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Dario Saltari
Isco è tornato a nuova vita
08 set 2023
08 set 2023
Sembrava finito in un buco nero, adesso è titolare nel Betis.
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Dario Saltari
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IMAGO / Icon Sportswire
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Ci sono certi giocatori che a un certo punto si rompono. Non è semplicemente questione di infortuni: si spezzano in un punto più profondo dei muscoli, delle ossa, dei tendini. Di fatto smettono di funzionare, anzi peggio, di esistere per come li conoscevamo fino a quel momento. C’è qualcosa nella loro stessa essenza che non cala gradualmente: sparisce. Prima era normale considerarli il meglio del calcio mondiale, subito dopo è normale considerarli semplicemente finiti. Non sappiamo esattamente come e quando succede, ma - spesso in maniera inspiegabile e inaspettata - succede. Quando è successo, per esempio, che Paul Pogba non potesse giocare più di dieci minuti di partita senza sovraccaricare pericolosamente i suoi muscoli? Come è successo che Eden Hazard diventasse talmente inadatto al gioco del calcio da pensare al ritiro a soli 32 anni? Sembra esserci una relazione diretta tra la bellezza messa in mostra da un giocatore, tra il ventaglio di possibilità future aperto dal suo gioco, e la fragilità della sua posizione, le probabilità di finire da un giorno all’altro in un buco nero.

Per Isco sembra essere stata letteralmente questione di un pezzo, o almeno questa è la spiegazione che si è dato lui in una lunga intervista realizzata con Marca quest’estate. È l’inizio della stagione 2018/19, Isco ha giocato da titolare le ultime due finali di Champions League, tra le altre partite. Sembra assolutamente naturale che questo giocatore basso, che sembra poter ingrassare da un momento all’altro, che non ha altre qualità se non quella di saper leggere il caos con i piedi, toccando il pallone con la sensualità con cui si accarezza la pelle, che questo giocatore qui insomma debba avere un posto in una formazione che schiera Cristiano Ronaldo, Bale, Benzema, Kroos, Casemiro, Modric, Sergio Ramos, Marcelo - in altre parole: il meglio fisico, atletico e tecnico del calcio contemporaneo. Ora mi sembra una follia eppure allora era una follia non pensarlo. La stagione precedente Daniele V. Morrone aveva suggerito proprio qui su L’Ultimo Uomo che Isco potesse essere addirittura il tassello che dava un senso a tutto il resto, che il Real Madrid - quel Real Madrid - e Isco fossero fatti uno per l’altro. «Isco è la pedina che permette al Madrid di avere il dominio territoriale rompendo il paradosso di base della tattica calcistica: è un giocatore che permette di avere superiorità numerica in zona palla e coprire anche l’estensione del campo. Fondamentalmente, giocare con Isco è come barare».

Isco è stato effettivamente questo, solo che a un certo punto ha smesso di esserlo. La stagione 2019/20 gioca 1186 minuti, circa 600 in meno della 17/18. Poi nella 20/21 ne gioca meno di 900, nella 21/22 solo 324. L’uomo che con la sua ascesa aveva toccato il punto di rottura di Gareth Bale, un calciatore che sembrava venuto dal futuro, a un tratto è diventato inutile. Cosa è successo? Isco riconduce tutto all’operazione d’urgenza all’appendicite a cui è costretto a sottoporsi alla fine di settembre del 2018. «I medici mi dissero che era un problema complesso, con più di un mese di assenza. Dopo venti giorni però io sono tornato a giocare. I medici mi avevano avvertito che mi avrebbero fatto pressione per tornare a giocare prima del tempo, che mi sarei sentito bene ma che non lo sarei stato davvero, che avrei sofferto…». Isco ne parla come il momento seminale in cui tutto è cambiato, come se non solo il suo corpo ma la sua stessa essenza da calciatore fosse crollata come una torre di Jenga dopo aver sfilato un singolo mattoncino.

Da lì tutto è venuto giù di conseguenza. Il seguente addio di Julen Lopetegui e l’arrivo di Santiago Solari, che non lo prende nemmeno in considerazione, poi il ritorno di Zinedine Zidane quando lui ormai è già troppo depresso. «Zizou è arrivato nella parte finale della stagione e io non stavo bene. Era stato un anno molto duro, ero totalmente demoralizzato. […] Si nota molto quando mi diverto e quando no. Quando se n’è andato Julen, è arrivato Solari e non ho avuto più opportunità, ero apatico. “Cazzo”, pensavo “Ho avuto alcuni anni buonissimi e ora sto così: che devo fare di più perché mi si consideri importante per questa squadra?”».

Isco ha rilasciato queste dichiarazioni quando ancora non sapeva che di lì a poco avrebbe trovato un nuovo contratto con il Betis. Le sue notizie ci arrivavano ancora come dispacci della sua personale via crucis. L’interruzione forzata per la pandemia che spegne sul nascere qualsiasi possibilità di rinascita, l’ultima stagione ai margini della rosa del Real Madrid, poi il passaggio al Siviglia che sembra una salvezza ma che finisce per essere un’altra maledizione. Lopetegui che, un’altra volta, se ne va poche settimane dopo il suo arrivo; la decisione improvvisa del Siviglia di metterlo sul mercato; la discussione con Monchi, con cui arriva alle mani («Ho detto a Monchi che era la persona più ingannevole che avessi mai incontrato nel mondo del calcio e lui mi ha attaccato»); il passaggio saltato all’Union Berlino dopo aver già fatto le visite in Germania. È inutile negarlo: Isco, con quella barba sempre leggermente sfatta e un generale senso di trasandatezza, aveva iniziato ad emanare quel fascino ineludibile che hanno le storie maledette. La soddisfazione sadica nel guardare qualcuno caduto in disgrazia e dirsi: lo sai che questo qui, sì proprio lui, una volta era un genio? Non è detto che non fosse lo stesso Isco a provarla. D'altra parte, è molto più facile disperarsi che non disperarsi.

E invece eccoci qui, all'inizio di settembre del 2023, a commentare le prime quattro partite di Isco con la maglia del Betis: tutte partite in cui è partito da titolare, tutte partite in cui alla fine è stato votato migliore in campo dai suoi tifosi. Isco è riapparso esattamente com'era scomparso. Ha persino segnato un gol, per paradosso nell’unica sconfitta di queste prime quattro apparizioni, contro l’Athletic Club.

E cosa abbiamo visto in queste quattro partite? Un giocatore immediatamente al centro del gioco del Betis, trequartista del 4-2-3-1 solo sulla carta visti i suoi movimenti a scendere in mediana per legare la manovra, incredibilmente attivo nel pressing, addirittura coinvolto in alcuni tagli difensivi all’indietro. Un talento asciugato dal tempo, più pesante sui primi passi, che per questo è costretto spesso a cesellare le sue scelte su tocchi di prima, appoggi semplici. Meno progressioni, più visione di gioco. Oltre al gol, abbiamo visto un grande hockey pass contro il Villarreal, che ha portato al primo gol stagionale del Betis, un assist su punizione per un gol annullato, un tentativo di rovesciata finito con una palla sbucciata spedita oltre la linea di fondo. Ci sono stati dei momenti in cui il passato per un attimo è sembrato poter tornare. Il piccolo, splendido tocco di punta con cui ha eluso il ritorno di Griezmann prima di lanciarsi in area per tentare una conclusione facilmente ribattuta dalla difesa dell’Atletico Madrid. La giravolta su se stesso con cui ha mandato la pressione avversaria a vuoto, contro l’Athletic. Cambi di campo talmente morbidi che più che cadere a terra sembrano appoggiarsi sulla superficie dell’acqua.

Non è stato molto, per la verità. Anche al di là di ciò che gli ha tolto il tempo, l’Isco di oggi non è l’Isco di ieri: il giocatore dal ruolo indefinibile e che pure sembrava emanare l’essenza stessa del gioco del calcio; il talento che più incarnava «un calcio in cui per quanto ci si possa sforzare di controllare più cose possibile c’è sempre una componente misteriosa, nebbiosa, impossibile da tenere in mano, da mettere in barattolo, che si solleva dall’erba del campo quando lo decide lei e che puoi soltanto evocare, crederci». Oggi Isco è un giocatore normale. Con una sensibilità tecnica fuori scala e un talento eccezionale, che ancora sa mettere giù un pallone con la punta del piede come un tennista con l'ultima estremità della racchetta, certo. Ma pur sempre un giocatore leggibile, incasellabile in un ruolo, con compiti sul campo da eseguire al massimo delle proprie possibilità. Il mistero che era al cuore del suo talento e che gli permetteva di farci percepire un senso all’inspiegabile che è stato il Real Madrid di Ancelotti e di Zidane sembra essere stato lavato via dal tempo. Difficile dire se sia il calcio ad essere cambiato negli ultimi anni, se sia l'assenza del Real Madrid intorno a lui o se sia semplicemente il fatto che invecchiando si diventa più lenti, più essenziali.

In ogni caso, l’entusiasmo che ha circondato il suo ritorno credo sia legato al ricordo del giocatore che è stato. Al sollievo di aver ritrovato qualcosa che pensavamo di aver perso. L’account YouTube che ha caricato i suoi highlights individuali di queste partite, forse spinto da questo sentimento, ha caricato quasi contemporaneamente una compilation dalle sue prime, incredibili, stagioni al Malaga, che gli permisero di vincere il premio Golden Boy come miglior giovane del calcio europeo. Si chiama: 20 Years Old ISCO was PURE MAGIC. Sono oltre tre minuti di rimbalzi suggeriti con l’esterno del piede, sombreri in risposta a violenti calci da dietro, palloni passati da un piede all’altro come carte tra le mani di un croupier. Un video incredibile anche per altri dettagli minori: Manuel Pellegrini in panchina allora come oggi, lo “sponsor” UNESCO sulle maglie azzurre.

Lo stesso account proprio l'altro ieri ha pubblicato anche questa compilation dalle prime quattro partite con il Betis che mi sembra più bello e più utile mettere qui.

Vedere tutto questo nel bozzetto appena accennato di ciò che è rimasto del suo gioco ci fa capire ciò che lo rendeva davvero speciale, e che forse prima della sua assenza davamo per scontato. I talenti come quelli di Isco - talenti intrinsecamente legati alla magia misteriosa, inspiegabile che può nascere da una persona che comunica con un pallone - sembrano costantemente minacciati da un futuro nero fatto di muscoli tirati alla loro massima estensione, corse senza fiato e programmazione tattica. Della scomparsa di questi talenti se ne parla da sempre e la loro bellezza intrinseca sembra risiedere proprio nella loro prossimità all’estinzione, nella fugacità della loro sopravvivenza a questi livelli, nel fatto che il miracolo che rende possibile la loro esistenza si esaurirà in un battito di ciglia. Forse è perché, come ha scritto Simone Weil, «sentiamo intensamente che alle cose veramente belle dovrebbe essere assicurata un'esistenza eterna e che così non è». Parlando di quel Real Madrid, Daniele Manusia ha parlato per esempio di un «calcio che si regge su un filo sottile sospeso nel vuoto» e Isco forse era il giocatore del Real che più ci restituiva quella vertigine sul nulla che alla fine effettivamente lo ha fatto sparire.

Con queste quattro partite Isco ha già giocato quasi esattamente gli stessi minuti che aveva avuto in Liga nella sua ultima stagione al Real Madrid. È una di quelle coincidenze su cui di solito si costruiscono gli archi di redenzione: ma che finale ci può essere per uno che ha già vinto cinque Champions League, quattro Coppe del Mondo per club e tre scudetti tra le altre cose? Cosa deve farci vedere ancora? Isco avrà sicuramente avuto la possibilità di firmare un ultimo grande contratto, di dare un ultimo senso almeno monetario alla sua carriera, ma ha deciso di rimanere in Spagna. Ancora prima di firmare con il Betis aveva detto di aver avuto «offerte dal Qatar e dall’Arabia Saudita» ma di voler continuare a «giocare, competere e divertirmi». Non è solo questione di rimanere a "casa", qualsiasi cosa significhi. Oltre le sovrastrutture, i significati che noi possiamo dare al calcio, il ritorno di Isco fa intravedere quanto possa diventare difficile, anche per un talento così, tornare a essere un giocatore normale, ma anche quanto a un certo punto possa essere importante.

Spesso in questi casi si tira in ballo qualcosa di astratto e indefinito come l’amore per il calcio, ma insomma si può amare il calcio anche giocando tra amici o, per l’appunto, in Arabia Saudita. Questo tipo di scelte credo abbia più a che fare con l’avere un ruolo, qualunque esso sia. Ovviamente non sappiamo come proseguirà la stagione, ma con queste quattro partite Isco ha già dimostrato di non essere solo il ricordo di se stesso, di avere un senso, qui e ora, nel 2023, in una squadra di alto livello del campionato spagnolo. Non sarà il senso rivoluzionario che poteva avere qualche anno fa, ma è comunque un senso. Magari può sembrare una scemenza, una consolazione, ma credo non sia poco per uno che si è dato la colpa di «essersi lasciato andare in alcune occasioni, di aver mollato anche in allenamento perché mi sentivo superato». Magari arriveranno altri infortuni, o giocatori più giovani a prendergli il posto, ma queste poche partite per lo meno hanno permesso a Isco di venire a patti con se stesso, o almeno con la sua figura da calciatore.

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