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Marco D'Ottavi
Centravanti e capitana, intervista a Valentina Giacinti
22 dic 2020
22 dic 2020
Abbiamo parlato con una delle migliori giocatrici del campionato.
(di)
Marco D'Ottavi
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Foto Claudio Furlan - LaPresse
(foto) Foto Claudio Furlan - LaPresse
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«Ormai lo sanno tutti» mi dice Valentina Giacinti al telefono quando le chiedo dei suoi inizi, citando l’aneddoto secondo cui da piccola prendeva a calci le teste delle bambole come segno inequivocabile del suo futuro da calciatrice. Però, se questo lo sanno tutti, il resto è più nebuloso nonostante Giacinti sia - senza ombra di dubbio - una delle migliori attaccanti della sua generazione, capitana del Milan femminile, pilastro della Nazionale.Il calcio femminile in Italia è alla stregua di una novità. Fare ricerca su tutto quello che non è recente, recentissimo, è lavoro da archeologo, una ricostruzione che è sempre parziale. Vale anche per Giacinti e la sua storia, che per molti è cominciata col Mondiale in Francia del 2019, ma che è più lunga e interessante di così. Una vita per il calcioGiacinti inizia giocando con i maschi, nella scuola calcio dell’Entratico in provincia di Bergamo, dove è cresciuta. A sedici anni esordisce nella Serie A con l’Atalanta Femminile. Retrocedono, ma in A2 Giacinti trova subito la sua dimensione: in due stagioni segna 36 e si trasferisce al Napoli, di nuovo in Serie A. Non sente il salto di categoria: segna 17 gol in campionato a neanche vent’anni. In una realtà diversa questo sarebbe il momento dei riflettori, dell’hype,come viene chiamato oggi l’eccitante interesse intorno al talento fresco. Per Giacinti invece è il momento della prima scelta di vita: fa armi e bagagli e va a giocare negli Stati Uniti, a Seattle. «Quando ho detto [ai miei genitori] che andavo in America erano contenti perché sapevano che era un'esperienza di vita oltre che calcistica» mi racconta parlando della sua decisione di andare oltreoceano e mi accorgo di come - in mancanza di un percorso definito - scegliere di fare la calciatrice per Giacinti sia stata una scelta forte, nonostante il talento avrebbe dovuto rendere le cose molto più naturali: «Avevano già accettato il mio trasferimento a Napoli, avevano capito che ormai stavo decidendo della mia vita da sola e la mia vita era per il calcio».

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Negli Stati Uniti ovviamente incontra una realtà molto diversa dove «il calcio femminile è più valorizzato di quello maschile». Parlare di calcio femminile negli Stati Uniti non può non riportare la questione al presente: le chiedo se ha una posizione in merito alle istanze portate avanti dalla loro Nazionale, una battaglia che qui da noi si è distorta per quel motto Equal pay che può confondere e sviare. Giacinti riconosce come sia stato più facile per loro arrivare a fare quelle richieste, in un movimento molto più radicato. L’idea però è quella di arrivare lì, «un passo fondamentale» lo chiama «più che altro facciamo lo stesso lavoro, per cui è giusto pretendere un trattamento uguale». Come è cambiata la Serie ASarebbe facile fossilizzarsi sull’aspetto economico, come in Italia hanno fatto tutti i detrattori dell’idea che delle donne vogliano avere dei diritti per giocare a calcio, ma il discorso è più ampio. Fino a poco tempo fa, ad esempio, la normalità del calcio femminile anche ad alti livelli era allenarsi la sera, perché durante il giorno avevano tutti altri lavori. Giacinti riconosce l’importanza dei cambiamenti arrivati negli ultimi anni, nel suo caso soprattutto grazie al Milan: «da quando ha iniziato a esserci il Milan Femminile ci stanno pagando i contributi, quindi per noi è importante». Che anche i contributi potessero essere una questione per una calciatrice del suo livello è così fuori dalla mia comprensione che non mi viene neanche in mente di approfondire, nonostante sia qualcosa di importante. Lei intanto allarga il discorso, una visione che nelle calciatrici è sempre presente, più noi che io «Siamo contente di giocare con il Milan perché ci sentiamo valorizzate», ma non per tutte è così «ci sono tante squadre che ancora non riescono ad allenarsi la mattina».

Foto LaPresse / Spada.

La relazione tra come si allenano e come vengono considerate può sembrare banale, ma non è così: «Allenarsi la mattina non ti permette di fare un altro lavoro. Anche se non siamo professioniste, ci sentiamo tali sul campo e nella vita perché cerchiamo di fare il nostro lavoro nel migliore dei modi». Per farlo servono soldi, strutture, regole. Basti pensare che «Prima dell'arrivo del Milan» ripete non per l’ultima volta, le capitava di doversi alzare alle 5 del mattino per fare le trasferte, in pullman o in aereo, e se poi si arrivava troppo presto bisognava trovare un posto dove camminare «stare sedute a tavola due ore non ci avrebbe fatto bene». La soluzione spesso era un centro commerciale. Storie che potrebbero raccontare tutte le calciatrici, che Giacinti chiama «sacrifici necessari». Necessari, mi dice, «ad apprezzare meglio quello che abbiamo ora». Se da una parte il calcio femminile sembra essere spuntato ieri dal nulla, lei ci tiene a sottolineare come il merito non sia solo il loro, «delle giocatrici che ci sono adesso in Nazionale», ma anche di «quelle che hanno spianato un po' la strada per noi».Le faccio notare come - tra tanti esempi positivi - il suo Mozzanica (con questa maglia ha segnato 107 gol) è stato sciolto nel 2019 dopo la rinuncia dell’Atalanta a proseguire l’affiliazione iniziata due anni prima nell’indifferenza generale. Un episodio che denota quanto ancora sia precaria la stabilità del calcio femminile in Italia. Giacinti non prende posizione «non so come sono andate le cose», ma ha fiducia nel futuro e nel presidente Percassi: «arriverà anche lui nel calcio femminile e farà qualcosa di importante».

Inevitabilmente il discorso si sposta sulle differenze, su cosa è cambiato in questi anni in Serie A. Giacinti come prima cosa cita l’arrivo di giocatrici straniere di alto livello «che hanno arricchito il nostro campionato e alzato l'asticella». Per un sistema che era praticamente una nicchia racchiusa su se stessa, l’arrivo di contaminazioni esterne non può che essere positivo. Lei cita Agard e Boquete, due calciatrici d’esperienza prese dal Milan Femminile per migliorare la squadra, ma non sono le uniche: il Sassuolo ha messo le mani su Haley Bugeja, considerata una delle migliori giovani al mondo; la Juventus è al secondo anno con Linda Sembrant, titolare nella Svezia mentre la Roma può schierare Andressa Alves, ex Barcellona con 35 presenze nel Brasile.L’arrivo di calciatrici da altri paesi deve essere anche «uno stimolo in più per le ragazze italiane» che se prima avevano «il posto assicurato in squadra anche a diciassette anni» ora in un ambiente più competitivo, devono competere (è curioso come tutte quelle che nella Serie A maschile vengono viste come storture, nel femminile vengono intesi come stimoli, possibilità). «Il livello si sta alzando parecchio» conclude soddisfatta il suo discorso, che sembra valere sia dentro che fuori dal campo.L’importanza del MondialeRecentemente Sara Gama, capitana della Nazionale e della Juventus, è stata eletta vice presidente dell’Associazione Italiana Calciatori. Dalla stagione 2022/23 le calciatrici saranno finalmente riconosciute come professioniste. Chiedo a Giacinti se dopo il Mondiale del 2019 - che di fatto ha portato alla luce tutte le incongruenze del movimento - si aspettavano qualcosa di diverso. «Come ci ha detto Gravina (il Presidente della Figc, nda) fare le cose velocemente è sbagliato» mi risponde. Per lei è stato giusto prendersi il tempo di creare le giuste condizioni, sia a livello contrattuale che di consapevolezza delle calciatrici, le prime a non essere forse abituate. Se la burocrazia procede con i suoi tempi, il Mondiale in Francia ha avuto effetti immediati nel far conoscere il calcio femminile sia al grande pubblico - Italia-Brasile è stata seguita da 7 milioni e 322 mila telespettatori, con il 32.8% di share - sia nel creare interesse nelle bambine, come racconta la nascita di tantissime scuole calcio femminili, «che è quello che premeva di più a noi». Un effetto parallelo che ha cambiato le loro vite: «Da che non ci conosceva nessuno, al non poter fare la spesa o stare al mare tranquilla» mi dice «ci è cambiato un po' tutto: da una parte siamo contente, dall'altra non eravamo pronte per cui siamo rimaste un po' spiazzate. Però è bello».Giacinti ha un posto d’onore in quel Mondiale per aver segnato il primo gol nella vittoria contro la Cina agli ottavi, con un piatto sinistro dal cuore dell’area. Pochi ricordano però che è stata sempre lei a far partire l’azione andando a contendere un pallone all’avversaria sull’esterno, con un recupero di pura volontà. Dopo aver iniziato la manifestazione in panchina, Giacinti si è guadagnata il posto snaturando un po’ il suo calcio, giocando molto sull’esterno, lontana dalla porta per venire incontro alle esigenze della squadra: «Nei pochi minuti in cui sono entrata con l'Australia e con la Giamaica ho fatto un po' cambiare idea a Milena (Bertolini, l’allenatrice della Nazionale, nda)».

Nonostante non fosse contenta del percorso d’approdo in Francia, che l’ha vista spesso partire dalla panchina, Giacinti non è pesato lottare per «raggiungere il mio obiettivo». In un’altra intervista l’avevo sentita dire che da piccola aveva stupito tutti dicendo che il suo sogno era segnare un gol al Mondiale. Provo a chiederle se ha sofferto doversi guadagnare ogni minuto, ma il risentimento non può far parte del suo percorso, al contrario è quasi fatalista: «Penso che nulla viene per caso, magari quel gol se fossi partita titolare non l'avrei fatto». Fare golEppure il gol è il suo pane. A neanche 27 anni ne ha segnati quasi 250, quanti possono dire di averne fatti altrettanti? C’è sempre una mistica particolare negli attaccanti che riescono a segnare praticamente un gol a partita, come se avessero scoperto un segreto ben custodito. Contro il Napoli, per esempio, Fusetti ha calciato male un pallone dal limite dell’area e come per magia è finito tra i piedi di Giacinti, che di prima da pochi metri l’ha girato in porta.Spesso i suoi gol sembrano semplici, come se sapesse sempre dove piazzarsi, come calciare e quando. Con un po’ d’invidia le chiedo se è un talento naturale oppure se c’è un modo di lavorarci: «Penso sia una cosa abbastanza naturale. Quando mi trovo davanti alla porta, ti posso dire la verità, non è che la guardo, so che è lì e so in che punto del campo sono». Per naturale intende frutto del lavoro «a forza di allenarti, di stare in campo, ti viene». Quello che invece non riesce a spiegarsi, e che mi definisce veramente istintivo, è l’attacco alla profondità: «una cosa che nessuno mi ha insegnato, che viene da me». Nell’ultimo gol segnato prima della pausa del campionato, Giacinti attacca un lungo lancio di Spinelli tra i difensori centrali del Sassuolo, prendendo sul tempo loro e l’uscita del portiere. Effettivamente è difficile spiegare perché lei è arrivata su quel pallone e le altre no. «Penso che tante cose siano dei doni e ognuno ha i propri doni».

Definirla però come un’attaccante che fa gol sarebbe riduttivo. Contro il Pink Bari per due volte ha bruciato le avversarie in campo aperto con corse di cinquanta metri. Nella prima dopo aver evitato la scivolata in recupero dell’avversaria sulla fascia, è entrata in area e con un’intelligente sterzata si è guadagnata un calcio di rigore. Le chiedo se fa un lavoro particolare sul proprio fisico, vista la freschezza atletica che mette in mostra in campo. Mi risponde che ha iniziato a farlo da quando è a Milano, curando ogni dettaglio in palestra con il preparatore atletico e a tavola con il nutrizionista. Si è «strutturata meglio» - mi dice proprio così, con un gergo tipico degli atleti - negli ultimi 3 anni, «prima era un po' difficile perché non avevamo strutture». Rispunta l’importanza di poter dedicare la propria vita al calcio: «gli allenamenti di mattina ci permettono di mangiare bene, al contrario di qualche anno fa quando tornavi a casa tardi e non avevi neanche la forza di cenare».CapitanaIn questo momento il suo Milan Femminile è secondo in campionato, tre punti dietro la Juventus Femminile. Ha vinto nove partite e ne ha persa una, lo scontro diretto: «ci divide dalla Juventus solo un rigore» dice con una punta di risentimento, visto che in quella partita il Milan è capitolato solo per un rigore di Girelli. Nelle ultime tre partite il Milan ha vinto, senza prendere gol, contro Roma, Fiorentina e Sassuolo tenendo alta la pressione sulle rivali. Il primo obiettivo per Giacinti non è però il primo posto, ma «consolidare il posto in Champions League [dove vanno le prime due della Serie A, nda]» anche se subito dopo aggiunge «poi col tempo vedremo come andranno le cose».

Uno dei gol più belli e importanti segnati da Valentina Giacinti con la maglia del Milan, nel derby.

In questa stagione la squadra femminile sembra quasi in simbiosi con quella maschile, anch’essa partita molto forte. Le chiedo se lei e le compagne sentono questo legame e se va oltre il nome che condividono: «Certamente, siamo una grande famiglia» esordisce, specificando come non sia un entusiasmo figlio solo dei buoni risultati. Nei momenti difficili, soprattutto per la squadra maschile, le capitava di «scambiare dei messaggi con Romagnoli», l’altro capitano, « ci ha dato il loro sostegno e noi l’abbiamo dato a loro». Ma non è solo una questione tra giocatori e giocatrici, che dopotutto condividono lo stesso mestiere. Per Giacinti è considerevole anche la vicinanza della società: Maldini e Gazidis capita di vederli allo stadio quando giocano, quello che Giacinti chiama «un sostegno raro» a definire quanto «credano in noi e nella crescita del calcio femminile». Poi, come se la Champions League fosse un discorso di famiglia - e la storia della squadra maschile dimostra che un po’ lo è - Giacinti mi sottolinea come «stanno insegnando [alla squadra] ad avere una mentalità forte, per andare in Champions e fare qualcosa di importante per il club». Dopo lo stop di marzo per il lockdown, il campionato femminile non è più ripartito nonostante gli sforzi delle giocatrici. In mancanza di regole chiare, tra Fiorentina e Milan a pari punti al secondo posto, a spuntarla per un posto in Europa state le viola grazie all’algoritmo della FIGC. Una chance che stanno sfruttando al meglio, visto che solo pochi giorni fa con un gol all’ultimo di Sabatino hanno eliminato lo Sparta Praga guadagnandosi l’accesso agli ottavi di Champions League. Chiedo a Giacinti se “ha rosicato” (non le dico proprio così perché non sono sicuro sia italiano, ma il senso è quello). Mi risponde che ormai è acqua passata e che il secondo posto vogliono prenderselo sul campo, senza algoritmi, poi aggiunge; «Sono contenta per Daniela, stavo guardando la partita e ho detto alla mia coinquilina che avrebbe fatto gol, perché lei è una d'area, una che non si arrende mai», aggiunge.Insomma Valentina Giacinti sembra perfettamente inserita nel suo ruolo: centravanti prolifico, leader di una squadra che punta alla vittoria, portavoce di un movimento in ascesa. Tre profili che non si contraddicono, ma che anzi la rendono la più giovane di un gruppo di giocatrici italiane che si stanno affermando con il talento e la personalità. Prima di lasciarla andare le chiedo cosa racconterà in futuro alle ragazzine della sua esperienza, se si focalizzerà sulle difficoltà incontrate o sui passi avanti degli ultimi anni. «Sicuramente gli racconterei tutto» mi risponde, «devono capire quanto abbiamo lavorato, solo così possono apprezzare quanto abbiamo ora». La storia di Valentina Giacinti, e del calcio femminile italiano, ci racconta che non c’è ricompensa senza impegno. Ci sono ancora molte barriere in piedi, ma la volontà è quella di andare avanti: «È fondamentale capire quanto possiamo ancora crescere, ma solo se entriamo in campo con la mentalità di chi ci ha preceduto» mi dice prima di salutarci. Intanto tra il 6 e il 10 gennaio si disputeranno semifinali e finali della Supercoppa Femminile con il Milan presente. Giacinti potrebbe essere la prima capitana ad alzare un trofeo nella storia del club.

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