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Francesco Lisanti
Cosa dobbiamo pensare di Joao Mario?
22 dic 2017
22 dic 2017
Nella nostra posta Lorenzo ci ha chiesto un giudizio sul centrocampista dell'Inter, risponde Francesco Lisanti.
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Francesco Lisanti
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Dopo quasi un anno e mezzo di esperienza nell'Inter, come possiamo giudicare Joao Mario? Anche quest'anno, nonostante ad inizio anno si pensasse (senza grosse basi in realtà) potesse essere il trequartista di Spalletti, ha faticato a trovare spazio e quando è entrato a gara in corso non ha aiutato molto a far cambiare idea su di lui.

 

È vittima di un equivoco per cui ci aspettiamo da una mezzala di grande tecnica gli strappi e le giocate di un Nainggolan (a cui è stato accostato senza motivo, probabilmente solo perché entrambi hanno avuto Spalletti come allenatore) o potrebbe fare di più anche nel contesto tattico attuale (sempre da trequartista perché le caratteristiche per giocare nei due davanti alla difesa gli mancano probabilmente)?

Lorenzo

 



 

Caro Lorenzo,

fra un mese João Mário compirà 25 anni, un’età in cui i calciatori hanno già disvelato quasi per intero il loro potenziale. Neymar, Pogba, Isco, Salah, lo stesso Icardi: in ogni grande squadra c’è un coetaneo di João Mário che ne influenza risultati e sistema di gioco. Insomma, è un’età in cui i grandi calciatori hanno già dimostrato di esserlo, o almeno hanno già trovato la propria posizione in campo.

 

Classificando per valore di mercato i coetanei di João Mário (a spanne, i giocatori nati tra il ‘92 e il ‘94), Transfermarkt ne mette 35 prima del portoghese. Più o meno tutti hanno attraversato quella fase intermedia necessaria per togliersi l’etichetta di “brillante promessa” e acquisire i gradi di “venerato fenomeno”, cioè quella di “equivoco tattico”: per alcuni è durata un mese, per altri un paio di stagioni, ma a questo punto della carriera sono tutti abbastanza maturi da meritare un giudizio senza attenuanti, che mi sembra essere il punto centrale della tua domanda. Che etichetta dobbiamo appiccicare a João Mário?

 

La domanda in qualche modo mi tocca personalmente. Non so se anche tu guardi di sfuggita le partite del Portogallo nella speranza di vederlo brillare come nella finale di Parigi che fece innamorare Xavi e dire a Deco: «Ha senso del gioco, è elegante, vede quello che i calciatori normali non vedono». Magari anche tu sei stato felice quando con la complicità di Djourou ha buttato in porta quel pallone che ha mandato il Portogallo ai Mondiali, e poi sei corso sulla sua bacheca Facebook per reagire con “grrr” a quei commentatori che gli chiedevano di tirare fuori gli attributi (per usare una benevola edulcorazione) anche con l’Inter.

 

In risposta ai dubbi sulla sua posizione naturale, nella prima conferenza italiana João Mário si definì «medioala», volendo identificare quel ruolo di trequartista esterno che occupava nello Sporting, nel Portogallo Under21, e poi ancora nella Nazionale maggiore. João Mário è cresciuto nel 4-2-2-2, il modulo che definisce l’identità contemporanea del calcio portoghese: in Nazionale gioca a sinistra, a piede invertito, e a destra ci gioca Bernardo Silva, che occupava quel ruolo anche nel Monaco di Jardim. In quel sistema gode di molta libertà, perché può partire largo e spingersi molto all’interno del campo nel corso dell’azione, ma anche di molti riferimenti vicini: il terzino che sale, il mediano in appoggio alle spalle, Ronaldo che si abbassa per gli scambi corti.

 

Nell’Inter non potrebbe partire largo, e da trequartista non trova gli stessi riferimenti. Entra spesso a partita in corso, quando le squadre si allungano e gli spazi si aprono, ovvero un contesto che ne riduce l’influenza e ne amplifica i limiti, gli stessi che si trascina dietro dal suo arrivo all’Inter a oggi. Ad esempio, il gioco lungo di João Mário è abbastanza impreciso: l’84.5% di precisione nei passaggi scende fino a 58.7% se consideriamo solo i passaggi lunghi. Alla radice c’è qualche difetto nella coordinazione, ma anche una questione di stile di gioco.

 

João Mário corre con il pallone sempre molto vicino al corpo, con la testa alta e il busto molto rigido, e per questo non si trova mai nella posizione di unire potenza e precisione. Arriva al tiro pochissimo (esattamente una volta ogni 180 minuti da quando è all’Inter) e quando ci arriva è sempre molto deludente, quasi arrendevole, come domenica scorsa contro il Chievo. João Mário rovescia completamente il senso di quel claim pubblicitario per cui «la potenza non è nulla senza il controllo». È un giocatore tutto-controllo.

 

D’altra parte, la postura raccolta lo rende molto efficiente in altre situazioni di gioco, come la resistenza al pressing. Con quel baricentro così basso, potrebbe proteggere il pallone e scaricarlo al momento giusto anche in una gabbia di tigri. Questo l’ha notato subito anche Spalletti, che in estate rispondeva così proprio a chi azzardava un paragone tra Radja e João: «Loro sono un po’ differenti. Radja è uno che strappa di più, ma João è molto più bravo nello stretto, nel palleggio, a venir fuori dalle situazioni di pressione negli spazi corti».

 

Ritorna il tema degli spazi corti, la necessità di João Mário di avere molti giocatori vicini per muovere gli schieramenti avversari e non venirne soffocato. Sempre in estate, il portoghese si era detto ottimista sui suoi margini di miglioramento per la stagione: «La cosa decisiva è che la squadra abbia tanto possesso palla. L’anno scorso succedeva poco ed era tutto più difficile». João Mário si sente un giocatore di sistema, a suo agio se può creare superiorità posizionale anziché imporsi con la superiorità tecnica (che è ottima, ma non eccellente). Probabilmente una mezzala di possesso, per rispondere alla domanda sulla collocazione.

 

Non è così rilevante che a Spalletti piaccia questo tipo di giocatore (anche perché credo a Spalletti piaccia soprattutto vincere), ma che lo abbia capito, e di questo possiamo essere sicuri. Poi troverà il modo e il contesto adatto in cui inserirlo, adattandosi alle richieste della partita. A me è piaciuto molto contro il Chievo, dove ha giocato a tutti gli effetti da mezzala e ha affinato l’intesa nello stretto con Borja Valero, mentre davanti c’era Brozovic a dare quegli strappi e quelle verticalizzazioni che João Mário non ha nel suo repertorio.

 

Spalletti ha colto la palla al balzo per ribadire che le riserve sono importanti e che lui non boccia nessuno, piuttosto sceglie di volta in volta i migliori, ma a onor di cronaca continuava a difenderlo anche qualche mese fa, dopo due prestazioni opache contro Spal e Bologna: «Allora, a me piacciono questi centrocampisti che ruotano di continuo, che sanno farsi trovare intorno alla palla. (...) Il centrocampo che ruota e cambia posizione di continuo diventa meno marcabile e diventa una squadra più in movimento».

 

In questo João Mário è sicuramente un’eccellenza. Non perde mai la bussola dell’orientamento spaziale, può muoversi in tutte le direzioni e cambiare passo rapidamente, e in una squadra che ricerca la continua creazione di triangoli per portare avanti la palla c’è sicuramente spazio per un giocatore del genere. Magari non a ridosso della trequarti, meglio qualche metro più indietro, eventualmente quando Borja Valero avrà bisogno di rifiatare.

 

La storia recente dell’Inter insegna che è sempre sbagliato sacrificare un talento sull’altare dell’incompatibilità tattica (Roberto Carlos, Pirlo, in misura minore Coutinho). Certo, João Mário potrebbe fare di più, e se devo indicare dei margini di miglioramento me li aspetto soprattutto nella visione di gioco e nelle letture quando si alzano i ritmi, non sempre all’altezza di un regista offensivo.

 

Per il resto, rimane un giocatore esteticamente appagante e questo mi basta per giustificarne l’investimento. Facci caso, la prossima volta che completa una giravolta di centottanta gradi in un movimento unico, che lo mette di fronte alla porta nel tempo del primo controllo. Ha un effetto rappacificante, al di là che gli riesca o meno la successiva verticalizzazione. I commentatori dovrebbero chiedergli di tirare fuori più giocate del genere.

 

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