Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Daniele Manusia
La Lazio può affidarsi a Zaccagni
01 nov 2022
01 nov 2022
È già vicino alla sua miglior stagione realizzativa.
(di)
Daniele Manusia
(foto)
Foto di Fabrizio Corradetti / IPA
(foto) Foto di Fabrizio Corradetti / IPA
Dark mode
(ON)

La partita con la Salernitana è stata molto simile a un incubo ad occhi aperti per i tifosi della Lazio. D’altra parte è Halloween. Prima il gol di Candreva, un ex che interrompe l’imbattibilità in campionato di Provedel (620 minuti!), poi il gol dell’1-2 di Fazio, un ex della Roma. Infine, poco prima del definitivo 1-3 che aveva il sapore dell’esaurimento nervoso, il cartellino giallo di Milinkovic-Savic (non se ne vedono molti di cartellini gialli presi passando la palla a un compagno) che gli costerà il derby con la Roma della prossima settimana. Piove sul bagnato, considerando l’assenza di Ciro Immobile, che sta facendo di tutto per recuperare in dieci giorni una lesione che di solito richiede due mesi. In un contesto che non fa presagire nulla di buono, però, ci sarebbe comunque una consolazione. Un giocatore a cui affidare le proprie speranze. Mattia Zaccagni. Nell’ultimo mese, in questo ottobre sinistramente caloroso, Zaccagni ha segnato 4 gol e realizzato 3 assist in campionato. Al momento, in totale, sono rispettivamente 5 e 3: mancano ancora un gol e un assist per eguagliare la stagione passata, la migliore della sua carriera in Serie A (sommando ai 4 gol con la Lazio i 2 segnati all’esordio con l’Hellas Verona, appena prima del trasferimento). Arrivato all’ultimo giorno di mercato un anno fa, si è infortunato quasi subito e ha giocato i suoi primi 90 minuti, interi, a dicembre. Ha comunque faticato a convincere Sarri, che gli chiedeva movimenti che non era abituato a fare. Dopo che Zaccagni aveva segnato due gol contro il Bologna, lo scorso marzo, e sembrava l’inizio di una grande finale di stagione che poi non è stato (non ha più segnato), Sarri ha commentato: «Discutiamo sempre che lui deve attaccare di più la profondità e di più la porta». Detto fatto.

Le statistiche di questo pezzo sono fornite da Statsbomb, come anche il grafico che vedete qua sopra che confronta la scorsa stagione con quella attuale di Zaccagni.

Nel radar qua sopra lo Zaccagni dello scorso anno è confrontato a quello attuale. A fronte di una diminuzione nei dribbling riusciti (scesi da 2.07 ogni 90 minuti a 0.81, meno della metà) è aumentata la sua pericolosità al tiro, con 0.23 xG rispetto agli 0.16 della passata stagione. In generale, Zaccagni tira di più e tocca più palloni all’interno dell’area di rigore. Meno trequartista, più attaccante esterno. Un cambiamento in linea con le richieste di Sarri e che si vede anche a occhio nudo. In realtà, non è un caso che, in quella che era la loro prima stagione insieme, e anche la loro prima stagione alla Lazio, Sarri abbia approfittato proprio della doppietta al Bologna di Zaccagni per sottolineare quello che voleva da lui. Oggi, sette mesi dopo, se guardiamo il secondo gol segnato quel giorno al Bologna, e lo confrontiamo al gol segnato all’Atalanta due week-end fa, notiamo facilmente la somiglianza. E intuiamo, quindi, la continuità del lavoro di Sarri dietro quel tipo movimenti. In entrambi i gol Zaccagni attacca lo spazio tra la linea difensiva e il portiere, passando alle spalle del terzino, nel momento stesso in cui la palla va in verticale al compagno che la crosserà al centro dell’area (Pedro con l’Atalanta, Lazzari con il Bologna). Anticipando la percezione del pericolo da parte della difesa stessa, con la certezza che il compagno avrebbe messo dentro quel tipo di palla senza neanche controllare prima la sua posizione in area (perché a sua volta il compagno sa già che Zaccagni anticiperà quel tipo di movimento). [gallery columns="7" ids="85424,85423,85426,85425"] In una Lazio che in generale si muove con maggiore coordinazione, Zaccagni sta facendo con più continuità e naturalezza quello che gli chiede Sarri e i risultati stanno premiando entrambi. Ma va ricordato che per Zaccagni non è stato un cambiamento da poco. Nella stagione 2020/21, quella con cui si è conquistato la sua prima chiamata in Nazionale - nello stesso novembre ha vinto il premio di Calciatore del Mese AIC - Zaccagni era soprattutto un dribblomane, un accentratore del gioco in una squadra come l’Hellas di Juric, aggressiva, impostata sulle marcature a uomo a tutto campo e attacchi rapidi negli spazi verticale. Zaccagni era il giocatore che toccava più spesso la palla e che arrivava a tentare anche dieci dribbling a partita. Sopravviveva, anzi migliorava di settimana in settimana, grazie alla rapidità nelle gambe e alla sensibilità con la palla, all’abilità tecnica con cui proteggeva palla e usciva dagli angoli di campo in cui spesso si trovava chiuso, raddoppiato da terzino e centrocampista avversario. Il sistema anche era diverso, nel 3-4-2-1 Zaccagni si muoveva nello spazio di mezzo di sinistra, servendo Lazovic in profondità sull’esterno. Quando tagliava lui era quasi sempre dall’interno verso l’esterno del campo, nelle fasi in cui il Verona sommergeva l’area di rigore avversaria e Zaccagni doveva rallentare il gioco, quasi addormentarlo, per poi riaccenderlo improvvisamente con una palla dentro o un dribbling bruciante.Già allora, però, i suoi gol più belli, quelli che lasciavano intravedere un potenziale da vero attaccante, arrivavano quando si muoveva bene in profondità tagliando tra i centrali avversari (contro le difese a tre, tipo quella dell’Atalanta, contro cui due anni fa ha segnato e si è procurato un rigore con due movimenti simili) o tra centrale e terzino, sfruttando la sua rapidità e la precisione in fase di finalizzazione. Forse per questo già allora, dopo la prima stagione in Serie A della sua carriera, quando aveva già 25 anni ed era uno dei tanti trequartisti esterni che la provincia del calcio italiano produce, Juric ne parlava come del giocatore più intelligenti che aveva allenato, uno di quelli che fanno giocare meglio i compagni, ma aggiungeva anche che «se saprà essere più incisivo negli ultimi 20/25 metri, può ambire alla Nazionale».

In rosso la sua seconda stagione all’Hellas, 2020/21, in blu la seconda nella Lazio, quella attuale.

Il cambiamento di Zaccagni quest’anno è ancora più evidente se confrontato alla stagione della sua rivelazione nell’Hellas. Ha più che raddoppiato tiri e xG e sono aumentati di molto anche i tocchi in area e la precisione nei passaggi. Sempre a fronte di una drastica diminuizione dei dribbling. È diventato, sta diventando, un giocatore magari meno centrale ma più solido, che si prende meno rischi anche perché la squadra in cui gioca glielo richiede meno. Non ha più in mano lui l’orologio, non è più lui a muovere i compagni come un domatore di leone con la sua frusta immaginaria, facendoli saltare nel cerchio dove mette la palla per fargliela colpire di testa a pochi metri dalla porta, è diventato parte di un meccanismo più complesso. (La sola cosa rimasta sempre uguale è la capacità di prendere fallo, anche quest’anno Zaccagni è il giocatore che ne ha conquistati di più in Italia e nei cinque principali campionati d’Europa, 41, uno in più di Neymar per capirci.)Per chi si era innamorato di quel giocatore lì, che puntava tutto sulla rapidità con cui si spostava la palla sul destro, sulla sensibilità nel cross, morbido o teso, è normale provare un minimo di dispiacere. Era eccezionale il modo in cui Zaccagni rallentava, si fermava, quando aveva la palla sul destro al limite dell’area, puntando il diretto avversario come i cani da caccia fanno con la preda fingendosi immobili, per poi sterzare a destra e crossare/tirare, oppure allungarsela sul sinistro con la rapidità di uno di quei serpenti che bisogna guardare al rallentatore per cogliere il momento in cui sono partiti. L’assist per Favilli contro la Juventus, forse il momento della sua definitiva rivelazione, andava riguardato più volte per capirne la genialità, il modo in cui Zaccagni calcolava i passi di Arthur, che aveva davanti all’altezza del limite dell’area di rigore, per fargli passare la palla con l’esterno sotto le gambe, mentre al tempo stesso scivolava come una lumaca in avanti, aspettando che l’inerzia dell’azione portasse Favilli a calciare praticamente sul dischetto del rigore. Zaccagni con l’Hellas Verona era un giocatore sublime, un regista offensivo a cui dare tutti i palloni, geniale non tanto per le qualità tecniche, indiscutibili ma neanche al livello dell’1% dei giocatori più tecnici, quanto per la capacità di scegliere la giocata migliore, di trovare la soluzione al labirinto invisibile che separa tutte le squadre dalla porta avversaria. Per fare il salto, però, per giocare in una squadra ambiziosa, bisogna sapersi adattare. In fin dei conti è lo stesso discorso che facciamo per tutti i giovani che fanno bene in una squadra con ambizioni ridotte e che si trovano a doversi inserire in un’altra con dei campioni, con giocatori cioè che non hanno bisogno di essere “migliorati” dal loro talento. Anzi, semmai è il contrario, in quel tipo di squadre ci sono giocatori che possono migliorare te, se sai adattarti. Se impari l’antica arte del non fare troppo, ma non fare neanche troppo poco. [gallery columns="6" ids="85428,85427,85429"] Il gol allo Spezia segnato all’inizio di questa stagione è forse quello che mostra meglio le potenzialità del nuovo Mattia Zaccagni. Che prima riceve palla sulla riga laterale, con l’uomo addosso, e si gira col controllo orientato per mettersi in direzione della porta; e che poi, dopo essere passato in mezzo a due avversari ed essere arrivato al limite dell’area, scarica in fascia per buttarsi dentro.Zaccagni vede subito lo spazio tra difesa e portiere dove Felipe Anderson può mettere la palla, partendo dal limite dell’area, subito dopo aver allargato il gioco. È un’azione costruita, pensata, immaginata, quasi interamente da lui. Per sua fortuna il compagno di squadra a cui ha affidato l’assist è in possesso di sufficiente qualità da eseguire la linea di passaggio non semplicissima che gli ha riportato la palla tra i piedi a un metro e mezzo dalla porta. Adesso le aspettative si sono alzate. Sarri dice: «Da un giocatore così pretendo la doppia cifra sennò è uno spreco di talento». E si inizia a parlare di Zaccagni come uno dei migliori esterni sinistri del campionato insieme a Kvaratskhelia e Leao. Certo, non dipende solo da Zaccagni, nel bene e nel male, come abbiamo visto. Sta beneficiando di un periodo di particolare brillantezza della Lazio, che giusto una settimana prima di farsi incartare dalle ripartenze della Salernitana di Nicola aveva decriptato il codice dell’Atalanta di Gasperini, in quel momento prima in classifica senza aver mai perso. La Lazio è una squadra che ha bisogno di Zaccagni ma che funziona bene al di là di Zaccagni. Nel gol del 2-0 all’Atalanta l’azione è costruita tutta sul suo lato, ma lui recita un ruolo marginale: viene incontro e scarica all’indietro, creando lo spazio per la sovrapposizione esterna di Marusic (che poi farà l’assist per Felipe Anderson) e giocando velocemente di sponda per Cataldi che lo lancia in profondità. Non ci vuole il talento di Neymar per giocare in questo modo, ma ci vuole comunque il desiderio di far parte di qualcosa di più grande di quello che i propri piedi sanno creare. Ci vuole fiducia nei compagni e nell’allenatore. Ci vuole l’intelligenza per sacrificare un po’ della propria istintività e della propria immaginazione sull’altare di un pragmatismo che conviene a tutti. E in fin dei conti se la Lazio gioca bene, quello a cui conviene più di tutti gli altri forse è proprio Zaccagni, che a 27 anni deve ancora capire quali sono i limiti del suo talento.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura