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Ancora due parole su quell'assist di De Bruyne
23 ago 2022
23 ago 2022
Contro il Newcastle un'altra dimostrazione di talento oltraggiosa.
(copertina)
Foto di Matthew Ashton - AMA/Getty Images
(copertina) Foto di Matthew Ashton - AMA/Getty Images
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Guardando giocare Kevin De Bruyne mi torna in mente una cosa che ho letto in Livelli di Gioco, di John McPhee. La madre del tennista Clark Graebner, mentre riguarda la semifinale dello US Open del 1968 contro Arthur Ashe, dice del figlio: «L’unica cosa che vorrei è che imparasse a sorridere anche in campo. Ha un’aria truce che non gli corrisponde neanche un po’».

L’aria di De Bruyne non è proprio truce, ma di certo neanche lui sorride in campo. Non sembra felice mentre gioca a calcio, non si direbbe che provi piacere a mettere un compagno davanti alla porta, neanche dopo che ha fatto passare la palla sotto le gambe di un avversario, infilando la lama nel blocco difensivo come uno sposo che taglia la prima fetta della torta.

«Quando gioco dentro di me è come se ci fossero due Kevin, a volte divento un piccolo bastardo». Lo ha detto lui e sicuramente, immagino, non corrisponde all’idea che deve averne la madre. Corrisponde però al modo in cui De Bruyne effettua questi assist grandiosi, passaggi che solo lui vede, in anticipo su tutti gli altri come uno che indovini la soluzione di un film giallo dopo dieci minuti e non resiste alla tentazione di dire al resto della sala che Kevin Spacey è Keyeser Soze. Passaggi che esegue sempre con quel pizzico di impazienza e nervosismo, una competitività sempre sul punto di trasformarsi in rosicamento.

In effetti anche contro il Newcastle, Kevin De Bruyne sembra essersi acceso veramente solo quando le cose si stavano mettendo irrimediabilmente male. Verso l’ora di gioco, con la sua squadra sotto di un gol (3-2). Nel giro di pochi minuti ha prima messo in porta Haaland con un filtrante tutto sommato semplice, una palla oltre il difensore, come uno di quei colpi preparatori dei golfisti che avvicinano la palla alla buca, sul “green”, solo che in questo caso Haaland, che è passato letteralmente sopra al difensore - troppo veloce e troppo forte per chiunque - ha sbagliato il tocco finale, calciando sul portiere; e poi ha fatto quell’assist allucinante per Bernardo Silva.

Questa è l’ottava stagione di De Bruyne con il City, con cui ha un contratto fino al 2025, fino a quando avrà 34 anni, cioè, e probabilmente deciderà di ritirarsi. Non ha vinto la Champions League, per ora, né il Pallone d’Oro. Quest’anno è già assegnato a Karim Benzema e chissà magari dal prossimo sarà troppo tardi, sarà già arrivato il momento di Mbappé o Haaland. Ma De Bruyne è stato, ed è ancora oggi, uno dei giocatori più incredibili di questi anni, al pari dei vari Messi, Cristiano, Zlatan, Modric e, appunto, Benzema, Lewandowski e chiunque altro vi venga in mente. Nessuno colpisce la palla meglio di De Bruyne.

È stato un organizzatore di squadre disorganizzate (il City di Pellegrini) e un brutalizzatore in squadre troppo sotto controllo come quelle di Guardiola. Il pezzo forte del suo repertorio era la conduzione, all’inizio, ma con il passare del tempo è diventato più statico, con il passo sempre più lungo e pesante. Poi sono arrivati anche gli infortuni (tre anni e mezzo fa ci chiedevamo se sarebbe tornato ai suoi livelli) e De Bruyne ha dovuto appoggiarsi maggiormente sulla sua straordinaria abilità nei passaggi.

È il più centrocampista di tutti, tra i nomi dei grandi giocatori con cui ha giocato o con cui è stato in competizione in questi anni, ma calcia così bene e porta palla così bene ancora oggi che quando serve si sa trasformare anche in attaccante - aumentando quel senso di impazienza e frustrazione di uno che gioca pensando “ecco, devo fare tutto io”. Come lo scorso anno, in cui ha segnato il suo record di gol stagionali (19). E ovviamente quando il City ha preso Haaland lui ci ha tenuto a chiarire che magari potrà fare più assist ma che anche la passata stagione la sua capacità di creare occasioni era «rimasta consistente».

All’inizio era più preciso nel gioco lungo che nel corto, ma col passare degli anni ha acquisito una precisione sovrannaturale in ogni distanza, una precisione a cui arrivano in pochissimi. Ci sono arrivati Beckham, Pirlo, Zidane, Totti, ma in un calcio in cui il campo era più lungo: De Bruyne fa quelle stesse cose dove lo spazio non c’è. Come i giocatori nominati anche De Bruyne sembra sorprendere i suoi stessi compagni, che capiscono un attimo dopo di lui dove gli sta mettendo la palla, o che se la ritrovano direttamente sul piede. Passaggi che si stoppano quasi da soli, che usano il corpo del compagno come sponda per entrare in porta.

Uno dei suoi marchi di fabbrica, la palla che passa tra difesa e portiere da destra verso sinistra, come una palla da bowling che corre sul filo del canale e poi taglia al centro per lo strike.

Non c’è niente nel calcio che esaltiamo e celebriamo più della visione di gioco. Un giocatore capace di vedere qualcosa che noi non vediamo ci sorprende più di uno molto abile tecnicamente, forse perché è un riflesso della più generale capacità umana di avere intuizioni, di creare. De Bruyne però sembra viverlo con inquietudine, pensando più alla possibilità del fallimento pratico che alla genialità della sua idea. Fosse per lui accontenterebbe dell’idea stessa, di aver visto e di aver servito, non ci dovrebbe essere bisogno che il compagno metta volgarmente la palla in porta. Anche perché i compagni, si sa, a volte sbagliano.

Ma lo si capisce anche quando i compagni non sbagliano. Se De Bruyne allarga le braccia, scuote la testa e si lamenta quando non vede il movimento che vuole - lo ha fatto anche con Haaland nella sua prima partita ufficiale, la sconfitta con il Liverpool nel Community Shield - quando le cose vanno bene rilascia una scarica di energia rabbiosa, schiaffeggia la schiena dei compagni, esulta prendendo a pugni l’aria. Oppure non fa niente di niente, abbraccia il compagno con aria seria. Per una volta gli altri sono stati all’altezza del suo talento. Ma la prossima?

Immaginate adesso come si sarebbe sentito se Bernardo Silva non avesse messo dentro quella palla (non facilissima, va detto, perché ha dovuto girarsi e calciare col portiere quasi addosso). Già quando riceve palla da Rodri De Bruyne sta col braccio largo, indicando il centro dell’area, secondo me proprio Bernardo Silva che era già passato alle spalle del terzino del Newcastle aspettando il passaggio di ritorno. Ma Rodri non ha quel tipo di palle ed esegue uno scarico semplice. Devo fare tutto io. De Bruyne controlla spostandosi verso destra, in modo da avere visione su Haaland, Cancelo largo in fascia e appunto Bernardo, che però nel momento in cui De Bruyne abbassa la testa per passargli la palla è coperto proprio da Haaland.

Stagione 2013/14, un altro filtrante di De Bruyne sotto le gambe del difensore. Allora è un vizio.

Avere una visione di gioco di questo tipo significa vedere molte cose contemporaneamente. Il movimento di Bernardo, certo, che è appena accennato, un leggero abbassamento delle spalle che indica la direzione della sua corsa sul filo del fuorigioco, ma anche il passo in fuori di Botman che scopre il centro della difesa per uscire forte su Haaland (che francamente, anche nei replay, sembra l’unico possibile destinatario del passaggio). E poi Almiron e Willock. Il primo pensa di aver accorciato sufficientemente da avergli messo pressione, il secondo sta schermando il centro dell’area a poco meno di cinque metri di distanza. Adesso, se non si può stare con le gambe appena appena larghe neanche a cinque metri di distanza….

De Bruyne non solo ha visto lo spazio in cui “teoricamente” poteva far passare arrivare la palla a Bernardo, quel paio di metri quadrati in cui avrebbe potuto controllarla senza difensori e al riparo dal portiere, ma ha anche trovato il corridoio per recapitargliela nel modo più pulito possibile, cioè rasoterra (una soluzione più comune sarebbe stato il pallonetto). E quel corridoio, è solo un caso, passava attraverso le gambe di Willock, autore tra l’altro di un’ottima partita.

Questo è l’assist con cui ricorderemo Kevin De Bruyne. Il suo regale disprezzo nei confronti di tutto quello che lo circonda, la sua superiorità su compagni e avversari, la capacità di far sparire i secondi e di manipolare telepaticamente i primi. Devo fare tutto io, Botman vieni su Haaland, Willock non chiudere le gambe, Bernardo controlla questa palla e segna o vengo lì e ti ammazzo. Tra l’altro Bernardo Silva, se ci fate caso, stava finendo oltre la palla di De Bruyne, perché Willock ha chiuso leggermente le gambe deviando il passaggio, che altrimenti sarebbe stato perfetto per mandarlo al tiro di prima intenzione.

Il Kun Aguero ha detto che la precisione e la velocità di De Bruyne sono impareggiabili: «Gli basta un’occhiata per sapere dove sei o dove stai andando e ti farà avere la palla immediatamente». In realtà a De Bruyne basta un’occhiata per sapere dove il compagno dovrà essere, dove vuole lui che la palla gli arrivi. Aguero, Bernardo Silva, Haaland, Lukaku e tutti gli altri capiscono un attimo dopo De Bruyne che quella linea di passaggio esiste ed è praticabile. E se non lo capiscono in tempo, sbagliano il controllo o la conclusione.

Avere la visione di De Bruyne significa vedere avanti nel tempo, immaginare già non solo il passaggio ma anche la conclusione e il tiro. Ma De Bruyne può fare una cosa sola, solo una parte dell’azione, la frustrazione e il fastidio con cui a volte percorre il campo con passi da elefante viene da qui, dal fatto che non può curare ogni dettaglio dell’azione, che deve avere a che fare con altri esseri umani. Che la sua riuscita, anzi, dipende dalla capacità degli altri essere umani di capirlo, di assecondare le sue intuizioni, la sua creatività. E De Bruyne non sembra uno che vuole farsi capire dagli altri, uno che si perde in spiegazioni, uno a cui interessa quello che le persone che lo circondano pensano di lui. Kevin De Bruyne, non dimentichiamolo, non sorride quasi mai.

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