La sensazione che mi ha dato Justin Gaethje la prima volta che lo vidi combattere era che fosse un fighter “solo” violento. La sua ultima sua prestazione, però, quella di UFC 249, ha dimostrato di non essere solo un technical brawler votato allo scambio selvaggio. Un fighter i cui incontri possono arrivare a una finalizzazione, sua o dell'avversario, in qualsiasi momento. Il combattimento contro Tony Ferguson è stato a dir poco sorprendente, sembrava quasi che Ferguson avesse combattuto contro Ferguson: Justin Gaethje si è laureato campione ad interim dei pesi leggeri UFC e ormai nessuno lo considera più l’Homer Simpson delle MMA (come lo aveva chiamato James Vick, che ha pagato a caro prezzo il complimento). Oggi Gaethje è un fighter intelligente, preciso, accurato e guardingo. La miglior versione di sé stesso. Per crescere gli sono servite sette tappe, sette incontri, e come spesso accade gli sono state più utili le sconfitte (due in tutta la carriera) che le vittorie.
Nel 2017, dopo cinque difese del titolo dei pesi leggeri WSOF, Gaethje è entrato in UFC come un prospect interessante ma ancora lontano da quella maturità imprescindibile per resistere a lungo tempo ad alti livelli. Nei sette match successivi in UFC Justin ha incassato nove bonus, diventando il fighter più eccitante nell’intero roster. Ma il mondo UFC non è esattamente tra i più accoglienti, soprattutto se il primo avversario è uno come Michael Johnson, che fin dalle prime conferenze lo ha punzecchiato, passando poi a offese più pesanti nei giorni prima dell’incontro, quando nella hall di un albergo ha detto a Gaethje che era figlio di un incesto tra fratello e sorella. Gaethje non si scompose, ma gli promise una punizione in gabbia.
Combattere il fuoco con il fuoco
Una promessa mantenuta, sì, ma da quella che era ancora la versione 1.0 di Gaethje, quella iper-aggressiva e istintiva che si gettava a capofitto in scontri dove le mani non propriamente di piuma di Michael Johnson hanno fatto danni. E infatti Justin ha rischiato, ma lentamente ha trovato una via d’uscita. Ha combattuto il fuoco con il fuoco, non provando nemmeno per un attimo a prendere una boccata d’aria per pensare all’azione successiva. Aggredendo, guadagnando un centimetro alla volta, ha distrutto pian piano Johnson, che si è chiuso in sé stesso fino a rimanere senza forze, in una scena da delirio collettivo allo scadere del secondo round.
Il biglietto di presentazione di Justin Gaethje era stato così gradito che UFC lo ha premiato con i bonus Performance of the Night e Fight of the Night, oltre a ottenere da Sherdog la nomination per il miglior match del 2017.
La prima versione di Gaethje, però non può avere una vita longeva nella miglior promotion di MMA al mondo, in una divisione fenomenale come quella dei leggeri. Justin Gaethje concedeva troppo agli avversari, si esponeva e lasciava aperture e crepe evidenti in fase difensiva perché troppo occupato ad aggredire senza remore i suoi avversari. «Sto solo cercando qualcuno capace di farmi provare la sensazione di rimanere con la faccia a terra!», diceva in quel periodo. Era solo questione di quanto avrebbe aspettato.
Ad accontentarlo ci ha pensato Eddie Alvarez, che aveva condotto, da coach insieme a lui, la ventiseiesima edizione del reality The Ultimate Fighter. Dopo aver perso contro Conor McGregor, Alvarez aveva provato a rifarsi con Poirier ma dopo un’ottima prestazione aveva commesso un’irregolarità, colpendo l’avversario con una ginocchiata mentre era a terra (l’incontro è stato considerato no contest). Con Gaethje sarebbe stata una sfida tra due dei lottatori considerati più violenti della UFC.
Rispetto ad Alvarez, Gaethje ha capacità fisiche superiori e per questo il loro incontro lo inizia pressando Alvarez. Prova con gancia e leg kick pesanti, ma Alvarez è intelligente: tende a non incrociare e usa il gancio per riguadagnare un tempo d’attacco. Quando prova qualche diretto, o comunque dei colpi che lo fanno restare davanti a Gaethje senza modificare l’angolazione, rischia sempre di incappare nei montanti dell’avversario. Allora torna sui propri passi, guardingo, cercando di gestire il ritmo. Alvarez è morbido e rilassato, le sue schivate mandano a vuoto Gaethje, che pare precipitoso. Alvarez se ne rende conto e ne approfitta: moltiplica le finte, accenna movimenti e affondi, Gaethje scatta e continuare a offrire aperture. Al termine del primo round, il vantaggio per Justin è nei leg kick, ma Alvarez ha accorciato bene e dal centro dell’ottagono ha tenuto il ritmo nelle fasi di pugilato.
Nel secondo round Gaethje diventa più aggressivo, ma pare in affanno. Riesce ad assestare un gancio sinistro ad Alvarez che gli crea un rigonfiamento preoccupante sulla parte destra della faccia, ma poi subisce qualche colpo al corpo che lo fa arrivare provato al termine del secondo round. Il terzo round segue il copione dei primi due: scambi violenti in un match equilibrato. Con un minuto rimanente sul cronometro, Gaethje, esausto, tenta un’ultima aggressione, ma viene intercettato da una ginocchiata al volto molto violenta. Rimane vigile, prova a tornare in piedi, ma la chiamata di Herb Dean è corretta: vince Alvarez per TKO nel corso del terzo round.
Per Gaethje è un duro colpo, tuttavia prova a ripetere lo stesso game plan contro Dustin Poirier, cinque mesi dopo, nell’aprile del 2018. La boxe dal ritmo incalzante, precisa ed estremamente esplosiva di Poirier penetra la guardia di Gaethje con poche difficoltà: stavolta il TKO arriva in due riprese. Sembra davvero la fine della sua ascesa, ma Gaethje capisce che deve cambiare qualcosa. Trevor Wittman, il suo coach, ha detto di aver ragionato sul futuro con Gaethje dopo la sua ultima sconfitta: «Vuoi sempre essere il fighter più eccitante nelle MMA?». «No, voglio diventare campione UFC».
Iniziano gli aggiustamenti. Due volte Campione statale NCAA Division I in Arizona, All-American (onorificenza che nel wrestling collegiale viene dato ai primi otto classificati), il background di Gaethje è di tutto rispetto. Sulla carta dovrebbe essere uno dei wrestler più capaci e validi del roster UFC, ma sull’ottagono non lo dimostra. Gli viene chiesto da Bloody Elbow, in un’intervista successiva al match contro Poirier, perché. «Avrei potuto mettere a segno il takedown più volte, per conservare qualche ripresa. Semplicemente, la mia mente non me l’ha permesso. Ho lavorato per per entrare nell’idea che questo non è wrestling. Il wrestling ti stanca e se devo stancarmi preferisco fare a pugni. Avrei potuto metterla sul wrestling, ma non sarebbe più stato divertente».
Gaethje, se non altro, si è scontrato subito con i suoi stessi limiti, capendo i suoi errori. Nei tre match successivi passa in gabbia poco più di otto minuti, sotto i suoi colpi cadono Edson Barboza, James Vick e Donald Cerrone: tutti stesi grazie al suo lavoro di braccia. Ma il suo approccio è cambiato, adesso non si limita a scambiare a viso aperto: apre a finte di braccia, a cambi di livello, è lucido e freddo come non erano mai stato. Adesso Gaethje riesce a modulare la propria aggressività e vince senza riportare danni. Fa sembrare facile battere i suoi avversari.
Il momento della verità
Ad aprile 2020 Khabib Nurmagomedov dovrebbe affrontare Tony Ferguson ma, in piena emergenza Covid-19, ha problemi a lasciare la Russia. In più, sta per iniziare il Ramadan. L’incontro viene rinviato per l’ennesima volta. Quando viene ufficializzato che l’avversario di Ferguson sarà Justin Gaethje diversi osservatori nutrono sinceri dubbi: è forte, è migliorato, ma Ferguson sembra ancora di un altro livello.
Il 9 aprile Dana White annuncia che il match è rimandato al 9 maggio e così Gaethje potrà affrontare un camp completo, mentre quello di Ferguson durerà troppo. La mattina del match El Cucuy pubblica un video in cui mostra di aver raggiunto le 155 libbre previste per il match titolato, un taglio del peso ormai inutile che potrebbe avergli tolto ulteriori energie (e che ci dice che forse nella testa di Ferguson non c’era solo Gaethje in quel momento).
Arriva il momento della verità, del main event di UFC 249 che Gaethje vince in maniera schiacciante (ne abbiamo scritto qui). Il suo dominio è stato sorprendente e va ricordato che Ferguson veniva da una striscia di dodici vittorie consecutive, che il suo regno durava da otto anni. Di più: dopo quell’incontro Gaethje sembra essere l’uomo giusto per mettere in pericolo l’imbattibilità di Khabib: quando nel 2019 gli fu chiesto da MMA Junkie come intendesse affrontare Nurmagomedov, lui fu chiaro: «Combatteremo al centro dell’ottagono. Per quanto a lui piaccia combattere vicino alla parete, combatteremo al centro».
Gaethje ha spiegato che il suo stile, nel wrestling, è il folkstyle, quello tipico dei collegiali. A differenza della lotta libera, nel folk non si perdono punti dando la schiena all’avverario, e anzi sono premiati i ribaltamenti. Per questo, ha detto Gaethje, a differenza degli altri avversari di Nurmagomedov lui non avrà paura a concedergli la schiena. «Io sono abituato a fuggire grazie agli scramble. I suoi avversari precedenti non sapevano a rialzarsi, rimanevano giù per 15 secondi. A me non riuscirà a tenermi a terra. Mi rialzerò in maniere che non immagina neanche».
Per questo un incontro con Khabib potrebbe diventare per Gaethje l’occasione per evolversi ulteriormente, di sfruttare quel background nel wrestling che ancora abbiamo visto pochissimo. Dobbiamo ancora trovare qualcuno che riuscirà a mettere in difficoltà Nurmagomedov, ma Gaethje se non altro ha dimostrato di meritare una possibilità.