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Il posto di Wawrinka nella storia
13 set 2016
13 set 2016
"Stan the man" vince il suo terzo slam e si consacra ormai definitivamente nell'olimpo dei più grandi.
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Della vittoria di Stan Wawrinka in finale all'US Open contro Novak Djokovic restano in primo luogo diversi numeri: terzo titolo Slam vinto in poco più di due anni e mezzo in altrettante finali giocate, tutte vinte battendo il numero uno del mondo (Rafael Nadal nel 2014 all'Australian Open, sempre Djokovic al Roland Garros nel 2015); tre vittorie in quattro set, di cui quella di domenica fa di Wawrinka il più anziano vincitore dell'US Open (31 anni e 4 mesi) da Ken Rosewall nel 1970 (35 anni e 10 mesi); undicesima finale consecutiva vinta, quindicesimo titolo in totale, di cui 10 vinti tra il gennaio 2014 e oggi: nelle precedenti dodici stagioni da professionista Wawrinka aveva vinto soltanto cinque titoli 250, la fascia più bassa dei tornei ATP.

La carriera di Wawrinka è un'anomalia a confronto con l'abituale parabola di un tennista di alto livello: molti campioni del passato come Mats Wilander, John McEnroe e Stefan Edberg hanno smesso di vincere titoli Slam ben prima dell'età in cui Wawrinka ha vinto il suo primo; e se anche ci sono stati vincitori di un primo major più anziani di lui in epoche non troppo lontane, quello che lo distingue è che per lui non si tratta di un singolo exploit ma di un vero e proprio salto di carriera, consolidato da diverse vittorie, a un'età in cui spesso comincia il declino di un'atleta piuttosto che la piena maturazione.

Il regno degli eterni

Le statistiche generali sull'anagrafe dei tennisti indicano un trend preciso in questo senso: l'età media dei top 10 è aumentata di quasi sei anni dal 1992 (23 anni e due mesi) a oggi (29 anni e un mese), ma Wawrinka resta comunque unico nei risultati prodotti dopo aver superato i 28 anni: Roger Federer non ha vinto nessuno Slam nel periodo in cui il suo connazionale minore ne ha vinti tre, e ne ha vinto uno solo (Wimbledon 2012) dopo aver compiuto trent'anni. Per trovare un giocatore più anziano di Wawrinka vincitore nell'Era Open (dal 1968) di un primo Slam bisogna tornare a Goran Ivanisevic, che ha vinto Wimbledon nel 2001 a 29 anni e dieci mesi; prima c'era stato Petr Korda, con l'Australian Open del 1998 vinto a trent'anni appena compiuti.

Succede dunque di rado, e sia per Ivanisevic che per Korda il resto della carriera è stato irrilevante. È lecito dunque dire che il percorso di Wawrinka è praticamente unico, ed è difficile capire cosa la vittoria di domenica dica dello stato attuale al vertice del tennis mondiale, e cosa indichi per il futuro. L'Australian Open di gennaio 2017 sarà l'ultimo torneo in cui membri dei Big 4 avranno meno di trent'anni: Federer ne ha 35, Nadal 30, Djokovic e Andy Murray sono entrambi del maggio 1987. Poiché dopo la vittoria di New York molti hanno scritto che ormai bisogna parlare di Big 5 e ammettere Wawrinka nel club, l'élite del tennis mondiale è ormai una cinquina di senatori, tutti padri di famiglia a eccezione di Nadal.

Manca un'opposizione adeguata, o si tratta dell'ennesima conferma che viviamo in un'età d'oro in cui un manipolo di eccelsi ha alzato lo standard a livelli inimmaginabili? La contrapposizione Wawrinka-Djokovic ha prodotto alcun delle migliori partite degli ultimi anni, in modo analogo a quelle tra Federer e Djokovic: da una parte i due svizzeri che sono entrambi portati a giocare prendendo il controllo dello scambio alzando costantemente il livello offensivo, dall'altra l'incredibile copertura del campo di Djokovic, in grado sia di vincere difendendo all'estremo, sia di prendere l'offensiva appena i colpi dell'avversario perdono centimetri di profondità.

Nella finale di New York i due avversari sono stati affiancati a lungo, tra break e controbreak, mantenendo la calma nelle occasioni sprecate. Poi Wawrinka ha prevalso di sfondamento, un punto alla volta. Se c'è una cosa che lo distingue da tutti gli altri giocatori è la capacità di colpire profondo e veloce stando molto dietro la linea di fondocampo, generando dei colpi che non sono né le parabole in top spin di Nadal, né le accelerazioni piatte di Juan Martìn Del Potro. Wawrinka ha un talento unico nel colpire vincenti stando indietro, ricorrendo poco all'anticipo nell'impatto con la palla e pur avendo delle preparazioni dei fondamentali che richiedono tempo. Federer imposta spesso scambi con simile approccio offensivo, ma per farlo deve stare un metro più avanti di dove si posiziona Wawrinka, costringendosi a colpire quasi di controbalzo. Per Stan è naturale generare potenza da posizioni in cui quasi tutti gli avversari colpiscono in modo poco incisivo, è questa la sua grande risorsa. Questa, assieme a un coraggio cieco nell'affrontare partite cruciali, la dote di salire di giri nello stile di gioco come se non ci fossero alternative. Il suo capolavoro è stata la finale di Parigi dell'anno scorso, all'US Open con Djokovic è stata una versione minore dello stesso scontro tra i due stili.

Il futuro

Continuerà a lungo Wawrinka a vincere a questi livelli? Da sempre il suo rendimento è stato altalenante, per questo molti hanno scritto che con la vittoria a New York avrebbe finalmente dimostrato che i suoi successi non sono degli accidenti, e che fa davvero parte dei grandi. Lui stesso, a riguardare le reazioni ai match point dei suoi Slam, dopo la vittoria sembra quasi chiedere la benedizione allo sconfitto: alza a malapena le braccia, si trattiene a lungo con l'avversario a parlottare a rete tra pacche sulle spalle e scuotimenti di testa, come se chiedesse la conferma che il trionfo sia meritato, con sia Djokovic che Nadal che gli danno buffetti e si congratulano.

Sembra condannato a sentirsi il brutto anatroccolo tra i fortissimi, e il suo stesso gioco nelle grandi occasioni somiglia alla reazione di chi finalmente si libera da un'oppressione, spezzando letteralmente le catene. Quando Wawrinka vince appare come un servo che si rivolta contro il padrone, allucinato dalle sue stesse capacità, che non sapeva di avere. Da qui forse viene il frequente gesto di portarsi il dito indice alla testa quando vince punti importanti, come se simboleggiasse la scoperta di essere meglio di quello che immaginava. Questa inquietudine, questa subalternità da dover continuamente smentire forse nutrirà ancora Wawrinka, e insieme agli altri Big 5 continuerà a lungo a dominare la scena. Magari riscriverà le regole anagrafiche dello sport respingendo altre generazioni di possibili campioni, in attesa di un nuovo suddito che saprà ribellarsi davvero.

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