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Invertire la rotta
31 lug 2015
31 lug 2015
I New York Knicks di Phil Jackson, dopo la peggior stagione della loro storia, provano a raddrizzare una squadra alla deriva ripartendo da un giovane lettone subissato di fischi.
(articolo)
13 min
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«May you live in interesting times» è un’espressione inglese che si rifà a una maledizione cinese per cui i “tempi interessanti” non vengono intesi in senso positivo, ovviamente. Ho pensato a questa maledizione lo scorso 14 aprile, la mattina in cui ho aperto i tabellini della mattina prima: i New York Knicks avevano battuto per 112-108 gli Atlanta Hawks nella penultima partita della stagione, dando vita a una striscia di due vittorie consecutive in trasferta. Dopo 79 partite, i Knicks erano ultimi per record con un ottimo (in chiave tanking, chiaramente) 15-64. Dopo quelle vittorie, invece, i Knicks avevano “sorpassato” i Minnesota T-Wolves, lasciando loro l’ultimo posto e, di conseguenza, il maggior numero di palline alla Lottery. Un mese dopo, una di quelle si sarebbe trasformata nella prima scelta assoluta.

In teoria sono solo probabilità che scendono (anzi, raramente chi ha il maggior numero di palline alla Lottery poi la vince anche), e sicuramente in uno degli infiniti mondi paralleli la scelta sarà finita ai Knicks. Ma la vittoria sul campo degli Hawks primi a Est, quando ormai perdere era l’unica cosa da fare, rimane il manifesto dell’autolesionismo che fa parte della natura stessa della squadra di New York.

E pensare che stava andando tutto bene (in senso relativo ovviamente): con la scoperta di un paio di eroi di culto come Langston Galloway o Quincy Acy—che può mettere nel CV che tutto il Madison gli ha gridato M-V-P M-V-P durante dei tiri liberi—ad alleviare le sofferenze dei tifosi durante le partite; con la statuina di Derek Fisher a braccia conserte davanti alla panchina che serviva a far credere agli avversari che la squadra fosse allenata; con le sconfitte in fila che sembravano potessero avvicinare la possibilità di pescare con la prima scelta per la prima volta dall’arrivo di Patrick Ewing, ormai trent’anni fa. Invece i Knicks, oltre a non saper vincere, non sono riusciti neanche a perdere. Neanche con Langston Galloway, Tim Hardaway, Lance Thomas, Jason Smith e Cole Aldrich come quintetto titolare.

Solidarietà al povero Steve Mills, che si è andato a prendere una pallottola al posto di Phil Jackson in occasione della Lottery. Questo è il momento in cui si può vedere il suo cuore che si spezza (semicit.).

A dirla tutta, sospetto che gli “interesting times”, più che una maledizione, siano un augurio comune tra giornalisti a New York. Lavorare in un mercato che permette di scrivere sempre cose nuove e spernacchiare la franchigia è il sogno dei vari tabloid, e i Knicks non si sono smentiti neanche in un una stagione in cui la semplice missione sembrava poter portare un po’ di sana stabilità nel rapporto tra media, opinione pubblica e squadra. New York è un mondo a parte nella NBA—neppure Los Angeles, per quanto grande, è così opprimente nei confronti della squadra—e rimane impossibile avere una visione distaccata delle mosse della squadra: dal Draft al mercato, per ogni movimento sono stati scritti articoli a favore e contro in egual misura.

L’unica cosa su cui però concordano tutti è l’evidenza che Phil Jackson, da quando è diventato presidente, ha normalizzato il modo di pensare della franchigia: nonostante i tentativi di trollaggio su Twitter, il lavoro di Jackson segue un filo logico ben preciso e questo già di per sé basta per poter riportare i Knicks in una situazione in cui è possibile giustificarne le mosse, in quello che è l’anno zero del suo progetto a New York.

Come aprire uno squarcio su Twitter. Insegna Phil Jackson.

Nell’interessante intervista al New York Times sia Jackson che il GM Steve Mills parlano del loro progetto, sottolineando la necessità di prendere dei lunghi con il tanto spazio libero in free agency perché, per dirla alla Phil, «we have no big men». A posteriori si capisce che il plurale non è un caso: sia nel Draft che sul mercato la priorità è stata quella di andare su un lungo. In entrambi i casi la scelta ovviamente ha creato grande dibattito tra i tifosi, a partire dalla scelta numero 4.

Pur dovendo convivere con molti anni bui, il Draft è stato quasi sempre relativamente benevolo con i Knicks: l’unica vera delusione è arrivata nel 2009, quando con la 7 gli Warriors presero Stephen Curry appena prima che New York potesse mettere le mani sul prodotto di Davidson. I Knicks invece si ritrovarono con Jordan Hill, un giocatore totalmente inutile nel sistema di D’Antoni e infinitamente meno talentuoso dell’attuale MVP della Lega. Ma, a parte quell’episodio, negli anni sono arrivati giocatori che hanno giustificato la loro scelta a quel punto del Draft, da Chandler a Gallinari, fino a Shumpert e (almeno un po’) Hardaway Jr. L’idea quindi che i Knicks potessero “toppare” clamorosamente la scelta non era condivisa da tutti: avendo praticamente solo Carmelo Anthony come figura di riferimento a roster, l’opzione del BPA (best player available) come scelta non era poi così sbagliata. Ciò nonostante, una volta persi D’Angelo Russell e Jahlil Okafor, la scelta di Kristaps Porzingis ha portato un bambino con-occhiali-e-maglia-di-Melo a piangere incredulo in diretta tv.

I “Buuu” sono di rito a New York e accompagnarono anche Gallinari; i sorrisi sarcastici dei tifosi che “lo sapevo io” un po’ meno.

In diretta la scelta mi ha lasciato l’amaro in bocca: ero convinto ci fosse la speranza di vedere Mario Hezonja a New York, un giocatore con un ego tale da reggere tutta Manhattan sulle spalle e la possibilità concreta di diventare un signor realizzatore a medio termine, così da non avere solo Melo come opzione offensiva affidabile. Ma alla fine Jackson è stato fedele alla parola data ed è andato su quello che per lui era il miglior lungo disponibile. Inaspettatamente, poi, Jackson si è visto regalare dagli Hawks un’altra scelta al primo giro in cambio di Tim Hardaway, il cui valore a New York dopo la scorsa stagione era letteralmente zero—come i suoi miglioramenti nel corso degli anni, peraltro. Con la nuova scelta, l’opzione più logica era quella di andare su una point guard e infatti è arrivato Jerian Grant, che avendo già 22 anni viene visto dai Knicks come un giocatore già pronto a dare un ottimo contributo da subito. Dopo il Draft ha scritto una piccola presentazione personale su The Player’s Tribune in cui, tolte le varie parole di circostanza su quanto sia contento di essere arrivato a New York, si definisce il perfetto per giocare il Triangolo per via di quello che ritiene il suo punto di forza: il QI cestistico.

Posto che chiedere all’oste se il vino è buono non è necessariamente il modo migliore per capirlo, stando a quanto scritto da Grant è chiaro che si conferma la voglia di Jackson di seguire un percorso logico che premi i giocatori in grado di adattarsi velocemente al sistema di gioco che è diventato il suo mantra, ovvero l’Attacco Triangolo. A questo proposito però va fatto notare come, sul finire della scorsa stagione, coach Derek Fisher ha chiesto alla squadra di giocare meno frequentemente di quanto possa sembrare il Triangolo, premiando maggiormente la possibilità di chiudere i contropiedi attaccando il ferro invece di giocare a metà campo e addirittura provare i pick & roll come prima opzione. Lo stesso Fisher ha dichiarato: «Sono eccitato all’idea di poter giocare più velocemente e di provare cose diverse in campo aperto. Stiamo facendo cose diverse per essere sicuri di enfatizzare di più la velocità del gioco, per non dare l’impressione ai nostri giocatori che vogliamo superare la metà campo e posizionarci per il Triangolo. Le difese sono troppo organizzate per permetterci di utilizzarlo ogni volta».

Per quanto l’arrivo di Grant sia stato salutato positivamente (soprattutto nell’ottica di una versione nuova dei Knicks) tutte le attenzioni dei tifosi però sono state rivolte a Porzingis. Esattamente come Grant, anche il lettone sembra un ragazzo intelligente: grazie a un inglese impeccabile ha già capito come muoversi con i media, che in lui vedono una miniera d’oro di storie da scrivere comunque vada la sua prima stagione (era da Ewing che i Knicks non sceglievano così in alto). Il giocatore ha impressionato nei colloqui pre-Draft, tranquillizzando Jackson riguardo la sua tenuta psicologica a New York, ma è in quelle successive alla scelta che ha dato il meglio di sé: ha raccontato di come abbia imparato l’inglese guardando serie tv e film americani e con la passione per l’hip hop; di come gli piaccia che la gente lo fermi per fargli una foto «solo perché è un gigante»; di come non lo spaventano minimamente i Buuu dei tifosi in sede di Draft. A Bleacher Report ha parlato di come ammiri sia Anthony Davis che Dirk Nowitzki. Soprattutto, ha raccontato di come Carmelo Anthony gli abbia scritto un messaggio subito dopo il Draft firmandosi come “THIS IS ME7O”. Apoteosi.

In Lettonia hanno preso in modo tranquillo l’arrivo di Kristaps a New York.

La Summer League è stata quindi l’occasione per vedere finalmente i due rookies in campo, e anche per Fisher di provare meglio una versione meno ortodossa della squadra. New York ha vinto 4 partite su 5 e si può dire che ha confermato sia il nuovo trend che il talento dei due nuovi arrivati. Porzingis si è preso tutte le attenzioni tirando fuori un repertorio invidiabile per varietà di skills: ovviamente parliamo di un livello diverso rispetto anche solo alla Regular Season, ma la velocità di piedi, la lunghezza infinita delle braccia e le diverse opzioni offensive con il pallone in mano non sono da sottovalutare. I segnali positivi sono incoraggianti anche alla luce del ruolo di centro ricoperto, probabilmente non il suo in ottica NBA, almeno nei primi anni. Uno dei suoi punti deboli è la scarsa massa da poter mettere in campo, un handicap sia in attacco (dove non sposta nessuno e finisce per palleggiare più del dovuto in post) che in difesa, dove un giocatore più piazzato come Okafor ha fatto quello che ha voluto. A proposito del duello con Okafor: c’è da segnalare come nella seconda parte della gara (e in maniera autonoma) Porzingis abbia deciso di marcare d’anticipo su Okafor per impedirgli di ricevere il pallone e di affrontarlo rimanendo verticale: alla fine ha chiuso con tre stoppate e la dimostrazione che il QI cestistico del lettone è da sottolineare. Soprattutto in un contesto in cui Fisher dà sempre carta bianca in campo ai giocatori nelle scelte da fare.

La Summer League di Kristaps.

Per quanto riguarda gli altri componenti del roster, Jerian Grant ha fatto vedere il meglio e il peggio del suo gioco, con letture fantastiche e incapacità di mettere la palla nel canestro, magnete per i falli avversari e tendenza a palleggiare per troppo tempo. Nel complesso una risposta positiva al test. Non proprio la stessa di Cleanthony Early e Galloway, che non hanno mostrato alcun progresso rispetto alla scorsa stagione, con il primo che a 24 anni continua a essere uno scorer solo in transizione e uno scioperante in difesa, e con il secondo che rimane tremendamente discontinuo durante la partita, alternando ottime giocate a momenti di totale vuoto. La vera sorpresa della squadra però è stato Maurice Ndour, un’ala atletica in grado di difendere su più ruoli e di allargare anche il campo in attacco. Purtroppo l’offerta di un triennale garantito da parte di Dallas ha fatto saltare il banco, togliendolo dal futuro dei Knicks.

Proprio la Summer League è stata l’occasione per il GM Steve Mills di spiegare come sia andato il mercato per New York. In vista della free agency i Knicks avevano preparato tre scenari precisi, che comprendevano il caso in cui LaMarcus Aldridge firmasse per loro, il caso in cui lo facesse Greg Monroe e il terzo caso con un gruppo di role players da prendere in blocco. Pur avendo lo spazio per poter firmare un max contract da affiancare a Melo e un mercato come quello di New York alle spalle, sia Aldridge che Monroe hanno declinato in fretta, a dimostrazione che nella nuova NBA non si può attrarre un free agent di alto livello senza avere un progetto tecnico solido. Quello che ai Knicks in questo momento manca, come detto anche per i Lakers.

La terza opzione era quella dei giocatori di ruolo e in questo Jackson è rimasto fermo sulle sue convinzioni: i giocatori presi in FA devono essere “two way players”, ovvero giocatori in grado di poter dare qualcosa nelle due metà campo. Non è arrivato infatti nessuno specialista (se non vogliamo considerare tale Derrick Williams, che ha dalla sua probabilmente solo l’atletismo) e tutti sembrano completarsi bene intorno alla stella Melo. Il primo della lista ovviamente è il centro Robin Lopez, famoso per i capelli alla Telespalla Bob, il suo odio per le mascotte e per l’ottimo lavoro come bloccante. Robin manca del talento e della tecnica del fratello Brook, che gioca dall’altra parte dell’Hudson, ma in ottima Knicks porta buona difesa e un non disprezzabile piazzato, che si sposano bene con la visione del giocatore “two way” di Jackson. Il prezzo per averlo è stato di 54 milioni in 4 anni, che ne fa il secondo giocatore più pagato della rosa, ma a una percentuale comunque gestibile per il futuro cap. Robin sarà il centro titolare, tranquillizzando quindi Jackson sulla necessità di trovare big men.

Il secondo “two way player” è Arron Afflalo, che però durante la deludente parentesi a Portland ha mostrato di essere un difensore meno incisivo rispetto anche solo a due stagioni fa. Rimane un buon fit per la squadra dato il suo 40% da tre, e inoltre il contratto è perfetto per entrambe le parti: un biennale da 16 milioni totali con il secondo anno opzionale per il giocatore. Praticamente i Knicks si sono assicurati un titolare per il ruolo sapendo di poter tornare sul mercato con tanto spazio già la prossima stagione e con la possibilità sostituirlo con un giocatore superiore, mentre lui può giocare per un contratto migliore in vista dell’innalzamento del cap.

La terza firma è stata la più apprezzata dai tifosi, visto che per soli 16 milioni in 4 anni da Orlando è arrivato Kyle O’Quinn, un ragazzo di New York che a 25 anni ha la possibilità di giocare per la squadra per cui tifa. O’Quinn è stato preso per alternarsi con Porzingis, assicurando alla squadra un giocatore tosto, affidabile e disposto a giocarsi le partite sugli intangibles. Per 4 milioni all’anno è una delle migliori firme che potevano arrivare a New York, che rivede in lui un po’ dello spirito working classdegli anni ’90.

L’unica firma dai contorni inspiegabili è stata quella di Derrick Williams, che appunto non ricopre l’identikit del giocatore “two way”, ma non è neanche uno specialista élite. Arrivato per 8,8 milioni in 2 anni (con il secondo anno opzionale), a 24 anni è ancora un progetto dal difficile collocamento in campo per via delle caratteristiche tanto peculiari: non è abbastanza alto da poter giocare vicino al ferro, non ha un jumper minimamente affidabile per poter allargare il campo e in difesa rimane un mistero cosa sappia effettivamente fare. Essendo un contratto corto e viste le tre ottime firme precedenti si può concedere a Jackson questo esperimento che non va comunque a bloccare il cap a medio termine.

Il cap all’arrivo di Jackson e quello attuale subito, sotto, con contratti più gestibili dietro ovviamente al max di Melo e in attesa della salita del cap della prossima stagione.

Tolto il ritorno di Melo titolare in campo dopo l’operazione al ginocchio, non è ancora chiaro come Fisher sceglierà di mettere in campo i pezzi a disposizione (con Robin centro titolare, chi partirà accanto a lui tra Porzingis e O’Quinn?) viste le varie combinazioni disponibile e la tendenza in Summer League a giocare con sia Grant che Galloway a scambiarsi in regia. Appurato che i nuovi Knicks giocheranno un basket meno statico, non sappiamo ancora come reagirà Melo (anzi ME7O) al nuovo contesto. La squadra, se sana, sembra però in grado di giocarsela quantomeno per l’ultimo posto ai PO a Est, che nelle ultime stagioni è stato raggiunto anche con un record perdente attorno alle 38 vittorie. E andare ai playoff è l’unico obiettivo possibile per la prossima stagione, visto che la scelta al Draft andrà a Denver (o a Toronto se i Nuggets finiranno peggio dei Knicks).

Fa bene ricordare che, trattandosi dell’anno zero di un progetto a medio termine (se si vuole considerare la finestra di Melo come superstar NBA), quelle messe quest’estate sono solo le fondamenta della nuova filosofia. È difficile pensare di poter puntare ai vertici della East subito, soprattutto avendo perso il piano A e il piano B in free agency. Già però un ritorno a buoni livelli potrebbe portare i tifosi di New York a fidarsi del lavoro di Phil Jackson—che può piacere o meno, ma che ha invertito la rotta di una barca alla deriva seguendo una logica ben precisa. Già solo per questo, il suo esperimento newyorkese è da ritenersi “interesting”, si spera nel senso buono del termine.

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