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La vittoria della sofferenza
08 set 2025
L'Italia torna a vincere l'oro mondiale a 23 anni dall'ultima volta nonostante due sfide difficili contro Brasile e Turchia.
(articolo)
15 min
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IMAGO / Xinhua
(copertina) IMAGO / Xinhua
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Un anno fa a Parigi la Nazionale di volley vinceva un oro olimpico che sublimava un percorso di un ciclo, iniziato con l’argento mondiale del 2018. Detta così sembra un processo naturale e inevitabile ma in pochi ricorderanno oggi che quel ciclo aveva rischiato di deragliare nell’estate 2023, quando il commissario tecnico Davide Mazzanti aveva deciso di dimettersi. Anche per questo, l'oro olimpico arrivato un anno dopo è stato più sorprendente di quanto forse non ricordiamo - e ancora più sorprendente è stato il percorso per arrivarci, visto che l'Italia aveva perso un solo set nell’intero torneo. Arrivati a questo Mondiale la storia però era ormai cambiata: la Nazionale di Velasco arrivava quasi con l’obbligo di ripetersi, o comunque come la squadra da battere.

L’Italia effettivamente è arrivata in Thailandia con una consapevolezza nuova, ma in questo Mondiale ha dovuto soffrire molto di più per battere prima il Brasile in semifinale, poi la Turchia in finale, entrambe al tie break. La vittoria della resilienza, per utilizzare un termine che andava molto di moda quando questa Nazionale è nata, che le ha permesso di ribaltare l’inerzia della finalissima, trovando risorse e soluzioni apparentemente inimmaginabili fino a pochi minuti prima.

Se in semifinale le azzurre hanno dato vita a una gara epica contro il Brasile per la qualità degli scambi e della fase break (una delle più belle della storia recente?), ieri pomeriggio sono state dominate dalla Turchia nei due set persi, il secondo e il quarto, mostrando una difficoltà inedita nel murare e difendere le centrali Erdem e Gunes, oltre all’opposta Vargas, probabilmente la migliore in campo. È facile immaginare però che la finale sia stata figlia della maratona contro il Brasile, una sorta di finale anticipata che ha svuotato l’Italvolley di risorse fisiche e mentali, oltre a portare in dote le due distorsioni alla caviglia per Orro e Fahr.

IL PERCORSO DELL'ITALIA E LE SCELTE DI VELASCO
L’Italia si era presentata alla semifinale dopo un percorso pienamente convincente, in cui aveva perso un solo set, il terzo con il Belgio nell’ultima partita del girone. Nella fase a eliminazione diretta, contro Nazionali europee piuttosto temibili in attacco come Germania e Polonia, aveva mostrato una fase punto commovente per la precisione del muro difesa e la perentorietà del contrattacco. Rispetto al 6+1 di Parigi, Velasco era ripartito dalle certezze, la diagonale palleggiatrice-opposta Orro-Egonu, la migliore combinazione possibile in questo momento storico (che si alterna a gara in corsa con Cambi e Antropova, altra opposta di livello mondiale), le centrali Fahr e Danesi, forse il miglior muro in circolazione, il libero De Gennaro, molto probabilmente il miglior libero del decennio, e Sylla in banda.

In diagonale con l’ormai ex schiacciatrice di Milano, Velasco non ha confermato Caterina Bosetti, che l’allenatore argentino ha congedato in maniera un po' brutale («In quel ruolo [quello di schiacciatrice, ndr] bisogna lanciare giocatrici che possano farci fare un passo in più»). Una scelta molto forte, quella di rinunciare a una delle bande più tecniche in Italia, motivata forse dalla volontà di cercare un’attaccante più prolifica. La scelta sarebbe ricaduta su Alice Degradi, se non fosse per l’infortunio al ginocchio durante la finale di VNL, che le ha fatto saltare il Mondiale (dopo che aveva dovuto rinunciare alle Olimpiadi per lo stesso motivo). Senza Degradi, la titolare è diventata così la ventunenne Stella Nervini, al primo grande torneo con la nazionale maggiore.

Il peso di Nervini in contrattacco, almeno fino ai quarti di finale.

Con una giocatrice più preposta ai fondamentali di prima linea che di seconda (tutta da testare in un contesto così probante), il labile equilibrio di posto 4 doveva essere sorretto appunto da Sylla, ancora una volta l’ago della bilancia di questa squadra. La futura schiacciatrice del Galatasaray si è confermata il collante tra primo e seconda linea, quella giocatrice chiamata a riempire le sue partite con quante più cose possibili (in primo luogo attacco e difesa) e rappresentare un’alternativa alla palla all’opposto.

Anche perché da una parte il gioco di Orro è diventato sempre più minimale (nelle ultime due gare la palleggiatrice non ha mai giocato primi tempi spostati o lontano dalla rete e più in generale non ha mai coinvolto le schiacciatrici da seconda linea, o ancora l’opposta con un attacco diverso dalla palla in 1), dall’altro la rinuncia alla convocazione, stando almeno alle parole di Velasco, da parte delle centrali Chirichella, Lubian e Bonifacio, più la schiacciatrice Pietrini, ha ridotto al minimo le alternative al sestetto titolare.

Fino ai quarti, però, tutto questo non è sembrato rappresentare un problema, anzi le giocatrici chiamate in causa per rinforzare la seconda linea, come Fersino e Giovannini, hanno sempre fornito dalla panchina un contributo prezioso.

LA FINALE ANTICIPATA CON IL BRASILE
Dopo il 3-0 perentorio nei quarti alla Polonia, a certificare il livello di sicurezza e fiducia maturato in questi mesi (anche grazie al trionfo in luglio in Nations League), le azzurre sono arrivate alle semifinali col Brasile da favorite, o comunque nella posizione di chi è artefice del proprio destino.

Eppure le azzurre hanno iniziato la semifinale in maniera impacciata, nelle scelte a muro come in cambio palla, tanto che Egonu è stata sostituita con la squadra sotto di 7 punti (10-17). Sylla ha ammesso che la squadra ha ripensato all’ultima semifinale mondiale, quella del 2022 persa 1-3 proprio con il Brasile (del resto la formazione per 5/7 era la stessa). «Ci stavamo sabotando», ha spiegato la schiacciatrice, dopo un primo set davvero contratto, quasi impensabile per una squadra che in questo biennio ha dimostrato di controllare quasi ogni fase della partita.

Uno scambio tipo della semifinale.

Di fronte alla selezione di Zé Roberto sono emersi i limiti dell’Italia di Velasco, una formazione non troppo incisiva al servizio – in questa edizione anche due ottimi servizi come quello di Egonu e Orro si sono dimostrati meno efficaci – e che non ha un vero cambio offensivo in posto 4 (Omoruyi viene da due stagioni abbastanza negative, mentre Giovannini è una specialista della seconda linea). Insomma a un certo punto è parso chiaro che l'Italia non avesse variazioni sul tema significative al sestetto a parte il doppio cambio sistematico sulla seconda rotazione.

Dopo un primo set discreto (5 attacchi punto), Nervini è uscita dalla partita (7 errori a fronte di appena 3 punti negli altri 4 parziali) dando l’impressione di trovarsi in un contesto più grande di lei, almeno in questo momento. Una sensazione confermata in finale, dove ha messo assieme 6 punti e altrettanti errori. Il che è comprensibile per una giocatrice di 21 anni, che ha già due stagioni in A1, ma in squadre di media-bassa classifica. Nervini però nel corso di quest’estate ha offerto una buona crescita, migliorando la stabilità della sua ricezione, almeno in posizione frontale, oltre che nella scelta dei colpi in attacco (fino ai quarti). Insomma, non tutto è da buttare.

L’uscita di Nervini ha ridotto ulteriormente la gamma di uscite a disposizione di Orro, che si è fidata poco delle centrali, forse anche a causa delle condizioni di Fahr, che ha subito una distorsione alla caviglia nel riscaldamento, spostando inevitabilmente il gioco sulla schiacciatrice di prima linea e l’opposta. Ad ogni modo va sottolineato il ruolo di Giovannini in semifinale e ancora di più in finale, due sfide in cui è stata inserita non solo per il giro dietro ma anche in prima linea. Nonostante sia stata chiamata da Velasco per le sue qualità da ricevitrice/difensore, contro la Turchia ha firmato 4 attacchi vincenti (su 9 tentativi) molto utili ad alleggerire il peso dell’attacco dalle spalle delle altre laterali. In particolare il palleggio spinto del 6-6 nel quinto set ci ha permesso di uscire dal peggior momento di sofferenza.

La sensazione era che il Brasile facesse tutto un po’ meglio (numeri alla mano, le verdeoro hanno fatto registrare in attacco 4 punti percentuali in più, 34 a 38, e murato di più, 15 a 22), anche perché Roberta sembrava avesse più soluzioni dalla sua. Ma anche una partita eccelsa non è bastata al Brasile per superare l’Italia, il che ci racconta qualcosa di nuovo sulla durezza di questo gruppo e sulla capacità di rimontare gli svantaggi (le azzurre hanno perso il primo e il terzo parziale) come di resistere in 4 set lottati punto a punto.

Il muro italiano ha portato sì meno punti (detto che 15 vincenti in 5 set sono comunque tanti), però ha toccato tanti palloni, 29 a partire dal secondo parziale, in cui è migliorata la correlazione tra prima e seconda linea. È emersa tutta la forza difensiva delle ragazze di Velasco, che può contare sul miglior libero in circolazione, ma anche diversi difensori aggiunti, come Orro e Sylla. L’Italia ha accettato i suoi punti deboli - contro un avversario in grado di tirare su qualsiasi cosa e contrattaccare con Rosa Maria e Gabi, la migliore schiacciatrice al mondo - senza disunirsi e farsi prendere dalla frenesia. Ha assorbito i passaggi a vuoto in cambio palla e soprattutto i tanti scambi chilometrici, facendo leva a sua volta sulla qualità nella ricostruzione.

Negli ultimi due parziali il sestetto di Zé Roberto ha murato di meno (4 a 6) e sbagliato di più in attacco (13 errori a 9), che poi è praticamente quello scarto che ha permesso all'Italia di vincere il quarto set 25-22 e il quinto 15-13. Mi rendo conto che rischia di essere un ragionamento semplicistico, ma questo testimonia anche la distanza minima che separa la vittoria da una sconfitta in una partita così tirata. Una partita in cui Antropova ha confermato di essere molto di più di una semplice alternativa a Egonu. È entrata nella seconda metà del primo set, mettendo assieme 28 punti in poco più di due parziali e reggendo a tratti da sola il peso dell’attacco e del contrattacco.

Anche Antropova ha una palla discretamente pesante.

Negli ultimi due parziali però è tornata in campo Egonu, che anche in una giornata abbastanza opaca (10/35 in attacco) ha alzato il livello del suo gioco nel momento decisivo, al tie break con l’attacco del 13-13 e soprattutto quello del 15-13. Ed è come se “Poli”, che in quella semifinale del 2022 aveva attaccato out il pallone sul set point avversario nel primo set, avesse chiuso un cerchio. Stavolta invece non ha forzato il colpo, anzi ha avuto la pazienza di giocare sulle mani alte di Bergmann.

LA VERA FINALE
A meno di 24 ore dalla maratona da 135 minuti con il Brasile, l’Italia è tornata in campo per affrontare la Turchia, alla prima finale iridata della sua storia. Una rivalità recente, quella tra le due squadre, che si è accesa grazie all’ascesa prepotente del movimento turco prima con i club poi con la Nazionale, capace di conquistare nel 2023 VNL ed Europeo anche grazie all’allenatore dell’Imoco Conegliano, Daniele Santarelli.

Un sestetto che si regge sull’applicazione di Karakurt, che da opposta è stata spostata schiacciatrice per far spazio a un’attaccante incredibile come Melissa Vargas e su un gioco al centro, con Gunes e in particolare la 38enne Erdem, che porta sempre tanti punti, almeno quando la ricezione lo consente. Le ragazze di Velasco hanno confermato invece le stesse difficoltà del giorno prima, anzi si sono amplificate in entrambe le fasi. «Eravamo stanche, forse un po’ disconnesse per quello che è successo ieri», ha ammesso Orro in un'intervista post partita.

La Turchia dal canto suo ha giocato una grande partita, difendendo e ricostruendo più di quanto ci si potrebbe aspettare da una formazione che schiera due opposti contemporaneamente, generalmente un po’ “sbagliona” quando deve riorganizzarsi nei primi due tocchi. Vargas ha sfondato quota 30 punti, mentre le centrali ne hanno messi insieme 28, chiudendo Fahr e Danesi quando Orro provava a servirle (anche se è possibile che la prestazione di Fahr sia stata condizionata dall’infortunio subito sabato). La palleggiatrice sarda le ha cercate solo con ricezione in testa e palla vicino alla rete, ma anche in quelle situazioni sono passate poche volte (Danesi 5/13, Fahr addirittura 1/10). In più le centrali azzurre, cosa ancora più insolita, hanno avuto abbastanza problemi anche nel fornire assistenza ai laterali e nel leggere le traiettorie dell’opposta cubana naturalizzata turca (prima è andata sulla diagonale, poi ha privilegiato la “sua” diagonale lunga).

Senza un’uscita al centro credibile (e una ricezione ondivaga, solo il 21,8% di perfetta), come in semifinale il gioco della MVP del torneo Alessia Orro si è spostato soprattutto sul lato destro del campo, quello di Egonu e Antropova. Egonu ha giocato una finale altalenante, ma è riuscita a concentrare il meglio nel terzo set, in cui i suoi 13 punti hanno fatto la differenza, su tutti l’ace del 26-24.

La sensibilità di Egonu, che si accorge dello spostamento di Aydin verso 5 per piazzare una palla comoda in 6.

Come in semifinale, Antropova ha restituito peso e potenza quando Egonu calava, rappresentando il tema principale con Sylla come alternativa (14 attacchi punto e 43,8% di positività). Quando il muro difesa è riuscito a tenere su la palla, come nel primo e nel terzo parziale, la squadra di Velasco ha trovato le risorse per portarli dalla propria parte, diversamente ha perso contatto abbastanza rapidamente dalle avversarie, che hanno vinto il secondo e il quarto set con ampio margine (13-25 e 19-25).

L’Italia è arrivata al quinto set apparentemente stremata, fiaccata dai turni al servizio di Vargas, che nel quarto aveva creato un primo buco di 3 punti (3-6) nella prima rotazione, poi saliti a 7 (9-16) in quella successiva. Le ragazze di Velasco sono sembrate impotenti dinanzi allo strapotere offensivo della Turchia (50% spaccato nel quarto, con 16 su 32), incapaci di leggere la distribuzione di Ozbay e persino di ribaltare l’inerzia sfavorevole nel tie break.

Eppure a posteriori c’è uno scambio infinito che le azzurre perderanno (quello del 3-3, con un muro su Sylla), in cui toccano e difendono due volte sia Gunes sia Vargas, dimostrando di essere ancora vive e tenaci. Per quanto le campionesse olimpiche continueranno a fare una fatica enorme a mettere giù palla, anche perché Egonu nel tie break non realizza neanche un punto (0/7 con due errori). L’Italia si pianta sulla P6, una rotazione con la stessa Egonu, Danesi e Giovannini in prima linea (4-6 per la Turchia) e ne esce solo grazie a una battuta out di Gunes. Arriva soffrendo alla P4 (anche grazie al contributo di Fersino in seconda linea), che significa doppio cambio e possibilità di mettere Antropova in prima linea. Un ingresso decisivo, come in semifinale del resto: l’opposta di Scandicci si presenta “stampando” Karakurt, poi confeziona una diagonale nei 4 metri che vale il decimo punto.

Giovannini va in battuta sul 10-8 e da quel momento l’Italia non avrà più bisogno di altri cambi palla. La schiacciatrice emiliana cerca di evitare Baladin, entrata al posto di Karakurt, orientando la sua battuta verso Aydin, la schiacciatrice di prima linea. Giovannini a tratti riesce a staccare la ricezione avversaria, ma è la metamorfosi del muro (che nei primi 4 set aveva messo giù solo 7 palloni) ad avere dell’incredibile e fare tutta la differenza: Fahr assiste posto 4 e inchioda prima Erdem e poi Vargas, ingiocabili fino a pochi minuti prima, Antropova si ripete su Aydin, che in precedenza aveva sparacchiato fuori, poi Sylla mette il punto esclamativo murando nuovamente Erdem.

Cinque azioni senza nessuna rigiocata, da 30 secondi scarsi: è come se la Nazionale avesse spremuto tutte le energie residue, quasi dimenticando le difficoltà degli altri parziali, per trovare la compostezza e gli angoli giusti necessari a chiudere una partita che avrebbe potuto vincere soltanto così, considerati i problemi in cambio palla e in contrattacco. «In questi due anni abbiamo fatto uno step mentale incredibile», ha detto Danesi «Andare sotto di due punti al tie break dovrebbe farti tremare le gambe. Noi invece siamo rimaste solide».

L’ultimo punto del Mondiale.

È emblematico che l’ultimo punto porti la firma di Miriam Sylla: tutte le grandi vittorie di questo ciclo sono passate da grandissime prestazioni della numero 17 (in attacco ha viaggiato sopra al 40% di positività) e questo Mondiale non ha fatto eccezione. Sylla, come del resto Orro, Egonu e De Gennaro, sono le pietre miliari di un ciclo che in quattro anni ha vinto qualsiasi cosa: dopo l’Europeo del 2021, sono arrivate 3 VNL, ma soprattutto l’oro olimpico e quello mondiale, che non arrivava da 23 anni. Nella Nations League di un anno fa, l'Italia ha anche aperto una striscia di 36 vittorie consecutive in partite ufficiali che rappresenta un record per la Nazionale femminile. Tra il 2007 e il 2008, la Nazionale allora allenata da Massimo Barbolini - oggi vice di Velasco - si fermò a 26 vittorie di fila.

Julio Velasco aveva poco o nulla da dimostrare, eppure ha accettato la chiamata della Federvolley e, per riprendere le parole del commentatore di DAZN, Fabrizio Monari, «ha cambiato modo di lavorare pur di andare incontro al gruppo». Lo scorso anno ha allenato per restituire serenità e compattezza al gruppo, in quest’estate invece ci ha messo la faccia, compiendo anche scelte impopolari, vedi l’esclusione di Bosetti. Con lui la Nazionale è diventata un’eccellenza nel muro difesa e nel contrattacco, è diventata meno Egonu dipendente e più squadra. Grazie a questo successo è diventato campione del mondo sia con la nazionale femminile sia con quella maschile, assumendo una statura quasi mitologica non solo nella pallavolo ma in tutto il panorama sportivo.

Per Velasco la prossima sfida sarà riuscire ad andare oltre a una leggenda come “Moki” De Gennaro, che dopo la finale ha confermato l’addio alla Nazionale già annunciato a giugno. Il libero campano è stato protagonista di una progressione costante, che l’ha portata a raggiungere il suo picco attorno ai 30 anni e mantenerlo tuttora, a quasi 39. Ha un palmarès chilometrico e una serie di 12 titoli vinti nelle ultime 12 competizioni a cui ha partecipato con club (Imoco Conegliano) e Nazionale. Quasi difficile a credersi. Forse definirlo libero è riduttivo, considerato il suo ruolo attivo come palleggiatrice aggiunta. Di sicuro il suo addio apre un vuoto difficile da colmare.

Questi sono però tutti ragionamenti per il domani. Oggi è ancora tempo di godersi questa vittoria storica, che ricorderemo un giorno come una pagina di storia.

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