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La gravità della bandierina
11 gen 2022
11 gen 2022
Ode al posto più dimenticato e oscuro del campo da calcio.
(articolo)
10 min
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Qualche giorno fa sono circolate su Twitter due versioni dello stesso video. Una più corta e priva di contesto, con una caption del tipo Le cose che ci piacciono, in cui si vedeva un giocatore in maglia bianco-verde proteggere palla vicino alla linea di fondo contro un paio di avversari in maglia gialla grossi il doppio di lui. Nella seconda versione, più lunga, si diceva che il protagonista del video si chiamava Mohammad Abu Fani, giocava nel Maccabi Haifa e aveva tenuto palla sulla bandierina del calcio d’angolo per due minuti. Erano i minuti finali del derby tra Maccabi Haifa e Maccabi Tel Aviv, gli ultimi dei sette minuti di recupero che l’arbitro aveva assegnato e, presumibilmente, la squadra di Mohammad Abu Fani era quella in vantaggio 3-2 nel riquadro segna punti in alto a sinistra. Due persone diverse mi hanno girato le due versioni del video a distanza di più di ventiquattro ore l’una dall’altra, entrambe consigliandomi di cliccare perché ci avrei trovato qualcosa di mio gradimento, e ovviamente avevano ragione.

Adesso, chi scrive ha speso più di un pomeriggio a guardare ossessivamente ogni dettaglio di un’azione così confusa, in una partita senza importanza di più di venti anni fa, chiedendosi se, per caso, si fosse trovato davanti ai venti secondi di calcio peggiori di sempre. Ma questo genere di video esercita su di noi un fascino universale, che esula dal contesto. Forse è perché sono questo genere di cose a unire i calciatori professionisti e chiunque abbia mai giocato a calcio, più dei gesti tecnici che per la maggior parte di noi sono semplicemente fuori portata. Non avrò la visione di gioco di Francesco Totti, che infatti mi stupiva anticipando con la sua giocata la percezione, da parte mia, di una possibilità, attivando uno spazio inerte spedendoci la palla, vedendo qualche secondo nel futuro; ma di Francesco Totti che difendevano palla sulla bandierina ne avrò visti a decine in vita mia, con nomi e cognomi diversi ovviamente, con una minore abilità nel tenere la palla vicino o sotto al piede, ma insomma proteggere la palla sulla bandierina è una cosa molto essenziale.

Il primo video finisce quando Mohammad Abu Fani conquista nuovamente il suo primo calcio d’angolo ed esulta sotto al suo pubblico come se avesse segnato. Ci mette un po’ a dire il vero ad esultare, forse è il rumore dalla tribuna che lo inorgoglisce improvvisamente, forse gli è servito un secondo per realizzare. Ha tenuto palla per venti gloriosi secondi, schiacciandola a terra con la suola del piede destro e girandoci sopra. Spinge il primo avversario come se fosse uno zombie dietro una porta, come Hodor prima di fare la fine che tutti sappiamo ha fatto Hodor.

Allontana la palla dalla "lunetta" che circoscrive l’area di battuta del calcio d’angolo, poi ruota su stesso per tenere l’avversario alle spalle e l’avvicina di nuovo alla riga di fondo. A quel punto arriva un secondo avversario, molto più grosso di lui, che Mohammad Abu Fani spinge sui fianchi con braccia e spalla come, credo, si fa nelle mischie di rugby. Il tizio grosso riesce e spostarlo, adesso ingaggiano un duello sulla palla, premendola dalle due parti opposte per farla uscire dallo stallo. Mohammad Abu Fani ha la meglio e il tizio grosso finisce fuori dal fallo laterale. Vince ancora un rimpallo sul ritorno del primo avversario e quando torna il secondo, la palla esce.

Ho guardato il video un numero sufficiente di volte, rallentandolo, fermandolo, procedendo frame per frame, per dire che è Mohammad Abu Fani che la tocca per ultimo. Ma l’arbitro lo premia concedendogli un nuovo calcio d’angolo. Lui esulta come se la partita fosse finita ma manca ancora un minuto e mezzo ed è esausto. Si piega sui polpacci, boccheggia, prova a prendere tempo lamentandosi della distanza degli avversari, che nel frattempo sono diventati tre. Il compagno vicino a lui gli dà uno schiaffetto in testa, ride felice per lui, come se Mohammad Abu Fani avesse aspettato quel momento per tutta la sua vita, come se quella fosse la festa di laurea di Mohammad Abu Fani.

La bandierina del calcio d’angolo, se esiste una geografia del campo da calcio, sarebbe uno dei posti più misteriosi. Una periferia frequentata solo da pochi giocatori, quei due o tre scelti dall’allenatore per battere gli angoli e quelli che ci finiscono per sbaglio. Un posto dove non succede niente di interessante salvo poche cose eccezionali: gol olimpici, lunghe battaglie per non far uscire la palla oppure, un altro dei miei momenti preferiti, palloni che colpiscono la bandierina e restano in gioco per la sorpresa di tutti, giocatori e spettatori.

Ho sempre trovato strano che il campo da calcio abbia degli angoli così netti, e delle linee così definite. Mi sono sempre sentito più a mio agio con i campi da calcio improvvisati, senza confini netti, che richiedono la capacità di immaginare in comune dove finisce il campo. È una misura pre-scientifica, estetica: fino a qui possiamo giocare ma se vai oltre no, lì è fuori; come quando si decide dove mettere un quadro: un po’ più a destra, un po’ più a sinistra, ecco, perfetto. Scontrarsi con la durezza di un angolo di novanta gradi, con la fisicità della bandierina, tira in ballo tutta la questione dell’uomo e dei suoi limiti, Ulisse e le Colonne d’Ercole, eccetera eccetera.

Ma torniamo a Francesco Totti. I lettori romani ricorderanno senz’altro che il suo primo soprannome, il meno amato, era pupone, che univa al rapporto perennemente infantilizzante e paternalista che Roma ha con i suoi figli prediletti il fatto che Totti in fondo non fosse più un pupo, sia per questioni anagrafiche che di corporatura. Puponi sono quei bambini giganti che a Roma siedono dietro la cassa del bar insieme ai genitori, battono i tasti e con aria serissima ti chiedono i soldi esatti per il pacchetto di sigarette che vuoi. È come se nei bambini romani si introducesse il fantasma dell’uomo che saranno in futuro e guardandoli al mare mentre giocano sul bagnasciuga e dopo pochi passi hanno già il fiatone puoi vedere che avranno il doppiomento, i fianchi da donna, il culo pesante. Francesco Totti ha dovuto fare i conti da subito con un fisico da persona pigra e anche per questo ha imparato a fare tutto quello che andava fatto sul posto.

Proteggere palla per Totti era un’arte a sé. Una partita nella partita: dato che gli avversari non lo avrebbero mai lasciato giocare da solo, con calma, lui li torturava facendogli annusare la palla senza lasciargliela toccare. Più Totti invecchiava più diventava una questione di principio. Chi gli ha voluto bene ricorda oggi con affetto quei momenti in cui, cigolando come un vecchio portone, si abbassava a centrocampo e pur sotto pressione si intestardiva a non passare palla indietro. E più Totti invecchiava, più erano frequenti le partite in cui arrivava il momento di proteggere palla sulla bandierina del calcio d’angolo. E quel momento, quando arrivava, si riempiva di una strana eccitazione, un’aria di festa come se stessimo per assistere a un momento rituale.

Il giorno del suo addio, nella sua ultima partita contro il Genoa, Francesco Totti ha salutato il suo pubblico proprio così: proteggendo palla vicino alla bandierina, quella a destra della Tribuna Monte Mario, vicino alla Curva Sud cioè. La partita era stata dura, il Genoa aveva segnato il gol del 2-2 a dieci minuti dalla fine e Perotti aveva segnato il 3-2 che mandava la Roma in Champions League al 90esimo esatto. Gli ultimi due minuti, però, sono passati con Totti che teneva palla tra la riga di fondo e quella laterale, portandocela apposta a dieci secondi dal 95esimo minuto di gioco (l’arbitro aveva dato 4 minuti di recupero ma si continuava a giocare). Nainggolan batte una punizione sul lato destro del campo, Totti prende palla e corre verso il fondo come se volesse fare meta, poi frena e si prende il fallo. Dzeko batte la punizione con Totti ma poi lo guarda con le mani sui fianchi, tanto che c’era da fare oltre a guardare Totti che tiene a distanza un primo avversario e poi si gira per calciare la palla addosso al secondo?

La palla finisce in fallo laterale, Nainggolan cerca di darla di nuovo a Totti e la difesa del Genoa non si capisce bene come (c’è anche uno stacco di regia, se volete provare a riguardare la fine di quella partita come ho fatto io) fa finire la palla nuovamente verso la riga di fondo, dove Totti la lascia uscire con una finta inutile che però ci fa capire come si stesse godendo ogni secondo di quell’ultima azione. La partita finisce con Totti che, dopo aver battuto l’angolo, aspetta che un giocatore del Genoa gli si avvicini per calciargli addosso la palla di punta. A quel punto sono passati quasi sette minuti dalla fine dei tempi regolamentari e l’arbitro fischia un po’ controvoglia la fine della partita e della carriera di Totti.

Nel tripudio dei tifosi romanisti, Francesco Totti ha lasciato il calcio proteggendo palla sulla bandierina del calcio d’angolo. È l’ultima cosa che ci ha lasciato, il modo in cui se ne è andato.

Do not go gentle into that good night, Old age should burn and rave at close of day; Rage, rage against the dying of the light. (Dylan Thomas)

Gli angoli del campo da calcio sono così poco considerati che alcuni allenatori li eliminano negli allenamenti, per spingere i propri giocatori, come cavalli coi paraocchi, a convergere verso la porta. Ma il calcio d’angolo, con la sua complessità di linee curve e dritte e bandierina più o meno bella, continua ad attrarre i migliori come una forza oscura: ci scivolano per esultare, spaccano la bandierina con un calcio quando sono arrabbiati, e quando devono dimostrare la loro onnipotenza, è lì che vanno. Trasformare la partita in un duello all’ultimo tenzone per la palla, tutti contro uno, come se oltre l’incrocio delle righe ci fosse un dirupo, un fossato con i coccodrilli, ridurre l’interezza del campo da calcio a quell’anfratto, quel vicolo cieco, dove non c’è tattica, strategia, se non quella di tenere la palla per sé il più a lungo possibile. Non ci sono allenamenti specifici per questa cosa, perché non c’è bisogno: è nel sangue di ogni vero giocatore.

Non conosco Mohammad Abu Fani e non voglio sapere niente di lui per conservare al meglio le sensazione e l’idea di Mohammad Abu Fani che mi sono fatto sulla base di questo video, ma così, ad occhio, sembra un giocatore fatto per vivere un momento di questo tipo. Basso e taurino, di quelle persone basse e taurine che indossano magliette più piccole per sembrare più grossi. Quando si gira dopo aver agitato il pugno davanti al suo pubblico e calpestato un microfono senza neanche accorgersene ha l’espressione torva di un uomo che ha appena sconfitto un orso per aggiudicarsi l’ultimo salmone disponibile sulla Terra.

Dopo i primi venti secondi, Mohammad Abu Fani capisce che a quel punto dovrà cercare di resistere il più a lungo possibile. Il secondo calcio d’angolo, dopo aver fintato il tiro una volta, lo calcia direttamente addosso a un avversario. La palla va in fallo laterale e Mohammad Abu Fani resta vicino alla linea di fondo, dove un compagno gli passa la palla. A questo punto, mi sembra di capire, Mohammad Abu Fani vorrebbe essere altrove, ma ormai è in mezzo alla pista e gli tocca ballare. Scivola una prima volta mentre controlla la palla, ma arriva un compagno che calcia di nuovo addosso a un giocatore del Maccabi Tel Aviv e prende un nuovo fallo laterale. Lo batte di nuovo su Mohammad Abu Fani che stavolta cade dopo essersi girato provando a calciato ancora una volta la palla addosso a un avversario - cosa che non gli riesce, ma quello nella foga butta fuori la palla da solo.

A quel punto resta in ginocchio per qualche istante, poi si mette seduto con le gambe stese e la mani a terra, guardando il pubblico come fosse un tramonto in spiaggia. Poi si alza e indica al compagno di passare la palla all’indietro, ma quello ride e per nulla al mondo passerebbe la palla a un altro compagno. Così Mohammad Abu Fani protegge un’ultima volta la palla sulla bandierina e a quel punto, dopo otto minuti di recupero, l’arbitro fischia la fine. La regia si distrae subito e a me sarebbe piaciuto se fosse rimasta lì, con Mohammad Abu Fani che immagino sepolto dagli abbracci dei compagni, come se quella partita l’avesse vinta lui in quei due minuti, lui da solo contro tutti. Lui da solo contro il calcio.

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