Il suo primo pallone toccato, ieri, è stato un gol di tacco. Erano passati poco più di 60 secondi. Il Benfica aveva costruito a destra per poi lanciare su Gonçalo Ramos. L’attaccante portoghese aveva protetto il pallone sull’esterno, poi l’aveva fatto passare tra le gambe di un avversario per recapitarlo a Rafa Silva, che a sua volta aveva chiuso il triangolo per la sovrapposizione esterna di Bah. Nel frattempo Joao Mario si era infilato in area come un semplice passante. Il numero 20 del Benfica non sembra mai interessarsi davvero all’azione, guarda le cose da lontano. Forse è per questo che, mentre il Benfica scende sulla fascia destra, l’improvvido regista del Bruges, Casper Nielsen, si è dimenticato di seguirlo. Tanto cosa potrà mai fare questo innocuo avventore nella mia area di rigore? La risposta è questa: avvitarsi su se stesso in una piroetta per colpire il pallone di interno destro e segnare spalle alla porta in corsa sul palo più lontano. Ecco cosa può fare Joao Mario.
Con questo gol Joao Mario avrebbe raggiunto un record assurdo. Il primo giocatore del Benfica a segnare in cinque partite consecutive di Coppa dei Campioni dai tempi di Eusebio (che ci riuscì tra il 1963 e il 1964). Dico “avrebbe” perché poi questo gol è stato annullato per fuorigioco sulla posizione iniziale di Gonçalo Ramos. Il record, però, Joao Mario lo raggiungerà lo stesso, con un rigore segnato una settantina di minuti dopo. Diventerà così anche il primo giocatore della storia a segnare cinque rigori in un’unica edizione della Champions League, record ancora più illeggibile che per la stragrande maggioranza di chi leggerà questo pezzo significherà una sola cosa, ovvero pensare “ah, ecco”; ecco spiegato, cioè, l’incredibile rendimento di un giocatore che avevamo messo nel cesto dei panni sporchi della nostra memoria talmente tempo fa che alcuni lo avranno addirittura cancellato.
Che Joao Mario non fosse il giocatore che pensavamo di aver capito con la maglia dell’Inter, però, lo avevamo già intuito qualche mese fa, quando il Benfica ha distrutto la Juventus nel doppio confronto della fase a gironi. Nei 180 minuti, finiti 6-4 per il Benfica, Joao Mario metterà a segno un assist e due gol, entrambi su rigore (ah, ecco). Nei mesi successivi il suo rendimento ha reso chiaro che quelle due partite, in cui al di là dei gol era sembrato il perno attorno a cui si muoveva la squadra di Roger Schmidt, non erano state una eccezione. Da quando è ripreso il campionato portoghese dopo i Mondiali, alla fine dello scorso anno, Joao Mario ha segnato 10 gol tra campionato e Champions League, e adesso è a quota 20 gol stagionali. Nella Liga portoghese l’unico giocatore ad aver segnato più di lui è Gonçalo Ramos, che però ha il vantaggio non indifferente di giocare da unico attaccante.
Ora, voi sarete arrivati fino a qui e starete cercando, anzi starete esigendo, delle spiegazioni. Anzi, probabilmente sarete già nella fase della negazione. Starete puntando il dito sul fatto che su questi 20 gol ben 11 sono arrivati su rigore, che nel 2023 abbia segnato contro squadre come Portimonense, Pacos de Ferreira, Arouca, Casa Pia, Vizela e Bruges. Che insomma tutto questo rumore improvviso intorno a Joao Mario, giocatore che avevamo bollato come il più impalpabile dei centrocampisti già anni fa, non sia altro che fumo negli occhi, una distrazione dalla verità, e cioè dal fatto incontrovertibile che se adesso sta rendendo così tanto è perché gioca in un campionato in cui è più facile segnare e in una squadra in cui è primo rigorista. E, vi dirò, se lo pensate, non avete nemmeno tutti i torti. Lo sappiamo come funziona la comunicazione del 2023. Le opinioni, persino i fatti, devono essere divisivi e quindi adesso io vi piazzo qui la statistica per cui Joao Mario quest’anno è terzo nella classifica marcatori della Champions League dietro a Salah e Mbappé e voi, che pensavate che fosse un bluff forse da ancora prima che arrivasse in Italia e non potete sopportare di vederlo condividere una lista con quei due giocatori immensi, verrete nella sezioni commenti a dirmi che è scandaloso paragonarlo a Salah e Mbappé, che è troppo facile nel Benfica con tutti quei rigori, eccetera eccetera.
Questo meccanismo, lo sanno tutti quelli che lavorano nella comunicazione e nel giornalismo, è sfruttato appositamente per generare click, commenti, traffico. È la stessa premessa che è alla base di questo pezzo, d'altra parte, e io stesso ho aperto descrivendo un gol di tacco che, se fosse stato convalidato, probabilmente avrebbe fatto esplodere il calcio Twitter. Se avesse segnato così anziché su rigore sarebbe stato letteralmente impossibile resistere alla tentazione di dire la propria su una statistica che mette accanto i nomi di Joao Mario ed Eusebio. Il fatto però che ci sia arrivato lo stesso attraverso un rigore dimenticabile contro il Bruges in una partita già ampiamente chiusa è forse ancora più significativo.
Joao Mario, ovviamente, non è di improvviso diventato Eusebio, come queste statistiche ricondivise senza contesto vorrebbero suggerirvi in maniera truffaldina. Ma il fatto che Joao Mario, anche senza trasformarsi in Eusebio, sia comunque diventato il cuore pulsante di una delle squadre migliori d’Europa di questa stagione ci dice molto del nostro rapporto con i giocatori come lui. Joao Mario è l’ultimo di una lunga lista di giocatori che sembravano non essere né carne né pesce in Italia, e che invece all’estero si sono rivelati centrali, a volte addirittura leggendari. Ci sono casi storici, come quelli di Roberto Carlos, Dennis Bergkamp, Thierry Henry, ma è oggi che il dibattito sul basso livello competitivo del nostro campionato è diventato quotidiano che il discorso si fa davvero interessante. Penso a giocatori come Coutinho, Kovacic (ieri uno dei migliori in campo nella decisiva vittoria del Chelsea contro il Borussia Dortmund), Bruno Fernandes, lo stesso Joao Mario. Com’è possibile che questi giocatori siano esplosi in campionati come la Premier League o in una squadra, come il Benfica, che sta dominando il campionato portoghese e che in Champions League deve ancora perdere una partita?
Una delle ultime doppiette realizzate da Joao Mario in campionato.
Joao Mario ha da poco compiuto 30 anni e nella sua carriera le ha già viste tutte, di sicuro l’esperienza aiuta. Molti l’avevano visto per la prima volta nella finale degli Europei del 2016, contro la Francia, una partita che fece impazzire Xavi e che portò Deco a dichiarare che: «Ha senso del gioco, è elegante, vede quello che i calciatori normali non vedono». Poi il passaggio all’Inter, il buon inizio, poi la lenta inesorabile decadenza legata a quegli anni terribili dei nerazzurri. Qui sull’Ultimo Uomo gli abbiamo dedicato già tre pezzi che ben riassumono la sua parabola italiana: “Hype Joao Mario”, “Come Joao Mario migliora l’Inter” e “Cosa dobbiamo pensare di Joao Mario?”. In quest’ultimo, rispondendo a un lettore, Francesco Lisanti aveva avuto alcune brillanti intuizioni. Aveva citato i commenti lusinghieri di Luciano Spalletti («a me piacciono questi centrocampisti che ruotano di continuo, che sanno farsi trovare intorno alla palla»), aveva scritto che “in una squadra che ricerca la continua creazione di triangoli per portare avanti la palla c’è sicuramente spazio per un giocatore del genere”. Nel mercato di gennaio del 2018, però, l’Inter aveva già provato a sbolognarlo in prestito con diritto di riscatto al West Ham. A questo primo tentativo infruttuoso seguiranno una stagione senza infamia e senza lode, e altri due prestiti: prima al Lokomotiv Mosca e poi allo Sporting Clube. Solo nell’estate del 2021 l’Inter si convincerà a rescindergli il contratto permettendogli di firmare con il Benfica.
C’è da dire che nemmeno la sua prima stagione al Benfica, la 2021/22, è stata indimenticabile. Pochi giorni fa, nella conferenza stampa di presentazione alla partita d’andata contro il Bruges, un giornalista gli ha ricordato quando l’anno scorso era stato messo in mezzo al campo (invece che sull’esterno destro come quest’anno) e veniva accusato di scarsa intensità. «Penso che la mancanza di intensità ormai sia diventata una scusa per tutto», ha risposto Joao Mario accennando un sorriso di chi si sta trattenendo dal dire tutto ciò che sta pensando «Non sono d’accordo: tutto deve essere fatto collettivamente. Prima c’era un’altra proposta di gioco. Adesso mi sento più sicuro giocando avanti, da numero 8, penso sarebbe stato meglio se fosse successo prima. Non mi piace banalizzare la questione dell’intensità». Joao Mario sembra più sicuro, in questo senso il numero di gol non serve solo a riempire le pagine dei giornali ma anche a sciogliere la tensione in campo. Lo si vede nel modo in cui Joao Mario gioca ma anche in quello con cui va davanti ai microfoni. L’11 ottobre, dopo la partita di ritorno contro il PSG in cui il Benfica gli ha tenuto testa per la seconda volta di fila, il numero 20 portoghese non si è fatto problemi a dichiarare a un giornalista brasiliano che Neymar, a volte, può essere «noioso da morire». Joao Mario scherza senza pensare alle conseguenze e sembra non essere spinto da un qualche senso di rivalsa, nonostante avrebbe anche le sue ragioni per farlo. Dopo la partita d’andata contro il Bruges, in cui ha segnato ancora una volta su rigore, ha ammesso con grande onestà di essere stato fortunato sul gol perché Mignolet aveva intuito la traiettoria riuscendola a deviare. Joao Mario è leggero, insomma, e in campo si vede.
È interessante, però, che ragionando sulla sua rinascita si sia concentrato su una motivazione esclusivamente tattica. A volte ci dimentichiamo che, sotto tutte le sovrastrutture, il calcio rimane un gioco regolato dalle sue dinamiche. In questo senso, è impossibile scollegare il recente stato di forma di Joao Mario dalla grande stagione del Benfica e quindi dal lavoro di Roger Schmidt, nel bene e nel male. Il 4 febbraio scorso, dopo la sua seconda doppietta consecutiva contro il Casa Pia, l’allenatore tedesco ha fatto una descrizione sobria ma efficace di Joao Mario. «È un giocatore completo. Penso sia intelligente, abbia esperienza, e riesce a migliorare i giocatori che ha intorno perché non perde mai il pallone. Inoltre prende sempre ottime decisioni e adesso sta anche dimostrando di avere delle qualità sotto porta». Dopo la partita contro il PSG lo aveva definito «un leader che si prende sempre la responsabilità sia con che senza palla», il giocatore che insieme a Otamendi «guida la squadra». I gol, insomma, sono per Roger Schmidt l’ultima delle qualità di Joao Mario, e questo da solo credo segni la differenza di punti di vista tra chi di lavoro studia il modo di vincere le partite, e chi, da fuori, quelle partite le guarda.
Anche ieri, in un ottavo di finale già indirizzato e contro una squadra tecnicamente inferiore, Joao Mario non ha fatto una partita che rimarrà negli annali di questo sport. Come si dice? Ha fatto il suo. Questa espressione viene utilizzata quasi sempre in senso diminutivo, perché in Italia aborriamo i giocatori minimali, associativi, che non ti strappano gli occhi ad ogni singola giocata. Specialmente i numeri 10 sono chiamati ad essere veri e propri demiurgi della propria squadra: devono saper squarciare il campo con lanci chilometrici, mettere il pallone all’esatto incrocio dei pali con tiri che incendiano l’aria. Fare il proprio, dentro questo Benfica, significa invece tutt’altro, ma questo non significa che sia più semplice. E se per qualcuno il fatto che Joao Mario abbia fatto “solo” il suo sarà una dimostrazione dei suoi limiti è perché non si conosce l’importanza che ha assunto dentro la squadra di Roger Schmidt.
Joao Mario è l’ala destra di un 4-4-2 estremamente aggressivo senza palla, e che in fase di possesso riesce allo stesso tempo a essere fluido al suo interno e a tenere moltissimi giocatori in zona palla. Il Benfica ha il coraggio di giocare in spazi stretti, fare densità al centro per liberare spazio sugli esterni e soprattutto alle spalle della difesa avversaria. Ieri, una manciata di minuti dopo il gol di tacco annullato, Joao Mario si è lanciato in profondità nello spazio liberato tra il centrale e il terzino avversario dal movimento incontro di Rafa Silva, che lo ha servito con un filtrante delizioso. Il portoghese è entrato in area, ha lasciato che la difesa collassasse verso la porta e poi ha servito con un passaggio all’indietro geniale Florentino Luis, che dal limite dell’area piccola incredibilmente ha tirato fuori. Pochi secondi dopo è stato invece lui a inserirsi in area sulla percussione a sinistra di Alex Grimaldo, ma il suo tiro a botta sicura è stato ribattuto sulla linea di porta da un difensore del Bruges. Joao Mario ha anche propiziato il gol del 2-0, spostandosi sulla sinistra e servendo in area Gonçalo Ramos, e il rigore da lui realizzato per il 4-0, recuperando in area avversaria una palla vagante dopo un'incursione di Rafa Silva. Proprio la sua intesa sul centro-destra con Rafa Silva è uno dei motivi principali per cui vale la pena vedere il Benfica quest’anno.
In una partita come questa il rigore e tutti i record che ne sono conseguiti sarebbero dettagli di secondo piano, numeri utili per gli almanacchi, se non fosse che nel calcio il gol è di fatto l’unico linguaggio conosciuto. E allora ben vengano tutti questi gol che, come un risarcimento del fato per un giocatore che non ha mai segnato così tanto, sembrano dire una cosa sola: Joao Mario è uno dei migliori giocatori di questa stagione e non potete farci niente.