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La crescita lenta e promettente di Heroes of the Storm
13 mar 2018
È uno dei titoli di cui si parla di meno ma anche quello che potrebbe cambiare di più la scena esportiva.
(articolo)
12 min
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Per anni gli appassionati dei videogiochi MOBA (acronimo che sta per “Multiplayer Online Battle Arena”, cioè uno strategico in tempo reale) si sono divisi tra League of Legends e Dota2, giochi diversi per tanti aspetti ma che condividono il sistema di gioco con arene a due squadre da cinque giocatori ciascuna, in cui l’obiettivo è distruggere la base avversaria. Nonostante tutti e due i videogiochi abbiano lo stesso genitore - cioè "Defense of the Ancient", una mappa personalizzata ideata per il videogioco di strategia in tempo reale "Warcraft III: Reign of Chaos", titolo di strategia in tempo reale targato Blizzard - la casa di Irvine non si era mai interessata alle evoluzioni del genere MOBA, almeno fino all’annuncio di Heroes of the Storm.

Heroes of the Storm, in realtà, è solo teoricamente un MOBA ma se ne distacca per diversi particolari. Rimane identica la struttura principale: due squadre di cinque giocatori ciascuna si affronta su una mappa con l’obiettivo di distruggere la base nemica, anche detto nucleo.

Il trailer di lancio di Heroes of the Storm.

Il nucleo è protetto da diverse difese, come mura, torri e fortini, e i giocatori devono partire dai lati opposti della mappa per raggiungerlo, facendosi strada attraverso una visuale dall’alto, aiutati, come su League of Legends e Dota2, da servitori alleati che sono generati autonomamente dal proprio nucleo a intervalli regolari. Contrariamente ai due titoli sopracitati, però, su Heroes non c’è un negozio dove comprare oggetti che aumentano i danni delle proprie abilità o che permettono di incrementare le difese: di conseguenza non è necessario accumulare oro (anche perché uccidendo i nemici si ottiene esperienza ma non monete virtuali). Ma questa non è l’unica differenza.

Le novità rivoluzionarie

La novità principale che contraddistingue Heroes è che l’intera esperienza accumulata non rimane ai singoli giocatori ma è riversata sull’intera squadra. Su LoL e Dota2, ad esempio, ogni personaggio parte dal livello 1 a inizio partita, iniziando singolarmente una scalata verso i livelli più alti, che sbloccano abilità o le potenziano. Su Heroes, invece, non sono i singoli giocatori a “livellare”, ma l’intera formazione.

È una nuova concezione nel mondo degli eSport: nella maggior parte dei casi gli sviluppatori puntano a dare ai singoli talenti tutte le carte per trascinare i propri compagni di squadra alla vittoria, ponendo il ruolo del team su un piano secondario. Heroes presenta invece un’inversione di tendenza, confermata dallo stesso Sam Braithwaite, eSports Franchise Lead di Heroes of the Storm che ho avuto occasione di intervistare in Svezia in occasione del Mid-Season Brawl: «Il nostro titolo è indubbiamente incentrato sul gioco di squadra ma sarebbe errato credere che in questo modo si limitano i talenti. Emergere come singolo è più difficile ma le superstar non mancano: è sufficiente pensare a giocatori come Snitch dei Dignitas o Quackniiz dei Fnatic».

La sezione di Heroes of the Storm dei Fnatic (da sinistra verso destra): Wubby, Breez, Quackniix, SmX, scHwimpi (foto Blizzard).

I punti “talento” acquisiti dalla squadra a ogni livello raggiunto, poi, sbloccano o potenziano abilità dei singoli giocatori. I punti permettono ai personaggi, detti eroi, di modificare i propri tratti distintivi a seconda delle scelte degli avversari e dello stile di gioco richiesto. A livello macroscopico un curatore rimarrà sempre un curatore, con i suoi pregi e i suoi difetti, così come un tank continuerà a fare meno danni ma a subirne altrettanto pochi. Cambierà, però, il modo di assorbire i danni o di effettuare le cure, puntando a potenziare quelle su un singolo alleato piuttosto che ad area quando gli avversari utilizzano personaggi che infliggono un ingente mole di danni a un unico obiettivo. I danni apportati dagli eroi, infatti, si dividono in due categorie principali: single target, concentrati su un unico nemico; e AOE, cioè "area of effect", che indica la zona in cui lo stesso ammontare di danni è distribuito tra più avversari anziché su un singolo. Simile discorso vale per le cure: si può decidere di curare di 100 punti vita un alleato o di 20 cinque compagni di squadra.

Un altro aspetto rivoluzionario è la varietà di mappe. Se negli altri MOBA la modalità competitiva prevede l’utilizzo sempre della stessa identica mappa, su Heroes al momento esistono più di 10 mappe, ognuna con una caratteristica e una “win condition” differente che obbliga le squadre ad adattarsi rapidamente ai cambi di mappa tra un game e l’altro. «Senza dimenticare la durata media di un game: appena 15-20 minuti, quasi senza respiro e con ritmi frenetici. Non esiste possibilità di distazione, né seconde occasioni: difficilmente si ha il tempo di porre rimedio a un errore», aggiunge ancora Sam Braithwaite.

Anche i personaggi di Overwatch iniziano a comparire nell’universo di Heroes of the Storm.

Il vero valore aggiunto, tuttavia, è l’utilizzo di personaggi appartenenti agli altri titoli Blizzard. In Heroes si possono utilizzare i protagonisti di Diablo, di Warcraft, Starcraft e Overwatch con un doppio vantaggio. Da un lato rappresenta una fonte quasi inesauribile di eroi e contorni narrativi da cui attingere; dall’altra viene a crearsi un legame tra il pubblico e il mondo della Blizzard. Il crossover narrativo ed estetico genera sempre molto fascino.

Perché se ne parla poco

Anche chi segue la scena competitiva eSport, però, difficilmente sentirà parlare di Heroes of the Storm, che non è mai riuscito a coinvolgere e convincere del tutto quella fetta di player dedita ai MOBA, nonostante abbia superato la semplicità del genere aggiungendo ulteriori elementi che lo rendono di fatto un titolo unico. I media, anche quelli specializzati, preferiscono infatti parlare di League of Legends, Dota2, FIFA o di altri titoli Blizzard come Overwatch e Hearthstone.

C’entra innanzitutto il periodo d’uscita. Heroes esce ufficialmente nel giugno del 2015, molto in ritardo rispetto agli altri due MOBA di riferimento, League of Legends e Dota2, che hanno già creato la loro comunità di appartenenza: una base di milioni di giocatori sparsi per il mondo, ormai radicati, che difficilmente sono disposti a cambiare titolo. La Blizzard forse ha creduto di poter battere questa competizione ma nella realtà dei fatti Heroes, passati i primi mesi, ha fatto molta fatica a ritagliarsi una sua fetta di pubblico e di appassionati.

C’è poi il problema del montepremi, che nel mondo eSport è considerato il termometro dell’importanza di una competizione. Se di Dota2 si parla perché il montepremi del mondiale, il The International, supera ogni anno il record precedente, arrivando a cifre oltre i 20 milioni di dollari (nel 2016 e nel 2017), League of Legends non è ugualmente da meno. Cifre più contenute, è vero (si parla di un totale di circa 5-6 milioni), ma di un guadagno totale probabilmente superiore, per i team, grazie agli sponsor: i Mondiali di rappresentano una vetrina tra le più importanti dell’intera scena eSport internazionale. Heroes per il 2017 si ferma invece ad appena un milione di dollari, troppo poco per richiamare l’attenzione delle grandi occasioni. Persino Call of Duty nella stagione appena conclusa ha offerto un montepremi superiore, con 4 milioni di dollari, di cui 600.000 solo alla squadra vincitrice.

Il palco di Heroes of the Storm al Blizzcon (foto Blizzard).

La stessa Blizzard, poi, ha dato la sensazione di non puntare tutto su Heroes. L’impressione, guardando lo sviluppo del gioco, è che i progetti riferiti a Heroes siano stati messi in secondo piano per concentrarsi su altri titoli casalinghi. Prima è stato il turno di Hearthstone, il videogioco di carte collezionabili, che è cresciuto forse troppo rapidamente e ha richiesto alla Blizzard un impiego di risorse superiore alle aspettative. Poi c’è stata la nascita di Overwatch, un titolo che, come già discusso, è stato creato per essere un eSport e non un semplice videogioco. La Blizzard è stata assorbita quasi totalmente dall’idea di creare per Overwatch un campionato mondiale stile NBA di 12 squadre tra Nord America, Europa e Asia, mettendo in secondo piano proprio Heroes.

Per Heroes, poi, è anche più difficile creare una narrazione che metta in luce i giocatori, facendoli emergere come personaggi che attraggono pubblico, perché è più complesso emergere come singolo considerata l’importanza prioritaria data al lavoro di squadra. Non è necessariamente un aspetto negativo del gioco, ma è pur vero che non avere una figura come Faker, tanto per fare un esempio, limita di molto la possibilità di creare narrativa e aspettativa intorno alle partite. Difficile fare, ad esempio, paragoni tra i giocatori: chi è migliore di chi quando a vincere o perdere è un’intera squadra? La sinergia di gruppo richiesta da Heroes è tale da far dimenticare i confronti tra i singoli.

Estratto di Fnatic vs Dignitas: come funziona una partita competitiva.

Infine, incide anche un’eccessiva egemonia del movimento sudcoreano nel gioco: nei primi due anni di vita di Heroes, infatti, i coreani hanno sempre dominato la scena (un po’ come succede su League of Legends). Gli MVP Black, gli esponenti maggiori della penisola asiatica, nel solo 2016 hanno ottenuto 41 vittorie consecutive. Un risultato che ha appiattito l’interesse verso la scena e ha fatto riflettere Blizzard sul futuro competitivo di Heroes. Se a vincere è sempre la stessa regione, o come in questo caso addirittura sempre la stessa squadra, perché dovremmo impiegare il nostro tempo seguendo Heroes? Una situazione che si è venuta a creare anche a causa della mancanza di competizioni di alto livello sul lungo periodo. Nei primi anni la Blizzard ha puntato su singoli eventi che non hanno permesso alle regioni meno avanzate di colmare la distanza con le migliori.

Da poco più di un anno, tuttavia, il vento ha iniziato a cambiare. Grazie agli HGC (Heroes of the Storm Global Championship) Blizzard ha creato dei circuiti competitivi regione per regione con partite settimanali. Una scelta che permette due linee di sviluppo: la prima interna, con le squadre e i giocatori che hanno la possibilità di confrontarsi più spesso e migliorare più rapidamente; la seconda esterna, con gli appassionati e i tifosi che sanno di avere un appuntamento fisso settimanale, fidelizzando i propri spettatori.

La presentazione delle finali mondiali del Blizzcon.

Nemici amici

Nonostante ciò, negli ultimi tempi le regioni stanno lentamente livellando le differenze competitive, aiutando la Blizzard a creare contenuti narrativi legati alle rivalità, anche tra squadre della stessa regione. È quanto accade in Europa con Fnatic e Dignitas, la cui rivalità è passata da essere domestica a internazionale. Le due squadre rappresentano la punta di diamante della scena europea, le uniche capaci di insidiare le squadre coreane. Nel 2016, alle finali mondiali, i Fnatic avevano provato a vincere il titolo raggiungendo la finale contro i Ballistix, formazione di Seul che in semifinale aveva inflitto un 3-1 proprio ai Dignitas. Nel 2017 i gialloneri hanno conquistato in Polonia (a Kawotice)il Western Clash, la competizione tra le formazioni alle sponde dell’Oceano Atlantico (cioè le prime quattro d'Europa contro le prime quattro degli Stati Uniti), superando i Fnatic in una finale combattutissima.

Finale poi ripetuta al DreamHack di giugno 2017, una delle più antiche manifestazioni occidentali dedicate al mondo del gaming amatoriale e professionistico, dove decine di appassionati si riuniscono al centro congressi ELMA, a Jonkoping, in Svezia, per una rassegna dedicata ai videogiochi. In questa rassegna, oltre al gaming amatoriale si giocano anche tornei ufficiali di alcuni dei principali titoli eSport internazionali: Starcraft, Hearthstone, Counter-Strike, Street Fighter. Tra questi, quest'anno c'era per l'appunto anche Heroes of the Storm, presente con il secondo evento più importante della stagione competitiva: il Mid-Season Brawl, il mondiale di metà stagione con le migliori squadre al mondo che competono nel circuito Global Championship.

L’evento è stato di portata storica perché per la prima volta si è disputata una finale tutta europea, ancora tra Fnatic e Dignitas, con le coreane MVP Black e L5 eliminate entrambe in semifinale. Alla fine, il Team Dignitas ha dovuto cedere la vittoria ai Fnatic ottenendo “solo” il secondo posto ma lottando fino all’ultimo in una delle partite più combattute della storia del videogioco. Più che le posizioni finali, però, sono state le partite precedenti a confermare quanto le squadre europee abbiano raggiunto il livello di quelle coreane, superando entrambe le formazioni di Seul.

Che fosse il periodo d’oro dei Fnatic lo hanno confermato i risultati successivi: prima la vittoria del Western Clash di Kiev ad agosto, con i Dignitas in piena crisi; poi la finale del titolo mondiale, raggiunta dopo aver superato i coreani Ballistix con un secco 3-0 ma persa ad opera di altri coreani, gli MVP Black. Un trionfo che ha confermato come, nonostante la crescita del movimento europeo, i giocatori di Seul siano ancora i migliori.

Lo scontro finale che consegna la vittoria del mondiale ai coreani MVP Black.

Il 2018 è invece iniziato nuovamente nel segno dei Dignitas. Saldamente primi nel girone dell’HGC europeo, i Dignitas hanno ripetuto l’exploit dell’anno precedente conquistando anche l’edizione 2018 del Western Clash, sempre a Katowice in occasione dell’Intel Extreme Masters di inizio marzo, appuntamento annuale di uno dei principali eventi eSport al mondo.

Il futuro è appena arrivato

Heroes of the Storm ha vissuto un primo periodo di vita silente, limitato dai suoi “fratelli” e da alcune dinamiche di gioco innovative che hanno avuto bisogno di tempo per essere comprese. Passare da un gioco in cui le abilità dei singoli sono fondamentali a un titolo in cui è anche richiesto di sapersi muovere in cinque come un’unica entità è un aspetto che è stato sottovalutato dalla gran parte dei giocatori e degli addetti al settore. Alcuni lo hanno interpretato come un annullamento dell’individuo quando in realtà rappresenta la consacrazione del singolo all’interno del gruppo: un vero gioco di squadra.

Heroes è sostanzialmente un titolo “nuovo”, da tutti i punti di vista: Dota2 e League of Legends hanno presentato il loro primo mondiale nel 2011 mentre la prima stagione competitiva del titolo Blizzard è iniziata nel 2017 come circuito regolare, con una struttura simile a quella utilizzata in altri eSport con quattro regioni principali: Corea, Cina, Europa e Nord America. La crescente scena competitiva ha permesso alle squadre europee e nord americane di confrontarsi più spesso e di crescere qualitativamente, recuperando il gap con i favoriti di sempre, i coreani.

Heroes, insomma, ha iniziato il suo percorso di crescita nel silenzio generale, ma le novità che porta con sé potrebbero cambiare presto il mondo eSport, aggiungendo dinamiche di squadra che finora erano praticamente assenti. Chissà che quelli che oggi abbiamo considerato ostacoli non si rivelino dei punti di forza domani.

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