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Foto di Lukas Schulze / Getty Images
Bundesliga Dario Saltari 29 maggio 2020 7'

Kai Havertz sta diventando una prima punta?

Il talento del Leverkusen continua a crescere e a cambiare il suo gioco.

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La pandemia di Covid-19 ha stravolto il mondo ma non la Bundesliga. Se si esclude l’assenza dei tifosi, che in Germania comunque si fa sentire, tutto è ripartito come prima: il Bayern Monaco domina e pare avviato facilmente all’ennesimo titolo; il Borussia Dortmund continua a lanciare giovani promettenti da dare in pasto al calcio europeo e Kai Havertz è sempre la next big thing del calcio tedesco. 

 

Sono passati ormai quasi quattro anni dal suo esordio in Bundesliga, ma il giovane numero 29 del Bayer Leverkusen continua ad alzare l’asticella della nostra incredulità con record personali sempre più significativi. In questo caso parliamo dei quattro gol segnati nelle tre partite disputate da quando il campionato tedesco è stato riavviato, che hanno reso Havertz l’unico giocatore della storia della Bundesliga a segnare almeno 34 gol prima del proprio 21esimo compleanno. Ennesimo record di precocità per quello che è il più giovane debuttante nella storia della Bundesliga, il più giovane ad aver raggiunto le 50 presenze nel massimo campionato tedesco, e il più giovane marcatore nella storia del Bayer Leverkusen.

 

Proprio la prolificità rimane l’aspetto più stupefacente di un giocatore che teoricamente è nato (si fa per dire visto che ha ancora 20 anni) in un ruolo che oscilla tra la mezzala di possesso e il numero 10, e che è stato paragonato a giocatori come Toni Kroos (forse più per il comune passato al Bayer Leverkusen, per la verità) o a “un ibrido tra Özil e Ballack”, come ha detto Owen Hargreaves. Havertz ha già segnato 14 gol in questa stagione (di cui 11 nel solo 2020). In quella passata ne aveva messi a segno 20 – un’enormità per un giocatore allora di 19 anni e che non aveva mai giocato in un ruolo da prima punta.

 

In realtà, già dalla scorsa stagione si era capito che l’evoluzione di Kai Havertz fosse proiettata nella porzione di campo che va dalla trequarti fino alla porta avversaria, e non solo per il numero dei gol. Havertz aveva già dimostrato di eccellere anche nelle letture senza palla in profondità, nei tagli alle spalle delle difese avversarie. Movimenti che lo allontanano dall’idea romantica del numero 10 creatore, a cui per l’eleganza delle movenze e per l’ottima tecnica forse potrebbe essere avvicinato. Haverz è un profilo in realtà molto più moderno e spendibile all’interno calcio contemporaneo. 

 

Un’evoluzione che è proseguita in questa stagione e che ha trovato il suo naturale compimento nell’idea di Peter Bosz di schierarlo formalmente da prima punta, quindi da cosiddetto “falso nove”, in queste ultime partite di Bundesliga, dopo l’infortunio di Kevin Volland a fine febbraio. L’esperimento era già stato inaugurato con successo ormai quasi tre mesi fa nelle ultime due partite prima del lockdown, in Bundesliga contro l’Eintracht di Francoforte (vinta per 4-0 con un gol e un assist di Havertz) e in Europa League contro i Rangers (battuti a loro volta per 1-3 con un altro suo gol).

 

Il suo proseguimento anche dopo il lockdown, nonostante la presenza in rosa di un attaccante tradizionale come Lucas Alario, e i gol che ne sono seguiti (6 in 5 partite, quindi), hanno spostato ulteriormente l’orizzonte futuro di Havertz. Ora questo non include solo un trasferimento in un top club europeo (i rumor vanno dal Liverpool al Chelsea, dal Real Madrid al Barcellona), ma anche una possibile maturazione tattica in un ruolo raro e ricercato, quello dell’attaccante-che-sa-fare-tutto. Un ruolo riportato in voga negli ultimi anni da Roberto Firmino (un altro che nei suoi primi anni in Bundesliga aveva cominciato giocando da trequartista o al massimo da ala) e che coniugherebbe perfettamente le sue due anime da creatore e da finalizzatore. Queste cinque partite, però, sono state in realtà più interlocutorie di quanto le statistiche più evidenti non abbiano detto.

 

Prima di spostarlo al centro dell’attacco, Peter Bosz aveva schierato Havertz esclusivamente sulla trequarti, o al centro (nel 4-2-3-1) o in uno dei mezzi spazi (di solito quello di destra, nel 3-4-2-1). Dalla trequarti Havertz aveva la quasi totale libertà di fare i suoi movimenti: venire incontro al centrocampo per prendere le redini della costruzione dell’azione direttamente dai piedi dei mediani, oppure andare in profondità senza palla – in verticale alle spalle della prima punta oppure con tagli interno-esterno per ricevere nei pressi della linea del fallo laterale e condurre verso la porta con l’esterno. Un set di movimenti che è rarissimo ritrovare contemporaneamente nello stesso giocatore (soprattutto con la sua qualità) e che in parte legittima la definizione di Havertz come ibrido tra Özil e Ballack, o più in generale tra gli archetipi (in questo caso del calcio tedesco) di un trequartista creatore e un centrocampista incursore. 

 

In entrambi i casi, comunque, i suoi movimenti sembravano diretti oltre che a potersi inserire in area da dietro mentre la difesa collassava verso la porta (una delle sue specialità) anche a evitare di ricevere spalle alla porta, qualcosa che Havertz sembra soffrire particolarmente, non si capisce se per sdegno verso il contatto fisico o per poca considerazione di un aspetto del gioco che forse considera meno importante. Fatto sta che, quando riceve spalle alla porta, Havertz quasi sempre gioca all’indietro di prima limitandosi a fare da parete al centrocampo in modo da evitare di dover proteggere il pallone con il corpo, un aspetto quasi del tutto assente nel suo gioco. 

 

Da prima punta questo limite è diventato ancora più evidente, portando Bosz a utilizzarlo come una sorta di chiave di volta della fluidità della sua squadra. Havertz, da falso nove, ha riproposto quasi identici i movimenti che già faceva da trequartista, venendo sempre incontro al centrocampo in fase di attacco posizionale molto spesso andando verso gli esterni. Forse non è un caso che da quando lo ha spostato al centro dell’attacco, Bosz non ha praticamente mai abbandonato il 4-2-3-1, modulo che gli permette di avere sempre un uomo pronto a prendere il suo posto al centro dell’attacco quando Havertz scende a centrocampo ad associarsi per far risalire il pallone.

 

Nell’unica partita giocata con il 3-4-2-1 e Havertz prima punta, era soprattutto Diaby, da ala sinistra, a prendere il suo posto al centro dell’attacco.

 

In questo senso, forse è ancora fuorviante definire Havertz un “falso nove” perché i suoi movimenti incontro al centrocampo sono talmente frequenti e profondi che non sembrano avere lo scopo di tirare fuori i difensori e permettere ai compagni di inserirsi negli spazi creati alle spalle della difesa ma vanno inseriti in un discorso più ampio di fluidità del Bayer Leverkusen in cui i giocatori si scambiano spesso la posizione tra di loro.

 

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In questo caso, contro il Werder Brema, Havertz scende addirittura in difesa pur di giocare fronte alla porta, mentre il suo posto al centro dell’attacco viene preso temporaneamente da Amiri.

 

Forse sarebbe meglio dire che il Leverkusen gli lascia ormai una totale libertà nei movimenti e segue l’ispirazione del suo talento, regolando automaticamente la propria struttura posizionale a seconda della sua posizione. È stato lo stesso Havertz ad ammetterlo, dopo la vittoria con il Borussia Monchengladbach. «Ho un ruolo libero perché non me la sento a rimanere tra i difensori avversari», ha dichiarato «[In questa nuova posizione] posso scendere a centrocampo, che è sempre stato il mio gioco, e quindi non è cambiato molto, a parte che sono diventato più pericoloso davanti alla porta avendo più possibilità di andare in area». Questo non esclude, ovviamente, che con il talento a sua disposizione, Havertz in alcuni momenti di brillantezza riesca davvero ad agire da falso nove, servendo i compagni negli spazi da lui stesso creati. 

 

Come in questo caso contro il Werder Brema, in cui attira a sé uno dei difensori e poi chiude il triangolo con Bellarabi, lanciandolo in profondità.

 

Al di là di come andrà a finire questo processo, se davvero lo porterà ad essere quell’attaccante-che-sa-fare-tutto che molti club europei sognano o meno, quello che più stupisce di Havertz è la naturale autorevolezza con cui si sta prendendo il palcoscenico e con cui sta continuando a far crescere il suo gioco proporzionalmente al numero di occhi che gli si stanno posando addosso. Se è vero che i movimenti sono rimasti quasi gli stessi, e che dovrà colmare le sue lacune nel gioco spalle alla porta (soprattutto nei duelli aerei, se vorrà continuare a fare la prima punta), è anche vero che Havertz è più influente ogni partita che passa, come si capisce anche dallo status che ha assunto dentro al Bayer Leverkusen. Insomma, a quanti altri giocatori di 20 anni viene lasciata libertà totale in campo qualsiasi sia la sua posizione?

 

La crescita di Havertz, in questo senso, va molto oltre i record individuali e i gol. Anzi, a guardare le statistiche, quello della prolificità sembra l’unico aspetto a rimanere costante (paradossalmente, visto che la sua ascesa sembra essere dettata soprattutto dai suoi gol). È costante la sua media gol (0.4 per 90 minuti, rispetto allo 0.5 dello scorso anno), così com’è costante il suo tasso di conversione dalla totalità dei tiri (46,7% rispetto al 51% dell’anno scorso) e il numero di Expected Goals prodotti (0,39 per 90 minuti contro i 0,4 dello scorso anno). Per il resto, il numero 29 sta facendo crescere il suo gioco, in modo graduale ma evidente, rischiando di più la giocata pur di mettere la sua firma. Per esempio, Havertz ha aumentato di molto i dribbling tentati (passati dai 2.7 per 90 minuti della scorsa stagione ai 4.6 di questa) pagando per forza di cose un prezzo per quanto riguarda i dribbling falliti (raddoppiati nel corso di una stagione: da 1.2 a 2.4 per 90 minuti) e le palle perse (da 2.1 a 3 per 90 minuti). E lo stesso è avvenuto con i passaggi chiave (raddoppiati rispetto alla scorsa stagione: da 1.1 a 2.2 per 90 minuti) e i passaggi sbagliati (da 2.3 a 3.5). 

 

Oltre la retorica della predestinazione, è proprio questa naturalezza nel volersi prendere le responsabilità che comporta l’essere il leader tecnico di una squadra a renderlo ogni giorno più grande. Più grande del Bayer Leverkusen e forse anche del ruolo che gli era stato cucito addosso fino a poche settimane fa. 

Tags : bayer leverkusenkai havertzpeter bosz

Dario Saltari è uno degli scrittori che curano L'Ultimo Uomo e Fenomeno. Sulla carta, ha scritto di sport per Einaudi e Baldini+Castoldi.

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