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Dario Costa
Kevon Looney, la roccia di Golden State
26 gen 2023
26 gen 2023
Il centro degli Warriors è diventato giocatore di culto e punto fermo dei campioni in carica.
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Dario Costa
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Anatoliy Cherkasov/IMAGO
(foto) Anatoliy Cherkasov/IMAGO
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Il nome Kevon Looney è di quelli che, per forza di cose, passano quasi inosservati. Era successo al Draft del 2015, quando il prodotto di UCLA è stato scelto alla posizione numero 30 dai Golden State Warriors appena laureatisi campioni, oscurato da protagonisti molto attesi come, tra gli altri, Karl-Anthony Towns, D’Angelo Russell e Kristaps Porzingis. Ed è continuato a succedere lungo tutto il suo percorso in NBA, perché giocando al fianco di Steph Curry, Kevin Durant, Klay Thompson e Draymond Green è quasi inevitabile finire in secondo piano, facendo da sfondo alla celebrazione delle stelle più acclamate. Eppure, nonostante a sette anni dal debutto con Golden State resti un giocatore di culto apprezzato più da colleghi e addetti ai lavori che dal grande pubblico, Looney è stato e rimane punto fermo e giocatore imprescindibile per una delle dinastie più vincenti nella storia del basket. Fare ciò che serve, quando serveLa domanda, quindi, sorge spontanea: disponendo di un talento limitato, parecchio inferiore a quello dei compagni, come ci si trasforma in punto fermo di un’autentica dinastia cestistica? La risposta è piuttosto semplice: facendo ciò che serve alla squadra quando la squadra ne ha più bisogno. Ed è più o meno quanto andato in scena durante gli scorsi playoff, dove anche chi fin lì non aveva compreso appieno l’importanza ricoperta da Looney nei meccanismi degli Warriors ha dovuto ricredersi. Negli occhi è rimasta la prestazione di gara-6 contro Memphis al secondo turno, con i 22 rimbalzi (di cui 11 offensivi) fondamentali per chiudere una serie in cui Golden State era fisicamente in difficoltà contro l’esuberanza atletica dei Grizzlies.

Come decidere una partita prendendosi solo 7 tiri e segnando solo 4 punti: esegue Kevon Looney, il re delle piccole cose.

Durante le Finals vinte contro i Boston Celtics, poi, Looney è risultato il secondo miglior giocatore tra quelli scesi in campo per Net Rating, dietro solo a Gary Payton II, e il migliore per plus/minus. Le sue giocate non sono finite negli highlights delle singole gare e, con ogni probabilità, non verranno ricordate in futuro, ma l’impatto avuto dal centro di Kerr durante la cavalcata che ha portato sulla Baia il quarto titolo in sette anni è innegabile. In qualche modo si potrebbe dire che i playoff 2022 abbiano rappresentato il palcoscenico su cui Looney è diventato un volto familiare anche per quel grande pubblico che in precedenza ne ignorava in parte o del tutto l’esistenza. E da lì in poi Looney ha continuato a essere un punto fermo per gli Warriors, forse il punto fermo, senza mai fermarsi. Anche perché termini come pausa e riposo non sembrano proprio trovare posto nel vocabolario dall’ex Bruin. Da injury prone a nuovo Iron ManCon l’eccezione dell’inarrivabile Mikal Bridges, che al momento in cui scriviamo ha appena disputato la sua partita consecutiva numero 362, Looney è per distacco il giocatore con la striscia aperta di presenze ininterrotte più lunga di tutta la lega. Le 159 gare mandate a referto senza marcare mai visita, oltre a rappresentare un elemento di forte discontinuità rispetto alle sue prime due stagioni in NBA funestate dai continui problemi all’anca destra (che sembravano non avere mai una soluzione, tanto da metterne a rischio la carriera stessa), hanno contribuito a consolidarne la posizione nelle gerarchie di Golden State. D’altronde, come sostiene un vecchio adagio tutt’ora in voga negli sport americani, “availability is the best ability”. E Looney - per una squadra che ha patito assenze prolungate di protagonisti come Thompson, Green e Curry - è diventato un fattore di continuità, una certezza a cui aggrapparsi per non smarrire l’identità tattica ed emotiva del gruppo.Il fatto che fosse sempre in campo ha consentito agli Warriors di poter completare la transizione dalla loro versione precedente, in sostanza quella uscita - non benissimo - dal dopo-Durant, a quella che con l’inserimento a pieno regime dei vari Jordan Poole e Andrew Wiggins ha poi conquistato il Larry O’Brien Trophy. Anche perché, come detto, quando Looney è sul parquet fa esattamente le cose che servono, e le fa con rara efficienza. In una squadra che su entrambi i lati del campo vive di continue letture e adattamenti, la capacità di Looney di tenere contro gli esterni avversari sui cambi e di saper portare gli aiuti con tempismo pressoché perfetto, oltre al fiuto per il posizionamento a rimbalzo, ha tenuto a galla la difesa degli Warriors nei periodi, spesso piuttosto lunghi, in cui Draymond Green, insostituibile perno difensivo, si è preso delle pause, non necessariamente corrispondenti alle soste forzate per infortuni.

La difesa uno contro uno su Jalen Brunson in gara-2 delle finali della Western Conference. Contro un giocatore che ha mandato ai pazzi chiunque con le sue finte in mezzo all’area, Looney non fa una piega e lo accompagna seguendolo come un’ombra, costringendolo all’errore

Looney è poi in grado di fare più o meno tutto ciò che sa fare Draymond Green anche in attacco, seppur non così bene e con meno precisione. Non tanto e non solo per la notevole quantità di blocchi portati in ogni partita, quanto per la perfetta angolazione con cui li porta e apre la visuale verso il canestro alla batteria di tiratori di Golden State. Quando è lui a portare il blocco per Curry, ad esempio, Steph realizza con uno strabiliante 52.5% da tre.

Looney è da tempi non sospetti il compagno preferito di pick and roll di Curry: in questa statione quando sono in campo insieme i due combinano per un offensive rating di 122.8 a fronte di un 112.3 complessivo di squadra.

Anche quando agisce lontano dalla palla, Looney riesce a rendersi utile sfruttando al meglio gli spazi lasciati dai raddoppi a cui sono sottoposti i compagni ed è letale nel tagliare a canestro con i tempi giusti.

Guardate i tempi con cui Looney capisce che si sta creando lo spazio per uno scarico semplicissimo, ponendo le fondamenta per due punti facili.

Nella stagione in corso Looney sta mandando a referto il massimo in carriera per assist di media (2.8), a riprova di una maturazione ormai completata anche nella metà campo avversaria. Nondimeno, l’aspetto forse più sottovalutato del suo gioco rimane la capacità di trattare la palla. Looney, infatti, non si avvale solo di un QI cestistico di alto livello, facendo proprio il sistema offensivo di Kerr di cui è diventato un Gran Maestro, ma dispone anche di fondamentali non banali per un lungo, in gran parte eredità delle esperienze all’high school e a UCLA, dove il futuro campione NBA veniva utilizzato da ala e aveva consistenti responsabilità offensive (per quanto vale, Looney è ancora inquadrato come ala da sito ufficiale della lega).

Se avete in mente il Looney tutto blocchi e sgomitate per i rimbalzi visto in NBA, qui potreste faticare a riconoscerlo e non solo per la giovane età.

Non è un caso che Looney compaia in tutti e cinque i quintetti più utilizzati da Kerr in questa prima metà di stagione. E non è nemmeno un caso che il suo rendimento abbia di fatto estromesso dalle rotazioni James Wiseman, che era stato preso alla seconda scelta assoluta del Draft 2020 (davanti a LaMelo Ball) proprio per prenderne il posto e che invece – sia per problemi di infortuni e di limiti nella comprensione del gioco del prodotto di Memphis, ma anche per il rendimento eccellente di Looney – è stato relegato a un posto in panchina e a una bocciatura tecnica che pare ormai definitiva da parte del coaching staff. La definizione di role-player, insomma, sta decisamente stretta a Looney, anche perché il suo peso negli equilibri di Golden State non può essere circoscritto al campo da gioco.Bussola moraleOra come ora è impossibile prevedere come procederà la difesa del titolo da parte degli Warriors, mentre è facile individuare il momento in cui la loro stagione sarebbe potuta deragliare. Le conseguenze del famoso incidente occorso a dieci giorni dall’inizio della regular season tra Draymond Green e Jordan Pooleavrebbero infatti potuto essere devastanti. All’interno della complessa opera di riconciliazione che ha permesso di ricucire in fretta l’inevitabile strappo consumatosi nello spogliatoio, Looney è stato a dir poco fondamentale, tanto che Kerr non ha esitato a definirlo la “bussola morale” della squadra.

Un raro momento di gloria per il giocatore più amato nello spogliatoio di Golden State: guardare l’orgoglio nello sguardo di Kerr dopo il game-winner contro Atlanta.

Si tratta di un riconoscimento non di poco conto, a maggior ragione perché arriva all’interno di un contesto che può vantare almeno quattro sicuri Hall of Famer oltre a quello che, secondo il general manager Bob Myers, è il miglior franchise player di sempre. E, considerando che a soli 26 anni Looney ha già un curriculum che la stragrande maggior parte dei giocatori NBA può solo sognare, non è detto che prima poi non tocchi anche a lui finire a Springfield, celebrato come una leggenda del gioco grazie al lavoro oscuro fatto per una delle squadre vincenti di sempre. Nel frattempo il diretto interessato sembra curarsi il giusto del suo eventuale futuro e del posto che gli verrà riservato nella storia del basket, preferendo allargare i propri orizzonti verso la sua altra grande passione: la musica. Il progetto di rivitalizzare la scena hip hop del Wisconsin, però, dovrà attendere, perché per il momento i Golden State Warriors hanno più che mai bisogno di lui per provare a prolungare la loro striscia di successi. E Kevon Looney, c’è da contarci, risponderà ancora una volta presente.

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