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Alfredo Giacobbe
Le risposte della Coppa Italia
21 gen 2016
21 gen 2016
Cosa ci hanno detto Napoli–Inter e Lazio–Juventus?
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Alfredo Giacobbe
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Il brutto episodio di fine partita ha giustamente occupato le attenzioni di media e degli appassionati di calcio e fatto passare in secondo piano quanto successo in campo. A Napoli si è giocata una partita equilibrata, che ha mostrato pregi e difetti di entrambe le squadre.

 

I 90 minuti hanno decretato il passaggio alle semifinali dell’Inter, che ha dimostrato i soliti difetti strutturali, ormai noti ad ogni avversario. Difetti che, in ogni caso, non impediscono alla squadra di Mancini di poter potenzialmente vincere ogni partita grazie al talento individuale a disposizione. Talento che porta il nome di Handanovic e Miranda in difesa e di Jovetic in attacco. La squadra di Mancini ha sofferto poco nella propria area e ha segnato due dei tre tiri nello specchio.

 

Mancini  ha fatto totale affidamento sulle proprie individualità, preoccupandosi soprattutto di schierare una squadra attenta a non concedere la profondità al Napoli. Merito di un’ottima organizzazione della linea difensiva, posizionata a un’altezza non troppo bassa, grazie soprattutto alla spinta dei terzini Nagatomo e Telles, una volta in possesso in grado di trovarsi subito in linea, affidandosi alla velocità pura. Stessa arma anche degli esterni alti, Perisic e Biabiany, con una squadra così dal volume di gioco spiccato sugli esterni e sulla loro capacità di creare superiorità numerica rispetto ai diretti avversari. Il centro del campo invece era diviso tra due centrocampisti più statici e in linea come Medel e Kondogbia , mentre ai due attaccanti è stato chiesto di muoversi molto tra le linee e ricevere anche spalle alla porta per aiutare la manovra come Ljajic e Jovetic.

 

Il volume di gioco sugli esterni non significa certo che i due centrocampisti centrali siano in disparte, anzi: Kondogbia e Medel sono i due giocatori con più palloni toccati, ma le loro caratteristiche e la loro posizione sempre in linea li ha resi un facile bersaglio per il pressing del Napoli. La squadra di Sarri li ha individuati come l’anello debole della catena, forzando su di loro il momento della pressione. È uno dei difetti strutturali dell’Inter: ha giocato palla al centro solo per farla andare da un esterno all’altro perché incapace di mantenere il possesso del pallone per più di tre passaggi al centro. Kondogbia ha le caratteristiche per proteggere la palla, ma si è trovato sempre attaccato alle spalle ed è stato costretto a giocare il pallone subito dopo averlo ricevuto.

 


La facilità con cui il Napoli poteva recuperare palla sugli esterni.


 

Il Napoli ha sempre recuperato il pallone quando ha deciso di aumentare l’intensità del pressing e, anche in possesso, l’Inter non ha mai controllato veramente il centro del campo, costringendo Jovetic, intorno alla mezzora, ad abbassarsi a giocare sulla trequarti per aiutare la manovra ed evitare di essere il bersaglio di ottimistici lanci lunghi.

 


Jovetic che si abbassa per aiutare la circolazione del pallone, mentre Ljajic si muove tra le linee.


 

Da tecnico preparato qual è, Sarri ha saputo mettere in campo una squadra in grado di giocare sui problemi degli avversari pur senza ricorrere ai titolari, con Hamsik, Jorginho, Insigne e soprattutto Higuaìn in panchina. Una scelta dettata forse dalla necessità di testare fino in fondo le risorse a disposizione ad alti livelli con uno sguardo al lungo periodo, che è risultata però deleteria per le chance di vittoria della partita: i giocatori erano preparati e non è mancato l’impegno, ma l’esecuzione, sia singola che corale, non è stata all’altezza dei titolari. Non si può dire che il Napoli abbia giocato male, ma il retrogusto di squadra quel pizzico più lenta, più imprecisa e meno fluida è rimasto soprattutto nei confronti diretti tra chi stava giocando e chi stava in panchina.

 

Gabbiadini e Valdifiori su tutti hanno fatto vedere a Sarri la differenza che c’è in questo momento tra il loro livello e quello di Jorginho e Higuaìn: il primo ha provato in tutti i modi a ricevere palla dai compagni con movimenti in profondità o verso l’esterno, ma o le tempistiche non erano quelle della costruzione della squadra o semplicemente non riusciva a controllare bene la palla. Fatto sta che per la difesa dell’Inter è risultato decisamente innocuo; mentre Valdifiori è stato il giocatore con più passaggi riusciti (ben 59), ma non ha mai realmente provato ad andare oltre la giocata semplice, risultando quindi sempre leggibile per la difesa posizionale dell’Inter, ben contenta di lasciarlo fare.

 


Jorginho si posiziona da mezzala e Valdifiori, invece di costruire, lancia per Gabbiadini (che stopperà male il pallone).


 

Il Napoli ha dimostrato di sapere come rendere la vita difficile all’Inter, ma non è stato in grado di mantenere il piano partita in modo costante: è stato troppo impreciso una volta in possesso (Mertens su tutti, con 25 palle perse e 12 passaggi sbagliati), cosa che ha reso realmente sterile l’attacco posizionale contro una difesa attenta come quella dell’Inter. La soluzione pensata dai giocatori nel secondo tempo per provare a sbloccare la gara è stata una sequenza di tentativi da fuori area che non ha fatto altro che rendere ancora più solide le sicurezze dell’Inter. Tutto ciò ha spinto Sarri a inserire Hamsik per uno spento Allan, Jorginho per David Lopez e soprattutto Higuaìn per Gabbiadini con venti minuti ancora da giocare. Non c’è neppure il tempo di elaborare i cambi che arriva il bel gol di Jovetic da fuori a spaccare la partita.

 

Con Higuaìn in campo il volume di gioco creato dal Napoli diventa concreto anche nella trequarti offensiva (l’argentino tira in porta più volte di quanto abbia fatto Gabbiadini in tutti i 70 minuti precedenti), ma la cosa non è bastata a mettere realmente paura alla difesa dell’Inter che sembra cibarsi della frustrazione degli avversari grazie ad un portiere in stato di grazia come Handanovic. Il gol di Ljajic premia una partita poco decifrabile del talento serbo, sempre in bilico tra voler ricevere sui piedi e muoversi tra le linee anche per liberare spazio al compagno Jovetic: il serbo è abbastanza freddo da sfruttare l’ occasione di aver ricevuto solo nella propria metà campo, con lo spazio necessario per poter arrivare da Reina e segnare.

 

I venti minuti con i titolari del Napoli in campo hanno dimostrato quanta differenza esiste tra loro e chi li deve sostituire, ma questo non deve togliere nulla a una partita meritatamente vinta dall’Inter, che sarà anche facile da leggere e troppo legata al talento individuale, ma che non è mai stata messa realmente in difficoltà per un periodo prolungato della partita in trasferta contro la prima in classifica.

 





 

Un Lazio-Juventus di Coppa riporta subito alla mente la finale rocambolesca dell’edizione 2014-15. Quella sconfitta, per molti immeritata, interruppe una serie positiva che per i biancocelesti durava da otto partite. Se consideriamo le sole gare casalinghe, e tecnicamente quella finale era da considerarsi giocata in campo neutro, allora la serie positiva della Lazio in Coppa Italia era ancora in corso prima del fischio d’inizio di ieri sera e registrava 14 vittorie e 2 pareggi all’Olimpico. Questi numeri testimoniano la difficoltà dell’impegno e danno ulteriore credito ad Allegri, coraggioso nelle scelte di turnover consistenti, con la Roma alle porte dello Stadium: Evra, Khedira, Dybala, Mandzukic e Buffon hanno potuto recuperare energie.

 

Al di là dei precedenti di Coppa, il riferimento per Allegri e per il suo collega Pioli doveva comunque essere la più recente gara di campionato, disputata a Roma lo scorso 4 dicembre e vinta dai bianconeri col risultato di 0-2. In quella partita, la Juventus decise di agire esclusivamente di rimessa, concedendo il 63% di possesso palla agli avversari e massimizzando in ripartenza le poche occasioni a disposizione. Una difesa attenta, che per mezzo delle

operate alternativamente da Lichtsteiner o Alex Sandro riconfigurava la formazione in 3-5-2 o 4-4-2, fece poi il resto.

 

La Lazio ebbe problemi in entrambe le fasi: senza palla, la macchina del pressing girava a vuoto, permettendo troppe ricezioni agli interni bianconeri ai lati o alle spalle di Parolo e Biglia; con la palla, i centrali Gentiletti e Mauricio mancavano della qualità necessaria per rifornire i centrocampisti e i troppi lanci lunghi rendevano prevedibili le iniziative biancocelesti.

 

Ieri è stata di nuovo la Lazio a dettare i ritmi della partita nelle prime fasi e, più in generale, l‘aggressività nei confronti della costruzione bassa del gioco della Juventus ha stabilito il

di tutta la prima frazione. Per darne una misura, il rapporto tra palle recuperate e falli fatti dei laziali è molto inferiore a quello degli avversari: 2,25 contro 3,50, una differenza del 36%. Nel meccanismo di pressing biancoceleste, sviluppato in maniera asimmetrica, tutti i giocatori coinvolti si scambiavano i compiti a seconda della situazione di gioco: se la Juventus iniziava la propria costruzione da Caceres, Keita saliva in pressione sul portatore di palla, chiudendo il corridoio verso l’esterno e portandosi in pratica sulla stessa linea di Klose, che era in marcatura su Bonucci; nel frattempo Lulic contrastava Sturaro, con Milinkovic-Savic e Candreva che provavano a schermare le linee di passaggio rispettivamente verso Marchisio e Pogba.

 

Se gli juventini giocavano palla sul lato opposto, i laziali si ripartivano i compiti di conseguenza con Milinkovic-Savic a fare il Keita, Candreva ancora stretto su Pogba, Lulic a scalare Marchisio, Keita a riempire lo spazio a sinistra sulla linea di centrocampo. Un meccanismo all’apparenza farraginoso, ma che ha prodotto i suoi effetti: almeno finché la condizione fisica dei laziali ha retto, la Juventus è stata costretta a liberarsi in fretta del pallone, calciando lungo verso le punte con poca precisione (Sturaro e Alex Sandro, destinatari del giro palla in uscita, sono risultati i più imprecisi per numero di passaggi sbagliati e di palle perse). Inoltre la Lazio ha recuperato 12 palloni su 45 nella metà campo avversaria, il doppio di quelle riconquistate dagli juventini.

 


La combinazione veloce palla indietro-palla avanti tra Klose e Milinkovic-Savic, che manderà Keita al tiro dentro l’area di rigore.


 

L’atteggiamento della Juventus è stato altrettanto aggressivo solo negli istanti immediatamente successivi alla perdita del possesso, e non tanto per riconquistare il pallone, quanto per rallentare la transizione offensiva della Lazio. In generale i bianconeri hanno aspettato più bassi e disposti su due linee ravvicinate, dalle quali un centrocampista usciva di volta in volta a ostacolare la visuale all’avversario che riceveva il pallone. La Juventus ha rischiato di andare in svantaggio solo quando, da una combinazione veloce tra Klose e Milinkovic-Savic, il pallone è arrivato sulla corsa di Keita, con Caceres che aveva letto il gioco in ritardo e aveva mancato la copertura. Per il resto la proverbiale fluidità dei movimenti degli attaccanti della Lazio non ha creato pericoli sostanziali (3 occasioni create dalla Lazio, contro le 12 degli avversari). Anzi, a volte è sembrato che la ricchezza di interscambi di posizione, con le ali che giocavano sulla stessa fascia o con Candreva che si abbassava persino più di Milinkovic-Savic o Lulic, privasse la Lazio di riferimenti offensivi.

 

Col passare dei minuti, la Lazio è stata costretta ad assumere un atteggiamento più conservativo, con un 4-1-4-1 che cercava di coprire il centro del campo, risultando però vulnerabile sul giro palla veloce verso gli esterni. Dalle fasce sono arrivati i servizi migliori per Zaza e Morata, gli attaccanti di scorta che hanno offerto una buona prestazione lavorando perfettamente in sincrono. Il movimento di uno dei due, all’indietro e dal centro verso l’esterno, provocava l’uscita dalla linea di uno tra Bisevac e Mauricio, permettendo all’altro attaccante di cercare la profondità sfidando uno contro uno il secondo dei due centrali. In pratica le ricezioni di Zaza e Morata ai lati di Biglia hanno messo in difficoltà la Lazio allo stesso modo di quanto avevano fatto Asamoah e Sturaro nella stessa zona di campo, nell’incontro di campionato prima citato. L’azione degli attaccanti ha finito per allungare la Lazio (45 metri la lunghezza media registrata nei novanta minuti).

 


Il nuovo assetto della Lazio dopo l’ingresso di Felipe Anderson.


 

Nel tentativo di recuperare il gol di Lichtsteiner, Pioli ha cambiato il suo sistema di gioco, inserendo al settantaduesimo Felipe Anderson per Konko. Nel 3-4-1-2, Keita più vicino a Klose e lo stesso Anderson tra le linee avrebbero dovuto impensierire la retroguardia juventina. Il cambio di Pioli è stato tardivo per due motivi: la copertura supplementare fornita dalla difesa a tre avrebbe potuto disinnescare l’azione delle due punte avversarie; inoltre, una volta passata in vantaggio, la Juventus si è ulteriormente arroccata e la densità creata a difesa della propria area ha negato gli spazi che Anderson cercava per sé. Come termine di paragone, la lunghezza media della Juventus è stata di appena 32,6 metri.

 

In conclusione, il caos organizzato dei biancocelesti non paga gli stessi dividendi se non è sostenuto da una condizione fisica perfetta e quando non è protetto da difensori, come De Vrij, che sanno gestire grandi porzioni di spazio alle loro spalle. Il mercato ha portato in rosa Bisevac, che è sicuramente un giocatore esperto, ma non è sembrato un fulmine nel confronto con Morata, uno degli attaccanti più veloci del nostro campionato.

 

Per contro, la Juventus di ieri ha dato l’impressione di saper controllare la partita anche quando non ha avuto il controllo del pallone: era un elemento di forza di questa squadra, nell’ultimo periodo della gestione di Antonio Conte. L’impressione è che il salto di qualità che ha portato i bianconeri ad incamerare dieci vittorie di fila in campionato sia stato, più che tecnico-tattico, prima di tutto mentale.

 

 

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