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Dario Saltari
Bastoni e Barella sono la luce dell'Inter di Champions
12 apr 2023
12 apr 2023
Una grande notte di Champions contro il Benfica.
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Dario Saltari
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IMAGO / Sports Press Photo
(foto) IMAGO / Sports Press Photo
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Alcune notti di Champions si aprono con la luce bianca della primavera. Vi ricordate la finale del 2003 tra Juventus e Milan a Old Trafford, che nei primi minuti faceva vedere le sue ombre sul prato? È la stessa luce che ha accolto anche l’Inter ieri a Lisbona, la città che più di tutte in Europa aspetta che il sole tramonti. Che ha dedicato il proprio stadio, anche se involontariamente, alla luce.

In realtà Luz è il nome del quartiere in cui lo stadio è costruito ma le coincidenze esistono proprio per suggerirci qualcosa. Per quelli come me che l’hanno vista in televisione i primi minuti sono stati stranianti. Vedere i giocatori accolti dal sole mentre qui da noi aveva fatto buio almeno da un’ora ha accentuato la sensazione che non stessimo vivendo lo stesso momento. Da una parte noi comuni mortali, illuminati dal televisore, dall’altra i giocatori che hanno speso ogni singolo momento della propria vita per arrivare a partite come questa. A notti che non sembrano notti.

È partito l’inno della Champions e con esso la telecamera che passa davanti alle squadre schierate come uomini al patibolo. Chi dovrebbe brillare sotto questa luce? Darmian e Dimarco, rientrati nel calcio d’élite dalla porta di servizio? Acerbi, Mkhitaryan o Dzeko che sembrano aver lasciato il loro meglio alle spalle già da qualche stagione? Lautaro Martinez il cui valore a questo livello si discute dall’esatto istante in cui è arrivato in Europa? L’Inter sembrava pronta per svelare il proprio bluff. Veniva da uno score terrificante di appena tre vittorie nelle ultime dieci partite. Nelle ultime quattro, in cui aveva perso contro Juventus e Fiorentina, e pareggiato contro la Salernitana, aveva segnato solo un gol su azione a fronte di 87 tiri tentati. Nella partita immediatamente precedente, contro lo Spezia, era riuscita a perdere dopo aver segnato solo un rigore a fronte di 3.4 Expected Goals. Il caso ce l’aveva messa tutta a mettere fine al breve rinascimento di questa squadra in procinto di perdere molti dei suoi pezzi migliori. Insomma, un gol nato da un cross sballato di Antonio Candreva non succede tutti i giorni.

Di fronte, poi, aveva la sua nemesi: la squadra che sembrava aver trovato l’alchimia per far succedere l’impossibile. Che ha preso un apocalittico allenatore tedesco che voleva fare l’ingegnere meccanico e l’ha trasformato nel nuovo Jorge Jesus. Che ha rigenerato Ruben Dias con una copia quasi perfetta, solo sei anni più giovane. Che ha lucidato il talento di giocatori che non sembravano fatti per partite come queste. Che in Champions League doveva ancora perdere una partita. Che ha resuscitato Joao Mario.

Di questa partita abbiamo parlato anche in Che Partita Hai Visto, il podcast dedicato ai nostri abbonati in cui commentiamo le partite più importanti della settimana. Se non siete ancora abbonati potete farlo cliccando qui.

Ma se le notti di Champions sono fatte per far brillare i grandi giocatori, i primissimi secondi di partita ci hanno dato subito un’indicazione a riguardo. Dopo il fischio d’inizio il Benfica ha fatto circolare il pallone velocemente da destra a sinistra. Grimaldo ha trovato subito la diagonale verso Gonçalo Ramos, che di prima ha appoggiato per Rafa Silva, forse il giocatore che più ci parla del Benfica quest’anno. Una carriera passata in Portogallo senza sollevare alcun sopracciglio, arrivato all’età di 29 anni sembrava finalmente pronto a farci vedere che eravamo noi a sbagliarci. Il numero 27 controlla il pallone di destro, aggira Brozovic accelerando il passo, ma poi con il corpo svela la sua mossa successiva, un passaggio orizzontale per Joao Mario che sta per abbassarsi accanto a lui. Barella, che lo attendeva al centro della mediana, si stacca dalla linea e intercetta, facendo ripartire l’Inter. È troppo elettrico per non capirlo in anticipo. Poco dopo Morato è costretto al fallo su Dzeko.

È un’azione in cui possiamo vederci le due diverse partite di Rafa Silva e Barella, ma anche l’essenza di entrambe le squadre. Da una parte il Benfica, costretta a camminare sull’equilibrio fragile che tiene insieme l’utopia tattica del suo allenatore alla sua realizzazione tecnica in campo, che ha bisogno della massima brillantezza di tutti i suoi giocatori migliori. Dall’altra l’Inter, che dietro i principi modernissimi che governano la sua fase di possesso rimane in purezza una squadra profondamente italiana, che dà il meglio quando può approfittare dell’errore avversario. Di fronte alla serata opaca della squadra portoghese, forse ancora provata dall’ultima sconfitta in campionato contro il Porto, l’Inter già dal primo tempo aveva dato segnali incoraggianti. Aveva vinto il confronto del possesso palla, chiudendo i primi 45 minuti con il 51% leggermente in vantaggio. Soprattutto era sembrata molto più pericolosa.

La squadra di Inzaghi aveva iniziato la partita in maniera molto ambiziosa cercando nei primi minuti di partita di contendere il possesso avversario con il pressing alto. I nerazzurri sembravano aver appreso che il pilastro su cui si reggeva il Benfica rimaneva il pallone, e sembravano intenzionati a toglierglielo, ma la squadra di Schmidt era stata brava a uscire dalla sua pressione. Soprattutto una rotazione ha funzionato durante il primo tempo. Quella che vedeva Grimaldo alzarsi altissimo e larghissimo a sinistra, mentre Ciquinho si ancorava al suo posto accanto ai due centrali. Sulla mediana, proprio al posto di Ciquinho, scendeva Aursnes, forse il migliore dei suoi ieri sera, su cui teoricamente sarebbe dovuto salire Darmian ma che in pratica era libero di ricevere nel cerchio di centrocampo.

Proprio questa rotazione al 15esimo ha dato vita all’occasione più pericolosa del Benfica nel primo tempo. Aursnes è rimasto in posizione di regista nonostante la palla fosse andata ormai a destra, con Rafa Silva che ne ha preso il posto nel mezzo spazio di sinistra. Il numero 27 del Benfica ha ricevuto proprio dal norvegese, ha accelerato fino alla trequarti e poi ha allargato per Grimaldo, che ha messo un cross velenoso a mezza altezza dentro l’area. Dimarco l’ha respinto orizzontalmente con la fronte in maniera un po’ stordita e sul pallone si avventato proprio Rafa Silva, che dal limite dell’area piccola è riuscito a colpire la figura di Onana. Il primo segno che il Benfica era stato abbandonato dai suoi giocatori.

Non sarà l’ultima volta in cui i portoghesi si renderanno pericolosi sull’asse Aursnes-Grimaldo. Al 29esimo la squadra di Schmidt arriverà in area proprio con Aursnes che, dopo aver fatto densità a centrocampo ricevendo alle spalle del centrocampo interista, si è inserito in area con un taglio di una trentina di metri, servito perfettamente in profondità da Grimaldo, che invece aveva stretto sulla trequarti per facilitare il possesso della propria squadra. Sul rimpallo nato dal tiro ribattuto dal norvegese ci sarà una delle diverse recriminazioni arbitrali che animeranno il post-partita di Roger Schmidt, che l’ha sconfitta non l’ha mai presa bene.

L’Inter sembrava comunque piuttosto comoda nella sua partita di attesa, ma come abbiamo visto nelle ultime partite di campionato il suo è un controllo apparente, che esiste fino al momento in cui non esiste più. La squadra ha bisogno di cibare la sua anima cinica, di approfittare dell’errore quando si presenta, oppure la sua attesa si trasforma in passività. Per farlo aveva avuto una prima occasione potenzialmente clamorosa al 33esimo, quando Lautaro era stato servito inavvertitamente da Gilberto. L’attaccante argentino si era lanciato in un due contro due nella trequarti avversaria, e aveva avuto anche la fortuna di vedere salire su di lui Morato, alle cui spalle si era mosso Dzeko. Nel momento decisivo, però, Lautaro ha deciso inspiegabilmente di alzare il pallone con l’esterno destro, facilitando l’intercetto del suo avversario. È stata un’azione che ci ha ricordato la regola non scritta per cui per sopravvivere alle notti di Champions serve che appaiano i grandi giocatori, cosa ancora più vera per una squadra come l’Inter, che sembra sonnecchiare sotto la sabbia in attesa che passi ignara la preda sopra la propria testa.

C’è da dire che già tra la fine del primo tempo e l’inizio del secondo il Benfica aveva iniziato a dare i primi segni di cedimento. Gli ultimi dieci minuti del primo tempo, ad esempio, la squadra di Schmidt ha iniziato ad allungarsi e mostrare amnesie inquietanti. Al 42esimo si era già vista la debolezza che poi gli costerà la partita: su una lunga azione manovrata nata dagli sviluppi di calcio d’angolo, l’Inter cambia a gioco a destra dopo aver costruito a sinistra. Basta un lento passaggio orizzontale di Lautaro verso Barella, molto largo a destra, per creare un quattro contro tre nella difesa portoghese, lentissima nel recuperare la propria posizione. Il Benfica sembra non riuscire più a controllare l’ampiezza e la profondità contemporaneamente. Né Gilberto né Ciquinho si preoccupano di coprire lo spazio alle spalle dei due centrali, ma serve comunque un cambio gioco calibrato alla perfezione da parte di Barella per creare il pericolo. La palla arriva dolce dentro l’area sul sinistro di Dimarco, che di prima la mette ai limiti dell’area piccola. Sia Lautaro che Dzeko, però, si muovono troppo in anticipo sul primo palo e il cross scorre innocuo da parte a parte.

Il calcio è uno sport del diavolo esattamente per questo motivo: facilissimo in teoria, difficilissimo in pratica. L’Inter aveva già individuato le difficoltà del Benfica nel difendere il lato cieco sui cross dalla trequarti pochi minuti prima, per ben due volte. Ma prima Barella e poi Dimarco avevano sbagliato il tempo o la misura del cross, per la dannazione di Dzeko. È solo alla luce di queste azioni che possiamo apprezzare il talento di Bastoni, riemerso da una stagione difficile in cui è stato relegato a un compito esclusivamente difensivo per ricordarci al momento giusto il suo valore. Certo, potremmo sottolineare la sbavatura iniziale di Joao Mario che innesca l’azione dello 0-1: un’uscita in pressione indecisa già in partenza, fatta con i tempi sbagliati, che permette al centrale italiano di condurre fino alla trequarti. O ancora l’assurdo tre contro quattro concesso in area dal Benfica, che permette a Dzeko e a Barella di liberarsi alle spalle di Morato. Ma poi quella palla va data esattamente in quel modo, in corsa e sotto pressione, e come abbiamo visto nelle ultime settimane dell’Inter fa tutta la differenza del mondo.

La fortuna della squadra di Inzaghi, poi, è che alla fine di quel cross ci sia stato proprio Barella e per esempio non Dumfries, che una ventina di minuti dopo porterà Vlachodimos a fare la migliore parata della sua serata. Ma in realtà non è fortuna, semplicemente la luce delle notti di Champions che fa brillare giocatori come Barella, capaci di farsi trovare esattamente dove dovrebbe essere, di indirizzare il pallone dove è impossibile da prendere, lento e inesorabile.

Fa un po’ strano pensare che questa partita sia stata decisa dalla differente consistenza tecnica tra i migliori giocatori delle due squadre. Era il Benfica la squadra in grado di mostrare il talento dei suoi giocatori sottovalutati e l’Inter quella in cui ci si rimproverava a vicenda gli errori, non il contrario. Ma effettivamente è andata proprio così. Meno di cinque minuti dopo l’1-0 della squadra di Inzaghi, il Benfica ha avuto ben tre occasioni di fila per pareggiare la partita e portare l’inerzia psicologica dalla propria parte ma per tre volte ha inspiegabilmente fallito. La squadra di Schmidt ha ritrovato per un attimo la brillantezza dei giorni migliori recuperando un pallone sulla trequarti avversaria e portandolo in area con una leggerezza disarmante. Alla fine di una serie di giocate d’alta scuola Joao Mario è riuscito a girarsi e a mettere un cross basso al limite dell’area piccola che chiedeva solo di essere trasformato in gol. Grimaldo però è sembrato pervaso da un’improvvisa rigidità e ha visto il proprio tiro a botta sicura non arrivare nemmeno alla linea di porta. Poi è stato il turno di Rafa Silva a non trovare la porta vuota, il suo tiro anemico ribattuto da Dumfries praticamente sulla linea, e infine di Gonçalo Ramos, probabilmente colpito alle spalle proprio da Bastoni. Com’è stato possibile che il Benfica non abbia segnato? La Champions League continua a mantenere il suo mistero.

Rimangono i se e i ma, come in tutte le partite. L’arbitro avrebbe potuto assegnare il rigore per il contatto tra Bastoni e Gonçalo Ramos, e non assegnare quello per il contatto tra la palla e la mano di Joao Mario. Grimaldo avrebbe potuto mettere sotto al sette, anziché a lato, il tiro di controbalzo da dentro l’area servitogli da una delle poche percussioni di Rafa Silva, cinque minuti prima dell’assegnazione del rigore che verrà trasformato da Lukaku. Alla fine parliamo di una partita in cui, nonostante la prestazione grigia, il Benfica ha comunque prodotto 1.40 xG. Si può pensare che sia solo un caso, che già al ritorno l’Inter tornerà ad essere il brutto anatroccolo della trasformazione delle occasioni da gol, oppure pensare che non lo sia affatto, che i grandi giocatori come Barella e Bastoni si fanno vedere quando serve. Che le grandi squadre non si vedono a novembre ma tra marzo e aprile, quando, come ha detto una volta Massimiliano Allegri, «il pallone è più piccolo e pesante».

La fortuna dell’Inter da qui alla fine della stagione dipenderà quanto sarà convinta di una o dell’altra cosa. Da quanto crederà che sarà solo fortuna, per l'appunto, oppure una luce riservata solo per lei.

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