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Daniele Manusia
Combattere è un gesto nobile
09 apr 2016
09 apr 2016
Intervista ad Alessio Di Chirico, l'unico fighter italiano in UFC.
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Daniele Manusia
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Alessio Di Chirico è un fighter romano che

esordirà in UFC, la principale – americana – organizzazione di Mixed Martial Arts (MMA) a livello mondiale. A Zagabria affronterà un altro esordiente: il serbo Bojan Velickovic e l'incontro sarà trasmesso in differita alle 19.30 su Fox Sport Plus.

 

Se è già raro per un atleta europeo ricevere “la chiamata” dell'UFC, Di Chirico è il terzo italiano nella breve storia della promozione, dopo l'altro romano Alessio Sakara (che ci ha combattuto dal 2005 al 2013), e il brianzolo Ivan Serati (un solo incontro nel 2009, perso per KO alla prima ripresa). Di Chirico ci arriva da imbattuto, con 9 vittorie su 9 incontri da quando ha cominciato a combattere da professionista nel 2011 (4 KO, 4 sottomissioni, 1 decisione unanime dei giudici).

 

Ci siamo incontrati all'Hung Mun, la palestra di Roma Nord in cui è cresciuto (una delle migliori, se non la migliore in assoluto, in Italia per le MMA) e a cui è legato al punto da essersi trasferito, con la madre e il fratello, qualche piano più sopra nello stesso palazzo. Qualche giorno prima che partisse per la Croazia, il giorno dopo la sua laurea in Scienze Motorie. Abbiamo parlato in una saletta medica, dietro di lui c'era un poster illustrato con le principali articolazioni del corpo umano, dalle pareti filtravano i bassi di una musica che non saprei definire se non come

e il rumore sordo dei colpi tirati sui sacchi e sui guanti imbottiti degli istruttori, in sequenze rapide da due o tre colpi accompagnati dalle consuete grida di decompressione. Anche se avessi voluto parlare di qualcosa di diverso dal combattimento, sarebbe stato impossibile.

 



 

È un ragazzo di ventisei anni con i capelli corti schiacciati sulla fronte e una di quelle facce pulite che ricordano le statue del Gianicolo, solo con le orecchie a cavolfiore. Siamo più o meno alti uguale, sulla scheda ufficiale UFC è 1 metro e 83 centimetri, ma la postura e l'atletismo lo fanno sembrare almeno 1 metro e 90. È così spesso e largo di spalle che se mi sedessi sulle sue ginocchia potrebbe farmi da poltrona.

 

Ha un'aria seria con ancora qualcosa di infantile – per capirci: a livello di immagine Di Chirico è all'opposto

(tatuaggi, barba, sguardo cupo del lottatore in cerca di riscatto). I suoi silenzi mi fanno pensare di avere davanti un certo tipo di archetipo di combattente: più che un gladiatore senza nessuna pietà (

: come si chiamavano i combattimenti mortali in epoca imperiale), sembra Davide, il ragazzo che difende il gregge dagli orsi e affronta con serenità Golia, mentre l'esercito scappa impaurito.

 

Solo che è difficile trovare un avversario che possa essere per lui l'equivalente di Golia. Combatte nella categoria degli 84 kg, domenica affronterà Velickovic che sale dalla categoria inferiore, dai 77 Kg. Cioè è un peso “welter” che ha accettato l'offerta dell'UFC di combattere nei “medi” e acquisterà peso per l'occasione: da quello che ho capito, non è detto sia uno svantaggio per nessuno dei due.

 

https://www.youtube.com/watch?v=O7TUhXVqXrI

Questo è il secondo incontro da professionista di Di Chirico (del 2012). L'avversario, Issa Saidi, non ricambia il saluto all'inizio della prima ripresa. Di Chirico è sempre molto rispettoso con i suoi avversari ed ero curioso di sapere se gli aveva dato fastidio il comportamento di Saidi: “Sì, lui ha iniziato proprio così. Infatti poi ho avuto un'esultanza abbastanza forte”.


 

La madre non voleva che facesse sport di combattimento da piccolo e ha cominciato con la pallanuoto, ovviamente ha giocato un po' a calcio, ma sopratutto a football americano. Secondo lui è un bene provare altri sport “per avere più schemi motori a disposizione”. Dice che da piccolo era iperattivo: “Non stavo mai fermo, anche a scuola. Poi con lo sport mi sono calmato sempre di più, con le MMA del tutto”.

 

Gli chiedo se combattendo sente di aver canalizzato un'aggressività che aveva anche prima: “Sì, è ovvio. Più la vita va avanti più ti crea delle frustrazioni, ti senti in qualche maniera oppresso. Poi quando cresci c'è sempre una crisi, e magari per alcuni è il divorzio dei genitori, come per me. Che è una cosa comune oggi... ma magari anche se i genitori stanno insieme litigano sempre... è propria una cosa che fa parte di noi. Anche nel calcio si sfogano pulsioni aggressive”.

 

Se a football americano gli faceva comodo essere il più grosso possibile, Alessio ha iniziato ad allenarsi in palestra per dimagrire: “Ma il football americano mi è rimasto dentro. Il mio stile viene da lì: mi piacciono i take down, le proiezioni”. Quindi gli piace la lotta a terra, e si è allenato con alcuni tra i migliori lottatori italiani (tipo

). Ma dice anche di dover migliorare nello striking (nelle fasi di combattimento in piedi, pugni e calci) e nella guardia: “Sto solo un po' aperto. È un errore stilistico, bisogna stare chiusi per avere più allungo sui colpi e stare coperti in difesa”.

 

Di Chirico ha un'intensità calma sull'ottagono, sembra sempre in fase di studio e controllo dell'avversario. Non dà la sensazione di pericolo imminente che danno certi lottatori e pugili aggressivi, ma non invoglia neanche ad attaccarlo con leggerezza. Non forza la guardia dell'avversario con colpi corti ma se vede un buco prova infilarci dei ganci in allungo così potenti che farebbero tremare un albero. Si muove molto lateralmente e quando aggancia il corpo che si trova davanti e spinge sulle gambe (almeno questa è la mia impressione) per quel corpo è difficile ribellarsi.

 

https://www.youtube.com/watch?v=f55PaeU8e5I

Il suo penultimo incontro da professionista, più o meno di un anno fa (marzo 15). Si vede male, ma se andate alla terza ripresa (più o meno al minuto 12.30) Di Chirico vince con una scarica di pugni al volto (la mia impressione da quste immagini è che a Reinders cedano le gambe durante uno scambio in piedi, dopo un gancio sinistro). Prima di festeggiare resta inginocchiato vicino all'avversario, esulta solo dopo averlo abbracciato.


 



Di Chirico è appassionato di MMA nello stesso modo in cui io lo sono di calcio (e altri lo sono di basket, baseball, etc): è un nerd. Una delle primissime cose che mi dice è che è “ossessionato” dal rapporto tra la

(la guardia) e la

nei fighter. Questo perché la guardia dipende dallo stile del fighter: se è più lottatore (cioè se viene dal judo, dal wrestling o da altri sport che prediligono prese e lotta a terra) in quel caso nella guardia il braccio forte va portato davanti; se è più striker (se preferisce il pugilato o viene dal savate, dal muayhi thai o da sport affini) allora il braccio forte nella guardia va dietro a quello debole.

 

Il discorso si complica se un atleta è, ad esempio, mancino di piede e destro di mano (come Maradona). Di Chirico mi fa l'esempio del fighter brasiliano Anderson Silva,

nelle MMA: “Forse per la grande tradizione calcistica brasiliana, magari perché giocava a calcio, il piede d’appoggio, quello che Anderson Silva mette davanti, è il destro, e quindi ha una stance da striker mancino. Anche se è destro.... Ti faccio un altro esempio con

, il mio fighter preferito, anche se la sto ancora studiando questa cosa: lui è destro ed è un ex lottatore, però è messo con il braccio sinistro davanti. Questo, credo, perché nel football americano e nel baseball quando lanciano il braccio forte va dietro. Quindi è messo al contrario, magari perché ha un'influenza da quegli sport lì.”

 

La diverse fasi di combattimento rendono le MMA uno sport estremamente strategico, in cui è importante conoscere i propri avversari come se stessi: “Sapere se è uno che punta molto sul gancio sinistro, oppure sul diretto destro... che ha un take down di un certo tipo, proattivo o reattivo... se in fase difensiva come contrattacco usa il low kick... è molto complesso”. Le variabili sono così tante che per combattere bisogna saper interpretare situazioni nuove ogni pochi secondi e per questo ragione è fondamentale riuscire ad ascoltare il proprio angolo, che comunica con l'atleta attraverso degli

(codici che nel football americano il quarterback chiama per cambiare tattica in corsa). Suggerimenti utili sopratutto per rielaborare la propria strategia nel mezzo del combattimento: “È importante l’ascolto dell’angolo: forse è la mia più grande qualità. Però ci sono dei momenti in cui vai in trance agonistica. Ma quando riesco a sentirli mi danno quella cosa in più”.

 

Gli leggo l'incipit

, pugile romano e campione del mondo dei Supermedi, in cui si parla dell'importanza del tempo nella boxe: “Nelle MMA è diverso, il ritmo riguarda la capacità coordinativa. O ce l'hai o non ce l'hai, ci sono grandi fighter che sono ballerini. Se hai sempre lo stesso ritmo diventi prevedibile e rischi di essere incrociato. Ci sono moltissimi tempi, a volte ti trovi a distanza, a volte a mezza distanza, provi il takedown, tieni tieni tieni la posizione, stabilizzi, quell’altro prova a scappare, te lo tieni, magari ci riesci, magari scappa e devi ricominciare...”

 

Forse è questo rapporto conflittuale con il tempo, che deriva dai tempi diversi delle discipline che ha assorbito, a rendere le MMA più moderne rispetto alla ritualità della boxe. Sulla differenza tra le due discipline dice che il pugilato “è uno sport bellissimo che possono praticare tutti, anche se a livello psicologico è per pochissimi; ma l'MMA non è per tutti: alcuni movimenti sono difficili, ci vuole molto tempo e tanta tanta pazienza”. E se c'è uno che può saperlo è lui, che è anche istruttore: “Per me allenare gli altri è anche un ripasso delle tecniche. Scopro particolari che prima non conoscevo”.

 

https://youtu.be/VeHhKHKyD4M?t=2m13s

Ha provato a spiegarmi la sua presa preferita del momento, la “inside trip”, facendomi vedere il video dell'incontro tra il russo Saitiev e il cubano Romero. “Una proiezione fantascientifica”, dice. Ma dato che non capisco comunque mi fa alzare e me la fa vedere in piedi, a quel punto faccio finta di capire per evitare che me la mostri nella sua interezza.


 



“Lo avevo sottovalutato. Non lo so perché, avevo sottovalutato la sua agilità, la sua velocità. Era molto rapido. Lui è uno striker, ma ha una dote innata per la lotta, secondo me. C’è stata una fase di lotta nel secondo round in cui non mi aspettavo potesse colpirmi dalla posizione in cui si trovava, e non mi aspettavo potesse colpirmi così forte. Ho sbagliato ad insistere troppo su una parte del combattimento. Dico sempre che la parola chiave in Mixed Martial Arts non è

, ma

. Invece io ero troppo tecnico, e lì ho sbagliato. C’è stato un momento in cui ero completamente

, senza fiato, e ho pensato: Oddio, e adesso che faccio?”

 



L'incontro con Grzebyk, dello scorso novembre. A circa 1.10 del video, Di Chirico alza le braccia in un modo buffo che Grzebyk sembra imitare: “Quella cosa la facevo perché lui è uno che come stile usa molte finte e io non volevo farmi ingarbugliare. Quindi quando vedevo che cominciava a temporeggiare facevo lo stesso. Quelli che fanno così sono di solito i counter-striker, quelli che aspettano che l’avversario si scopra per poter colpire”.

 



Da spettatore trovo che almeno parte del fascino degli sport di combattimento venga dal fatto che gli atleti scelgono di salire sul ring sapendo che possono danneggiare il proprio corpo.  Anzi, che danneggiare il loro corpo è il solo scopo dell'avversario che si troveranno di fronte. Una cosa che è l'espressione di un coraggio ancestrale e, al tempo stesso, contro natura. Nessuno è davvero costretto a combattere, alla base c'è sempre l'accettazione di un rischio gratuito che, teoricamente, può essere mortale (Joyce Carol Oates, nel saggio

, parla di violazione di un tabù).

 

Da questo punto di vista l'MMA può essere sia la massima espressione di nichilismo (lo sguardo nerissimo di certi atleti

ha qualcosa di autodistruttivo) che di coraggio: per l'intensità dei round, la quasi totale assenza di protezioni e la violenza dei colpi che si possono subire, tipo gomitate e ginocchiate al volto – anche se, va detto, non è più dannosa di altri sport: recentemente è stato

a finire in coma dopo un incontro, riaprendo il discorso se sia “sano” lasciare che due esseri umani si prendano a pugni: è ovvio che non lo sia.

 

La prima emozione che provo, immedesimandomi nel combattente che entra nell'ottagono, è la paura. “È la cosa da cui si parte. Poi magari prendi un colpo e lo senti, vai in difficoltà. Però è lì che si vede chi sei. Se lo superi o non lo superi. A volte il coraggio viene confuso con l'incoscienza: uno non sa qual è il rischio e si butta. Il vero coraggio non è quello. Il vero coraggio è superare le proprie paure. È lecito avere paura di fare una figuraccia davanti a tutti, è lecito avere paura che qualcuno ti faccia male... ma è coraggioso prendere coscienza di queste paure e affrontarle”.

 

A quanto pare i dubbi fanno parte della vita del lottatore: “Si combatte tre volte. La prima con la bilancia. Poi con te stesso, perché finché non sei dentro l'ottagono hai degli sbalzi d'umore in cui a volte ti senti onnipotente, a volte una formica”. Anche durante gli allenamenti non è facile, se non ti riesce niente magari diventi insicuro, oppure è un tuo compagno di squadra a farti male. Di Chirico dice di essersi infortunato più volte in allenamento: “Sempre. Perché magari non batto quando dovrei, perché io sono orgoglioso”. Orgoglioso nel senso che non mette fine all'incontro quando è in una posizione troppo dolorosa o svantaggiosa (battendo con una mano su una qualsiasi parte del corpo dell'avversario o in terra sul tappeto), ad esempio quando l'avversario è alle sue spalle e lo sta soffocando.

 

https://www.youtube.com/watch?v=B5D-9hLeZCM

Gennaio 2015. Questo forse è l'incontro con la finalizzazione più facile per Di Chirico, che alla seconda ripresa prende la schiena di Kowalski che non fa altro che portare le mani al volto per attutire i colpi. Ma Di Chirico aumenta la potenza passando alle gomitate e a un certo punto (circa al minuto 11) alza la testa per guardare l'arbitro e capire se deve continuare. Dopo poco l'arbitro ferma l'incontro. Anche in questo caso prima di esultare, Di Chirico aspetta di stringersi con l'avversario.


 

Gli chiedo del momento peggiore vissuto finora e mi racconta di quando nella finale del Mondiale dilettanti (che ha vinto nel luglio del 2014) ha subìto un “armlock”, che  forse è la presa peggiore che si possa subire: immaginate che il vostro avversario vi stia tenendo con la schiena a terra con entrambe le gambe e nel frattempo stai tirando il vostro braccio con tutta la sua forza, rischiando di farvi uscire la spalla e rompervi tendini e legamenti del gomito. Nei casi peggiori l'osso. In gergo si dice

(ma è una presa che viene dal judo, quindi si possono vedere

anche alle Olimpiadi). “Sono stato fortunato perché per qualche motivo gli è sfuggita la presa e sono riuscito a liberarmi.” In quel caso era questione di orgoglio o... “Non calibri il dolore. In allenamento è orgoglio, durante l'incontro è resistenza.” E se ricapita... “Eh, niente. Spero di avere la forza di superare i miei limiti fisici”.

 

Torno indietro e gli chiedo come si supera la paura più profonda, quella di non essere più in controllo del proprio corpo. Da dove può venire il sollievo a un pensiero così oscuro? “Dal team. So che comunque vada c’è la mia squadra. Che mi darà una mano a rialzarmi, come io ho fatto con loro.”

 

https://www.youtube.com/watch?v=WN1Bg5lPmEA

Alessio fa un esempio di forza mentale. “Daniel Kelly è ex olimpionico di Judo, ma aveva contro un fighter davvero forte, Antonio Carlos Junior. Una storia tipo Rocky”. Credo intenda dire che Kelly era l'underdog dell'incontro, anche perché ha 38 anni e Carlos Junior appena 26. “Al primo round Kelly è stato totalmente dominato, si è fatto prendere la schiena al primo round come tendono a fare i judoka. Però riuscito a non farsi finalizzare, è rimasto lì, in piedi, ha aspettato disciplinato, in guardia, ha preso ancora qualche colpo, ha aspettato, poi alla fine ha vinto per ko. Una forza psicologica che ha mandato il suo avversario in crisi. Guarda l'incontro, io l'ho rivisto ieri sera con la mia ragazza.”


 



“Più sei aggressivo sull'ottagono più ti scopri. Cioè, a lungo andare è questo che impari. Più sono importanti i palcoscenici in cui combatti più devi saper aspettare il momento giusto. La rabbia è sempre una reazione emotiva. All'interno del ring non serve. Può servire come motivazione, nel momento in cui si trasforma nella decisione di superare una difficoltà”.

 

Di Chirico dice anche che la rabbia è “un'emozione secondaria” e quando gli faccio notare che gli sport di combattimento vengono interpretati ideologicamente (in positivo o in negativo) dice che è solo “per ignoranza”. Sia quelli che pensano che combattere sia diseducativo, sia quelli che pensano che combattere serva a mettersi alla prova, “a sentirsi un superuomo”. Perché “non sanno quanto lavoro e collaborazione ci sia dietro la prestazione di un atleta.”

 

Fabio Ciolli, head coach di Alessio e a sua volta fighter di MMA, parla di “cambio generazionale”, del passaggio da un'idea di MMA come “emanazione dello scontro di strada” ad atleti iper-professionali come Di Chirico. Ciolli è buddista e parla dei tre demoni “della paura, dell'ingordigia e della confusione”: bisogna avere un approccio distaccato, non c'è niente di personale con gli avversari. “Lui è il mezzo, non il fine”. E il combattimento, anche quello super intenso delle MMA, può diventare una forma di meditazione, di "non pensiero".

 

https://www.youtube.com/watch?v=Yqp8f9Xws9s

È stata una stagione di grandi ribaltamenti per l'UFC, anche Conor McGregor ha perso contro lo sfidante, Diaz, un incontro di cui sembrava ampiamente in controllo. Diaz ha vinto con la faccia sanguinante approfittando della troppa sicurezza di McGregor. Avevo letto un pezzo di Fabio Ciolli, da cui cito:“Alcuni pensano che McGregor abbia perso perché dotato di minor allungo rispetto a Diaz, perché più basso, perché in una categoria non sua, perché meno forte a terra (…) ha perso perché non ha saputo gestire i propri limiti, perché vittima del proprio personaggio, perché in preda alla hybris.(...) Non ha saputo e voluto riconoscere i propri limiti (...) è stato assalito e abbattuto dalla maschera, dal personaggio”.


 

Il controllo che Di Chirico ha dentro e fuori dal ring contrasta con l'immagine d cui ha parlato sopra del bambino irrequieto, ma anche con quella del ragazzo impulsivo che trapela quando mi dice che nella vita quotidiana resiste alle provocazioni “con difficoltà”.

 

Come in tutti gli sport, anche nelle MMA ci sono i trash-talker che provano a far perdere la testa ai loro avversari, ma lui per ora non ne ha incontrato nessuno. “Sarebbe una bella prova. Perché sono uno che tende a cedere alle provocazioni. Ad esempio mio fratello è molto bravo a provocare. È ingegnere civile, ha venti mesi meno di me e fa anche lui MMA. Ha anche combattuto, solo che aveva un problema al polso e ha dovuto smettere. Ancora adesso  quando in palestra non c'è nessuno gli dico: scendi, dammi una mano. Per la lotta è portato. Da piccoli ci ammazzavamo di botte, a posteriori posso dire che ci stavamo allenando. E lui era quello che provocava, io quello che si faceva provocare.” Ma anche in questo caso il combattimento è l'antidoto, non il veleno: “È una cosa che vorrei provare a superare.”

 

https://www.youtube.com/watch?v=mR4X5L2QhOk

A giugno ci sarà il rematch tra Chris Weidman e Luke Rockhold Prima dell'ultimo incontro con cui ha perso la cintura, Weidman era imbattuto. Sono due tipi quasi all'opposto: Wiedman è newyorkese ed è uno dei volti più “istituzionali” dell'UFC. Rockhold è californiano, skater e surfer. Weidman non si dà pace da quando ha perso, Rockhold lo trolla nelle interviste dicendo che sembra un'ex gelosa: “Non sembra più lui. Vedremo se quest'emotività  gli servirà a qualcosa. Nella mia esperienza, l'emotività non ti aiuta a combattere”. Rockhold è sicuro di battere nuovamente Weidman, ancora più velocemente del primo incontro. Di Chirico è sicuro del contrario: “Se Weidman non vince, mi faccio biondo per una settimana”.


 



Siamo abituati a pensare al pugilato e alla lotta come a sport individuali, e “la palestra” non è necessariamente importante per tutti gli atleti, ma per Di Chirico sì. Sentire di rappresentare qualcosa mentre combatte è uno dei leit-motiv delle sue interviste: la sua palestra, le persone che lo sostengono, e adesso che è l'unico italiano in UFC, anche l'Italia. Perché no?

 

Mi spiega che è frequente, una volta raggiunto un certo livello – inferiore al suo adesso, per dire – lasciare la propria palestra per andare ad allenarsi all'estero, in America, in Irlanda (anche la carriera di Sakara, ad esempio, è cominciata vendendo la moto e partendo per il Brasile). “Secondo me, il modo migliore per migliorare è combattere. Spendere soldi per andare fuori, senza magari dare riconoscimento a quelle persone che ti allenano tutti i giorni... perché il problema è che molti vanno, ma poi tornano dopo un mese”. Qualche anno fa è stato in vacanza – cioè ad allenarsi – a Miami e Albuquerque, ma non ci pensa neanche a trasferirsi: “Qualsiasi cosa accada io voglio rimanere qua in Italia, a prepararmi, ad allenarmi, a far crescere questo sport. In Italia adesso abbiamo un ottimo movimento, stiamo crescendo tutti insieme, con sacrificio”.

 

Dopo l'intervista è salito sul ring per allenarsi, l'ho fatto tardare e non ho avuto il coraggio di salutarlo tra una ripresa e l'altra di allenamento (ha smesso di fare sparring due settimane prima dell'incontro, adesso si stanno concentrando sulla simulazione di determinate situazioni, con un allenatore che imita lo stile del suo prossimo avversario, Velickovic). Mi ha detto che non sente musica prima di salire sull'ottagono e che guardare il suo avversario negli occhi durante la cerimonia del peso lo “rasserena”. E io ho avuto l'impressione di essere di fronte a un combattente vero, come quando ho parlato con dei calciatori professionisti ho avuto l'impressione di parlare con dei calciatori veri (rispetto, per dire, ai velleitari che riempiono i campi di calcetto e le palestre di Roma, magari vestiti come veri calciatori e strutturati fisicamente come veri combattenti). Alessio Di Chirico sembra nato per fare quello che fa.

 

Il momento più bello dell'intervista è stato quando gli ho chiesto se pensa che combattere sia un arte. Subito dopo avermi dato la sua risposta, Di Chirico si è pentito, pensando di sembrare presuntuoso. E voglio chiudere con le sue parole, che secondo me sono il contrario della presunzione: “Certo, combattere è un’arte, però è anche… sai, cos'è un'ordalia, no? Un duello con cui si chiedeva un giudizio divino in un conflitto. Ricordo di un re, dovrei ricontrollare però quale, che  per risparmiare i suoi uomini, nonostante avesse messo il nemico alle strette, ha deciso di fare un duello tra comandanti. Secondo me alla fine chi combatte solo per se stesso, chi è egoista dentro, in questo sport non va avanti. Combattere è un gesto nobile. Combattere per se stessi, perché poi così puoi dire di essere il più forte del mondo, alla fine secondo me non viene premiato.”

 

 



 

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