato come abominio di qualche perverso genio alchemico. Gvardiol ultimo sorvegliante della Croazia, cioè della squadra che al Mondiale ha trasformato il calcio in un rito voodoo in cui tutte le partite finiscono in pareggio. Gvardiol che può fermare qualsiasi attaccante, e produrre gesti difensivi così dominanti da poter accartocciare la realtà. Gvardiol che ai quarti di finale ha fermato Fred all’ultimo minuto con una scivolata da fumetto, dando l’avvio all’azione su cui è collassato il Brasile.Se Messi avesse perso quel duello con Gvardiol, non ci sarebbe stato niente di strano. Solo un uomo che cede al tempo, un calciatore che soccombe alle nuove generazioni. Solo che a Messi - come a tutti i fenomeni assoluti dello sport - chiediamo di sconfiggere il tempo, o almeno di ingannarlo. Fuggire le sue leggi, anche solo per un attimo, grazie all’immortalità del proprio talento. In questo desiderio che proiettiamo sugli atleti c’è ovviamente la nostra speranza di schivare l’idea della morte, certo, ma di farlo cercando l’esistenza di qualcosa di profondo e intangibile che appartiene all’essere umano. A una sorta di anima, di spirito, di nocciolo duro insondabile che forma la nostra identità e che speriamo sopravviva alla vita terrena. Quel qualcosa gli atleti come Messi riescono a metterlo in forma ed è anche per questo che guardiamo lo sport. È anche per questo che ieri eravamo tutti davanti al televisore pregando che il talento di Messi si manifestasse, anche solo un’ultima volta.Quante volte abbiamo visto Messi scattare a lato del difensore, sull’esiguo corridoio della riga laterale. Il suo è un calcio della riproducibilità apparente: una serie di azioni straordinarie che lui nel tempo ha reso ordinarie. Ci ha abituato all’eccezione come una droga, e questa è stata la sua unica colpa. Solo che mentre scatta di fianco a Gvardiol, quindici anni più giovane di lui, i metri che lo separano dalla porta sono troppi, e sa di non poterlo superare. Allora rallenta. Un’altra azione che abbiamo visto altre volte. Rallenta per poi ripartire: è questa la legge violenta del dribbling, che chi ha la palla decide il tempo con cui questa si muove. Il difensore è sempre costretto al ritardo. Messi può guadagnare un primo vantaggio, ma Gvardiol è veloce e attento, recupera sempre. Così quando lo supera, per una seconda volta, accelerando di nuovo, è un’altra falsa partenza.Otto anni prima era andata diversamente. Passato a lato di Mats Hummels Messi lo aveva trascinato fino alla trequarti, e quando aveva accelerato, quella seconda volta, il difensore era rimasto inchiodato. Messi 2010 sarebbe andato via dopo la prima accelerazione, scartando verso il centro a una velocità tutta sua. Messi 2014 sarebbe andato via dopo la seconda accelerazione, scendendo verso il fondo con tutto l’agio per dosare l’ultimo passaggio. Messi nel 2022 non può andare via né alla prima, né alla seconda accelerazione, la velocità prodigiosa a cui è andato per tutta la vita non lo assiste più, e deve allora inventare altro, lavorare su un piano diverso.

Allora è questo, davvero, il momento in cui Messi ci mostra quello che volevamo. Il momento in cui è costretto a pescare dall’abisso del suo talento, da quella parte intangibile del suo genio che, in definitiva, rende Messi Messi. Gvardiol lo comincia a pressare, a smanacciare, a spingerlo, a lavorare sul contatto per mandarlo fuori equilibrio. L’equilibrio, però, è l’arte dei calciatori più tecnici. Mentre Gvardiol lo spinge, Messi quasi sembra usare quella spinta per toccarsi il pallone col tacco, nasconderlo all’avversario, ripartire. In quel momento Gvardiol sembra essere riuscito in tutti i suoi scopi. Il primo, allontanare Messi dalla porta. Il secondo, non concedergli il lato sinistro. Terzo, se possibile, farlo girare di spalle alla porta. In quella posizione Messi sembra innocuo, ma è dove i difensori pensano di non essere più in pericolo che proliferano gli inganni degli attaccanti.Messi finta di tornare indietro e poi rigira in avanti. Finta di andare da una parte e va dall’altra. Gvardiol prende un’altra frazione di secondo, e forse ancora non capisce che è quella decisiva, perché Messi nel frattempo ha messo il suo corpo fra lui e il pallone. Mentre Gvardiol continua a smanacciarlo da dietro, Messi è ormai in una bolla tutta sua, non può sentire nessuna pressione, si prende tutto il tempo che vuole, per arrivare fino al fondo del campo e mettere la palla all’indietro per il gol di Julian Alvarez.

Non è stata l’unica pennellata di questo Mondiale. Nei quarti di finale c’era stato quel passaggio per Molina che continuiamo a guardare da giorni. Lo scomponiamo frammento per frammento, lo rallentiamo, e ogni visione pare schiudere un dettaglio nuovo. Lo abbiamo anche montato sulle note di Angelo Badalamenti, sul tema di Twin Peaks che da sempre pare contenere qualcosa di dolce e al contempo sinistro, inquietante. Una canzone d'amore composta con il linguaggio di un'altra realtà, familiare e al contempo estranea.

Se quel passaggio è un altro esercizio del suo genio visionario, l’azione su Gvardiol però esprime in modo più compiuto la danza di Messi col tempo, che è la danza di tutti i grandi sportivi a fine carriera, costretti a girare attorno ai limiti del proprio corpo affinando un gioco più spirituale. In quest’azione Messi non riesce a nascondere questi limiti, ce li mostra, per poi schivarli, trovando nel suo genio ogni volta una nuova soluzione. L’arte dell’elusività, nel dribbling, è quella dei grandi pachidermi di centrocampo. I fenomeni lenti che per superare avversari più veloci hanno sviluppato l’arte di danzare con le ombre. Messi non ne ha mai avuto bisogno, se non ora a fine carriera, e allora questo risvolto pare un'altra dimostrazione d'eternità del suo talento. Mentre la sua figura emotiva diventa più terrena, alimentandosi del conflitto, della provocazione, il suo gioco diventa sempre più rarefatto. Messi ha ormai perso la superiorità evidente che lo poneva sopra agli altri esseri umani in campo in modo tangibile. Nel regno dell’intangibile, però, Messi è ancora diverso dagli altri.Il calcio è uno sport frustrante, fatto di attese tradite, ed è l’accumulazione delle nostre speranze frustrate che rende così speciali quei pochi momenti di soddisfazione. Quei pochi momenti in cui il calcio come spettacolo riesce a essere all’altezza della trepidazione, della gioia, dei significati che ci proiettiamo sopra. Messi ci sta regalando uno di quei momenti, in questi giorni in Qatar, in cui ci godiamo le sue ultime pennellate. Ieri ciò che rende Messi Messi si è manifestato un'ultima volta. Ora ancora un’ultima volta, per favore.

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