Per tre mesi è stato complicato immaginare in che condizioni e con che tipo di calendario sarebbe tornato il calcio italiano: alla fine ogni pezzo del puzzle organizzativo sembra essere andato al proprio posto e la Lega Calcio ha deciso di non rinunciare a nulla, neanche alle semifinali e alla finale di Coppa Italia, nonostante le molte partite di campionato da recuperare. Ma l’incertezza maggiore veniva dallo stato di forma dei calciatori, perché in fondo si tratta di una situazione totalmente inedita anche per loro: come sarebbero tornati dopo oltre due mesi di inattività totale, senza amichevoli e allenamenti in gruppo, parte dei quali passati chiusi in casa?
Le due semifinali che abbiamo visto, tutto sommato, hanno mitigato questa paura e sorprendentemente hanno persino regalato qualche indicazione a livello tattico, anche su squadre che ci sembrava di conoscere ormai a memoria, soprattutto nei casi di Juventus e Inter. I bianconeri sono riusciti ad arrivare in finale, nonostante il pareggio nella gara di ritorno, decisamente poco equilibrata anche per via dell’espulsione di Rebic nel primo tempo; l’Inter invece è stata eliminata dopo una gara molto ritmata e densa di contenuti, in cui forse ha poco da rimproverarsi.
La seconda finalista sarà il Napoli di Gattuso, che è ripartito esattamente da dove era arrivato, blocco basso e controllo delle vie centrali, ma che ha sofferto decisamente di più rispetto alle gare convincenti pre-interruzione.
Gli esperimenti di Skriniar ed Eriksen
La notizia più grande è forse che Antonio Conte, uno degli allenatori che nell’immaginario comune lega più la sua idea di gioco a un sistema di gioco specifico, il 3-5-2, e che su questo fonda le certezze più radicate dell’identità tattica della sua squadra, abbia deciso di cambiare.
È vero, l’Inter di questa stagione aveva già assunto forme differenti del suo 3-5-2 di base, con Sensi che spesso finiva per avere una posizione a ridosso delle punte ma che, però, partiva sempre da quella di mezzala. L’inserimento di Eriksen da mezzala non era stato portato a termine prima dell’interruzione e, al di là di qualche cambio a gara in corso, il trequartista danese non sembrava ancora aver convinto sufficientemente il suo allenatore. Di sicuro non al punto da cambiare modulo. Di fatto, Conte aveva fatto due sole eccezioni: mettendo proprio Eriksen dietro le punte, contro l’Udinese, e Alexis Sanchez nella stessa posizione contro la Fiorentina.
Contro il Napoli abbiamo visto per la prima volta una nuova e funzionante versione dell’Inter, che grazie alla diversa disposizione dei suoi centrocampisti ha preso la forma di un 3-4-1-2: Brozovic e Barella, ormai titolari indiscussi, hanno fatto da mediani, con Eriksen che ha preso posizione nello spazio tra difesa e centrocampo del Napoli per cucire il gioco e attaccare frontalmente.
Una soluzione che ha portato, a catena, a rotazioni inedite per la squadra di Conte, che non sappiamo quanto fossero volute dall’allenatore solo per questa singola partita o, invece, rivedremo anche nelle prossime gare. In ogni caso, è merito anche di questi piccoli slittamenti tattici se l’Inter è riuscita a far perdere la struttura al blocco centrale di Gattuso, e quindi a togliergli solidità.
I tre centrocampisti dell’Inter si sono mossi tutti molto, con compiti diversi rispetto alle zone da coprire ma con una certa libertà di interpretazione delle rotazioni che ha complicato la vita al Napoli, incapace di prendere contromisure per evitare che l’Inter salisse il campo palleggiando.
Quelle di Conte sono situazioni codificate, ma non schemi.
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Brozovic si è spostato spesso sul centrosinistra, talvolta prendendo il posto di Bastoni, talvolta andando tra quest’ultimo e Young. Eriksen in questi casi era sempre pronto a riempire il centro.
La rotazione più frequente, e forse innovativa per l’Inter, ha visto coinvolti tre giocatori che è raro vedere in posizioni diverse dalle solite: Skriniar, Barella e Candreva. Il primo aveva dato l’idea di essere forse il meno “pulito” tecnicamente tra i difensori; il secondo non si era mai abbassato molto a supporto della costruzione (poiché quel compito tipicamente toccava a Brozovic); il terzo ha sempre giocato su un immaginario binario in fascia. Stavolta, invece, Conte ha mischiato le carte.
Circolazione a metà campo: la palla passa da Bastoni a de Vrij. Barella indica a Skriniar di allargarsi in fascia, prendendo il suo posto prima che la palla arrivi al difensore centrale.
Barella non andava sistematicamente ad abbassarsi sulla linea dei difensori, ma solo quando il possesso partiva dalla sinistra (il “trigger”, cioè, era il passaggio da de Vrij a Bastoni), con l’attenzione del Napoli rivolta dalla parte opposta, verso il lato forte: la lettura dello scambio di posizione tra Barella e Skriniar arrivava in un secondo momento. Di conseguenza, con l’allargamento di Skriniar, Candreva andava ad accentrarsi sulla trequarti, alle spalle della mezz’ala del Napoli che - come Conte aveva previsto - usciva in pressione su Barella.
Tre esempi. Quando la palla arrivava a Barella, Skriniar era già largo e Candreva già stretto.
Questa rotazione ha generato dei problemi nella difesa posizionale del Napoli per tre ragioni: con l’aiuto di Eriksen in zona centrale si creava superiorità numerica rispetto alla catena terzino-mezzala-esterno avversaria; Lukaku o Lautaro tenevano bloccati i centrali difensivi napoletani, impedendogli di uscire in pressione su Candreva o Eriksen; infine, la giocata rapida Barella-Skriniar-Candreva trovava facilmente lo spazio alle spalle di Hysaj e a quel punto costringeva Koulibaly a uscire fuori posizione. Le occasioni migliori dell’Inter, infatti, sono arrivate infatti da quel lato.
Quest’anno l’Inter è stata spesso una squadra fraintesa: la sua tendenza a palleggiare dal basso per attirare il pressing e verticalizzare negli spazi che si crea ha portato diverse voci, anche autorevoli, a etichettarla come “contropiedista”: dopo tre mesi di sosta forzata, abbiamo avuto un’altra prova di quanto possa essere sofisticata e raffinata l’organizzazione che Conte proprio per agevolare la palla a uscire in modo pulito dalla difesa. In realtà, tornando alla semifinale di ritorno, sono proprio le due punte ad uscire in maniera meno positiva dal San Paolo. Con alcune differenze: se Romelu Lukaku è comunque riuscito diverse volte a far risalire la squadra con le sue giocate spalle alla porta, Lautaro è parso un po’ tagliato fuori dal fulcro del gioco, forse anche a causa dell’inclinazione del gioco sul centro-destra.
La presenza di Eriksen tra le linee cambia inevitabilmente le dinamiche anche per i due davanti, che sono chiamati a molti meno smarcamenti combinati e molte più giocate sincronizzate in orizzontale, anche andando a defilarsi. Questo, oltre al lavoro faticoso di contrastare la pressione avversaria bloccando o spingendo in basso la difesa per liberare spazi sulla trequarti.
Il Napoli è vivo e sa soffrire
A causa di questa grande fluidità posizionale dell’Inter, ma anche della sua aggressione alta, il Napoli ha faticato a lasciare la metà campo. Non un dramma per Gattuso, che sta diventando un allenatore sempre più pragmatico. Per il momento, il suo Napoli ha dato i migliori segnali grazie alla compattezza del 4-3-3/4-5-1 e all’ottimo inserimento di Demme in una posizione rimasta scoperta fin dalla cessione di Jorginho.
Eppure Gattuso ci tiene sempre a ribadire che la sua intenzione è arrivare a giocare un calcio propositivo, aggressivo, creando connessioni tra i giocatori col palleggio corto a partire dal portiere. È anche per questa ragione che Ospina ha superato Meret nelle gerarchie, nonostante qualche incertezza in più tra i pali. Al portiere colombiano Gattuso ha perdonato anche errori clamorosi, come quello contro la Lazio. In quel momento Gattuso si prese ogni responsabilità, ribadendo le sue richieste e la sua mentalità.
Anche contro l’Inter, Ospina ha rischiato di affossare presto la partita del Napoli, con un errore evidente sul corner di Eriksen. Nell’occasione forse è stato ingannato anche dal movimento dei difensori davanti a lui. La forza mentale con cui si è fatto scivolare addosso questo infortunio, però, è stata strabiliante. Se il Napoli è arrivato in finale lo deve molto alle sue parate: al trentaduesimo su un colpo di testa di Lukaku, al quarantesimo su tiro di Candreva sul primo palo, al settantaseiesimo sulla punizione di Eriksen e all’ottantunesimo sempre su Eriksen da vicino, curiosamente tutte sulla sua sinistra. E poi c’è sempre Ospina sul gol di Mertens: dopo aver bloccato un tiro di Lautaro sugli sviluppi di un corner, nota con la coda dell’occhio il movimento di Insigne e lo trova in profondità con un classico rinvio al volo “alla sudamericana”.
Ci sono stati però diversi aspetti del Napoli non troppo convincenti. La prestazione è stata ben lontana dall’idea di efficacia intesa da Gattuso, in entrambe le fasi. Il Napoli ha passato la maggior parte del tempo senza palla (appena il 32% di possesso), e questo non sarebbe stato un grosso problema prima della sosta. Stavolta però ha sofferto parecchio. Il 4-5-1 in non possesso prevedeva, come al solito, l’abbassamento di Insigne e dell’esterno opposto, in questo caso Politano, sulla linea dei centrocampisti. Per accompagnare Mertens in prima linea di pressing, i designati erano Zielinski ed Elmas, mezzali, mentre Demme cercava di galleggiare tra le linee e agire di copertura e di schermo verso Eriksen.
Il pressing a turno delle mezzali del Napoli al fianco di Mertens in base alla posizione del pallone.
Come abbiamo visto, la fluidità posizionale dei mediani dell’Inter, unita alla rapidità di verticalizzazione, ha disordinato il pressing del Napoli: Zielinski ed Elmas avevano il compito - non semplice - di gestire le uscite in base alla trasmissione del blocco basso di Conte andando ad attaccare i centrali; Politano e Insigne, invece, dovevano controllare le linee di passaggio verso gli esterni interisti. Le due ali di Gattuso uscivano in prima linea solo quando la palla viaggiava verso Handanovic, ma i sincronismi non sono parsi immediati.
Il Napoli ha faticato a ruotare le posizioni nel pressing alto e a mantenere le distanze.
Il Napoli sembrava andare in crisi sui cambi di marcatura, e contro l’Inter concedere un attimo di troppo significa spesso ritrovarsi a correre verso la propria porta. In questo caso, va detto, il Napoli ha reagito abbastanza bene anche grazie a una buona partita dei due centrali, che hanno mantenuto la calma in un contesto stressante, che li chiamava a uscire fuori posizione per togliere tempo al portatore, e hanno avuto quantomeno il merito di limitare il gioco di Lukaku e Lautaro.
In questo caso, per esempio, Koulibaly è stato preso in mezzo in una triangolazione tra Barella e Lukaku.
La strategia dell’Inter di muovere orizzontalmente il Napoli prima di verticalizzare ha quindi pagato, sia in termini di attacco sul lato debole, sia per gli sviluppi di catena di cui sopra.
L’applicazione difensiva del Napoli, sebbene lacunosa a livello strutturale rispetto all’organizzazione dell’Inter, è stata tenace, e ha visto una partecipazione intensa di tutti anche nei ripiegamenti profondi: lodevoli in questo senso le rincorse di Insigne per dare una mano a Hysaj o le coperture date all’ultimo istante utile dai centrocampisti fin sulla linea di difesa. Non è stato sufficiente ad annullare le offensive dell’Inter, ma è servito se non altro a limitare i danni.
In fase offensiva, per ammissione dello stesso Gattuso, il Napoli ha concluso poco. L’intenzione, probabilmente, era quella di costruire l’azione per fare in modo di sfruttare soprattutto le combinazioni di movimento tra Hysaj e Insigne e tra Politano e Di Lorenzo, ma il pressing dell’Inter ha innanzitutto tolto delle certezze al palleggio basso del Napoli, tagliando fuori quasi del tutto la risalita centrale, e ha appiattito la manovra sul gioco di fascia, con passaggi lungo linea raramente accompagnati da movimenti senza palla utili a supporto.
Due situazioni in cui il Napoli ha provato a uscire, senza frutti, cercando l’ala direttamente dal terzino, lungo la fascia.
L’aggressività dei difensori dell’Inter ha complicato la partita di Insigne e Politano, chiamati quindi a ricevere spesso andando incontro. Insigne, tutto sommato, è riuscito a mantenere un certo livello di temibilità, nonostante uno Skriniar insistente anche fino alla trequarti del Napoli.
1) Insigne riceve centralmente, su un giro palla da sinistra, attraendo Candreva e riesce ad allargare su Hysaj; 2) Insigne sfrutta il movimento di Zielinski a portare via Brozovic, controlla elegantemente con la suola e si apre il varco per passarla a Mertens, che salterà de Vrij e arriverà al tiro.
Nel secondo tempo si è vista qualche soluzione in più, grazie soprattutto a un maggior movimento senza palla, con Mertens che si è preso qualche responsabilità in più in termini di regia e Insigne a garantire qualche strappo.
Certo, lo scarto tra la fase offensiva dell’Inter e quella del Napoli è stato obiettivamente a favore degli ospiti. Spesso, però, è proprio questa forza mentale, e la capacità di accettare una partita diversa dal piano iniziale, a pagare di più nelle partite secche, sempre molto legate agli episodi.
È difficile pronosticare che tipo di finale vedremo dopo così pochi giorni, e quanti tra i giocatori che abbiamo visto andranno in campo dal primo minuto sia per la Juventus che per il Napoli. La squadra di Gattuso, nonostante la qualificazione, non è stata troppo convincente. Ritrovare Fabian Ruiz e Callejon potrebbe dare varietà di soluzioni offensive con la palla, ma contro la Juventus potrebbe ritrovarsi nuovamente a stare molto sotto la linea del pallone, e in questo caso il pressing dovrà necessariamente migliorare, dato l’avversario. L’Inter viene eliminata senza grosse recriminazioni, e anche se il bilancio delle partite chiave di questa stagione inizia a farsi, il lavoro di Conte ha trovato conferme anche dopo un lungo periodo di stop.