
Nel giro di tre settimane l’Italia del volley si è presa tutto. Il 7 settembre la Nazionale femminile ha conquistato il secondo mondiale della sua storia, ieri nel primo pomeriggio è stata la volta di quella maschile guidata da Fefè De Giorgi, che ha bissato il titolo del 2022 grazie al 3-1 alla sorprendente Bulgaria in finale. È il punto esclamativo al lavoro di un movimento che da diversi anni sta dominando nelle competizioni giovanili, ma soprattutto è la conferma del valore di questo ciclo, inaugurato nel 2021 dopo le Olimpiadi di Tokio.
Un gruppo rinnovato e ringiovanito, tornato subito ai vertici della pallavolo mondiale e che come peggior risultato nei grandi tornei ha un quarto posto negli ultimi Giochi Olimpici. È un successo frutto della costanza di rendimento, impareggiabile anche per i principali competitor, la Francia (che ha sì vinto le ultime due Olimpiadi, ma nel mezzo ha “bucato” tanti appuntamenti, compreso questo mondiale in Asia, terminato già alla fase a gironi) e la Polonia, che dal 2022 ha disputato 5 finali ma ha vinto “solo” un europeo e due VNL, una competizione comunque accessoria rispetto a mondiali, olimpiadi ed europei.
L’Italia invece è sempre arrivata in fondo, alzando come nel 2022 il livello dei fondamentali nella fase a eliminazione diretta. La sua gioconda è stata la semifinale vinta 3-0 con la Polonia. In finale, poi, gli azzurri non hanno toccato gli stessi picchi qualitativi col muro difesa, hanno viaggiato più a sprazzi, portando il primo, il secondo e il quarto set dalla propria parte grazie ai turni al servizio straripanti da parte di Romanò (forse il vero mvp della manifestazione) e Bottolo.
UNA SEMIFINALE DI GRANDE REGOLARITÀ
Per battere la Polonia serve sempre un’impresa. Una partita di genio, ma anche di costanza. Bisogna mettere pressione, togliere certezze agli uomini di Grbic; che non si è presentato a questo mondiale post-olimpico con la rosa migliore (tra gli altri, sono rimasti a casa Janusz, Bieniek, Kaczmarek e Zatorski) e prima della partita ha perso Kurek, l’opposto titolare, mentre nel terzo set ha mandato in campo un Fornal probabilmente debilitato dall’infortunio alla schiena subito martedì (lo schiacciatore dello Jastrzebski non ha attaccato neanche un pallone). Ma anche in queste condizioni, la Nazionale biancorossa rimaneva comunque la grande favorita per la vittoria finale.

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Per superare indenni la semifinale bisognava innanzitutto servire e ricevere meglio della Polonia, confermando gli standard molto alti imposti negli ottavi e nei quarti. Un obiettivo facile solo a parole, eppure sabato gli azzurri hanno ribadito quanto questa squadra possa essere continua e ficcante dai 9 metri: l’Italia ha messo insieme 7 ace in 3 set (e 16 errori, un numero comunque contenuto se considerato a quanto la nazionale abbia spinto e ricavato) con 5 giocatori diversi. La Polonia, che dispone di una delle migliori batterie di battitori al mondo, si è fermata a 3, tutti di Huber all’inizio del primo e del terzo set, quando ha pizzicato prima Michieletto e poi Bottolo. I campioni in carica hanno offerto un rendimento quasi commovente anche in ricezione: sfiorare il 32% di perfetta è uno statement, un certificato della qualità della seconda linea, anche in una giornata in cui Bottolo, al primo grande big match della sua carriera in nazionale, è andato in difficoltà.
La tenuta di Balaso sulla staffilata di Leon.
Eppure Michieletto e Balaso sono riusciti a coprirlo, mostrando una cooperazione e una capacità di adattamento degne del loro talento: il libero della Lube ha giocato la miglior partita del suo mondiale garantendo qualità nel fondamentale anche quando si stendeva o riceveva con un bagher laterale, idem Michieletto che spesso ha messo le ginocchia a terra pur di offrire un buon piano di rimbalzo. La banda di Trento è stata cercata abbastanza in seconda linea, in modo che non avesse la possibilità di attaccare in pipe, anche se l’obiettivo principale si chiamava appunto Bottolo.
Ma anche in una giornata di grande sofferenza (3/17 in attacco con 5 errori), da terzo di rete lo schiacciatore veneto ha mostrato grande compostezza in difesa, realizzando 3 punti decisivi nei finali di set: l’attacco del 25-21 nel primo parziale, oltre a quelli del 22-22 e del 24-22 nel secondo.
UNA SEMIFINALE DI GRANDE CREATIVITÀ
Magari guardando il punteggio si potrebbe pensare a una semifinale sì equlibrata ma più o meno sotto controllo, in cui l’Italia ha vinto grazie alla solidità al servizio e in rice. In realtà gli azzurri sono andati sotto in tutti e tre i set, con la possibilità concreta di deragliare, o quanto meno di allungare la partita. Nel primo parziale Bottolo e Gargiulo - l’altro esordiente, anche lui in difficoltà e sostituito nel secondo set da Anzani – hanno commesso 3 errori e la Polonia è andata avanti di 4 punti (7-11) con la possibilità di scappare sul +5, ma sulla palla spinta di Sasak, Balaso e Giannelli hanno raschiato il campo pur di tenerla alta (l’azione si chiuderà con un’altra difesa di Michieletto e l’attacco vincente di Romanò). A posteriori, è una di quelle azioni che “misura” la determinazione e la coesione del sestetto, quella capacità di costringere l’avversario a un attacco supplementare.
Giannelli che ha pure la lucidità di asciugare il sudore da terra prima del salto a muro. Personaggio unico.
Anche il cambio palla tenuto in maniera apparentemente fortuita sul 21-22 nel secondo set si è rivelato un termometro di quanto nei momenti caldi questo sestetto sia riuscito a compattarsi attorno al pallone e a inventare, tenendo viva due volte una palla destinata a cadere e improvvisando un attacco punto.
Tornando al primo parziale, la serie di 4 battute consecutive sbagliate dalla Polonia ha permesso all’Italia di concentrarsi sulla fase punto, dove ha risposto con ben altra pericolosità dai 9 metri. Quando il servizio azzurro è diventato un fattore, già da metà primo set, Komenda è stato costretto a giocare quasi solo con lo schiacciatore di prima linea, con il muro difesa bravo a farsi trovare preparato alla ricostruzione, senza farsi usare dall’attaccante avversario. Se il primo set è stato conquistato con un margine minimo (25-21), gli altri due si sono rivelati ancora più tirati e per rompere l’equilibrio De Giorgi si è giocato la carta Francesco Sani. Sani è uno schiacciatore del 2002, convocato al posto dell’infortunato Lavia e in possesso di una battuta fulminea. Ma probabilmente neanche lo stesso Fefè si sarebbe aspettato che Sani si presentasse con un filotto di 3 battute consecutive, compreso l’ace del 25-22. Non solo, lo schiacciatore cresciuto negli Stati Uniti farà ancora meglio nel terzo set, quando servirà 4 volte e farà registrare un altro punto dai 9 metri (da 19-19 a 22-19).
La Polonia era ripartita nel terzo prendendo subito il largo, anche un vantaggio di 5 punti (3-7, 6-11) grazie a una battuta adesso incisiva, capace di staccare la ricezione e abbassare le percentuali offensive dell’Italia. Che non lascia andare il set, anzi mette il caschetto in seconda linea e inizia a difendere il suo cambio palla, rosicchiando un punto alla volta. Perché è vero che Leon è un fuoriclasse capace di sfondare anche col muro piazzato e nel terzo Sasak ha inciso di più (4/8 in attacco), ma l’Italia si è dimostrata pure in un momento di minor brillantezza più preposta ad accettare gli scambi lunghi e interpretare meglio i momenti della partita. Insomma una squadra più organica e con più risorse. Non era affatto scontato alla vigilia.
Oltre all’impatto di Sani, era difficile pronosticare quello di Luca Porro nel terzo, quando ha preso il posto di Bottolo, sostituito dopo aver subito un ace e un muro. L’ingresso del classe 2004 ha restituito stabilità alla seconda linea e aggiunto una soluzione in posto 4: Giannelli lo ha responsabilizzato molto (troppo?) quando lo ha servito per tre volte consecutive sullo scambio del 22-21, ma Porro al terzo tentativo è passato in mezzo al muro a due. A quel punto l’Italia era già entrata nella sua bolla di caos organizzato: era sufficiente tenere una palla alta al centro del campo perché arrivasse Michieletto a tirare una lavatrice da seconda linea.
Tutto perfettamente normale nel mondo del migliore schiacciatore in circolazione.
L’ultimo punto racchiude un significato se vogliamo simbolico, considerato che lo schiacciatore di Trento e Giannelli sono i talenti generazionali di questo gruppo, che ha costruito le sue vittorie sulle pipe proprio di Michieletto e dell’infortunato Lavia. Un’azione che, tra le altre cose, denota pure la scarsa lucidità del muro polacco: Fornal abbocca a una finta di primo tempo che Giannelli non alza da più di un set, Huber invece si sposta alla sua destra per dare assistenza a Komenda in posto 2, ma da quella parte c’è Porro che dopo lo scambio chilometrico descritto sopra ha appena preso una murata. Per il numero 5 è quasi un cioccolatino, che scarta prima di correre con la mano all’orecchio a festeggiare la terza vittoria con la Polonia negli ultimi 4 confronti nei grandi tornei.
LA SCHEGGIA IMPAZZITA BULGARA
La Bulgaria è tornata tra le grandi dopo un decennio in cui la sua competitività era crollata. L’ha fatto da assoluta outsider, senza particolari aspettative. Certo, si trovava dalla parte del tabellone più agevole, a maggior ragione dopo l’eliminazione del Brasile, ma era comunque difficile pronosticare un simile exploit, scandito da una clamorosa rimonta nei quarti contro gli Stati Uniti dopo essere andata sotto 0-2. Una Nazionale che si è retta sull’esuberanza di due fenomeni come i fratelli Nikolov, 39 anni in due: al palleggio il 18enne Simeon, alzatore estroso che ama velocizzare il gioco ma anche attaccare in prima persona (per dire, ha attaccato più palloni di uno dei due centrali, Petkov), come S2 il 21enne Alexander, un funambolo che da tre anni gioca alla Lube Civitanova.
L’allenatore, l’ex CT dell’Italia Gianlorenzo “Chicco” Blengini, ha modellato sul talento unico di Alexander nell’attaccare da ogni zona (e probabilmente sull’assenza di un opposto di livello) un modulo con 3 schiacciatori, dove Asparuhov gioca come opposto ricevitore, in cui si riceve sempre in 4 a parte sulla P6 e sulla P3. Inoltre il primo schiacciatore Atanasov non attacca mai da zona 1 e 2, che invece sono di competenza di A. Nikolov sulla P3 e P2. La Bulgaria era ampiamente sfavorita in questa finale, del resto essere arrivati fino in fondo costituiva già un grande traguardo. Eppure si può addirittura dire che abbia giocato una partita migliore dell’Italia per tre set (compatibilmente coi suoi limiti). Ma non è stato abbastanza per vincere più di un set, un po’ perché i fratelli Nikolov non hanno un supporting cast adeguato (forse solo l’ex Verona e Ravenna Grozdanov al centro), un po’ perché alla grandissima partita di Alexander Nikolov (top scorer del mondiale) ha risposto la prestazione non meno strepitosa di Romanò.
IL MONDIALE DI ROMANÒ
La costante tra semifinale e finale ha un nome e un cognome, quelli di Yuri Romanò: in una due giorni in cui gli schiacciatori si sono accesi a corrente alternata, l’opposto mancino ha rappresentato il porto sicuro da cui andare quando bisognava mettere giù palla. Romanò con la maglia della Nazionale si esalta, formando con Giannelli una delle migliori diagonali palleggiatore-opposto in questi tornei brevi: ha risolto quasi da semi-sconosciuto la finale di Euro 2021 e nelle ultime tre stagioni in Nazionale ha mantenuto degli standard elevatissimi. Mai come in questo mondiale si è caricato la squadra sulle spalle: nel recente passato è stato spesso il terzo violino dopo Michieletto e Lavia, nelle Filippine invece c’è stato bisogno di lui per muovere il tabellino quando il cambio palla si inceppava. A maggior ragione in finale, dove lo schiacciatore di prima linea ha fatto parecchia fatica a passare (il primo attacco punto di Michieletto da 4 risale al secondo set, la diagonale lunga del 9-4).
Nel dubbio, palla a Romanò.
Giannelli lo ha cavalcato anche con ricezione più spostata verso 4, alzando dei palloni decisamente rapidi che l’ormai ex opposto di Piacenza apprezza molto. A parte le prime battute del terzo parziale con la Polonia, in cui Giannelli aveva perso la misura dell’apertura dietro, Romanò è stato una sentenza nelle Filippine, a maggior ragione ieri pomeriggio. In finale il numero 16 ha preso solo una murata, peraltro casuale, diversamente 16 attacchi punto su 23, in cui ha dato prova di un repertorio che si è ampliato nel tempo. Fino a 3 anni era principalmente un diagonalista, oggi sa tirare bene anche in parallela o spingere la palla sulle mani del muro. L’opposto mancino ha portato punti con ogni fondamentale, compreso il muro e la striscia di 5 ace con cui ha chiuso il secondo set (da 18-16 a 23-17).
L’Italia però non è stata in grado di imporre il proprio ritmo, è andata a folate, penalizzata da una ricezione spesso fuori dai 3 metri (Michieletto ha fatto registrare appena 2 ricezioni perfette su 23, Balaso 4 su 16) che ha avuto problemi a coprire le zone di conflitto, specie 6-5, e dal rendimento deficitario dei posti 4, che si sono tenuti a galla con le pipe. La Nazionale di De Giorgi si è fatta trascinare dalla vena dei fratelli Nikolov, in particolare un Alexander praticamente inarrestabile per il muro difesa (23 punti, 21/36 in attacco) a meno che non si ritrovasse a gestire alzate clamorosamente complicate.
l'Italia è riuscita a prendere margine nei primi due set con dei turni lunghi al servizio, come quello di Bottolo nel primo e quella già menzionato di Romanò nel secondo, contro un avversario che fatica a mantenere un’andatura stabile sul lungo termine e che, appena ha rallentato, ha subito dei break da 3-4 punti. Anche perché la ricezione balcanica si regge sempre su un equilibrio precario.
I bulgari si sono esaltati nel terzo parziale, approfittando del peggior set della Nazionale in ricezione e attacco (1/7 per Michieletto, una murata e un ace subito da Bottolo, sostituito da Porro), difendendo profondo e appoggiandosi alle battute di Atanasov, autore di una buona partita, 8/13 in attacco) e ovviamente a un Nikolov che ha toccato l’apice della sua partita, in cui ha lasciato il segno anche a muro (11-17) e al servizio (14-20).
Quei palloni troppo invitanti per non essere attaccati quando sei on fire.
Per uscire da questo momento di difficoltà, è “bastato” tornare a spingere dai 9 metri. 18 errori in 4 set non sono molti, ma dopo i 7 del primo set De Giorgi probabilmente aveva chiesto a Giannelli e Russo di passare a una battuta più tattica, per forzare meno e cercare magari qualche variazione corta. Una mossa che non ha pagato granché, perché Simeon Nikolov tra secondo e terzo set ha potuto giocare abbastanza con palla in testa, riuscendo a nascondere una distribuzione in realtà abbastanza prevedibile (il fratello in questo torneo ha attaccato quasi il 43% dei palloni complessivi, praticamente un pallone ogni due).
Per fortuna nel quarto sono rientrati in partita di forza i due schiacciatori. Michieletto con 4 punti e una difesa, mentre Bottolo è stato protagonista di un cambioverso pazzesco, segnato da 10 punti tondi arrivati da tutti i fondamentali, compresi due muri e due lunghe serie al servizio (9 battute e 4 ace). Dai 9 metri ha giocato la miglior gara del suo mondiale, propiziando subito il break che ha spaccato irreversibilmente il parziale (da 4-3 a 9-3). È stato per distacco il miglior set della finale per gli azzurri, finalmente incisivi anche col muro e in ricostruzione. La Nazionale ha guadagnato subito un margine rassicurante che Blengini ha provato a ricucire inserendo un opposto di ruolo, Antov, ma senza particolare costrutto (4 punti ma anche 4 errori).
Sulla seconda chilometrica serie di Bottolo, a firmare il punto della vittoria ci ha pensato Simone Anzani. Una rivincita per uno dei giocatori più sfortunati di questo gruppo, costretto a saltare europei e olimpiadi a causa di problemi cardiaci. A 33 anni il centrale di Modena ha dimostrato di poter essere ancora graffiante a muro come 3 anni fa in Polonia. In finale poi si è rivelato un’uscita più che credibile al centro (7 su 10), in una giornata dove Russo ha fatto più fatica (2 su 5) e Giannelli più che comprensibilmente si è fidato di più della pipe.
Non è stata la partita più brillante del mondiale, ma in finale l’Italia ha potuto mettere sul piatto una maggior esperienza e una prepotenza dal servizio inedita nella storia recente. Un gruppo che si presentava a questi mondiali senza uno dei giocatori cardine, Daniele Lavia, ma che ha trovato in Bottolo molto più di un’alternativa. La profondità del serbatoio a cui può attingere De Giorgi era impensabile nell’era Blengini (che pure ha lasciato la Nazionale solo quattro anni fa).
I dubbi sull’organicità di questa squadra sono stati spazzati via da una fase a eliminazione diretta imperiosa e il capitano Simone Giannelli, dopo aver vinto in maggio la Champions League con Perugia, ha aggiunto un altro mondiale alla sua bacheca (il 12° titolo di una carriera da leggenda).
Dopo la doppietta europea maschile-femminile del 2021, l’Italia si è ripetuta sul palcoscenico mondiale: per trovare un dominio simile nella pallavolo bisogna tornare agli anni ’50 e ’60, quando l’Unione Sovietica vinse sia con la maschile che con la femminile nel 1952 e nel 1962.
Poi certo, si potrebbe parlare dell’inopportunità della Fivb di trasformare il mondiale in un evento biennale, il miglior viatico per ridurne l’importanza e il prestigio (sempre per il ragionamento di tante federazioni sportive di intasare il calendario di partite, in modo da nutrire ininterrottamente il pubblico), ma non è questo il momento. Oggi si festeggia una Nazionale che sta ripercorrendo ad ampie falcate le gesta della “generazione dei fenomeni”, di cui Fefè De Giorgi rappresenta il filo conduttore: dopo i tre mondiali vinti da giocatore, questo è il secondo da allenatore.