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Foto di Mark Dadswell / Getty
Sport Riccardo Rimondi 16 marzo 2017 8'

Le apparenze ingannano

La storia poco conosciuta di Priscilla Lopes-Schliep dice molto sui nostri pregiudizi.

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Non ci sono solo gli Stati Uniti, nel panorama della velocità nordamericana. Più a nord, negli ultimi decenni, il Canada ha sfornato grandi sprinter. Il più grande di tutti è stato Donovan Bailey: due ori olimpici ad Atlanta 1996 e tre titoli mondiali tra il 1995 e il 1997, a cui va aggiunto un argento iridato. Oggi, il velocista canadese più conosciuto è il giovane Andre De Grasse, tre volte sul podio alle Olimpiadi di Rio de Janeiro, su 100 (terzo), 200 (secondo) e 4×100 (terzo).

 

Ma le donne non sono state da meno, soprattutto in una disciplina: i 100 metri ostacoli. Nel 2003 Perdita Felicien, all’epoca 23 anni, vinse il titolo mondiale, conquistando poi l’argento quattro anni dopo. Negli stessi anni, alle sue spalle, un’atleta due anni più giovane faceva tutta la gavetta, arrivando fino in cima. Priscilla Lopes-Schliep ha avuto una carriera lunga tredici stagioni, di cui tre passate ai vertici mondiali. È stata lei, nel 2008, a riportare l’atletica canadese su un podio olimpico nel 2008, dopo due anni di digiuno. È stato l’inizio di un triennio magico, nel corso del quale ha ottenuto i suoi risultati migliori.

 

 

A fari spenti

 

Il suo non è uno dei nomi più conosciuti dell’atletica, ma la sua storia merita di essere ricordata. Già l’esplosione tardiva, visto che il primo risultato di rilievo è arrivato a 26 anni, è motivo di interesse. Almeno a livello cronometrico, alcuni risultati rilevanti erano già arrivati quattro anni prima: nel 2004 era già capace di fermare il cronometro a 12’’64, un tempo identico a quello che le sarebbe servito per salire sul podio alle Olimpiadi di Pechino quattro anni dopo.

Ma alla sua prima esperienza olimpica, ad Atene, Lopes-Schliep andò male: fu quinta nella sua batteria. Andò meglio ai Mondiali del 2005: a Helsinki arrivò in semifinale, dove uscì mancando per pochi centesimi la qualificazione. E questo nonostante quell’anno, sulla carta, ci fossero 22 atlete più forti di lei in circolazione. Un altro passo avanti arrivò nel 2006, quando in un’annata priva di competizioni rilevanti scalò il ranking mondiale fino all’ottavo posto. Ma ai Mondiali di Osaka 2007 tornò al punto di partenza: eliminata al primo turno.

 

Insomma, a Pechino nel 2008 non è certo tra le favorite: il suo nuovo primato personale, 12’’61 ottenuto a Stoccolma, basta appena a piazzarla come undicesima ostacolista più forte del mondo. Eppure, in Cina Lopes-Schliep compie un piccolo capolavoro. Passa con estrema scioltezza il primo turno, arrivando seconda in batteria. Si qualifica in finale arrivando terza della sua serie. Sulla linea di partenza, nel Nido d’Uccello, ha il secondo peggior tempo stagionale. È difficile puntare su una che non ha mai vinto nulla e che nemmeno quell’anno, fino a quel momento, ha fatto il salto di qualità. Pure in gara, fino alla fine resta defilata. Dopo i primi otto ostacoli, è settima.

 

Poi succedono due cose. La prima è che la favorita Lolo Jones, fino a quel momento saldamente al comando, inciampa nel nono ostacolo spianando la strada a Dawn Harper Nelson. La seconda è che la canadese recupera, il gruppo si ricompatta e al traguardo ci sono cinque atlete raccolte in due centesimi. L’argento va all’australiana Sally Pearson, ma con lo stesso tempo e una medaglia di bronzo c’è Priscilla Lopes-Schliep. Un risultato impronosticabile, sulla carta, ma lei è riuscita a fare il colpaccio.

 

Con la medaglia, arriva anche la notorietà. E qualcuno si accorge del fisico di Priscilla Lopes-Schliep: possente, muscolosa, con le vene sporgenti, senza un filo di grasso in determinate parti del corpo, tra cui le gambe e le braccia. È sempre stato così: da bambina veniva a casa da scuola chiedendo ai genitori di toglierle le vene dalle gambe, perché i ragazzi la prendevano in giro. Nella sua famiglia, molte donne somigliano a lei: muscoli definiti, grossi. Ma se una bambina con quel corpo può essere presa in giro, un’atleta può essere sospettata di doparsi. Il suo profilo assomiglia all’immagine perfetta di chi utilizza steroidi e alcune foto alcune foto – che la riprendevano al massimo dello sforzo – sembravano parlare da sé. Ma c’è anche chi lo dice chiaramente, anche perché, dopo l’Olimpiade, Lopes-Schliep non aveva intenzione di fermarsi a quel punto. Il meglio della carriera doveva ancora arrivare.

 

A Pechino, Priscilla non sa ancora di avere una malattia genetica di cui verrà a conoscenza poco tempo dopo si tratta di lipodistrofia, come spiega lei stessa – tra gli altri, la letteratura sul tema è vastissima per ovvie ragioni – questo articolo del 2010 della Cbc, una patologia associata al diabete. Ha anche un alto livello di trigliceridi e colesterolo e deve seguire una dieta attenta (anche di questo se ne è resa conto quando era già un’atleta professionista, e l’aneddotica vuole che il medico glielo abbia detto un giorno in cui era al centro commerciale, all’ora di pranzo: “Forse è meglio se è eviti l’hamburger”, ha esordito). Ma di questo parlerò più avanti.

 

 

La finale dei 100 metri ostacoli di Pechino 2008.

 

 

La cultura del sospetto

 

Nel 2009 ci sono i Mondiali di Berlino. Quelli che verranno ricordati come il momento più alto, cronometricamente parlando, della carriera di Usain Bolt. E quelli della consacrazione di Caster Semenya, che ad appena diciotto anni si impone nella finale degli 800 donne scatenando un uragano destinato a mettere l’atletica di fronte a dilemmi e scelte molto difficili.

 

Il 19 agosto, mentre la sudafricana sta ultimando il riscaldamento in vista della finale, Lopes-Schliep scende in pista. Fino a quel momento ha fatto un percorso netto: il miglior tempo in assoluto nelle batterie e la vittoria nella propria semifinale. Ma gli intoppi arrivano pochi minuti prima della gara decisiva. Dopo la vittoria della semifinale (che, per i 100 ostacoli donne, si disputa nello stesso pomeriggio della finale), le viene imposto un test antidoping. Alla ragazza che l’ha presa in custodia spiega: «Senti io devo prepararmi per una gara e so che tu stai facendo il tuo lavoro, ma io sono qui per correre». Inutile, ovviamente. «Non più di otto minuti prima della gara ho fatto il test e poi ho corso per lo stadio cercando di trovare il modo più veloce di scendere. Sono rimasta nella stanza di chiamata per cinque minuti, poi siamo entrate in pista».

 

È un fatto inusuale, quello del test antidoping prima della finale. Se non altro, perché molte finaliste verranno comunque testate subito dopo la gara. E a quel punto, andare a rovinare la concentrazione e il riscaldamento a un’atleta non ha molto senso. In ogni caso, la canadese non sembra soffrire troppo l’imprevisto: è la più veloce a uscire dai blocchi dopo lo sparo e, con un’ottima gara, arriva seconda dietro a Brigitte Foster-Hylton.

 

A medaglia acquisita, c’è qualche polemica per il test pochi minuti prima della gara. Tra gli imbarazzi della Iaaf (un portavoce definisce l’accaduto «un casino») e la rabbia del medico canadese, che ha dovuto correre con Lopes-Schliep per tutto lo stadio alla ricerca del modo più veloce di raggiungere la pista. Restano discussioni tutto sommato marginali, in cui la stessa Lopes-Schliep vede il lato positivo: «Ho già fatto il test e posso andarmene», scherza lei con la bandiera canadese sulla schiena e forte dell’unica medaglia ai Mondiali tedeschi per il Paese nordamericano. D’altra parte, in quegli stessi minuti, gli occhi del mondo si stanno concentrando su Semenya. E la sua resta una storia marginale.

 

Il meglio e il peggio della stagione, però, arrivano nelle ultime settimane. Il 4 settembre, a Bruxelles, Lopes-Schliep corre forte come mai prima d’allora: ferma il cronometro in 12’’49, il suo nuovo primato personale. Il 12 settembre 2009, a Salonicco, arriva quarta alle finali mondiali dell’atletica, in pratica un meeting con i migliori atleti dell’anno. Quando recupera la borsa da gara, però, ha una brutta sorpresa: il quaderno di allenamento è scomparso. Ed è l’unico oggetto mancante da una borsa che contiene, oltre ai vestiti e alle scarpe da corsa, un cellulare. Segno che chi è andato a frugare tra la sua roba è qualcuno che cercava proprio il quaderno. Da lì, infatti, è possibile risalire a tutto il programma di lavoro dell’atleta.

 

Stavolta, l’ostacolista canadese è decisamente più irritata: «Da un lato mi sento onorata che qualcuno mi stia osservando in maniera così accanita e che voglia sapere cosa sto facendo, ma allo stesso tempo mi irrita che qualcuno rubi il mio libro. Qualcuno chiaramente si sente minacciato e vuole sapere cosa sto facendo. Ma sarà sempre un anno indietro». C’è anche un altro fattore da tenere in considerazione: su un quaderno si possono trovare tante cose, non solo le ripetute e i carichi di lavoro. Ci possono essere, per esempio, anche i promemoria su eventuali medicinali e sostanze da assumere. E quindi, chi ha rubato quel quadernetto potrebbe averlo fatto anche per trovare prove dell’eventuale doping di Lopes-Schliep.

 

La finale dei 100 metri ostacoli di Berlino 2009.

 

Lei, nel frattempo, in pista continua volare. Il 2010 non prevede gare particolarmente rilevanti all’aperto. L’unico campionato mondiale è quello indoor, a Doha, dove arriva terza. Poi, durante l’anno, si leva comunque una grande soddisfazione: con 12’’52, ottiene il miglior tempo mondiale dell’anno. Anche il secondo e il terzo crono del 2010 sono in mano sua. Vince la Diamond League nella sua categoria, portando a casa tre gare su sette del circuito. Un bel modo di concludere un triennio fantastico, prima del declino: nel 2011 è in gravidanza e non gareggia, mentre nel 2012 non riesce a superare i trials canadesi e, quindi, non strappa il biglietto per le Olimpiadi di Londra. Le nasce una seconda figlia nel 2013 e, a fine 2015, prova a passare al bob. Dura poco: nel 2016, dà l’addio alle competizioni sportive. Concludendo, senza troppi rimpianti, una carriera poco appariscente ma molto sostanziosa.

 

Nel frattempo, però, è successo anche dell’altro. Ha conosciuto una donna, Jill Viles, che ha una particolarità: pur non essendo medica, ha un’eccezionale capacità di osservazione. A tal punto che è riuscita ad autodiagnosticarsi la distrofia muscolare di Emery-Dreyfuss, grazie ad anni di ricerche. A metterle in contatto è David Epstein, reporter investigativo di ProPublica, autore del libro The Sports Gene.

È lui, con questo articolo, a raccontare l’epilogo della vicenda sportiva di Priscilla Lopes-Schliep e a riscattarla di fronte alle voci sul doping. Jill è convinta di avere la lipodistrofia e che lei e l’atleta canadese condividano la stessa malattia, però con due mutazioni diverse che portano una ad essere estremamente muscolosa e potente e l’altra molto magra, con grandi difficoltà di movimento. La cosa incredibile è Jill ha riconosciuto la sua stessa malattia capitando per caso proprio in quelle foto che giravano per mettere in discussione l’onestà di Priscilla.

 

Priscilla Lopes-Schliep si lascia convincere ed entrambe si fanno sottoporre a test genetici dallo stesso medico. Così, si scopre che non solo tutte e due hanno la lipodistrofia, ma che pure la sotto-categoria è la stessa: si tratta del tipo Dunnigan. Ma una differenza su un singolo gene è quella che, probabilmente, porta le due donne ad avere fisici completamente diversi. Non solo: grazie all’esame, i medici scoprono che l’atleta canadese ha un livello di trigliceridi nel sangue triplo a quello normale. E le impongono una dieta ferrea, perché è a rischio pancreatite. Salvandole, forse, la vita. Sicuramente, riscattando l’immagine di un’atleta che ha destato più di un sospetto, a causa del fisico anomalo.

 

Come detto in quegli stessi anni, mentre lei rimaneva tutto sommato in ombra, sotto i riflettori c’era Caster Semenya. Al netto di due storie molto diverse – per la sudafricana si parla di iperandrogenismo – alcune riflessioni sono valide per entrambe. Primo, un fisico possente non è sempre sintomo di doping. Secondo, per quanto ci si possa sforzare a ridurre lo sport a un codice binario uomini-donne, in cui ci si concentra soprattutto sulle seconde per controllare che il loro corpo non presenti anomalie sgradite, arriva sempre qualcosa che scombussola i piani. In alcuni casi si tratta di un livello troppo alto di testosterone, in altri è la mancanza (per una variazione genetica) di grasso.

 

Considerando che il numero di donne nello sport dovrebbe essere destinato ad aumentare, è destinato a crescere pure il livello delle “stranezze”. E probabilmente toccherà accettare, presto o tardi, che il singolo essere umano è a volte troppo complesso per poter rispondere perfettamente a dei canoni ideali di genere. E un(‘) atleta, nonostante gli sforzi degli ultimi decenni, è comunque sempre un essere umano.

 

 

Tags : atleticacanadadonne

Riccardo Rimondi è nato nel 1990 a Bologna, città in cui vive. Laureato in Economia e appassionato di sport, è giornalista freelance da marzo 2015. Scrive articoli su storie di calcio per Calcioscopio.

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