Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
L'Inter poteva fare di più?
11 dic 2019
11 dic 2019
Cosa è andato storto in Champions League per la squadra di Conte?
(articolo)
9 min
Dark mode
(ON)

Esattamente come un anno fa, all’Inter sarebbe bastato vincere l’ultima partita in casa dentro un San Siro stracolmo per garantirsi l’accesso agli ottavi di Champions League, ed esattamente come un anno fa l’epilogo è stato ancora una volta amaro. I gol di Pérez e Fati, 21 anni e 17 anni rispettivamente, hanno condannato l’Inter alla terza sconfitta in sei partite, mentre il Borussia Dortmund ha sconfitto con grande fatica lo Slavia Praga, conquistando il secondo posto nel girone.

«Dirò ai ragazzi di non avere recriminazioni a fine partita, a volte contro squadre così non basta dare tutto», aveva detto Conte alla vigilia. In effetti è andata così: nonostante una formazione infarcita di riserve, il Barcellona ha mostrato una qualità tecnica superiore in tutti i reparti a un’Inter che pure soffriva di diverse assenze. La squadra di Valverde ha dominato il possesso palla (63%) e ha gestito con più calma i momenti di una partita concitata.

Quello che rimane, raccogliendo i cocci di un’altra eliminazione, è proprio la domanda: l’Inter ha davvero dato tutto?

Quanto ha inciso la sfortuna?

Riavvolgendo il nastro alla gara di andata, è evidente quanto la qualità offensiva dell’Inter sia peggiorata man mano che gli infortuni hanno privato la squadra di Conte di alcune pedine determinanti nello sviluppo della manovra. Al Camp Nou, contro il Barcellona titolare, l’Inter aveva mostrato il suo miglior calcio della stagione: una squadra dinamica, in grado di occupare in modo fluido tutti i corridoi laterali, di muovere il pallone a un tocco con grande precisione, e di arrivare in porta costruendo fin dalla propria area di rigore.

I simboli di quella sconfitta sfortunata, almeno per com'era andato il primo tempo, erano stati Sensi e Barella, eccezionali nell’interpretare tutte le richieste di Conte. I due giovani centrocampisti italiani, infatti, si erano dimostrati perfetti nell'interpretare i movimenti chiesti dal tecnico dell'Inter, a partire dalle ricezioni larghissime e dagli inserimenti profondi verso l’area di rigore. Intorno alla sapiente regia di Brozovic, l’Inter aveva trovato per la prima volta negli ultimi dieci anni un centrocampo tecnicamente all’altezza del palcoscenico europeo. Un dato indicativo in questo senso è il confronto tra il primo tempo al Camp Nou e il primo tempo a San Siro: il volume dei passaggi tentati è stato esattamente identico (197), ma è sensibilmente diminuita la precisione (da 87% a 81%).

Pochi giorni dopo la partita di Barcellona si è infortunato Sensi, nella sconfitta in campionato contro la Juve. Una settimana dopo, giocando con la maglia del Cile, si è infortunato Sánchez, che nelle due migliori prestazioni stagionali dell’Inter (al Camp Nou e a Marassi) aveva fatto coppia in attacco con Lautaro. Da allora sono passati due mesi, in cui l’Inter si è trascinata a fatica pur conquistando la testa del campionato, e nel frattempo Conte ha dovuto rinunciare anche a Barella, Candreva e Asamoah, tutti titolari nella gara di andata.

Da queste premesse era difficile ricavare qualcosa di positivo a meno di una grande intuizione capace di riqualificare il materiale tecnico a disposizione, di imbellettare il cestone delle seconde linee fino a dargli l’aspetto di una credenza in noce massello. Non è successo nulla di simile, un po’ per prudenza, un po’ per necessità, e l’Inter ha continuato a poggiare sui suoi punti di riferimento che però diminuivano ad ogni infortunio. Questo ci conduce direttamente alla seconda domanda.

Conte poteva fare di più?

L’analisi della sconfitta del tecnico salentino ha fatto leva sugli errori sotto porta, a cui vanno sommati tutti gli errori in fase di rifinitura che hanno vanificato le numerose occasioni in cui l’Inter si era portata a uno o due passaggi dall’andare a rete. «Il calcio è semplice: bisogna buttarla dentro e vinci le partite, altrimenti diventa complicato (questo sembra essere un tema particolarmente caro agli allenatori italiani ultimamente, nda). Noi oggi non siamo stati cinici. Tutte le occasioni che abbiamo avuto potevamo capitalizzarle e avremmo passato il turno».

Alcune delle più clamorosi occasioni sciupate dall'Inter, con il filtro tristezza di Instagram.

Di fronte ai microfoni, Conte non ha ceduto di un passo rispetto all’atteggiamento protettivo che ha sempre mantenuto nei confronti dei suoi giocatori, che «hanno dato il massimo», che «sono migliorati in maniera esponenziale», che lo hanno reso «orgoglioso di essere il loro allenatore». E alla prima domanda sul calciomercato invernale ha risposto: «Non è giusto fare considerazioni al di fuori di questo gruppo di calciatori», consolidando la sua figura da comandante in trincea, schierato in prima linea a difesa del proprio esercito.

È una medaglia, di sicuro molto luminosa, che contiene però anche il suo rovescio. Conte è stato fenomenale nel dare certezze in pochissimo tempo a una rosa a corto di motivazioni e fiducia. Poi però da quelle certezze non si è più spostato. L’Inter sapeva di avere una difesa solida e una coppia d’attacco esplosiva, e contro il Barcellona ha costruito tutte le sue occasioni a partire dai lanci lunghi dei difensori verso Lautaro e Lukaku, chiamati a mantenere un’intensità altissima nel corso di tutti i novanta minuti per combattere corpo a corpo e dialogare su ampie distanze.

Contro il Barcellona, Conte ha conservato il suo tradizionale assetto tattico chiedendo a Vecino quello che prima chiedeva a Sensi, cioè di allargarsi tantissimo in fase di prima costruzione per dare un riferimento largo ai tre centrali mentre gli esterni andavano in profondità per poi tornare al centro della trequarti in fase di rifinitura. Un ruolo estremamente dispendioso che l’uruguagliano però ha finito per deformare, sbavando molte letture e i passaggi più delicati in mezzo alla pressione blaugrana. Insomma è difficile tracciare una linea netta che separi i limiti tecnici dei giocatori dai limiti di fantasia del loro allenatore, ma neanche le soluzioni trovate a partita in corso, per quanto circoscritte ai pochi presenti, sono apparse particolarmente brillanti.

Lazaro e Politano, forse i due giocatori più in difficoltà nella rosa dell’Inter in questo momento, sono stati schierati a piede invertito negli ultimi venti minuti in cui l’Inter si è vista costretta soprattutto a passare dalle fasce, e non sono mai stati in grado di saltare il diretto marcatore nell’uno contro uno, né di servire cross puliti per sfruttare la stazza di Lukaku a centro area. Nell’ultima partita contro lo Slavia invece era successo il contrario: sempre intorno all’ultimo quarto d’ora di gioco, Conte aveva sacrificato le due mezzali, Borja Valero e Vecino, per premiare la capacità di interdizione di Gagliardini davanti alla difesa e la foga agonistica di Esposito sulla trequarti. E sono state le due chiavi per la vittoria finale.

Ma il punto forse è proprio questo. L’Inter è rimasta sempre uguale a se stessa, legata alle stesse soluzioni, dosando con lo stesso tempismo i diversi momenti della partita. Ha provato a frammentare le sue azioni in lunghe sequenze di duelli individuali, e infatti ha vinto quando ha avuto la meglio in questi duelli, come nella gara di andata contro il Borussia Dortmund, che si era disposto a specchio. Ha giocato a nascondersi, a parare i colpi aspettando il momento giusto per rispondere, e ha scoperto qual è il rischio di trasformare un campo da calcio in un ring di boxe: contro avversari tecnicamente superiori è probabile che alla fine perderai ai punti.

Questa rosa valeva gli ottavi?

Tirando le somme di questo percorso europeo all’Inter rimangono 7 punti, quindi un punto in meno rispetto all’anno scorso, quando la rosa era un po’ meno competitiva di questa, il girone sulla carta appariva un po’ più difficile, e il calendario era più insidioso di quello affrontato quest’anno. Insomma: nel percorso di crescita disegnato dalla società e dallo staff tecnico, è sicuramente un passo indietro.

Contro il Barcellona, nella partita da vincere a tutti i costi, l’Inter non è mai andata sopra nel punteggio, esattamente come un anno fa. Nella partita di Dortmund, che poteva consegnare la certezza quasi matematica della qualificazione a dispetto di un avvio complicato, ha sperperato il vantaggio di due gol conquistato a fine primo tempo e ha perso 3-2. Quella sconfitta è maturata in modo simile, per certi versi, alla sconfitta di ieri contro il Barcellona. Ovvero nel momento in cui l’Inter ha iniziato a cedere metri di campo e non ha trovato più gli strumenti per risalire.

Quando deve conservare un vantaggio, l’Inter cerca di mantenere la solidità difensiva in maniera troppo passiva, indietreggiando sempre a ridosso della propria area di rigore. E questo rende molto complicato mantenere i propositi di pressione alta annunciati da Conte alla vigilia della partita, e poi effettivamente mantenuti finché le energie fisiche lo hanno consentito. In questo contesto tutta la squadra è concentrata a bloccare le linee di passaggio, a impedire le ricezioni tra le linee, a sporcare le triangolazioni brevi - un atteggiamento che paga contro quasi tutte le squadre tecnicamente e fisicamente inferiori (come in Serie A, dove l’Inter è ultima sia per gol subiti che per xG concessi), ma non in Champions, dove l'Inter ha subito ben 10 gol in 6 partite, mantenendo la porta inviolata una volta sola.

Quando l'Inter non può sedersi su un gap fisico e tecnico evidente finisce inevitabilmente per pagare quello che è forse il limite maggiore del gioco di Conte, e cioè la sua intrinseca meccanicità e quindi anche la sua prevedibilità. Un limite che è ancora più evidente se si pensa che ieri il Barcellona non aveva messo in campo i suoi uomini migliori ed essendo già qualificata non era certo arrivata a San Siro con il coltello tra i denti. Certo, il livello di squadre di questo tipo è sempre alto - basti pensare alla conduzioni di Todibo, o alla qualità tecnica di Rakitic - ma è esattamente questo il punto della Champions League: mettersi alla prova con con i migliori avversari del calcio globale. Contro avversari di questo livello non è detto che i difensori vincano tutti i contrasti che tentano, o può capitare che ci riescano ma il pallone finisca comunque a un avversario meglio posizionato, come è successo a Godín nell’azione del gol di Pérez.

Dalla trequarti in su l’Inter, invece, sembra non avere ancora queste qualità, specialmente se non può contare su Sánchez, Sensi, Barella e Asamoah. Ed è in queste situazioni che ci si aspetta che il valore aggiunto venga dal proprio allenatore, che invece è sembrato più attento a rimanere aggrappato alle sicurezze che aveva costruito per la propria squadra. Conte non è riuscito a trascinare la squadra oltre i suoi meccanismi, e la squadra lo ha tradito nel momento decisivo. Nei minuti finali è emersa tutta la differenza tra l’Inter che sapeva andare in verticale disperatamente e senza troppo raziocinio, e il Barcellona che riusciva ancora a rubare il pallone nella metà campo offensiva, imbastire giocate a muro, pescare il jolly da fuori area.

A questo punto il destino dell’Inter è parzialmente legato ai risultati di Juventus e Atalanta di questa sera, che ci diranno se i 7 punti raccolti saranno almeno sufficienti a finire nell’urna delle teste di serie di Europa League ‒ in cui finiscono 4 delle 8 “retrocesse” dalla Champions League ‒ e quindi a evitare di beccare subito ai sedicesimi avversari ostici come il Manchester United, l’Arsenal, l’Ajax o il Siviglia.

Certo, se l'obiettivo è mettere le basi per la creazione di un percorso vincente, allora forse il primo passo è proprio quello di pensarsi alla pari con le migliori squadre del continente.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura