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Inter-Fiorentina 1-1: poco controllo, molti rimpianti
21 mar 2022
21 mar 2022
Una partita che entrambe le squadre potevano vincere e che alla fine hanno rischiato di perdere.
(articolo)
11 min
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La prima occasione della partita è arrivata dopo venti minuti ma l’Inter era spezzata in due come di solito succede a fine partita. Su una banale palla giocata in fascia - Barella per Dumfries - e poi dalla fascia al centro - Dumfries per Dzeko - l’Inter ha alzato ben cinque giocatori oltre la linea della palla: Lautaro Martinez al centro; Vidal e Perisic che sul lato sinistro; Dumfries e Barella che si sono proiettati in avanti prima ancora di vedere se Dzeko sarebbe riuscito a gestire il pallone. Quando il bosniaco, pressato da dietro e chiuso da Torreira davanti, ha perso palla, c’erano solo Calhanoglu e i tre difensori a protezione dell’area. La Fiorentina, così, ha attaccato con un uomo in più (i tre attaccanti più Torreira e Castrovilli), da sinistra la palla è passata al centro, Bastoni è uscito per contrastare Castrovilli, e sul lato destro dell’area è rimasto libero Nico Gonzalez. L’unica ragione per cui l’Inter non è andata in svantaggio in quel momento è che Nico Gonzalez non ha voluto portarsi la palla sul piede destro per tirare (mettendoci molto per calciare di sinistro addosso a Skriniar).

È un’azione che testimonia bene delle difficoltà dell’Inter, priva di Brozovic per un problema al polpaccio, a mantenere un controllo tecnico sulla partita. La squadra di Simone Inzaghi ha vinto una sola partita delle ultime 7 in campionato (contro la Salernitana) collezionando appena 7 punti in tutto, e in tre di queste partite ha dovuto fare a meno del suo giocatore più insostituibile. Contro il Sassuolo (0-2 a San Siro) era entrato Gagliardini nella formazione titolare, contro il Torino (1-1 con grande sofferenza) è stata la volta di Vecino. Contro la Fiorentina, Inzaghi ha provato Vidal. Prima della gara aveva detto che sarebbe stato Calhanoglu a partire in posizione centrale, ma che erano previste rotazioni nei tre di centrocampo per cui di volta in volta anche Barella e Vidal avrebbero aiutato la difesa a consolidare il possesso.

Rotazioni che, in realtà, si sono viste molto poco perché l’Inter ha cercato quasi sempre di risalire il campo velocemente, come se avesse fretta di allontanarsi dalla propria porta. Nel primo tempo lo ha fatto giocando a un ritmo troppo basso, ed ha finito per farsi schiacciare dall’intensità della squadra di Italiano, nel secondo ha pareggiato l’intensità della Fiorentina riaprendo la partita. Ma il controllo che nel suo momento migliore, tra novembre e gennaio, le permetteva di portare molti uomini con costanza nella metà campo avversaria, senza esporsi a troppe ripartenze, sembra svanito del tutto.

A conti fatti l’Inter ha avuto l’occasione per vincerla con Sanchez, ma pur avendo tirato di più ha prodotto meno pericoli della Fiorentina (1.4 xG contro gli 1.7) e l’ultimissima occasione l’ha avuta proprio la squadra ospite con un contropiede sanguinoso in cui Ikoné ha puntato in campo aperto Calhanoglu.

Basta l’assenza di Brozovic, o quella di de Vrij (sostituito contro il Torino da Ranocchia e stavolta da D’Ambrosio, con Skriniar spostato al centro della difesa a tre) per spiegare il calo che sta vivendo l’Inter? Sono stanchi i giocatori? È la maledizione di Inzaghi che anche con la Lazio (con motivazioni e dimensioni della rosa molto diverse) era solito calare nei finali di stagione?

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Sembrano i minuti finali di partita e invece era il ventesimo.

Alla fine della partita tra Napoli e Udinese (2-1, ribaltata con una doppietta di Osimhen, fenomenale a mangiarsi ogni centimetro disponibile in area di rigore), giocata subito dopo quella tra Inter e Fiorentina, Luciano Spalletti ha dato un’interpretazione interessante del calcio che stiamo vedendo in questi anni. «Gli spazi non sono tra le linee, ma tra i calciatori avversari». Parlare di moduli è utile fino a un certo punto se la squadra avversaria non è allineata in modo “convenzionale”: «Gli spazi sono dove li creano gli altri e bisogna saperli interpretare, bisogna saperli vedere e usare dove sono questi spazi».

La Fiorentina di Italiano, d’altra parte, è un’eccellenza di quel calcio aggressivo e verticale che sta facendo diventare la Serie A un campionato di duelli. Dove le letture tattiche individuali e la capacità di sfruttare superiorità numeriche momentanee, magari nate da un recupero alto, arrivando alla conclusione il più velocemente possibile, compensa i limiti nel costruire un’azione pericolosa con la squadra avversaria schierata. Un calcio in cui il controllo e la gestione della palla va continuamente messo in discussione, anche a proprio rischio e pericolo.

Pochi minuti dopo l’occasione di Nico Gonzalez, al 27esimo, la Fiorentina in pressione ha costretto Handanovic al lancio in fascia, su Perisic, e ha rubato palla a metà campo, dando vita a un paio di minuti di forte pressione in cui ha recuperato altre due volte la palla nella trequarti e al limite dell’area di rigore interista. Con la palla tra i piedi, quando non è riuscita ad arrivare subito al cross, è tornata indietro, fino al proprio portiere. Quasi a disagio in un campo troppo piccolo per il suo gioco, la Fiorentina ha preferito rinunciare al controllo tecnico per guadagnare campo e spazi in cui attaccare, lanciando lungo, provando a vincere i duelli aerei o di nuovo recuperando palla in pressione.

In quei due minuti, pur arrivando tre volte al cross e costringendo l’Inter con otto uomini in area, più Lautaro a ridosso, la Fiorentina non ha creato neanche un pericolo per la porta di Handanovic paragonabile a quello di Nico Gonzalez descritto all’inizio. In partite del genere, le occasioni dipendono più dall’improvvisazione e dalla furbizia dei singoli, piuttosto che da uno sviluppo di gioco programmato dall’allenatore.

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Dumfries ruba palla a Duncan con l’aiuto di Barella, sul fallo laterale, poi però si ferma, allarga le braccia (perché Barella era rimasto a terra?) dando le spalle all’area della Fiorentina, si accorge che Vidal è solo e si affretta a crossare. Non è chiara la ragione per cui Torreira abbia ignorato il movimento del cileno, con i due centrali difensivi impegnati da Lautaro e Dzeko.

Senza il proprio regista, l’Inter ha accettato di giocare una partita in cui ogni azione era un tiro di dadi. Quando Dzeko ha azzeccato la sponda - come quella di petto che poi ha portato al gol annullato di Lautaro al 39esimo - o quando a sua volta riusciva a recuperare palla in alto cogliendo la Fiorentina schiacciata su un lato del campo - come nell’azione del tiro di Dzeko parato di faccia da Terracciano al 36esimo, nato da una pressione alta e una progressione di Barella alle spalle di Duncan - riusciva ad arrivare al tiro.

Il gol del pareggio è nato da un lancio lungo di Handanovic per Dzeko, che ha vinto il duello aereo deviando la palla sulla fascia sinistra. L’Inter ha potuto attaccare l’area “convenzionalmente”, portando dentro, cioè, le due mezzali e l’esterno di fascia opposto, ma la Fiorentina ha letto male la situazione, rimanendo in inferiorità numerica al centro della propria area.

Castrovilli, che aveva fatto una corsa all’indietro per seguire la traccia di Vidal, decide di lasciarlo per raddoppiare su Perisic. Milenkovic stringe su Vidal e Dzeko attira lo sguardo di Igor (che comunque lo lascia con un paio di metri di spazio che sarebbero potuti essere letali). Biraghi prende in carico Lautaro sul secondo palo e si sbraccia richiamando l’attenzione di Duncan su Dumfries ancora più largo. Duncan stava seguendo Barella e resta indeciso sul da farsi. Saponara, che in teoria avrebbe potuto pareggiare la situazione ripiegando all’indietro, fa da spettatore.

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Va detto che il cross di Perisic è semplicemente perfetto, così come il tempismo di Dumfries.

Prima del derby con il Milan deciso da Giroud, l’Inter aveva prodotto in media 1,93 xG a partita, subendone 1,17 xG. Dopo quel derby, la prima delle 7 partite da cui l’Inter sembra in crisi, l’Inter è salita a 2,38 xG a partita, concedendone mediamente di più, 1,54 xG. Insomma, anche a fronte di una maggiore fragilità, l’Inter le occasioni le ha. Semmai, è molto meno efficiente rispetto a prima.

Alfredo Giacobbe, a inizio marzo, notava come l’Inter fosse «meno lucida sotto porta di quanto lo fosse prima. La percentuale dei gol sul totale dei tiri era di circa il 20% nella prima parte del campionato. Da fine novembre in avanti, questa stessa percentuale è crollata fino a scendere all’attuale 11%». Aggiornato dopo la partita con la Fiorentina, il dato è sceso ulteriormente a 10.3%.

Ma se i giocatori dell’Inter sbagliano al momento del tiro è anche perché raramente ci arrivano con un’azione costruita in modo pulito. Se Lautaro non ha avuto praticamente nessuna palla negli ultimi metri (a parte il gol annullato) e Dzeko ha fatto solo un paio di rifiniture un po' estemporanee, anche le mezzali sprecano moltissime corse nella speranza di arrivare in qualche modo alla conclusione. A inizio secondo tempo Vidal e Barella hanno calciato in porta nella stessa azione nata da un fallo laterale basso della Fiorentina, che Nico Gonzalez ha girato inspiegabilmente verso il limite della propria area, a campanile, e che Dzeko ha deviato intelligentemente di testa. Il tiro di Vidal è stato parato da Terracciano mentre Barella si è ritrovato la palla sul petto e non è riuscito a tenere bassa la conclusione (ma è già tanto se è riuscito a tirare, aggiungo io). Barella ha avuto un'altra occsasione a cinque minuti dal novantesimo, inserendosi in area come attaccante-ombra, ma dopo un taglio di trenta metri alle spalle di Igor non è riuscito a dare forza al proprio tiro, sembrando semplicemente esausto.

La Fiorentina è sembrata maggiormente a proprio agio in una partita del genere, forse perché è da inizio anno che gioca così. La squadra di Italiano ha gestito fasi di possesso più consapevoli, allungandosi e accorciandosi volutamente sul campo e sfruttando con più creatività “gli spazi tra i corpi”.

Il gol di Torreira è nato da una situazione di inferiorità numerica sulla fascia, in cui Venuti e Nico Gonzalez hanno attirato tre giocatori interisti sulla palla e Castrovilli si è trovato libero al libero al limite dell’area. Con lo sguardo su Castrovilli, gli interisti hanno dimenticato Nico Gonzalez, che poi ha avuto la capacità di saltare Perisic che aveva recuperato la posizione e crossare all’indietro di destro (!).

Ma l’Inter compie troppi errori individuali e di reparto per pensare che sia un problema dei singoli. Calhanoglu guarda l’azione anziché accorciare su Nico Gonzalez; Barella si fa bruciare da Torreira; D’Ambrosio, in superiorità insieme a Dumfries sul solo Piatek (che gli è anche scivolato alle spalle), difende con i piedi nell’area piccola anziché provare a interpretare la situazione e a tagliare davanti al primo palo.

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Castrovilli ha la lucidità di servire rasoterra Nico Gonzalez e Torreira ha la brillantezza per anticipare Barella. Lucidità e brillantezza che all’Inter sono quasi sempre mancate.

L’Inter si è fatta manipolare con più facilità dai movimenti della Fiorentina e raramente è riuscita a sovraccaricare l’area avversaria. Vidal è stato il giocatore ad effettuare più passaggi nella trequarti di campo avversaria, ma sei dei suoi sette passaggi sono stati fatti sull’esterno e solo uno ha portato al tiro un compagno. Quello dell’occasione di Sanchez nel finale, nata da una giocata di Correa che è sfuggito alla morsa di tre avversari allungandosi la palla sulla riga di fondo. A posteriori, forse, va messa in questione la scelta di allontanare Calhanoglu dalla trequarti, affidando una parte consistente delle proprie speranze in fase di rifinitura e finalizzazione a un Vidal che non sembra più lucidissimo.

Più rappresentativa del gioco interista, del suo rapporto rischi/benefici, è invece l’azione del 92esimo. Con Gosens che arriva al cross mentre cinque compagni occupano l’area di rigore: Skriniar e D’Ambrosio, Caicedo e Correa, e ma Dumfries ancora libero sul secondo palo. Alexis Sanchez è subito fuori e Dimarco si stava inserendo, per un totale di otto giocatori coinvolti in quell’attacco e solo Barella e Calhanoglu rimasti dietro. La Fiorentina respinge il cross di Gosens e Duncan riesce a lanciare Ikoné in campo aperto con Calhanoglu, saltato con facilità.

C’è una ragione se Ikoné ha segnato appena 11 gol nelle ultime quattro stagioni (compresa quella corrente), ed è quella l’unica ragione per cui l’Inter alla fine questa partita non l’ha persa - oltre al fatto che Ikoné ignora Cabral libero al centro dell’area e anche dopo la respinta di Handanovic non vede Callejon a pochi passi .

Dopo la partita con il Sassuolo, Simone Inzaghi si era era detto «molto arrabbiato» per l’approccio alla gara, contro il Torino invece era «non contento» e stavolta ha sorvolato del tutto sullo stato emotivo dicendo che nel primo tempo meritava la Fiorentina, nel secondo l’Inter. «Possiamo fare meglio». Certo, ma bisogna iniziare a chiedersi come l’Inter può fare meglio di così. La sensazione è che il problema non riguardi solo l’assenza di Brozovic ma che l’Inter in questo momento non riesca a giocare al ritmo che preferisce, senza sbilanciarsi e costruendo con la pazienza che aveva anche all’inizio di questa stagione nella metà campo avversaria.

Anche psicologicamente sembra che in questo momento la vera natura dell’Inter sia quella di una squadra che alza e abbassa il proprio valore in base alle avversarie. Non per essere loro superiore, quanto piuttosto per giocarsi più o meno alla pari le proprie chance. Non inferiore al Liverpool, ma eliminata dalla Champions League agli ottavi. Non inferiore al Torino, una delle squadre più sorprendenti e violente della stagione, ma scivolata a -4 dal Milan e raggiunta dal Napoli al secondo posto. Non inferiore alla Fiorentina, una delle squadre più ambiziose e coraggiose del campionato, ma scivolata a -6 dal Milan e -3 dal Napoli.

Con una partita in meno, certo, e come dice Inzaghi ancora in corsa per lo Scudetto. Otto partite sono ancora molte, in fin dei conti, ma sta arrivando quel periodo dell’anno in cui non c’è più tempo per guardarsi dentro e sperimentare. A fine stagione ogni tipo di consolazione svanisce nel nulla, se non si vince, e il suo posto viene preso dai rimpianti.

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