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Fabrizio Gabrielli

La vita americana di Nico Lodeiro

Promessa mai davvero sbocciata, talento incompreso, calciatore di eccezionale ordinarietà, e adesso eroe di Seattle.…

Placebo Celeste

 

Poche settimane prima di trasferirsi in Olanda Lodeiro viene convocato da Tabárez per la doppia sfida con la quale l’Uruguay si giocherà, contro Costa Rica, un posto per i Mondiali Sudafricani. OWT gli abbassa il baricentro del gioco abituale una decina di metri: lo fa giocare da cinco, in quella posizione in cui la cerebralità e l’atletismo devono sapersi controbilanciare, trovare un equilibrio.

 

Oggi dice che «devo tutto agli insegnamenti del Maestro Tabárez, che mi ha fatto giocare per primo in una posizione nella quale non avrei mai pensato di poter giocare, perché non è che devi solo giocare la palla, ma devi pure marcare…».

 

Eppure per “El Maestro” il ruolo naturale di Lodeiro è proprio quello: lì lo schiererà in Sudafrica (dove raccoglierà l’espulsione più rapida della competizione, servirà un assist a Suárez per il gol vittoria negli ottavi contro la Korea e giocherà contro il Ghana con il metatarso fratturato), e soprattutto è lì che Lodeiro si farà trovare pronto, svezzato, per giocare e vincere in casa dell’Argentina la Copa América 2011. Sarà il perno della manovra in un 4-2-3-1 che gli deputa compiti di costruzione, dal basso o a ridosso dell’area avversaria: una sorta di investitura pantocratica.

 

Contro il Paraguay, dalla sua trequarti, Lodeiro disegna un arcobaleno sotto il quale Suárez trova la proverbiale pignatta piena d’oro.

 

Due settimane prima del torneo aveva perso il padre; due settimane dopo alzerà il primo trofeo davvero importante della sua carriera. Eppure la consacrazione non è mai parsa così lontana. Perché nessuno crede davvero in Lodeiro, a parte Tabárez? Nell’Ajax gioca pochissimo, e nessun altro sembra volerlo alla sua corte. È davvero così complicato comprendere Nico Lodeiro?

 

 

Incompreso

 

Quando il Botafogo si interessa a lui Nico, ormai convinto di aver fallito in Europa, pensa che il contatto con il suo continente possa rinvigorirne la carriera. Giocherà quasi sessanta partite fuori dalla sua comfort zone, impiegato perlopiù come ala sinistra, perché nel suo ruolo naturale c’è già Seedorf: in quel gioco tutto proiettato all’attacco Lodeiro è a disagio. Nonostante gli venga concessa molta più libertà di quanta non ne avesse all’Ajax, perde fiducia in se stesso. Non lo aiuta la fortuna: quando il Botafogo lo cede al Corinthians, il giorno prima dell’esordio, mentre si sta facendo una doccia, il piatto di ceramica portasapone gli cade su un piede. Dovranno applicargli dei punti e dovrà aspettare tre settimane prima di tornare in campo.

 

Cose assurde di questo video: la finta di Seedorf, Lodeiro che segna di testa in volo d’angelo, la possibilità che tra loro parlassero in neerlandese.

 

Anche al Boca, la penultima tappa di una carriera che forse è stata ingenerosa con il suo talento, Nico ha bisogno di un po’ di tempo per ambientarsi, per carburare.

 

Il Vasco Arrabuarrena gli preferisce spesso Gago, e se lo schiera lo fa giocare laterale sinistro, o mezzapunta. Sceglie di indossare la 10, che a La Boca è un numero non tabù come il 14 dell’Ajax, ma foriero di responsabilità: alla sua seconda stagione lo cederà a Carlitos Tévez, come se liberarsene possa aiutarlo a trovare la sua identità.

 

Però la vicinanza alle origini gli fa tornare la voglia di giocare, di divertirsi: ricomincia con continuità e fiducia a dribblare, disegnare linee di passaggio geometriche, creare. Non c’è più l’obbligo tutto brasiliano di attaccare l’uomo, il campo, la porta: perché Lodeiro, con l’anarchia, va mica troppo d’accordo. Ha bisogno di ordine: di qualcuno che gli chieda di farsi trovare libero per ricevere e dettare passaggi.

 

Quello segnato nel Clásico 2015 rimarrà forse il gol più iconico del Lodeiro xenéize: la mattina aveva assistito alla nascita del suo primogenito; la sera Arrabuarrena lo aveva tenuto in panchina, poi dopo 4’ Gago aveva dovuto abbandonare il campo per infortunio e lì, lupus in fabula, era arrivato il momento di Nico.

 

Nonostante il Lodeiro auriazul sia per molti versi un giocatore rinato, la sua credibilità (e di conseguenza la sua quotazione) sul palcoscenico mondiale continuano a rimanere discretamente basse. Si parla di interessamenti di top club europei, ma nessuno cerca davvero di strapparlo dalla Bombonera.

 

Garth Lagerwey, il direttore generale dei Seattle Sounders, fiuta l’affare. Come un pescatore esperto, getta l’amo e si arma di pazienza.

 

 

A force magnifier

 

Durante la Copa América Centenario disputata negli States Lagerway contatta Lodeiro. Però Nico non parla inglese, e Garth non parla spagnolo: la trattativa è complicata. «C’è stata una conversazione molto strana», racconta Lagerway «nella quale stavamo parlando e Nico era frustrato del fatto che non riusciva a esprimere in inglese esattamente quello che voleva esprimere. Allora mi ha detto ‘Aspetta, ti passo un amico, il mio compagno di stanza’».

 

È stato così che Lagerway si è trovato a discutere i termini del contratto con Luis Suárez.

 

La veemenza con cui ha insistito su Nico e la sicurezza con cui l’ha messo al centro del suo progetto (lo ha definito un «force magnifier», un’ampificatore di potenza), cinque mesi dopo appare pacifico, sono state ripagate.

 

Nico ha davvero amplificato la portata offensiva di Seattle. Orfano di Dempsey, Lodeiro ha sviluppato una particolare intesa soprattutto con Jordan Morris, la giovane punta che anche grazie alle prestazioni illuminate dal genio dell’uruguayano è entrato in pianta stabile nel giro della Nazionale.

 

«Ovunque io sia, lui riesce a raggiungermi con un passaggio», ha confessato Morris, e sembra difficile smentirlo di fronte alla varietà di assist con i quali Lodeiro lo ha innescato, più di ogni altro, nel corso della stagione.

 

Ventiquattro ore prima di scendere in campo per la finale di andata di Western Conference contro Colorado, Nico Lodeiro è stato nominato da management, media e giocatori della MLS Newcomer of the year: ha raccolto il testimone da Giovinco, ma diversamente dalla Formica Atomica, che l’anno scorso a questo punto della stagione aveva già abbandonato ogni sogno di gloria, ha la possibilità di scrivere la storia dei Sounders, e far ricredere chi l’ha tenuto fuori dalla corsa al titolo di MVP.

 

Nella doppia finale contro i Rapids di Mastroeni, come al solito, è stato immarcabile e onnipresente, ha toccato una varietà impressionante di palloni ed è stato il giocatore con più dribbling, cross e passaggi nella trequarti offensiva. Come se non bastasse, dopo aver mesmerizzato spesso e volentieri la difesa avversaria, si è andato a guadagnare (e poi a realizzare) il rigore che ha regalato la vittoria ai suoi all’andata, una rete che gli è valsa un piccolo record: quello cioè di giocatore nella storia dei Sounders con il più alto numero di reti segnate nella fase post-season. Quattro: meglio di quanto abbiano saputo fare in passato Dempsey o Martins.

 

Al ritorno l’infortunato Alonso gli ha anche legato al braccio la fascia da capitano.

 

Seattle, tradizionalmente, è sempre stata una squadra vittima, nel bene e nel male, delle sue individualità. Nico, invece, è riuscito quasi a eclissare la sua personalità, e ad agire perlopiù da force magnifier.

 

Per arrivare a questo punto della sua carriera ha dovuto assecondare i tempi che richiedeva il suo processo evolutivo da calciatore, ma anche che si presentasse finalmente un contesto fatto su misura per le sue ambizioni, nel quale convivere con i suoi limiti.

 

La presunta scarsa competitività della MLS è un aspetto secondario: non a tutti i pescatori interessa quali prede abitino lo stagno, né quali abboccheranno. C’è anche chi si accontenta che la compagnia sia buona, il paesaggio gradevole, l’aria mite, il mate ben caldo.

 

 

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Fabrizio Gabrielli scrive e traduce dei libri. Ha tradotto Lugones e collaborato con i blog di Finzioni, Edizioni Sur e Fútbologia. Ha scritto "Sforbiciate. Storie di pallone ma anche no" (Piano B, 2012) e "Cristiano Ronaldo. Storia di un mito globale" (66thand2nd, 2019). Scrive sull'Ultimo Uomo dal 2013.