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Non mi do limiti, intervista a Thomas Henry
10 dic 2021
10 dic 2021
Dalla quarta divisione francese alla Serie A in pochi passi.
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Domenica scorsa Thomas Henry ha vissuto un’esperienza nuova. Nel primo tempo della partita con il Verona ha fatto l’assist per il gol di Ceccaroni, una bella sponda di testa sul secondo palo svettando col suo metro e novanta, e poi ha segnato il gol del 3-0, infilandosi con furbizia tra difensore e portiere in uscita, sfruttando la loro indecisione per allungare il piede e segnare in qualche modo dopo la respinta. Nel secondo tempo, però, il Venezia ha subito 4 gol, il primo dei quali, quello che ha dato il via alla rimonta, è venuto da una deviazione sfortunata di Henry su un calcio d’angolo a sfavore (il suo secondo autogol stagionale, dopo quello simile contro il Sassuolo). «Non guardo mai alle cose da un punto di vista individuale. Ok ho segnato, ho fatto un autogol, ma è il risultato la cosa più importante». Una settimana dopo, fatica ancora a trovare le parole per descrivere quello che è successo. «È stata la prima volta in vita mia in cui mi è capitato di essere in vantaggio 3-0 e poi perdere 4-3. È stato complicato dopo la partita, ci siamo urlati contro gli uni con gli altri, nello spogliatoio, eravamo sotto shock».

«Avremmo dovuto fare di meglio, certo. A me è dispiaciuto per la squadra. Nell’autogol l’avversario tocca la palla appena prima di me e a quel punto non posso togliere la testa, io ho già fatto il mio gesto». Sconfitte del genere, per di più in casa, possono avvelenare gli animi e compromettere quanto di buono fatto fino a quel momento, ma il Venezia non può permettersi un lusso del genere. Dopo le grida e la frustrazione, il gruppo è tornato unito: «La nostra forza è la coesione. Dobbiamo essere onesti con noi stessi, non abbiamo le qualità calcistiche che le altre squadre hanno, per questo dobbiamo compensare con qualcos’altro. E quello che abbiamo in più è la coesione e la rabbia che ci spinge a fare meglio, a fare l’impresa».

Il Venezia ha iniziato la stagione con alcuni risultati sorprendentemente positivi - la rimonta con la Roma, le vittorie con Fiorentina e Bologna - ma quella col Verona è la terza sconfitta consecutiva e adesso i punti di vantaggio dal terz’ultimo posto sono appena cinque. «Siamo quasi tutti nuovi in Serie A, prendiamo ogni partita come una nuova occasione per imparare. Siamo un gruppo che prende queste cose come una lezione. Personalmente mi sento bene, sono tre mesi che sono qui ma secondo me si vede che sto migliorando e c’è ancora un margine di miglioramento. Come ha detto l’allenatore dobbiamo continuare così».

La giocata con cui ci siamo innamorati di T. Henry. Controllo sul velluto e assist al bacio per Aramu, per il gol dell’1-0 che ha deciso la partita con la Fiorentina.

Il padre di Thomas Henry è stato uno schermidore capace di vincere quattro medaglie olimpiche (tra cui l’oro nella spada a squadre a Seul, nel 1988) e due Mondiali. La madre ha vinto un campionato nazionale juniores di basket. «Nella mia famiglia lo sport era una cosa normale, per i miei genitori era tanto importante quanto matematica o qualsiasi altra materia a scuola. A casa mia non guardavamo il telegiornale, guardavamo solo sport in tv. Guardavo la Francia di rugby, guardavo il basket, l’NBA». Da ragazzo ha provato un po’ di tutto. Tennis, rugby, un po’ di basket, un po’ di scherma in cantina col padre. Soprattutto atletica: cento metri ostacoli, cento metri piani, giavellotto, peso, persino il salto con l’asta. «Oggi penso di essere completo dal punto di vista atletico grazie a questa formazione. Non sono lento ma soprattutto penso di avere una buona tecnica di corsa».

Sembra assurdo ma Henry ha iniziato a giocare a calcio in un club solo a quindici anni. «Ho sempre giocato coi miei amici, per strada, nel campetto vicino casa. Anche quando facevo altri sport». A Clamart, banlieue residenziale a sud di Parigi dove i suoi genitori si sono trasferiti poco dopo la sua nascita, Henry è cresciuto con lo stesso gruppo di amici che frequenta ancora oggi, il tipo di amici con cui ti vedi sotto casa senza niente di speciale in programma, giusto per stare insieme. «Erano altri tempi, non c’erano i social, sul telefono aveva cinque euro di credito, ci chiamavamo giusto per darci appuntamento». Con loro ha iniziato a giocare in una squadra vera e propria, nell’ultima divisione francese. «Sarebbe a dire che c’era un campo e uno spogliatoio in cui faceva così freddo che non ci cambiavamo neanche, arrivavamo direttamente vestiti per l’allenamento».

Poi a 21 anni, a sorpresa, è arrivata la chiamata del Nantes, in Ligue 1. «Un grande club, otto volte campione di Francia, con una decina di campi di allenamento, uno spogliatoio con una palestra. Non ero abituato ad avere tutti quei fisioterapisti, tutte quelle persone lavorano in un club. Ad avere la colazione, il pranzo pronto. A volte mi chiedevo se potevo mangiare, se potevo usare le macchine in palestra». Con il Nantes ha fatto due presenze in campionato, poco più di una ventina di minuti in totale, prima di tornare in terza divisione, con lo Chambly per due stagioni. «Venivo troppo dal basso. E ci vuole del tempo per rendersi conto che essere calciatore non è solo andare in campo e fare un passaggio».

Nel repertorio tecnico di Henry ci sono giocate raffinate come questa.

Ecco un’altra informazione difficile da credere: fino a quattro anni fa, Thomas Henry non giocava in attacco. Lo Chambly, nel 2018, è arrivato in semifinale di Coppa di Francia, eliminato da un’altra squadra di terza divisione a una sola partita di distanza dalla finale del Parc des Princes contro il PSG: quella partita Henry l’ha giocata da esterno sinistro di una difesa a cinque: «A tutta fascia, ma dato che eravamo molto bassi, avevamo un allenatore italiano, ero proprio difensore. Ho giocato un po’ in tutti i ruoli, molto a centrocampo, numero 8… in Belgio invece mi sono concentrato su un solo ruolo. Nella mia carriera c’è un prima e un dopo il Belgio. Christian Bracconi (suo allenatore al Tubize, in seconda divisione, nella stagione 2018-19 ndr) mi ha spostato in attacco e mi ha dato molte responsabilità. Ha creduto moltissimo in me e mi ha fatto sentire molto amato. Se oggi sono qui è solo grazie a lui ».

È in Belgio che Henry ha preso consapevolezza di quello che poteva fare, andando oltre le aspettative di tutti. E a quanto pare persino dopo una gavetta lunga e faticosa, se ti permetti di andare oltre le previsioni, c’è qualcuno con il coraggio di venirti a dire che dovresti stare al tuo posto. Ma qual è il posto di Thomas Henry? «C’erano persone che credevano in me, ma altre no. A volte è stato difficile, anche quando siamo stati promossi dalla seconda divisione alla prima (appena due stagioni fa, alla fine della stagione 2019-20, con il Louvain ndr), c’era chi mi diceva che non sarei potuto andare più in alto». Henry dice di essere un grand rêver e che i genitori gli hanno insegnato a non mettersi limiti. «Allora magari sentendomi parlare così qualcuno mi diceva: Thomas stai calmo. Ma lo scopo per me è di arrivare il più in alto possibile. E per questo non ho avuto paura di venire in Serie A. Molti dicevano che sarebbe stato complicato, perché il Venezia è una neopromossa. Ma io amo le sfide. L’adrenalina che viene dal dire: vedete che sono in grado, sono capace, anche se vengo dal niente, dall’ultima divisione, anche se non ho fatto nessun centro di formazione».

A marzo dello scorso anno Henry per un momento è stato l’attaccante francese a segnare più in Europa. Più di Mbappé, più di Benzema. Ha chiuso la stagione con 21 gol ma tra ottobre e febbraio ne ha segnati 17 in 18 partite. Un momento di forma difficile da spiegare. «A Louvain avevo tutto il club che mi sosteneva. I compagni di squadra, l’allenatore Marc Brys che faceva tutto per mettermi nelle migliori condizioni, e quando senti tutta quella fiducia puoi spostare le montagne. Poi penso faccia un po’ parte della vita di un attaccante, a volte segni molto e non capisci perché, a volte non riesci a segnare. Alla fine il modo in cui vedo le cose è lo stesso, sia se le cose vanno bene sia se vanno male: devi continuare a lavorare, pensare sempre che puoi arrivare più in alto, che puoi fare meglio».

Un’altra giocata niente male per un uomo grosso che gioca in attacco.

Nello stile di Thomas Henry si vede il passato da jolly, da coltellino svizzero. Anche se è un ottimo riferimento sulle palle lunghe, per far salire la squadra, le sue rifiniture a centrocampo ma anche sulla trequarti hanno una pulizia tecnica e una creatività che non è da tutti gli attaccanti di peso. Anzi, forse la cosa più sorprendente è proprio che abbia sviluppato in così poco tempo la capacità di giocare spalle alla porta, con un difensore alle spalle grosso quanto lui se non più grosso. «So di avere quest’immagine di attaccante molto forte spalle alla porta. Ma penso di essere molto di più. Penso di essere un giocatore molto completo». Forse qui entrano in gioco anche i pregiudizi di chi guarda alla sua pagina Wikipedia e vedendo che è alto un metro e novanta e si è fatto strada lungo le categorie minori. «Adesso, senza che mi faccio i complimenti da solo, posso dire che i giocatori a cui guardo è gente come Zlatan, o Cristiano. Mi piacerebbe venir considerato come un giocatore di squadra che sa fare un po’ di tutto, non come un attaccante che pensa solo a segnare. Anche le mie statistiche lo mostrano, qualche assist lo faccio…».

A proposito di statistiche. Secondo i dati di Statsbomb, che compara tutti i giocatori dello stesso ruolo (in questo caso attaccanti) in base ai numeri dell’ultimo anno solare, degli ultimi 365 giorni, cioè, Thomas Henry è nell’1% degli attaccanti che ha prodotto più Expected Assist - passaggi, cioè, con cui un compagno avrebbe potuto tirare con un grado di pericolosità alto - 0.30 in media ogni novanta minuti. Un dato sensazionale per un giocatore che ha passato la scorsa stagione in Belgio, e quella attuale in Serie A, in due squadre neopromosse. «Non è una cosa calcolata, per me è naturale. Prendi l’assist contro la Fiorentina (per Aramu, che mette davanti alla porta vuota tagliando fuori il portiere con un passaggio in orizzontale, là dove altri attaccanti magari avrebbero calciato in portandr), non penso solo a me stesso. Se passandola ci sono più possibilità di fare gol, la passo. Provo a fare tutto in funzione della squadra».

Anche se apparentemente è tutto naturale, tra le difese della prima divisione belga e la Serie A c’è una bella differenza. Quando gli chiedo se è vero il mito delle difese italiane Henry sorride. «Sì è molto dura in Italia. C’è una cultura tattica impressionante, è molto difficile fare gol quando una squadra italiana ha deciso di non prendere gol. I difensori del campionato italiano sanno come difendere, anche quando capiscono che non possono arrivare sulla palla c’è sempre un piccolo strattonamento o una mano con cui ti infastidiscono mentre provi a tirare o a passarla».

D’altra parte anche i pesi massimi migliori hanno un bel gioco di gambe.

Cosa ha dovuto cambiare del proprio gioco per adattarsi? «Non cambiare, ma imparare. Aggiungere delle informazioni. In francese diciamo: ajouter une corde a mon arc (aggiungere una corda al proprio arco ndr). Sono qui per imparare. Cerco di non dimenticare tutto quello di buono che ho fatto, di conservare le mie qualità, ma voglio aggiungere altre cose, per essere ancora migliore».

Henry dice di essere un grande osservatore, di guardare sia le sue partite che quelle dei suoi avversari, per studiarli e prendere ispirazione, per vedere come hanno reagito loro in situazioni in cui potrebbe trovarsi lui. «La mia tv è sempre accesa e c’è sempre una partita di calcio». Nel calcio italiano «devi vedere le cose più velocemente. Mi rendo conto adesso che in Belgio per tre anni avevo molto spazio in più per giocare, perché le linee di centrocampo e difesa non erano così strette come in Italia. E con le linee così strette devi liberarti del pallone con due o tre tocchi, il gioco va molto più veloce. Sul piano tattico, difensivamente, offensivamente, sto imparando molto in Italia. Sto imparando a reagire come un difensore: ti chiedi cosa farà in ogni situazione. Per giocare in Serie A devi riflettere molto».

In campo lo hanno impressionato giocatori come Brahim Diaz - «è piccolo ma va veloce e gioca bene a calcio in modo semplice» - Calhanoglu, Dusan Vlahovic. «Ma è pieno di ottimi giocatori in Italia, ogni squadra ha almeno un giocatore molto forte». Contro il Milan, lui è entrato a metà del secondo tempo, ma Ibrahimovic non era neanche in panchina quel giorno, spera di vederlo in campo al ritorno. Dopo quasi metà campionato Henry può dire di aver affrontato già parecchi difensori di alto livello, ma se gli chiedi quale lo ha messo più in difficoltà risponde come i grandi competitori quando gli chiedi qual è la gara più importante della loro vita: la prossima.

«Aspetto con impazienza la Juve. Nella mia testa la migliore difesa al mondo, quando giocano insieme, sono Chiellini e Bonucci, e aggiungiamo anche De Ligt. Non vedo l’ora di giocarci contro perché per un attaccante penso sia il massimo misurarsi con difensori del genere, è una sfida molto grande e quello che voglio nella mia vita è vedere dove sono i miei limiti. Non vedo l’ora di giocare contro la Juve per vedere che succede».

Thomas Henry - che gioca con la 14 sulle spalle e nelle liste del fantacalcio figurava come T. Henry, facendo sognare chi ha visto giocare il suo quasi omonimo e connazionale Thierry - ha messo quindici partite di Serie A nel suo bagaglio, da titolare e da subentrato, ha segnato due gol e realizzato due assist (e due autogol, come detto). Divide lo spazio in attacco con Okereke, Johnsen, Forte, Aramu, tutti giocatori diversi da lui e diversi tra loro, tra cui Zanetti sembra voler scegliere di partita in partita, di momento in momento. Il Venezia ha un gioco ambizioso e offensivo, è una delle squadre più divertenti ed emozionanti da guardare, ma la strada da fare per affermarsi in un campionato difficile come quello italiano è ancora lunga per Henry. «Ho 27 anni, sono a metà della mia carriera ma penso di avere ancora un margine di miglioramento. Sto molto bene a Venezia oggi. L’anno scorso volevo un grande campionato, e oggi ci sono. Nel futuro chissà, magari una coppa europea, ma il punto è continuare a migliorare, a crescere, arrivare il più in alto possibile».

Thomas Henry è un ragazzo molto umile e semplice, ma è anche, come ha detto lui, un sognatore, un competitore ambizioso, che rifiuta di darsi un obiettivo realisticamente raggiungibile. E dato che qualche sogno si è già avverato, tipo arrivare a giocare in Serie A partendo dalla quarta divisione francese, contro i pronostici di tutti, è probabile che abbia ragione lui. «Sarebbe come dire già adesso dove voglio fermarmi. Non ho paura di dire che non mi do un limite. Oggi io non dovrei neanche fare il professionista, quindi posso solo dare tutto il mio meglio per non avere rimorsi».

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