
Una delle incognite più grandi legate all'arrivo di Cristian Chivu sulla panchina dell'Inter era se e come avrebbe cambiato il gioco della squadra nerazzurra. Alla fine, la qualità del gioco era il pregio che tutti riconoscevano a Simone Inzaghi.
Secondo Beppe Bergomi, bandiera dell'Inter e celebre opinionista di Sky, Chivu, nonostante la lunga esperienza accumulata con Inzaghi, aveva praticamente carta bianca: «Potrà proporre un gioco simile a quello di Inzaghi ma anche cambiare modulo: questa squadra può giocare anche a quattro in difesa».
Il tema della continuità con Inzaghi è stato presente da subito, tanto che nella conferenza stampa di presentazione, avvenuta nell’inedita location di Los Angeles (per via del Mondiale per club negli Stati Uniti lo scorso giugno), a Chivu è stata subito rivolta una domanda a tal proposito. «Con Simone ho un bel rapporto», ha risposto. «Abbiamo parlato prima che mi chiamasse l'Inter, quando ho saputo che se ne sarebbe andato, poi non l'ho più sentito».
Gli inizi avevano visto l’ex tecnico della Primavera nerazzurra e del Parma provare a ricalcare il calcio del suo predecessore, interpretandolo in un modo un po’ più rigido. Anche da un punto di vista puramente geometrico, inizialmente Chivu sembrava orientato a sostituire il 3-5-2 con il 3-4-2-1. Insomma, Chivu non sembrava volersi allontanare troppo dal solco tracciato, e così la stampa nazionale ha interpretato le prime settimane della sua esperienza.
Non è un caso che abbia fatto particolarmente rumore la ormai famosa prima pagina della Gazzetta dello Sport dello scorso 25 settembre, nella quale compariva un Chivu con la maschera di Inzaghi (non che sia una novità per la rosea quella di mascherare gli allenatori dell’Inter con le facce di altri tecnici nerazzurri).
Col prosieguo della stagione, fra campionato e Champions, ha però iniziato ad emergere una novità rilevante tra il passato e il presente, e cioè una maggiore e più continua ricerca della profondità. O almeno questo è quello che si è letto. La prima novità introdotta da Chivu nell'Inter sarebbe quella di una maggiore verticalità. Ma è davvero così?
Partiamo dai dati, come al solito forniti da Hudl StatsBomb. Se analizziamo quello relativo alla velocità con cui l’Inter muove la palla verso la porta avversaria nei possessi che poi si sono conclusi con un tiro, notiamo come la scorsa stagione la velocità dei nerazzurri fosse di 2.38 metri al secondo (a fronte di una media della Serie A pari a 2.55). Ecco, in questa prima parte di campionato la velocità dell'Inter è rimasta praticamente identica: adesso è a 2.36, mentre quella della Serie A è salita ancora (2.63).
Ovviamente tutto sta nella definizione di verticalità. Hudl StatsBomb fornisce una metrica che si chiama proprio directness e che è intesa come il rapporto fra la distanzia iniziale dalla porta avversaria di un possesso concluso poi con un tiro e la distanza coperta durante quest’azione. In questo dato l’Inter attuale è leggermente sopra alla media della Serie A: 0.87 contro lo 0.89 della scorsa stagione.
Da questi dati è difficile dire se l’Inter di Chivu sia davvero più verticale, diciamo che a livello puramente statistico non è così evidente.
Se poi ci limitiamo ad analizzare solo i dati di questo campionato, per fare un confronto con le altre squadre, vediamo come l’Inter risulti essere fra le formazioni che palleggiano di più. Opta infatti ci dice che il numero di passaggi medi per azione offensiva dei nerazzurri (4.56) è inferiore soltanto a quelli registrati dal Napoli (4.73) e dal Milan (4.59). Stesso discorso per la durata delle manovre d’attacco, con il dato nerazzurro (12.15 secondi) inferiore di nuovo solo a quello di Milan (12.88) e Napoli (12.63).
A questi dati se ne possono però aggiungere altri che, invece, indicano una tendenza in linea con una idea di maggiore verticalità.
La verità come al solito è più complicata delle definizioni linguistiche che proviamo ad appiccicargli sopra. Vedendo le partite, sembra più che altro che l’Inter arrivi più velocemente nella metà campo offensiva, per poi innestare un approccio simile a quello visto negli ultimi anni.
A conferma di ciò sono arrivate le parole di Henrikh Mkhitaryan. Il centrocampista armeno, in un’intervista riportata proprio oggi, ha dichiarato infatti che «il lavoro che facciamo con Chivu è diverso da quello con Inzaghi. A livello tattico è un gioco un po’ più verticale, cerchiamo di finalizzare l’azione il prima possibile, con maggiora aggressività, ma dipende anche dall’avversario: non sempre hai lo spazio. Devi capire quando e come farlo. Si tratta di dettagli, che poi sono quelli che fanno la differenza». Insomma, alternanza fra verticalità immediata e palleggio, a seconda della situazione.
Eppure c'è una convinzione radicata che l'Inter sia molto più verticale della scorsa stagione, forse dettata da alcuni cambiamenti tattici apportati da Chivu. Uno di questi è stato l’utilizzo di Hakan Çalhanoğlu. Il turco infatti tendeva ad inserirsi meno nella linea difensiva in fase di primo possesso, lavorando invece prevalentemente davanti ai tre difensori.
All’interno di questo contesto, a volte le mezzali si ritrovavano a grande distanza dal play, col risultato di rendere più difficoltosa quella trasmissione palla sul corto che rappresenta invece uno dei punti di forza nella gestione del possesso da parte del numero 20 dell’Inter.

Una situazione nella quale il centrocampista turco si trova abbastanza distanze dagli altri componenti del reparto di mezzo interista.
Nelle ultime uscite, però, questo tipo di approccio pare essere stato abbandonato, con un ritorno alla costruzione con Çalhanoğlu allineato ai difensori che per primi gestiscono il pallone.

Il turco nella prima linea costruttiva dell’Inter nel secondo tempo della gara contro la Juventus.
Un altro tema è quello relativo alle rotazioni offensive. L’Inter attuale è sicuramente meno elaborata nella sua manovra, offrendo una versione più semplificata di se stessa rispetto alle ultime stagioni.
Detto questo, se guardiamo un altro dato come quello relativo ai tocchi di palla in area avversaria da parte di Alessandro Bastoni, osserviamo come il braccetto interista ne registri in questo campionato una media per 90 minuti (1.96) mai vista nelle sue precedenti stagioni in nerazzurro (dati Fbref). Anche questi inserimenti insomma potrebbero aver contribuito a dare la percezione di un undici maggiormente orientato alla ricerca della profondità.
Ad essere certamente mutato, invece, è il modo in cui la squadra nerazzurra rifinisce. Rispetto all’Inter di Inzaghi infatti quella di Chivu prova mediamente più dribbling (9.83 per 90 minuti rispetto agli 8.84 della scorsa stagione, secondo i dati di Hudl StatsBomb; rimane comunque la penultima squadra in Serie A in questa statistica), con una percentuale superiore di riuscita (64% contro 48%). I cross poi (fonte Opta via Whoscored) sono diventati 27 a partita a fronte di una media di 20 nel campionato 2024/25.
Insomma, ci sono stati dei cambiamenti volti a semplificare la manovra, ma l'Inter rimane l'Inter: una squadra orientata alla ricerca del controllo sulla partita, da ottenere tramite un possesso ordinato anche nell’altra metà campo.
Le transizioni artificiali (quelle cioè costruite non su una riconquista palla ma attraverso il superamento della prima linea di pressione avversaria, attirata in avanti ad arte dal proprio palleggio), che caratterizzavano il primo possesso dell’Inter di Inzaghi (rallentandolo nella propria metà campo), sono d’altronde difficili da attuare in contesti gara nei quali gli avversari tendono sempre più a difendersi con blocchi difensivi bassi e questo incide sui dati di risalita del campo dei nerazzurri.
La ricerca della profondità nell’Inter di Chivu non è una totale invenzione dei media, insomma, ma forse non nel modo in cui è stata rappresentata. D’altronde, come diceva Zdeněk Zeman, da quando hanno inventato il calcio la porta è sempre rimasta nella stessa posizione.