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Il trionfo del lavoro di Antonio Conte
16 mag 2017
16 mag 2017
Il perfezionismo con cui l'allenatore italiano ha vinto alla sua prima stagione in Inghilterra.
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7 min
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Antonio Conte ha vinto la prima edizione della Premier League dei super manager. Pep Guardiola, José Mourinho, Arsene Wenger, Jurgen Klopp, Mauricio Pochettino e Conte rappresentano parte del gotha dei tecnici mondiali, la loro contemporanea presenza nella stessa lega rendeva eccezionale questa edizione della Premier League, un campionato che aveva estremo bisogno di rinnovare i propri ideali tattici.

Per due anni consecutivi è stato un allenatore italiano a vincere la Premier League (ovviamente dopo l’indimenticabile Leicester di Claudio Ranieri) e si prolunga la tradizione negativa per la scuola calcistica inglese in Premier League: adesso sono 25 anni che nessun tecnico inglese è riuscita a vincerla. Se si aggiunge il successo di Ancelotti in Bundesliga, dei 5 maggiori campionati europei (che per convenzione sono quello spagnolo, inglese, italiano, francese e tedesco) addirittura 3 sono stati vinti da un allenatore italiano. Senza contare la vittoria di Carrera nel campionato russo.

Antonio Conte ha vinto con il Chelsea grazie alla grande flessibilità e cura dei dettagli della scuola italiana, unita però a uno stile moderno ed europeo che spesso viene poco riconosciuto al tecnico pugliese.

Il lavoro sul campo

Va ricordato subito che, nonostante il grande Europeo disputato dall’Italia, Conte non arrivava in Inghilterra con i favori del pronostico. C’era poco ottimismo intorno alla squadra di Conte, anche perché in fondo il gruppo di giocatori era lo stesso capace, sì, di vincere il campionato due stagioni prima, ma che in quella immediatamente precedente si è ripiegato su se stesso finendo al decimo posto.

Un crollo inaspettato che aveva lasciato pensare alla fine di un ciclo e a tempi lunghi per il ritorno alla vittoria. Un contesto del genere probabilmente ha concesso a Conte il privilegio di lavorare fuori dai radar, senza troppe pressioni. Bastava andarsi a rivedere il diverso stile e tono scelti nelle presentazioni di club e allenatori a inizio campionato: Guardiola sembrava Noel Gallagher a MTV TRL; Mourinho di fronte ai giornalisti era tirato come un pugile alla prova del peso; Conte da parte sua si è limitato a suggerire che magari, sotto le braci di quel Chelsea, covasse ancora del fuoco vivo.

Lontano dai riflettori, Conte ha potuto lavorare con maggiore attenzione e qualità sul campo di allenamento. Rispetto agli altri ha avuto anche più tempo: il Chelsea ha potuto permettersi di raddoppiare le sedute perché non aveva impegni europei. Considerati i match che mancano da qui alla fine della stagione, il Chelsea avrà giocato 47 partite: tante quante il Liverpool, ma meno di Tottenham (53), Arsenal (55), Manchester City (56) e Manchester United (64). Oltretutto se la rosa di Klopp è stata martoriata dagli infortuni, e l’allenatore tedesco ha potuto fare del calendario un alibi, la gestione che Conte ha fatto delle proprie risorse, invece, è stato un altro punto di forza per la sua prima stagione.

Il cambio di modulo

Il lavoro in allenamento, quindi, ha fatto da stella polare al Chelsea 2016/17. È la chiave per interpretare questa stagione vincente, compresi i dettagli come il cambio di sistema che da tutti viene indicato come punto di snodo, il cardine che ha aperto la porta del successo a Conte.

Col passaggio dal 4-1-4-1 al 3-4-2-1 ogni tassello è andato al proprio posto. A cominciare dall’acquisto - per molti inutile o comunque sopravvalutato - di David Luiz, che ha trovato la sua ragion d’essere in un ruolo alla Bonucci. Si passa poi per la scoperta di Cesar Azpilicueta come centrale di destra nella difesa a 3, grazie alle sue incredibili doti di lettura e copertura: per l’effetto che ha avuto sull’efficacia della fase difensiva e della transizione negativa, avrebbe dovuto essere una mossa celebrata più dell’invenzione di Moses come esterno a tutta fascia, della quale i media parlano ormai da mesi.

Conte non ha mai fatto a meno dello spagnolo: se dovesse giocare anche gli ultimi 90 minuti, Azpilicueta diventerebbe uno dei pochissimi nella storia della Premier League ad aver vinto il campionato dopo averne disputato ogni singolo minuto.

E poi, ancora: l’intesa tra Kanté e Matic nelle reciproche coperture; i movimenti coordinati dei tre giocatori offensivi. Sono talmente tanti gli accorgimenti tattici derivati dal passaggio al 3-4-2-1 che sarebbe da ingenui pensare che Conte sia stato colto da un’illuminazione improvvisa nell’intervallo di Arsenal-Chelsea, quando già era sotto 3-0.

Sarebbe assurdo immaginare che abbia improvvisato un cambio tattico decisivo per il resto della stagione: con tutta probabilità, Conte ha solo anticipato i tempi di una transizione tattica che era già da tempo nei suoi pensieri, sulla sua lavagna, e che probabilmente aveva già cominciato a portare a Cobham, campo di allenamento del Chelsea.

https://twitter.com/nyannthierry/status/790274286992953348

Il primo gol dei quattro che il Chelsea rifila al Manchester United è quasi un manifesto del nuovo corso: Hazard viene incontro; appoggia per Alonso largo a sinistra, che di prima cerca Pedro in profondità; lo spagnolo si avvantaggia del movimento di Diego Costa che porta Smalling fuori posizione. Ad appena 23 giorni dal cambio modulo, il Chelsea odierno era già lì.

Cura dei dettagli

Mark Ogden, in un suo pezzo per il sito della ESPN, ha lodato la “semplicità nella forma più pura” del gioco del Chelsea, soprattutto in contrapposizione al barocchismo tattico di Guardiola.

In realtà, il gioco del Chelsea è reso fluido da una mole di lavoro impressionante: chi ha lavorato con Conte ne ha sempre testimoniato la sua cura dei dettagli che sfiora la maniacalità. David Luiz ha dato crediti a Conte per la sua crescita personale; Moses ha dichiarato che il suo allenatore gli ha parlato ogni giorno, ossessivamente, circa i suoi compiti in fase difensiva, un suo punto debole fino a quel momento. Hazard ha lasciato intendere che, con Conte, il Chelsea ha lavorato sulla fase offensiva molto di più di quanto facesse con Mourinho, il più delle volte ripetendo una giocata fino allo sfinimento in una metà campo priva di avversari.

Insomma, i giocatori hanno introiettato il credo del loro allenatore, fino al punto in cui certe giocate sono entrate nella loro memoria diventando una seconda natura. Attenzione: aver mandato delle giocate a memoria non significa che vengano eseguite poi in modo meccanico, ripetendole allo stesso modo indipendentemente dal contesto. E la distinzione tra giocate meccanizzate e giocate memorizzate è molto importante perché se nel primo caso parliamo di gesti tecnici e posizioni fisse da ripetere forzando il contesto di gioco, nel secondo a guidare le scelte dei giocatori sono i princìpi di gioco, differenti da situazione a situazione.

Ma Conte ha ottenuto tanto dai suoi calciatori anche perché si è speso molto per loro: sempre Moses ha dichiarato che il tecnico ha dedicato fin dal primo giorno la stessa quantità di tempo ad ogni singolo calciatore della sua rosa. Ognuno ha creduto di avere un’opportunità, ognuno ha ritenuto di essere utile alla causa: persino John Terry, sembrato totalmente a suo agio nei panni di capitano non-giocatore.

Conte ha sanato un ambiente in cui il livello di tossicità non si era abbassato durante l’interregno di Hiddink, con nell’aria ancora le scorie del biennio del padre-padrone Mourinho. Questo, forse, è il merito maggiore da ascrivergli, anche se il più insondabile.

E ora?

Certamente la rosa del Chelsea ha bisogno di essere ampliata per far fronte all’impegno della prossima Champions League; così come andranno tenuti i pezzi pregiati per resistere al prossimo arrembaggio del Tottenham in Premier League, che per Conte stesso è l’avversaria più credibile nel prossimo futuro.

E adesso che si è guadagnato il rispetto e la fiducia totale dell’ambiente - della società, della squadra e dei tifosi - probabilmente potrà ottenere tutto, o quasi, quello che vorrà in sede di calciomercato estivo.

Fa sorridere il fatto che al rispetto “interno” e della parte del pubblico meno coinvolta nelle sorti di uno o l’altro club inglese, abbia fatto da contraltare il fastidio, autentico, tangibile, degli altri allenatori della lega: Mourinho ha dato a Conte del difensivista (sic!), mentre Klopp ha dichiarato che la sola squadra che gioca davvero al calcio in Inghilterra è il Manchester City. Persino Wenger ha chiarito che secondo lui il Chelsea è una squadra speculativa, che rischia poco ma che genera parecchi dividendi.

Un insieme di voci che, in negativo, segnano l’estensione dell’impatto avuto da Conte in Premier League, il marchio indelebile che ha impresso su una lega in cui era entrato in punta di piedi e che, forse, farebbe meglio a imparare dal suo esempio anziché ignorarne un indiscutibile dominio.

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