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Foto di Fabio Barbieri/Venator FC
Sport Daniele Manusia 17 agosto 2016 9'

Sicuro di sé

Due chiacchiere con Marvin Vettori, a pochi giorni dal suo debutto in UFC.

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Tra pochissimi giorni – sabato 20 agosto – Marvin Vettori esordirà in UFC, a Las Vegas, contro il trentenne brasiliano Alberto Uda. Sarà il quarto italiano nella breve storia della promozione americana. Alessio Di Chirico, che ha esordito quattro mesi fa, combatterà per la seconda volta in UFC una settimana dopo di lui, il 27 agosto. Saranno dieci giorni importanti per le MMA italiane.

 

 

Marvin Vettori compirà ventitré anni a settembre e combatte da quando ne ha diciassette: ha dovuto chiedere il permesso ai genitori per i primi incontri di MMA da professionista. È cresciuto in provincia di Trento e subito dopo aver finito ragioneria ha vissuto due anni a Londra, dove di giorno si allenava e di notte lavorava come buttafuori. Dopo la sconfitta con l’inglese Bill Beaumont ha passato un periodo difficile ed è tornato in Italia. Questo succedeva due anni fa, e da allora ha vinto tutti e cinque gli incontri disputati e si è allenato più volte in America, si è costruito un record impressionante di dieci vittorie e due sconfitte che lo ha portato alla “chiamata” in UFC.

 

È un fighter aggressivo e completo, solo due dei suoi incontri sono andati oltre la prima ripresa (tra cui quello con Beaumont). Uno dei suoi colpi preferiti è anche uno dei più spettacolari in assoluto: la ginocchiata; ma molte delle sue vittorie sono arrivate per sottomissione, con vari tipi di strangolamento. Ha cambiato categoria di peso recentemente, passando dai welter (77kg) ai medi (84kg), in cui ha già combattuto un incontro (durato poco più di un minuto, con un altro brasiliano, Araujo).

 

Ho intervistato Marvin su Skype, durante il campus di preparazione in California. Lì era quasi mezzanotte, si era allenato due volte quel giorno ma non aveva l’aria stanca, solo a riposo.

 

L’ultimo incontro vinto da Vettori.

 

 

L’importanza dello stile in uno sport apparentemente brutale

 

L’MMA è una disciplina nuova e specie in provincia non è facile trovare un posto in cui allenarsi. Da ragazzo, Vettori doveva spostarsi di palestra in palestra per assemblare le varie competenze delle discipline che convergono nelle MMA. «Non ho un vero e proprio background. Sono un atleta a cui piace studiare, non mi accontento mai e cerco di curare la tecnica fin nei dettagli. Ho fatto di tutto: ho cominciato con la thai, per poi passare al brazilian jiu jitsu, poi ho fatto anche dei match di boxe, delle gare di lotta greco-romana. Ho avuto dei periodi in cui mi sono concentrato più su una cosa rispetto ad altre, però cercando sempre di mantenere il livello alto su tutto il resto. Se dovessi trovare un punto forte nel mio stile è proprio la completezza».

 

Si ispira a personaggi come Mike Tyson e Fedor Emelianenko, uno dei primi fighter di MMA capaci di sviluppare un mito. Pur con stili diversi, la caratteristica che accomuna Emelianenko e Tyson (che diceva di tirare pugni con cattive intenzioni in punti vitali, e di voler colpire la punta del naso del suo avversario così da mandargli l’osso nel cervello) è che erano entrambi estremamente aggressivi e dominanti. «Avevano approcci diversi all’incontro, ma sia l’uno che l’altro erano molto tecnici. A volte si dice che Tyson era solo potenza e cattiveria, ma era anche un gran tecnico. Emelianenko è stato uno dei primi ad essere davvero completo: veniva dal sambo, una disciplina molto vasta che comprende anche colpi a terra. Una cosa che mi piaceva di lui è che quando entrava in gabbia sembrava non avesse emozioni. Anche nell’incontro: non lo si vedeva mai agitato, con l’ansia. Era sempre a proprio agio, in ogni situazione, proprio per via della sua completezza».

 

Emelianenko avrebbe buttato giù anche uno dei mostri di Pacific Rim.

 

 

Vettori, però, prima che l’arbitro dia il via non è impassibile. Negli incontri che ho guardato su YouTube ha una faccia sofferta, fa avanti e indietro nella gabbia, muove la testa allungando il collo da una parte e dall’altra. «Sì, ma credo di essere cambiato negli ultimi due match. Prima entravo molto carico, ma anche troppo emotivo. Sprecavo delle energie da usare nell’incontro. Negli ultimi due incontri ho trovato un equilibrio diverso, entro sempre carico, ma più calmo. Tanto io sono uno che parte al massimo fin dal primo secondo, non sono un diesel, non sono uno di quei fighter che passano i primi round a studiare l’avversario. Per cui salire sull’ottagono con tutta quella cattiveria mi faceva sprecare energie. Adesso sono più lucido».

 

 

Turning Point

 

Anche se è molto giovane, Marvin Vettori ha già dovuto affrontare un momento di difficoltà, dopo aver perso contro Bill Beaumont (detto “Super”, perché sale sull’ottagono con gli slip di Superman).

 

«Sono tornato in Italia che avevo un po’ di cose in testa. Vedevo un futuro là. Poi ho perso quell’incontro, ho aperto gli occhi su tante cose… Non volevo mollare, però era diventato davvero troppo pesante restare a Londra. Ero in palestra tutto il giorno: ho preso tantissimo tecnicamente, quasi senza accorgermene. Però mentalmente non ero pronto per tante cose, infatti nei match che ho vinto lì quando la situazione si faceva veramente dura io avevo una specie di fretta di finire».

 

L’incontro con Beaumont.

 

 

«Ho appreso tantissimo tecnicamente nei due anni a Londra, ma non ero consapevole fino in fondo di quello che avevo appreso. Non mi sentivo fino in fondo a mio agio nella gabbia. L’incontro con Beaumont, dove sono stato 15 minuti in gabbia a soffrire, mi ha cambiato. Da quel momento ho voluto solo match che mi facessero crescere: mi sono reso conto che puoi fare quello che vuoi in allenamento ma poi l’incontro è una cosa a parte, è un mondo a sé. Non esiste l’incontro perfetto, devi venir fuori tu: quello che hai fatto, quello che sei. È vero che gli incontri successivi li ho finiti presto come quelli precedenti, ma da quel momento sono molto più consapevole».

 

Ma il fatto che Vettori ha vinto tutti i suoi incontri nella prima ripresa (tranne uno: la finale della prima edizione del Venator FC contro Daniele Scatizzi, vinta ai punti, in cui Marvin è sembrato stanco alla fine) rappresenta un’incognita: cosa succederà quando troverà davanti un avversario in grado di portarlo alla terza ripresa?

 

«Io mi alleno sempre fortissimo e sono pronto a mantenere un gran ritmo in tutto l’incontro. Non parto con un ritmo alto per poi abbassarlo: quel ritmo con cui parto sono sicuro di riuscire a mantenerlo per tutta la durata dei round. Se un mio avversario riuscirà a sopravvivere ai primi minuti dell’incontro… be’, andrò avanti fino a quando sarà crollato».

 

L’intensità è una delle caratteristiche che rendono l’MMA così spettacolare, ma solo dal vivo si percepisce la tensione dei momenti meno spettacolari dell’MMA, tipo la forza a contrasto di due fighter avvinghiati a terra. Uno dei problemi, in uno sport in cui molti incontri vengono decisi dal giudizio dei giudici, è che in situazione di sostanziale parità si decida di premiare un tipo di atteggiamento aggressivo anche in maniera superficiale, rispetto ad uno più riflessivo, anziché valutare l’incontro nel rispetto degli stili di combattimento diverso.

«Sì, può darsi. Ma essere l’aggressore, far vedere che vuoi vincere davvero l’incontro, è importante. Agli occhi dei giudici, e del pubblico, è importante. Non so se sia giusto o meno, ci sono dei fighter che combattono andando indietro… ma non è da questo che si vede chi comanda nella gabbia. Devi far trasparire che hai in mano la situazione, questo sì. Questo penso che sia il criterio giusto».

 

 

Highlights dal Venator FC.

 

 

Dai dubbi alle certezze

 

Marvin Vettori è molto sicuro di sé e questo magari lo porta a non essere diplomatico quando parla dei suoi avversari (attirandosi anche qualche antipatia) ma in parte è dovuto alla formazione che dà una disciplina come l’MMA. Riuscire a controllare il naturale istinto a dubitare di sé è parte dell’essenza stessa dell’MMA, dove ogni pochi secondi bisogna prendere una decisione che potrebbe avere conseguenze disastrose.

 

«Il nostro è uno sport in cui è importante essere sicuri dei propri mezzi. Io so sempre benissimo cosa devo fare: devi avere delle linee guida su cosa aspettarti, su come muoverti. Devi essere tu a gestire l’incontro, altrimenti sarai lì a rispondere alle sue mosse, non sarai tu a dettare il ritmo. La sconfitta va messa in conto, ovvio, essere sicuro di te non esclude la sconfitta. Ma con l’approccio mentale giusto hai fatto gran parte dell’opera: la convinzione deve essere accompagnata dai fatti, non puoi convincerti di qualcosa che non può essere fattibile».

 

I calciatori giocano fino a 50 partite l’anno, i fantini in Inghilterra corrono più di 300 gare…. come si fa ad essere sicuri del proprio valore se si combatte solo un paio di volte l’anno, se nell’arco di una carriera che lo ha portato a combattere in UFC ha combattuto in tutto solo 11 volte?

 

«Con il lavoro che faccio in palestra, con gli sparring, con la conoscenza delle mie capacità. Io cerco di essere autocritico, però anche obiettivo. Se dico che sono superiore a un avversario è perché l’ho studiato, e penso di essere superiore. Mi dedico completamente a questo sport e non faccio altro, mi alleno dalle tre alle quattro ore al giorno, e faccio in modo di essere preparato in ogni aspetto. La sicurezza viene dal lavoro che fai. Poi comunque ho girato abbastanza, sono riuscito a farmi un’idea dei miei mezzi».

 

Quando gli chiedo se ha paura quando sale sull’ottagono, o se c’è qualcosa che lo turba, Marvin risponde: «Più che paura è pressione, magari. Hai investito tanto, hai fatto tanto, gente che ti segue, gente che si aspetta. Magari è più questo che ti attanaglia. I tuoi sostenitori, la tua famiglia, gli amici, il team, gli allenatori, i tifosi».

 

 

Allenarsi in America

 

Mentre le MMA continuano a crescere in Italia, per competenza e pubblico, Vettori per i suoi ultimi incontri ha scelto di allenarsi in America. «Ormai è già la terza volta che vengo qui. Se vieni qui ti rendi conto che è dove sono le MMA. In California ci sono tutti gli atleti migliori, che fanno risultati costanti, il livello è altissimo. La carriera di un atleta italiano di MMA è molto dura, ma non significa che sia impossibile. Io parlo in base alla mia esperienza: vengo da un paesino piccolo dove è difficilissimo, per non dire impossibile, prepararmi su tutti i fronti. Per questo a 18 anni sono dovuto andare a Londra. In Italia ci sono palestre valide, il movimento si sta ingrandendo, però le MMA sono nate qua in America, a noi arriva il riflesso, in un certo senso. È normale, bisogna andare a prendere là da dove il movimento è più sviluppato».

 

Uno degli ultimi allenamenti americani.

 

 

Perché il movimento cresca bisognerebbe che le MMA si liberino dello stigma che le vuole come lo sport violento per eccellenza. Come solo violenza, anzi, invece di uno sport che è al 99% preparazione, tecnica e strategia. «Quelle in gabbia sono persone che si allenano a fare uno sport che è pieno di tecnica. Così pieno che non si finisce mai di studiare. Certo, quando senti lo sciaf delle tibie che si scontrano può essere impressionante. Però se si venisse in palestra a vedere cosa c’è dietro quando una persona sale in gabbia, sarebbe diverso. È uno sport estremo, come il downhill: quando lo vedi da fuori sembra un’assurdità, perché fanno dei salti di dieci metri con le mountain bike. Ma non basta buttarsi da una montagna per diventare campioni di downhill. Se non ti piace lo scontro fisico sicuramente le MMA non fanno per te, però la tecnica che c’è dietro, lo studio, secondo me è la chiave. Non è più brutalità, non è più una rissa, ma uno sport vero e proprio. E poi non ci sono vigliaccherie, o tiri mancini: non ci sono scorciatoie».

 

E per quanto per qualche osservatore l’MMA come molti sport di combattimento rappresenta la pura e semplice affermazione di sé, farsi strada a pugni letteralmente schiacciando chi ci sbarra la strada (per il Guardian è addirittura una forma di omicidio legale); e per quanto questo aspetto della faccenda sia senz’altro parte del suo fascino, non è di questo individualismo che è fatta l’MMA per chi ci lavora quotidianamente.«Non è vero perché, anche se in gabbia ci sei tu e basta, se dietro non ci fosse un lavoro collettivo non andresti da nessuna parte. Quello che fai in gabbia è una somma di tutto quello che sei riuscito a prendere dai tuoi allenamenti, dallo studio di altri, dalla gente a cui ti ispiri».

 

 

Futuro

 

Quando parliamo del suo avversario in UFC, Vettori sembra tranquillo come prima. Non lo preoccupa il salto di categoria, ma va tenuto conto dell’altezza: Alberto Uda è più o meno 1 metro e 90. «È grosso ma non muscolare, ha le braccia lunghe ma non mi vedo inferiore fisicamente, e non è neanche un gran tecnico. Penso di essere più esplosivo e più tecnico, posso mettere un ritmo maggiore nell’incontro, lo vedo abbastanza lento, macchinoso. Anche a terra… posso sembrare uno sbruffone, ma non lo sono, penso che anche se lo porto a terra in pochi minuti riuscirò a finire l’incontro». Parlando della sua ginocchiata: «Se sarà lui a provare a portarmi giù, la potrò fare».

 

Non voglio chiedergli troppo anche per non svelare un’eventuale strategia: «Ma io potrei tranquillamente dirlo direttamente a Uda quello che proverò a fare. Ho lavorato tanto sull’overhand, dato che è più alto. Poi lui è già andato giù con un colpo al fegato, io essendo mancino sono avvantaggiato a tirare il middlekick sul suo fegato (perché il fegato è alla nostra destra, quindi alla sinistra di chi si trova di fronte a noi: lo specifico per chi vivesse una vita normale senza consapevolezza di dove si trovi il proprio fegato, tipo me ndr). Imposterò un ritmo alto da subito, perché l’ho visto stanco nei secondi round. Me lo aspetto molto duro nei primi minuti, viene sempre avanti, ma non penso che avrà benzina sufficiente per reggere il ritmo che imposterò. Quindi prima o poi crollerà».

 

Quando gli chiedo se entrerebbe in gabbia contro Luke Rockhold (uno dei suoi miti) dice: «Perché no? L’ho osservato da quando ho cominciato a fare MMA. So cosa aspettarmi, e poi quando ti fissano l’incontro tu hai due-tre mesi per allenarti per incontrare proprio quel fighter in particolare. Ho tutto da guadagnare se dovessi combattere un incontro del genere. Sicuramente devo fare il mio percorso prima e devo migliorare ancora tanto. Però, diciamo che in tre anni si può fare».

 

Quando ci salutiamo gli chiedo cosa farà dopo l’incontro con Uda. «Dagli ultimi incontri sono uscito bello pulito e tranquillo. Quindi mi sono goduto la vittoria, poi sono tornato a casa e me la sono goduta con gli amici e con la mia ragazza. E questa volta sarà uguale».

 

 

Tags : mmaufcvenatorvettori

Daniele Manusia, direttore e cofondatore dell'Ultimo Uomo. È nato a Roma (1981) dove vive e lavora. Ha scritto: "Cantona. Come è diventato leggenda" (Add, 2013).

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