
Prima della festa Mondiale, del trionfo in finale con la Bulgaria, dello splendido 3-0 con la Polonia in semifinale e di un torneo vissuto migliorando di partita in partita, l'Italia ha dovuto affrontare una sconfitta in finale di Nations League molto dura, condita da un infortunio difficile da digerire: quello del suo schiacciatore titolare, Daniele Lavia, vittima di una frattura scomposta al quarto e al quinto dito che lo ha costretto a un intervento chirurgico e a un percorso riabilitativo faticoso.
Lavia quindi è stato costretto a vivere il Mondiale della riconferma da casa, in alcuni momenti temendo addirittura per la sua carriera. E che la sua assenza si sia sentita l'abbiamo visto alla fine del percorso, durante la commovente intervista a Simone Giannelli.
Ciao Daniele, domanda scontata, come stai?
Sto bene. Bene per modo di dire. La riabilitazione procede secondo i piani ma non dipende solo da me. Dipende dal mio corpo e da come si riformano i tessuti, non è una cosa che posso gestire. In questo momento sono molto importanti le visite di controllo e a breve ne avrò una che mi aiuterà a capire come gestire il mio percorso nel prossimo futuro. Sono molto positivo, perché la positività ci vuole.
Questa è ancora una fase di transizione...
Sì, non siamo più nella fase iniziale ma è ancora un momento di passaggio. Sto iniziando a lavorare sulla mobilità della mano, ma non posso ancora toccare la palla. Per il momento faccio tanti pesi e aspetto l'ok del primario che mi ha operato per capire cosa mi aspetta. Per ora, anulare e mignolo sono ancora fasciati e devo indossare un tutore mobile, ma posso toglierlo quando faccio riabilitazione e la sera perché a volte mi dà un po' fastidio. Durante il giorno, però, meglio indossarlo, perché come si è visto può succedere davvero di tutto. Devo ancora starci molto attento.
Per ora come riesci a stimolare la mano?
Gli stimoli che sto dando ora sono legati alla mobilità. Estendere le dita e la mano, afferrare piccole cose. Cerco di lavorare innanzitutto sulla forza in questo momento, con stimoli di questo tipo. La palla ancora non la tocco, al massimo la faccio passare dalla destra alla sinistra. Questo è quello che mi è concesso. Non vado a fare palleggi o bagher perché ogni volta sarebbero piccoli traumi che non posso ancora affrontare.
Una domanda un po' naïf: ti sarebbe possibile ricominciare a giocare, almeno nella primissima fase, schiacciando di mancino?
Non credo proprio, ci sono meccanismi troppo difficili da riprogrammare da zero. Significherebbe cambiare totalmente gesto tecnico, modificare i passi della rincorsa. Io è una vita che schiaccio di destro, probabilmente ci metterei più tempo a imparare a schiacciare con la mano sinistra che a guarire. Sicuramente approfitterò di questo infortunio per cominciare a sfruttare un po' meglio i colpi mancini.
Emotivamente, cos'hai provato al momento dell'incidente? Mi racconteresti quei momenti, quei primi istanti?
Nei primi istanti non ho sentito troppo male, non così tanto almeno. Prima di vedere la mano ho sperato per un attimo che non fosse niente di troppo grave, poi ho intravisto un taglio e mi sono voltato verso il dottore e il fisioterapista. È stata una scena un po' splatter, c'era molto sangue. Non ho capito subito in che condizioni fosse la mano e speravo mi servisse solo qualche punto. Al momento subentra un po' di shock.
E i compagni intorno a te?
Loro hanno capito subito che poteva essere qualcosa di grave. Erano tutti lì, era la seduta pesi di squadra in uno spazio abbastanza angusto. I più vicini erano Giannelli e Anzani che mi stavano guardando mentre facevo l'esercizio. Hanno visto tutto e sono sbiancati. Considera che mi sono procurato una frattura scomposta ed esposta di entrambe le dita, non è troppo difficile immaginare che cosa si sono visti davanti agli occhi. La prima cosa che ho detto dopo averli guardati è: «Il Mondiale è saltato».
Poi?
Poi l'attesa di fare tutti i vari esami è stata un po' un'agonia. Sono salito sulla macchina del nostro fisioterapista e mi ha portato a Verona. Ho avuto la fortuna che lì ci siano chirurghi della mano di primissimo livello e in quel campo sono assolutamente al top. Mi ha operato una delle équipe più importanti d'Italia. Li abbiamo chiamati subito ed è stato tutto molto rapido, ma per un'oretta non sapevo davvero come fare.
Hai avuto paura entrando in sala operatoria?
Ho cominciato a farmi i classici viaggi mentali, come è normale che sia. Ma nel giro di un paio d'ore hanno organizzato l'operazione ed è arrivato anche il primario per operarmi. Devo ringraziarli di cuore perché mi hanno trattato davvero bene.
Ma che tipo di esercizio stavi facendo? Ho letto addirittura che non avresti dovuto...
No, non era niente di strano. È un esercizio che faccio sempre per migliorare la stabilità del ginocchio, utilizzando un box mobile e un elastico così da rafforzare tutti i muscoli e riscaldare le ginocchia. Mentre facevo l'esercizio, però, il box mobile si è mosso, ribaltandosi. Io sono finito a terra e mi è caduto sulla mano. Poteva capitare chiunque ed è capitato a me. Sono stato solo molto sfortunato perché mi sono finiti quindici chili su una mano da un'altezza di 30/40 centimetri. Con quel tipo di attrezzo credo di essere il primo della storia a cui è capitata una cosa del genere.
Ho letto che da ragazzo se le cose in allenamento non andavano come speravi, dal nervosismo ti dimenticavi addirittura di mangiare. Per un perfezionista come te cosa significa doversi fermare?
Bisogna accettarlo, perché se non lo fai è un casino. Ci pensi e rallenti il processo di guarigione. Bisogna cercare di far subentrare il prima possibile la positività e l'accettazione di quello che è stato. È alla base di tutto per essere da subito pronto a lavorare e a dare il massimo.
Come dice Baglioni nella tua canzone preferita: “Avrai il tuo tempo per andar lontano...”
Assolutamente sì. Credo che ci sia un motivo per cui il destino ha voluto che mi perdessi questo Mondiale. Bisogna solo capire quale può essere questo motivo.
Di certo hai ricevuto un sacco di affetto dai tuoi compagni. Giannelli ha portato la tua maglia sul podio, Anzani ti ha dedicato la vittoria...
Sono stati sempre lì a chiedermi “come va, come non va”. Io gli mandavo le foto della mia mano, della mia ferita. Gli mostravo come procedeva la guarigione e come recuperavo la mobilità. E loro mi hanno riempito d'affetto. Mi sono stati vicini in questo momento di difficoltà e io sono riuscito a stare vicino a loro, anche mentre erano al Mondiale. Devo ringraziare la Nazionale e la mia squadra, Trento, che dopo l'intervento da subito ha cominciato a seguirmi in tutte le fasi della riabilitazione.
Ci sono state frasi o rassicurazioni particolari che ti hanno colpito nei primi momenti drammatici?
Era difficile rassicurarmi all'inizio. Nessuno sapeva niente e se qualcuno era a conoscenza di cosa stesse succedendo era solo consapevole di quanto fosse grave. Lo stesso chirurgo che mi ha operato mi ha detto che se non fossi stato un professionista che lavora con la mano forse avrebbe optato per l'amputazione di un dito. Tessuti molli, ossa e tendini erano messi davvero male. Quindi capisci quanto fosse complicato in quel momento trasmettermi qualcosa di positivo. Sicuramente la vicinanza di compagni, società e famiglia mi hanno aiutato, ma le parole che più mi hanno confortato sono state quelle del dottore che mi ha detto: «Abbiamo fatto un lavoro incredibile, tornerai a giocare». Per come era messa la mano, anche lui si è domandato come sia riuscito a rimetterla a posto.
Nella sfortuna ti è andata bene...
Ho trovato dei dottori che hanno fatto davvero un grandissimo lavoro. Ma ne ero certo, perché quando mi hanno spiegato che tipo di struttura fosse mi sono sentito subito un po' più tranquillo. Per quanto possibile.
Ma ti è dispiaciuto più l'infortunio in sé o l'idea che ti avrebbe obbligato a saltare il Mondiale?
Un po' tutte e due le cose. Con un infortunio così complesso sapevo che poteva diventare difficile rimettersi in gioco. Finché non mi hanno dato la certezza che sarei ritornato ero molto preoccupato. Poi, con un Mondiale vinto, un pochino scoccia non esserci...
Da spettatore cosa hai pensato dopo la sconfitta contro il Belgio all'esordio?
Da quel punto di vista ero abbastanza tranquillo. In una competizione del genere può succedere che ci siano delle cadute. Forse proprio quella sconfitta ci ha dato lo stimolo a rialzarci e ci ha aiutato a capire che potevamo fare molto meglio.
E c'è stato un momento in cui hai pensato: “Lo vinciamo noi”?
Sicuramente dopo la vittoria contro la Polonia, a quel punto ero abbastanza certo che avremmo vinto. Poi con la Bulgaria poteva succedere di tutto, ma dopo una partita come la semifinale era difficile non essere fiduciosi.
Bottolo ti ha sostituito alla grande, giocando anche una splendida finale. Adesso dovrai recuperare terreno...
Sì, sarà una sfida anche questa. Mattia ha avuto l'opportunità di giocare ed esprimersi con più minutaggio ma io conosco bene il suo potenziale. Non c'è competizione tra di noi, anzi è importante sapere che in un momento di difficoltà si può contare su un compagno. Vorrei che lui provasse la stessa cosa nei miei confronti.
Domanda complicata: se fossi stato in campo, cosa avresti potuto dare di più?
Mah non saprei, con un Mondiale vinto è difficile pensare che avrei potuto dare qualcosa di più. Sicuramente la mia presenza in campo poteva dare quella tranquillità in più sin dall'inizio, ma dal punto di vista tecnico è difficile fare meglio di così.
Mi racconti la telefonata alla squadra prima della finale di cui ha parlato anche De Giorgi? Che parole hai usato con i tuoi compagni per caricarli al punto che l'allenatore ha detto che avrebbe addirittura potuto evitare il suo discorso?
In realtà non ho detto niente di che. In Italia erano le sette del mattino, mi ero svegliato da poco. Ho chiesto solo di fare un saluto alla squadra ed è ciò che ho fatto. Eravamo tutti talmente emozionati di vederci e di sentirci che è bastato questo. Quando condividi emozioni, che siano belle o brutte, poi ti senti anche più carico, secondo me. In quelle situazioni, prima di una finale, c'è poco da aggiungere.
Mattarella all'incontro dell'8 ottobre ha detto: «Sono lietissimo che sia presente Daniele Lavia». Te lo aspettavi un pensiero da parte sua?
È stato molto bello. Lui segue tanto la pallavolo e poter essere lì con tutta la squadra e con il presidente, nonostante abbia vissuto il Mondiale da fuori, è tanta roba. Vuol dire che qualcosa ho lasciato. Mi sono davvero sentito parte del gruppo, anche se ero distante.
C'era anche la squadra femminile, che differenze hai visto tra il vostro torneo e il loro? Pensi che la loro vittoria, rispetto alla vostra, fosse in un certo qual modo più scontata?
Non c'è mai niente di scontato a questo livello. Forse la loro squadra ha dimostrato di essere più avanti della nostra, perché comunque tutte le competizioni che ha fatto le ha vinte. Questo è un dato di fatto. Forse da loro in tanti si aspettavano una vittoria, ma vincere il Mondiale è sempre un'impresa straordinaria. Sono state bravissime, poi per come si era messa sia in semifinale che in finale, bisogna essere molto toste per recuperare.
Che differenze hai notato tra questo Mondiale e quello vinto nel 2022?
Nel 2022 il percorso è stato diverso, davvero difficile. In questo Mondiale tante big sono uscite ai gironi, mentre nell'altro abbiamo beccato Cuba, la Francia, la Slovenia padrona di casa e la Polonia in finale. Un percorso davvero complicato, in cui abbiamo vinto 3-2 sia negli ottavi che nei quarti. Ma come dicevo prima, non è mai scontato vincere un Mondiale e anche se, come quest'anno, a un certo punto il percorso ci dava per favoriti, poi devi comunque scendere in campo e lottare contro ogni avversario. La pressione di riconfermarsi fa brutti scherzi.
Poteva in qualche modo influire la delusione della scorsa Olimpiade?
Più che l'Olimpiade ha influito la Nations League, perché da Parigi è passato un anno. Sì, ti rimane dentro, ma abbiamo avuto dodici mesi per smaltire quella delusione. In Nations League c'è stata quella figuraccia con la Polonia in finale e dopo abbiamo fatto una riunione tra di noi, ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti che avremmo dovuto fare di tutto per ribaltare quella situazione. Poi, purtroppo per me, mi è successo quello che è successo e non ho potuto far parte del gruppo.
In RAI, in veste di commentatore, come hai conciliato la tensione del tifoso con le necessità televisive?
Avevo pochi minuti di collegamento per fortuna, così sono riuscito a vedere tutta la partita in tranquillità. È stata comunque un'opportunità per stare in collegamento diretto con la squadra e ho potuto parlare con loro ed essere in qualche modo presente.
Poi hai pianto davanti a tutta Italia...
Dopo quei discorsi e quelle dediche sarebbe stato difficile non piangere. È stato emozionante e ho cercato di resistere sino all'ultimo, ma quando alla fine hanno intervistato Simone non ho più retto.
Quanto credi ci vorrà a tornare quello di prima?
Non te lo so ancora dire. Penso step by step. Intanto penso a tornare, poi una volta che sarò rientrato lavorerò per essere lo stesso giocatore di prima. Ci vuole pazienza, lo so, ma non so ancora quanto tempo servirà. Con le braccia ancora fatico a lavorare, per adesso mi concentro sulle ginocchia, facendo il possibile per rinforzare una parte del corpo che in passato mi ha dato qualche problema. Finora non avevo avuto troppo tempo per farlo, ma ora faccio ogni cosa con la massima calma.
Trento inizia la stagione da campione in carica, pensi che i tuoi compagni riusciranno a confermarsi anche con un tuo impegno a mezzo servizio?
Ma perché “a mezzo servizio”? Io spero di rientrare già nel 2025. Nessuno mi ha messo fretta ma sono sicuro che quando tornerò saprò farlo al massimo. Quest'anno abbiamo cambiato dei giocatori in ruoli importanti, come l'opposto e il centrale, però alla fine la colonna portante della squadra è stata confermata. L'obiettivo è arrivare il più avanti possibile in tutte le competizioni. La voglia di confermarci non ci manca.
Avete anche cambiato allenatore. Come vedi Mendez?
Abbiamo parlato, ma ancora faccio fatica a capire cosa voglia da noi perché non mi sono ancora allenato con la squadra e non conosco il suo modo di lavorare. Mi sembra una persona in gamba, ci confrontiamo spesso anche durante le sedute pesi e mi sta aiutando. È una persona presente e pretende molto da noi perché conosce le nostre potenzialità.
Romanò è andato in Russia, una grande perdita per il nostro campionato. Come pensi che affronteresti una proposta dall'estero?
Per il momento non ci penso assolutamente. Il mio obiettivo è quello di rimanere in Italia, perché è il campionato più bello del mondo. Intanto vivo questa riabilitazione e penso solo a tornare. Preferisco concentrarmi sul presente.
Com'è Trento per un calabrese?
Ormai dopo cinque anni mi sono abituato. D'inverno fa sempre un po' freddino, ma per uno sportivo è un ambiente ideale. È una città tranquilla, piccola, che vive di sport e ti lascia i tuoi spazi senza metterti pressioni. Mi trovo bene e se sono qui da cinque anni ci sarà un motivo...
Passiamo al calcio, hai detto che la vittoria della tua Inter sul Barcellona ti ha dato la carica per vincere in finale di campionato. Che sensazioni hai da questi primi mesi di Chivu?
Non era facile prendere l'eredità di Inzaghi e credo che anche per lui ci vorrà del tempo. Ma sa cos'è l'Inter per averci giocato in passato e credo che darà grandi soddisfazioni a noi interisti.
Velasco dice che tanti pallavolisti sono calciatori mancati... se avessi potuto, avresti optato per il calcio piuttosto che per la pallavolo?
No, no. Il calcio non è proprio il mio. Ho due piedi... Ho giusto un po' di potenza, ma poca roba. Piuttosto avrei giocato a tennis. Seguo l'Inter ma non il resto del campionato, mentre il tennis mi prende di più e cerco di guardare soprattutto gli italiani, Sinner, Berrettini, Cobolli.
Bisognerebbe avere più tempo...
Il tempo non basta mai, poi chi è infortunato si allena pure di più.