
Al minuto 69’ di Polonia-Colombia, Radamel Falcao attacca la profondità della malandata difesa polacca. La palla arriva però a Quintero sulla trequarti, allora Falcao deve fare un piccolo movimento in orizzontale per non finire in fuorigioco. Quintero verticalizza subito e il centravanti ha già il corpo orientato per fiondarsi verso la porta come un predatore. Falcao col primo controllo si porta la palla avanti e con l’esterno del piede tira rasoterra sul secondo palo, come fosse una stoccata della scherma. È il primo gol del Tigre in un Mondiale, arrivato a 32 anni.
Flashback
Lo scorso maggio allo Stade Louise II Monaco e Juventus stanno giocando la partita d’andata delle semifinali di Champions League. Al 19’ il punteggio è ancora sullo 0-0 quando Dirar dalla destra mette un traversone sul secondo palo. In quella zona si contendono il pallone Falcao e Barzagli; il colombiano finge di attaccare il primo palo e poi sfila alle spalle del difensore. Barzagli resta concentrato sulla traiettoria e sembra essere in vantaggio sul pallone. D’altronde, lo juventino col suo metro e 87 supera Radamel Falcao di ben 10 centimetri. Proprio quando la palla sembra destinata alla testa del difensore, Falcao riesce a prendere posizione, aiutandosi leggermente col braccio sinistro; il pallone adesso spiove sul colombiano, ma Barzagli resta comunque a contatto con l’attaccante, così da indebolirne lo stacco e il colpo di testa. Falcao è costretto a saltare in verticale, senza ritmo e a colpire dal basso verso l’alto per scavalcare l’avversario ed evitare che il pallone sbatta sulle sue spalle.
Ragionevolmente il tiro dovrebbe guadagnare in altezza ma perdere potenza. Invece la sfera corre verso l’incrocio del palo corto come se fosse stata colpita in corsa. Anche Buffon sembra sorpreso dall’esito dell’azione e quasi sbatte sul legno per togliere la palla dal sette.
Contro un avversario più alto, tra i migliori marcatori d’Europa, con un angolo di tiro complicatissimo, Falcao è riuscito a dominare il duello aereo e a creare un’occasione da un cross che di solito gli attaccanti preferirebbero far morire oltre la linea laterale. Un dominio dell’area di rigore che il 3 maggio 2017 sorprende ogni telespettatore, ma che il 3 maggio 2013 sarebbe stato ordinaria amministrazione per un giocatore chiamato, con l’enfasi che si riserva solo ai più grandi, “el Tigre”.
Tra il Falcao del 2013 e quello del 2017, o quello che sta giocando il primo Mondiale della sua carriera, c’è tutta la differenza del mondo.
Il colpo di testa di Falcao realizzato contro la Juve non resterà certamente negli annali, anche perché la Juve alla fine è riuscita a sconfiggere il Monaco con un certo agio, sia all’andata sia al ritorno. E tra tutte le cose che ha perso per via dei gravi infortuni che ne hanno minato la carriera, non c’è il colpo di testa, che Falcao ha salvaguardato negli anni riuscendo a imprimere a cross lenti e prevedibili una violenza spropositata, capace di far risputare alla rete il pallone oltre la linea di porta. Eppure quella giocata ci ricorda cosa sarebbe potuto essere il colombiano senza gli infortuni.
L’incornata sulle spalle di Barzagli è un po’ come la zanzara nell’ambra di Jurassic Park: un reperto antico sopravvissuto fino ai giorni nostri che conserva intatto il DNA di una delle creature più feroci del passato.
Falcao attaccante classico
Prima del trasferimento al Monaco nell’estate del 2013 Falcao era considerato in maniera piuttosto unanime uno dei giocatori migliori al mondo. Capocannoniere di due edizioni consecutive dell’Europa League, con i suoi gol aveva restituito dignità all’Atletico Madrid, pronto per diventare la terza forza di Spagna nonché una delle squadre più temibili del continente.
Prima di menzionare i motivi strettamente calcistici per i quali Falcao era, probabilmente, il migliore nel suo ruolo, è giusto considerare il percorso inusuale grazie al quale aveva raggiunto il suo status.
Falcao era entrato nell’Olimpo del gioco dalla porta di servizio: l’Europa League. In più, era il simbolo di una squadra non ancora di prima fascia, con un’epica figlia del sudore e della sofferenza, ben lontana dal nitore di Real Madrid e Barcellona. La devozione per Falcao era riuscita a valicare le mura del Calderon perché il colombiano per le caratteristiche tecniche e l’estetica che lo rendono il centravanti classico più forte del mondo. Un concetto che è forse la chiave per comprendere il fascino esercitato da Falcao sul grande pubblico.
Non bisogna dimenticare il periodo calcistico in cui esplode: tra il 2010 e il 2013 il centravanti d’area di rigore è una creatura quasi estinta ad alti livelli, un po’ come il libero, o il rinoceronte grigio. L’élite del calcio europeo era quella del Barcellona di Guardiola con Messi falso nove, quella di van Persie miglior centravanti della Premier League, quella dei due registi offensivi del Real Madrid, Benzema e Higuain.
Falcao, se si parla di tecnica pura (dribbling, passaggi, visione, controllo), probabilmente è inferiore a tutti i giocatori citati. Diventa però migliore di loro quando deve entrare in contatto mentale con la porta avversaria, proprio come i migliori attaccanti del decennio precedente. Anche la sua immagine conferma l’impressione che venga da un’altra epoca: i capelli lisci e lunghi trattenuti da una fascetta, il moscone sotto il labbro, le esultanze entusiaste e mai premeditate, il fatto di essersi affermato in squadre di seconda fascia.
Durante la stagione al Porto, con Villas Boas in panchina, quella della definitiva consacrazione in cui i dragoni conquistano Europa League, Primeira Liga e coppa di Portogallo, Falcao è sopravvissuto al alti livelli solo grazie alle proprie doti in area di rigore. Il contesto creato dal figlioccio di Mourinho ha permesso a Falcao di concentrarsi sulla propria comfort zone mentre il Porto, con un atletismo spropositato sia per il campionato portoghese che per l’Europa League, esaltava giocatori ipertrofici come Rolando, Guarin e Alvaro Pereira (rivelatisi poi inadeguati in contesti meno consoni alle loro caratteristiche). Quel Porto era rappresentato al meglio da Hulk, il giocatore più importante nel sistema di Villas Boas. L’obiettivo del Porto era mettere il prima possibile il brasiliano in condizione di ricevere fronte alla porta, anche molto distante dall’area di rigore, per poi attivare le sue conduzioni devastanti.
L’influenza di Hulk sulla fase offensiva del Porto si riverberava, di riflesso, anche su Falcao, che viveva in funzione delle respinte sui tiri di Hulk. Il colombiano era un maestro ad analizzare lo spazio da occupare in area in riferimento al pallone e alle decisioni dei compagni: molti suoi gol al Porto nascono proprio dalla capacità di occupare la giusta porzione di campo al momento del tiro da fuori, spesso proprio di Hulk.
Senza il bisogno di abbassarsi per partecipare al possesso, Falcao osserva attentamente lo sviluppo dell’azione per capire come poter supportare al meglio la manovra e l’obiettivo dei suoi smarcamenti è sempre quello di offrire un’opzione credibile ai compagni. Nel Porto la grande influenza delle ali generava molti cross in area e il talento di Falcao era perfetto per le palle tagliate di Varela o Hulk.
L’area di rigore è una superficie di campo limitata, dove spesso l’attaccante è in inferiorità numerica. È fondamentale saper individuare la zona migliore in cui impattare il cross, ma più che occupare subito quella zona, Falcao è straordinario nel trovare la strada giusta per arrivarci in corsa, in modo da sorprendere e anticipare il difensore. Falcao manipola i movimenti dei difensori come se fosse lui a preoccuparsi del proprio marcatore e non il contrario, fintando, abbozzando un taglio verso il centro dell’area per poi accelerare sul primo palo.
Falcao attaccante moderno
Se fosse stata solo questione di letture, Falcao sarebbe stato il miglior attaccante del mondo anche dopo l’infortunio. Invece, nella sua seconda vita calcistica ha dovuto attendere un paio di stagioni prima di tornare, almeno a livello numerico, nell’élite del calcio europeo. Nelle ultime due annate, solo considerando il campionato, la sua media si assesta su 0.72 gol a partita, cifra inferiore in carriera solo a quelle dell’ultima stagione in maglia Atleti, la migliore per lui a livello individuale.
Per tornare ad alti livelli Falcao si è dovuto reinventare. Lo scorso settembre, mese in cui aveva convertito in gol il 45% delle sue conclusioni a rete, Fabrizio Gabrielli sottolineava come il colombiano avesse abbassato la propria posizione: «Falcao ha affinato il suo gioco di sponda, e ingigantito il carico di responsabilità di manovra arretrando il baricentro del suo gioco. Nella gara di Champions League contro il RB Lipsia, per dire, ha toccato palla mediamente più indietro rispetto a Youri Tielemans».
La rottura del crociato è stato una tara troppo pesante per un giocatore che in Portogallo e Spagna concentrava tutta la propria esuberanza fisica sulle gambe e sul busto.
Il suo gioco era fatto di scatti brevi e continui, di duelli fisici con cui prendeva posizione, della sua resistenza alla pressione fisica avversaria. Riguardando alcune partite dei suoi anni migliori è quasi imbarazzante osservare difensori e centrocampisti molto più grossi rimbalzare letteralmente contro il metro e settantasette del colombiano.
Esemplare in questo senso il gol segnato al Paraguay con la maglia della Colombia in una partita di qualificazione al mondiale 2014.
A due minuti dalla fine del secondo tempo Falcao si posiziona tra centrale e terzino sinistro e chiama il lancio in profondità al compagno: il pallone cade alle spalle dei due difensori, e il terzino cerca di spegnere la corsa di Falcao in tutti i modi, aggrappandosi alla sua maglia. Falcao non si scompone, gli basta sfruttare la potenza del bacino e delle gambe per tenere il pallone fuori dalla portata del marcatore; poi con lo stop di controbalzo cambia direzione e si libera contemporaneamente del terzino che cercava di abbatterlo e del centrale che stava recuperando. A quel punto supera il portiere con un pallonetto di sinistro dolcissimo, che fa da contraltare alla veemenza fisica mostrata nel resto dell’azione. Una conciliazione degli opposti che rappresenta quasi l’essenza stessa del mito del centravanti.
Se in teoria 177 centimetri sono pochi per una punta, per un attaccante col vigore atletico di Falcao diventano un vantaggio: il fisico compatto lo rende un giocatore esplosivo, con una facilità di corsa davvero difficile da limitare. Per il difensore, prendere contatto in corsa con Falcao è quasi impossibile per l’incredibile rapidità su distanze medio-corte unita alla sua energia.
Falcao conosce i propri limiti
Falco non è un giocatore tecnicamente sopraffino. Quando è costretto a giocare spalle alla porta ad esempio, difficilmente riesce a creare dei reali vantaggi per la squadra. Si limita ad appoggi piuttosto elementari e, nel migliore dei casi, protegge palla e guadagna punizioni. Tuttavia, la prospettiva cambia se Falcao può attaccare frontalmente l’area di rigore, e il suo calcio raggiunge una complessità e una varietà di soluzioni impressionante.
Il suo istinto sotto porta emerge soprattutto in Liga, dove ha realizzato 52 gol in 68 partite, sempre terzo nella classifica marcatori negli anni in cui Cristiano e Messi scollinano senza nessun problema i cinquanta gol stagionali. All’Atleti non c’è un divoratore di palloni come Hulk; in più, il carattere conservativo del calcio di Simeone spesso costringe la squadra ad attaccare in transizione o, comunque, in inferiorità numerica.
Attaccare in inferiorità numerica può favorire l’aggressività dei difensori che, forti della copertura alle spalle, ingaggiano con più tranquillità l’uno contro uno. Falcao non è uno specialista del dribbling, ma la forza esplosiva delle gambe gli permette di reagire con prontezza alle scelte del difensore. Una combinazione di tecnica e potenza sublimata nelle sterzate con cui evita i tackle degli avversari.
I dribbling di Falcao non hanno nulla di artistico, sono piuttosto spartani, si limitano a brevi cambi di direzione che sorprendono l’avversario per la rapidità con la quale riesce a spezzare la corsa e a orientare la conduzione verso un altro lato. La capacità di reagire agli interventi avversari e la rapidità delle sterzate gli permettono di restare in controllo negli spazi risicati vicini alla porta avversaria.
Se per i giocatori tecnicamente più dotati il dribbling è il vizio più sfizioso da concedersi, in un gusto per il fondamentale che spesso degenera nel narcisismo, per Falcao il dribbling è una risorsa da sfruttare solo in casi di estrema necessità. E' straordinaria da questo punto di vista la sfumatura di raziocinio del repertorio del Tigre, in antitesi con l'istintività che, secondo la vulgata, appartiene a tutti i migliori centravanti classici.
Prendiamo come esempio una delle reti più iconiche del miglior Falcao, quella del momentaneo 2-0 nella finale di Europa League del 2012 tra Atletico Madrid e Athletic Bilbao.
Miranda recupera palla su Amorebieta vicino al vertice sinistro dell’area basca. La palla giunge sui piedi di Arda Turan che guadagna il fondo e crossa un pallone rasoterra all’altezza dell’area piccola. Falcao, che stava attaccando a tutta velocità la porta, si trova leggermente avanti rispetto al passaggio ed è costretto ad arpionare la palla con la punta del sinistro e a girarsi spalle alla porta.
Ora alle sue spalle c’è il difensore che lo stava seguendo sulla corsa. Potrebbe provare a calciare di destro in avvitamento sul secondo palo, mentre sta ancora ruotando il corpo verso il pallone, ma sa che il difensore dietro di lui gli si farà incontro proprio per bloccare quel tiro che tutti si aspettano. Allora carica il destro, ma invece di tirare accarezza il pallone con la suola per spostarlo sul sinistro e una volta evitato il difensore, ormai a terra per via della finta, si ritrova con lo specchio della porta aperto e il primo palo facile da raggiungere con il sinistro.
La razionalità di Falcao nell’ultimo quarto di campo non si limita solo alla fase preparatoria dell’azione, ma ne influenza anche l’esecuzione. Proprio la capacità di analizzare posizione e movimenti degli avversari gli permette di scegliere la tipologia di tiro più redditizia, dall’alto di un talento balistico davvero d’élite.
Dalla media distanza Falcao dimostra di essere un ottimo tiratore: nelle due stagioni madrilene toccava a lui battere le punizioni. Alla potenza abbina buona precisione e, soprattutto, calcia indifferentemente col destro e col sinistro.
La capacità d’analisi, e di selezione tra un catalogo di soluzioni vasto, è rimasta invariata nel corredo genetico di Falcao, come dimostra il secondo dei due gol segnati lo scorso anno all’Etihad contro il Manchester City, in cui beffa l’uscita di Caballero con un pallonetto quasi dal limite dell’area.
Quattro anni dopo
Se dopo alcune stagioni infernali Falcao è tornato a ruggire, anche provando a riadattare il proprio stile di gioco, è proprio merito del lato più cerebrale del suo talento. Senza un dominio atletico assoluto, il colombiano cerca di muoversi a servizio della squadra, dall'alto del proprio bagaglio calcistico. Falcao ha una conoscenza delle mansioni dell'attaccante davvero unica, che negli anni gli ha permesso combinare il suo stile a quello di attaccanti diversissimi tra loro, da Diego Costa fino a Mbappé.
Ne abbiamo avuto dimostrazione ieri sera, nella sua partita più importante con la maglia della Colombia. È stato troppo facile per Falcao manipolare una difesa a tre poco coordinata come quella della Polonia. Se la difesa a tre ha il pregio di coprire le uscite aggressive dei centrali laterali, la costante presenza del Tigre in prossimità dei tre difensori ha totalmente mandato in tilt Pazdan e compagni, con movimenti che hanno impedito agli avversari di trovare dei riferimenti precisi. Se necessario, ad esempio, poteva venire incontro e sfruttare le incertezze in uscita di Pazdan. Come nell'azione da cui nasce il corner del primo gol, in cui riesce a stoppare nel mezzo spazio di sinistra e a superare in dribbling tre avversari con una facilità irrisoria.
Soprattutto però, ha mandato in panico i difensori minacciando di attaccare la profondità. Se il terzo centrale provava a uscire aggressivo sulla trequarti, Falcao poteva tagliare alle sue spalle, contrastato a quel punto dal solo Bednarek, mai in controllo dello spazio tra sé e la porta. Anche il suo gol nasce dalla capacità di instillare con l'attacco alla profondità il dubbio nel terzo centrale (in quel caso Krychowiack che si era sostituito a Pazdan), così da lasciare lo spazio tra le linee a disposizione di Quintero. Se James e Quintero hanno potuto agire nella propria comfort zone, gli half-space, regalandoci due delle prestazioni esteticamente più appaganti del mondiale, è soprattutto grazie a Falcao, che ha impedito alla difesa polacca di ragionare di reparto e presidiare meglio gli spazi.
Anche nel controllo del corpo, c'è stata una differenza imbarazzante di spessore calcistico tra Falcao e gli avversari. La facilità con cui balza davanti al marcatore o con cui protegge palla testimonia un dislivello strano per un campionato del mondo.
Quanti rimpianti
Certo, il percorso di Falcao avrebbe potuto completarsi idealmente con lo scorso Mondiale in Brasile. Dopo tre anni in cui aveva cambiato il destino di Porto e Atletico Madrid, avrebbe potuto mettere il proprio straordinario talento al servizio di una Nazionale degna di quella del Pacho Maturana. Invece è arrivato l’infortunio e si è ritrovato improvvisamente ai confini dell’impero.
Dei giocatori sudamericani spesso colpisce la devozione nei confronti della propria nazionale. Quelli migrati in Europa, in particolare, sembrano sentirsi in debito nei confronti del paese da cui sono fuggiti nel momento migliore della propria carriera. La maglia della nazionale in questo senso è una rivendicazione della propria identità, non solo etnica ma anche calcistica. Per quanto i trofei e le prestazioni con il club siano il metro reale con cui giudicare un calciatore, le partite con la nazionale assumono un peso specifico superiore quando si tratta di marchiare a fuoco l’immagine di un giocatore nella memoria collettiva di questo sport. È un aspetto che in un certo senso riporta in superficie le radici popolari del calcio e che prescinde da ogni dato tecnico: i Mondiali, con la loro solennità, la cadenza quadriennale, sono il palcoscenico perfetto in cui scrivere il proprio nome nella storia.
Anche dopo anni di peripezie, il mondiale era un traguardo irrinunciabile per Falcao: «Ho lottato e lavorato tanto tempo per questo obiettivo. […] Molte volte nella mia testa mi rivedo mentre segno al mondiale».
Pur di riuscirsi, dopo i difficili anni in Inghilterra con United e Chelsea, ha deciso di ripartire da un contesto meno competitivo, come quello del campionato francese. Le ultime due stagioni per fortuna hanno restituito un’immagine più luminosa di Falcao: il suo talento innato per gli smarcamenti in area è stato una manna dal cielo per una squadra come il Monaco di Jardim, sempre in grado di produrre una numerosa mole di occasioni.
A 32 anni Radamel vuole rendere ai colombiani quell’amore che l’aveva travolto all’indomani dell’infortunio, quando anche Pekerman aveva provato a tutti i costi a portarlo con sé, cercando di recuperarlo fino all’ultimo giorno disponibile prima di stilare la lista dei convocati.
Quando si parla calcio spesso si immagina cosa sarebbe potuto diventare un giocatore con una carriera diversa, in squadre diverse, con un carattere diverso, o senza infortuni. Sono interrogativi che si fanno solo per quei giocatori che, per un motivo o per un altro, hanno tradito le attese: nel caso di Falcao i rimpianti sono più specifici, perché sappiamo esattamente che tipo di giocatore era diventato prima dell’infortunio.
Tra 2010 e 2013 il gioco del colombiano aveva raggiunto livelli così alti da metterlo immediatamente alle spalle del duo Messi-CR7, al di sopra di ogni altro attaccante. Ci si può chiedere se sarebbe durato, e che piega avrebbe preso la sua carriera, o magari se con lui e James la Colombia avrebbe battuto il Brasile ai quarti di finale del Mondiale. Ma sappiamo bene di cosa ci ha privato l’infortunio: di uno degli attaccanti migliori della sua generazione, un giocatore classico e insieme moderno, un centravanti senza tempo.