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Valerio Coletta
Le migliori case dei calciatori vol. 2
17 feb 2017
17 feb 2017
Case energizzanti, case Star Trek, case da bambini. La seconda puntata della serie che ha cambiato la vostra visione del mondo.
(di)
Valerio Coletta
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Se un giorno dovessero rimpicciolirmi con uno di quei raggi che rimpiccioliscono (dai hai capito, quei raggi bzzz), oltre a voler camminare sul corpo di Pamela Anderson, come in quel vecchio video dei Lit, troverei un modo per entrare di soppiatto nelle case dei calciatori per vedere che diavolo fanno questi personaggi, come si muovono e soprattutto dove vivono, come organizzano la realtà che li circonda quando non sono in campo.

 

Come già era avvenuto

, sono qui con l’intenzione di approfondire il concetto di “quotidianità” del calciatore, un individuo talmente idealizzato da perdere qualsiasi tratto umano e reale, che non sia uno stereotipo confezionato. Come vedremo, le case dei calciatori sono dei luoghi molto particolari, spesso asettici, per professionisti che devono potersi trasferire da un giorno all’altro, ma anche eccentrici, o arredati dal gusto impersonale di una qualche agenzia, o a sorpresa vissuti, intensi, oppure vuoti, tristi, poveri, imbarazzanti e ridicoli. Ma tutto questo non mi porterà, infine, a trarne un particolare insegnamento, o una metafora e men che meno una morale. Alla fine noi non avremo capito nulla, ma avremo fatto un viaggio pazzesco. Seguitemi.

 

 



 



 

Questa foto ci racconta subito molte cose: il figlio di Verratti sembra più adulto di Verratti. Ha un maglione grigio scuro, con i polsini bordeaux e la camicia bianca, i pantaloni neri e dei solidi calzini antiscivolo, mentre il padre ha la felpa bianca, ma non il classico bianco di tutti i giorni, quel bianco nuovo della pagina vuota di Word. Poi ha i jeansetti con le tasche alle ginocchia e le scarpe con la gomma. Entrambi fingono di riposare, ma Verratti-papà non resiste e guarda l’obiettivo di sottecchi, mentre il figlio, calmo, gestisce la situazione.

 

Esagerato, direte voi, è solo un padre giovane. Bene, allora osserviamo la casa, vediamo come questo padre “adulto” ha arredato l’abitazione. Forza 4 gigante sul tavolino (molto fico tra l’altro). Macchinetta per i pop corn, con a fianco una macchinetta per le caramelle, con a fianco una tazza e ancora dopo un oggetto nero non identificato, probabilmente una consolle. Sul divano dorme un cane peluche (anch’esso sembra essere più grande di Verratti). Una parete vuota. Un cuscino del Psg. Tutto sommato anche io vorrei vivere dai Verratti, scommetto che fanno le battaglie con il cibo invisibile come i bimbi sperduti di Peter Pan.

 

 



 



 

Da quando Gervinho si è trasferito a giocare in Cina non c’è più un solo aspetto della vita che lo obblighi a rimanere ancorato alla realtà. Ora la sua casa ricalca il bar di un’astronave di Star Trek, con tanto di bibita vulcaniana servita in una coppa ricavata da un blocco di zaffiro bianco della cintura di Orione.

 

 



 



 

Ditemi, cosa vedete? Mauro, il cane argentato carino, una strana bruma che sale dal tappeto, come a un concerto dei Kiss. Due campane di vetro dietro al divano, contenenti chissà quale trofeo o amuleto che ti fa segnare a ripetizione. No. Ho bisogno che superiate questi dati materiali, superficiali. Dovete scivolare sul piano simbolico. Ora vi dico io cosa vedo: uno spogliatoio. Guardate sullo sfondo gli armadietti bianchi, allineati, impersonali, che fanno angolo, con le tre lucine minimali sopra. A me sembra lampante; il salone di Icardi simula le fattezze di uno spogliatoio. E al centro dello spogliatoio? Mauro Icardi ovviamente, in tuta e calzini, beato, che aspetta di scendere in campo, ovvero di vivere, perfettamente a suo agio, qualsiasi cosa succeda. Niente male come metafora di vita. #homesweethome

 

 



 



 

Ok adesso le cose si fanno complicate. Io stesso mi sono soffermato alcuni giorni su questa foto. Il mio primo problema è stato stabilire se questa fosse effettivamente casa di Eriksen, o semplicemente un qualche store pubblicitario, la Tate di Londra o più semplicemente un negozio d’acqua. Poi ho scoperto che la State Drinks non è una marca d’acqua ma una bevanda energizzante (facciamo che è acqua con lo zucchero).

 

Se osservate lo status della foto c’è scritto: “My own @statedrinks shelve!”. Quindi in effetti sì, questo è il ripiano personale di Eriksen, sul quale tiene le sue acque (shelve = shelf, deduco). Inoltre sbucano dal fondo della foto delle bandiere della Danimarca, quelle che ogni danese degno di questo nome terrebbe sul suo shelf di casa. In conclusione la casa di Eriksen è composta da pareti bianche, luce soffusa e mensole di acque, non vi fa esplodere il cervello questa cosa?!

 

Non mi stupirei però se su ogni ripiano Eriksen tenesse, in serie, oggetti diversi che reputa indispensabili. Su una mensola 9 bottiglie di State Drinks, su un’altra 9 scatolette di tonno, su un’altra ancora 9 magliette bianche, 9 spazzolini da denti, 9 scarpini, 9 letti, 9 mensole, 9 case uguali, 9 Eriksen.

 

 





 



 

20 dicembre 2012. Gundogan ha firmato da poco con il Borussia Dortmund ma sembra essere appena arrivato al paese di nonna per le vacanze di Natale. Però nel viaggio speciale che stiamo facendo questa è una foto preziosa, perché ci restituisce un calciatore felice in una casa viva e calda. Niente superfici vuote e tristemente linde, questa mi sembra una casa vera, dove la gente lascia delle briciole e la polvere cade.

 

Entriamo nel dettaglio: Gundogan prepara dei biscotti (che sembrano bruciati e non buoni). Dietro la sua testa c’è una tazza da tè con dentro dei cucchiai, ai lati degli oggetti che non riesco a identificare, probabilmente quegli oggetti senza senso né forma precisa che si trovano nei fondali dei videogiochi vecchi, delle macchie di colore per riempire. Poi, due cipolle? Due castagne? Di coccio, con il coperchio. Un orologio con i palloni al posto delle ore, commovente, di quelli che ti regalano quando ancora credi tantissimo alle cose e i tuoi sogni sono indistruttibili. In basso, sotto il forno, c’è quella che sembra una cassa di plastica blu con delle bottiglie d’acqua dentro (ciao amico Eriksen). Questa è una bella casa e la vena di Gundogan insieme al suo guanto parlante ci indicano che lui è veramente felice.

 

 



 



 

Rabiot vive nel castello della Bella e la Bestia, con il camino, la simpatica teiera e le repliche di Top Gear.

 

 



 



 

Se la Serie A fosse la Terra di Mezzo, la casa di Pjanic sarebbe Rivendell (Gran Burrone). Nascosta tra i boschi e distesa in una valle profonda sotto un ponte di pietra c’è la Casa di Miralem (nome elfico). Sotto i dolci raggi del sole estivo si festeggia il compleanno del figlio. Il banchetto è molto allegro e colorato, c’è una torta di plastica non commestibile, ma subito accanto una sorta di ciambellone fatto a mano, dei piccoli palloni, i lecca lecca e un tè alla pesca (non la Coca Cola, la bibita di Mordor). Il prato è curato e ci sono due piscine, dietro le quali, come potete vedere, si estendono le misteriose terre selvagge. Questa oasi di pace probabilmente serve a Pjanic per scrollarsi di dosso le pressioni e gli spettri che lo inseguono, soprattutto dopo il trasferimento da Roma a Torino.

 

Voglio pensare anche che questa sia una casa aperta a tutti i calciatori bisognosi di riposo spirituale e che quando lo desiderano possono andare a ristorarsi, arrivando attraverso un sentiero segreto che si snoda nella foresta. Pare che ora il vecchio Antonio Cassano risieda lì, come Bilbo Baggins, a scrivere un nuovo libro sulle sue avventure.

 

 



 



 

Buddha, dal sanscrito “colui che si risveglia”, è un essere che attraverso un cammino ascetico di sofferenza, verità, impermanenza e abbandono dell’io eterno e immutabile, raggiunge il massimo grado dell’illuminazione. Tutte cose che sinceramente ritrovo pari pari nel percorso calcistico di Cristiano Ronaldo; quindi perché mai migliaia di persone si sono indignate nel vedere la statua del Buddha usata come fermaporta davanti la casa del portoghese? La gente è strana oh.

 

Il rapporto di Cr7 con le statue del Buddha è curioso e, ve lo concedo, un filo informale e confidenziale, come se Cristiano finalmente avesse incontrato un collega alla sua altezza. I due esseri illuminati si ritrovano con serena familiarità in giardino, che effettivamente rimane l’ambiente più consono e tranquillo. Io non so se Ronaldo abbia idea di quello che sta facendo, di chi sia Buddha e di cosa rappresenti per milioni di persone sul pianeta, sta di fatto che lui sembra credere sinceramente di avere un rapporto speciale con l’Illuminato.

 



 

Guardando quest’altra foto

di come Ronaldo appoggi il suo piede sulla base della testa del Buddha. Però nella mia personalissima visione delle cose quello non è un gesto arrogante, non è una mancanza di rispetto, è più un “eccoci qua, veniteci a fermare adesso”. Una sorta di assurda intimità da spogliatoio, quel legame che si è creato tra Neymar, Messi e Suarez e che lui non ha mai avuto con Bale o Benzema o Di Maria o James Rodriguez o Kaká o Higuain o Ozil o Rooney o Raul o Van Nistelrooy o Forlan o Tevez o Nani, perché palesemente inferiori, buoni solo a segnare 25 gol a stagione, e che invece sembra aver trovato con il fondatore del buddismo. Per Cristiano Ronaldo Buddha non è una guida, è più un compagno trequartista con una visione di gioco molto molto ampia.

 

 

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