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Fabio Severo
La vittoria dei secondi
29 gen 2014
29 gen 2014
Stanislas Wawrinka, privo del fascino mediatico di Federer, Djoković o Nadal, ha saputo incarnare il valore terapeutico della sconfitta. Un atleta che perdendo nel migliore dei modi possibili ha raggiunto i vertici del tennis mondiale.
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Fabio Severo
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Alla vigilia delle scorse Olimpiadi il sito della CNN pubblica un profilo di Stanislas Wawrinka, intitolandolo “Perché l'amico di Federer sventolerà la bandiera svizzera a Londra 2012”. Se uno degli atleti più famosi al mondo lascia il posto a un tennista minore dal cognome cacofonico, più che altro un "amico", è necessario fornire qualche informazione supplementare. «Penso sia importante dare l'opportunità a qualcun altro, in Svizzera diamo valore a queste cose», avrebbe detto Federer, portabandiera nel 2008 e nel 2004. «Ho chiesto al comitato olimpico di scegliere un altro atleta, e hanno scelto il mio partner, Stan Wawrinka. È un grandissimo onore, non avrei mai vinto l'oro senza di lui, lo sappiamo tutti. Hanno scelto la persona giusta.» Tecnicamente l'oro l'hanno vinto tutti e due, a Pechino 2008 nel torneo di doppio, ma la declinazione al singolare della vittoria (con la collaborazione di Stan, si intende) racconta meglio la relazione tra gli artefici della più rosea epoca del tennis svizzero maschile. https://www.youtube.com/watch?v=D5LdAM8d5aE

Undici secondi d'amicizia.

Più giovane di quattro anni, Wawrinka ha sempre vissuto all'ombra di Federer, tanto per usare quell'espressione presente in ogni articolo scritto su di lui da quando è diventato un professionista, accanto al poco simpatico nick "The Other Swiss Guy". Nei confronti diretti Roger conduce 13-1, in più anche Stan gioca il rovescio a una mano, il che ha reso ancora più facile considerarlo una versione velleitaria del Maestro e dei suoi tocchi classici. Le analogie nell'esecuzione di alcuni colpi, la tendenza comune a giocare aggressivo e a rischiare hanno prodotto nei loro incontri una sequela di scambi eleganti e audaci traiettorie, anche se spesso finivano per permettere a Federer di azzittire Wawrinka con quel colpo in più, quella velocità di palla e di movimento superiori che facevano sembrare lo scambio solo un preludio all'esibizione del talento di Federer. Il palmarès parla ancora più chiaro: 77 titoli per Federer, soltanto 6 per Wawrinka. Solo che il sesto titolo appena conquistato da Stan è un Australian Open, e in classifica lui adesso è terzo, mentre Federer è ottavo. Cos'è successo in un paio di anni per arrivare a questo capovolgimento? All'epoca dell'articolo della CNN Wawrinka era numero 26, non vinceva un torneo da un anno e mezzo e si allontanava sempre più da quel numero 9 raggiunto brevemente nel 2008, quando era arrivato per la prima volta alla finale di un Masters 1000, agli Internazionali d'Italia. Nel pezzo in questione la faccenda viene spiegata in modo piuttosto crudo: «Il calo di forma ha coinciso con la nascita di sua figlia Alexia nel 2010, e l'anno scorso si è separato da sua moglie Ilham Vuilloud». La notizia è apparsa nei primi giorni della stagione 2011, sviscerata da tutti gli addetti ai lavori che finalmente si sono trovati in mano una storia da scrivere senza dosare le parole. È venuto fuori che Stan lasciava la famiglia per dedicarsi esclusivamente al tennis, per far tesoro dei quattro-cinque anni al top che gli rimanevano: «Troppo impegnato per occuparsi della famiglia», «Wawrinka abbandona la famiglia per salvare il suo tennis», «Shock. Wawrinka lascia la famiglia per il tennis», alcuni tra i titoli apparsi, non contando i tabloid svizzeri che avranno avuto ancora più fantasia. Il disastro familiare era stato preceduto di poco dall'ingaggio del coach Peter Lundgren, che in passato si era distinto per aver portato Federer al primo Wimbledon e poi aveva lavorato con Marat Safin. L'aria da lucifero obeso, con i capelli lunghi e il pizzetto, e il curriculum da partner di superstar hanno trasformato Lundgren nel Rasputin della storia di Wawrinka, con la moglie che dichiarava ai giornali che Stan non era più lui da quando aveva cominciato a lavorare con Lundgren. Dipinto come un marito fuggiasco nascosto in qualche camera da albergo, con una compagna e una bambina lasciate indietro, Wawrinka veniva in ogni articolo di nuovo paragonato a Federer, persino nella vita privata, così diversa da quella del campione di eleganza e padre modello che viaggiava per il mondo con la moglie Mirka e le gemelline al seguito.

Con il trofeo del Roland Garros Junior 2003.

Wawrinka in campo non ha mai indossato le polo inamidate di Federer, rompe le sue cinque-sei racchette all'anno in preda all'ira per qualche errore gratuito, ha un accenno pronunciato di acne e un fisico tozzo con il torace largo che in tv lo fa sembrare basso e un po' sovrappeso. Caricarci sopra l'infamia di mollare le sue responsabilità per una scommessa così difficile come tornare ai vertici ha aggiunto ulteriore malinconia al suo ruolo di secondo svizzero incompiuto, perso tra i piani bassi della parte alta della classifica. L'abitudine a considerarlo destinato a non vincere ha fatto trascurare anche i momenti chiave della sua crescita di giocatore, come il Roland Garros junior vinto nel 2003. Ma gli slam junior sono stati vinti molto spesso da ragazzi che non hanno retto il passaggio al professionismo, per cui vengono citati solo a margine delle biografie dei grandi campioni. Dunque Wawrinka comincia il 2011 sotto i riflettori di un gossip moralista, e nonostante questo vince il titolo a Chennai e poi batte il n. 6 Berdych a Melbourne, dove l'accesso ai quarti gli viene negato da Federer, che lo batte in tre set. E in tre set lo ferma di nuovo agli ottavi al Roland Garros, come un mantra a ricordare a Stan che può far bene, ma certi muri non si possono scavalcare. Il resto della stagione si complica, male a Wimbledon e male all'US Open, poi un'altra separazione, questa volta con il coach Lundgren. Arriva in semifinale nel torneo di casa a Basilea in ottobre, ma si ferma contro il vero padrone di casa Federer, che a Basilea ci è proprio nato, non come Stan che è di Losanna. Il 2012 lo passa viaggiando da solo, senza famiglia o coach, vincendo poco: giusto qualche semifinale, la più significativa quella del Masters 1000 di Cincinnati, dove ancora una volta perde con Federer, la quinta sconfitta consecutiva contro il suo ingombrante amico in cui non vince neanche un set. Poco prima è stato ai giochi olimpici in cui ha portato la bandiera svizzera, dove ha perso al primo turno con Andy Murray e in doppio con Roger hanno vinto giusto una partita.

Nel 2012 anche un episodio sgradevole: a Friburgo in Coppa Davis, dove la Svizzera si ritrova di nuovo a giocare nel gruppo principale e può sfoggiare Federer, che si degna di tornare per l'occasione. Viene scelta la terra indoor, così da mettere in difficoltà gli avversari americani, sempre scadenti sul lento rosso. Ne viene fuori un disastro: su un campo fatto malissimo e pieno di rimbalzi irregolari la Svizzera perde 3-0, persino gli americani vittoriosi la descrivono come la peggiore superficie su cui abbiano mai giocato; Federer viene battuto in quattro set dal servizio di John Isner, mentre Wawrinka perde un amaro quinto set per 9-7 contro Mardy Fish. Poi la capitolazione in doppio, a cui segue una polemica un po' lost in translation: dalla conferenza stampa dopo la sconfitta l'Associated Press traduce il francese di Federer come «Nel doppio ho giocato abbastanza bene, Stanislas non molto». Poi Roger smentirà la frase, ma non prima che decine di articoli abbiano titolato "Federer dà la colpa della sconfitta in Davis a Wawrinka". La terra sabbiosa e malfatta era stata scelta per compiacere Roger, che poi c'è finito a lisciare e steccare colpi su colpi. Wawrinka a Friburgo invece ha perso il classico psicodramma da Davis fatto di cambi di fronte e maratone, il primo capitolo di una serie di lotte sulla distanza che nei mesi a venire definiranno la sua carriera recente. Un'altra battaglia arriva agli ottavi del Roland Garros, dove recupera due set di svantaggio contro Jo-Wilfried Tsonga, recupera di nuovo da 1-4 nel quinto ma poi perde per 6-4. Poi in autunno torna dalla sua famiglia, accolto a braccia aperte dalla stampa svizzera felice di ritrarre il suo faccione sorridente e patinato. Non succede più niente nel 2012 di Wawrinka, e inspiegabilmente a metà gennaio 2013 finirà per giocare la partita più bella dell'anno. http://www.youtube.com/watch?v=mC85FzaeSmw

Il match più bello del 2013.

L'ottavo di finale perso a Melbourne contro Novak Djoković è uno di quei rari casi in cui la partita conta di più per lo sconfitto che per il vincitore. 12-10 al quinto, cinque ore e due minuti: nessuno pensava che Wawrinka potesse perdere in modo così eccellente. Quel giorno tutti hanno scoperto un giocatore, tutti all'improvviso non avevano problemi a pronunciare il suo nome, per tutti aveva comunque vinto lui: undici anni dopo il suo esordio da professionista, in una notte Wawrinka è diventato un personaggio. Sul 3-1 e 30-40, sul servizio di Djoković c'è uno scambio che si allunga sempre di più sulle diagonali fino a portare fuori dal campo entrambi i giocatori, e nel silenzio del punto si sentono persino i telecronisti che ansimano per il delirio balistico in atto, prima che Wawrinka tiri un rovescio incrociato vincente dopo il quale sorride, con la faccia di chi vede finalmente prendere forma qualcosa che aveva immaginato da tempo, che in fondo sapeva essere possibile. Quel tennis fatto solo di colpi, quella mobilità sempre un po' carente che lo portava a forzare lo scambio nei momenti sbagliati, soprattutto quella volubilità di carattere che lo facevano così spesso perdere per paura, rabbia o imbarazzo, all'improvviso si erano trasformate in un gioco scolpito, in una capacità di coprire il campo che finalmente gli permettevano di impostare sempre bene quei colpi piatti e violenti con cui spesso realizza vincenti spettacolari, rompendo l'inerzia dello scambio con angoli che sono concessi a pochi. È come se Wawrinka non avesse perso quella partita, non solo per la qualità del gioco espresso ma anche perché nel quinto set nessuno dei due giocatori ha perso punti per errori propri, incertezze o passività: qualsiasi punto chiave è stato vinto, dall'uno o dall'altro, fino al match point in cui Wawrinka è stato passato a rete, ma solo perché Djoković ha trovato uno di quei rovesci incrociati che riesce soltanto a lui.

Wawrinka & Beckett (Photo: Getty Images).

Due settimane dopo l'Australian Open di nuovo la Coppa Davis, di nuovo una sconfitta epica: senza Federer, Wawrinka perde in doppio contro la Repubblica Ceca 24-22 nella seconda partita più lunga della storia (7 ore e 1 minuto) per un doppio fallo del compagno Marco Chiudinelli, dopo che erano riusciti a annullare 12 match point. Un mese dopo, quando agli ottavi di Indian Wells perde 7-5 al terzo con Federer dolorante alla schiena (ma comunque pronto a impartire lezioni di stile), Wawrinka dichiara la sua nuova vocazione dell'imparare dalle sconfitte, tatuandosi sul braccio sinistro un passo tratto da Worstward Ho di Samuel Beckett: «Ever tried. Ever failed. No matter. Try again. Fail again. Fail better». Passa poi all'atto pratico e comincia a lavorare con Magnus Norman, l'unico allenatore che ha visto un suo giocatore vincere contro Rafael Nadal al Roland Garros, quando Robin Söderling lo ha battuto agli ottavi del 2009, la sola sconfitta di Nadal in nove partecipazioni allo slam francese. E proprio a Parigi Wawrinka comincia a invertire la tendenza, giocando un ottavo di finale contro Richard Gasquet in cui recupera da due set a zero e vince 8-6 al quinto. Al di là dell'impresa agonistica, la partita è un gioiello di virtuosismo tennistico, i due migliori rovesci a una mano in un'esibizione di tecnica così sopraffina da rasentare il superfluo, una tenzone spadaccina con un'intensità di vincenti possibile solo quando il reparto difensivo non è il centro di un giocatore, come si cerca di promuovere a tutti i costi oggi. A settembre si compie l'atto conclusivo dell'incoronazione di Wawrinka a mina vagante delle alte sfere, la semifinale agli US Open contro Djoković in cui i due replicano l'ottavo di Melbourne in un'altra battaglia su cinque set, dove Djoković recupera da uno svantaggio di due set a uno e vince 6-4 al quinto. Nella sua prima semifinale in un major, sull'1-1 del quinto set Wawrinka tiene il servizio dopo un game di 21 minuti, un'aberrazione prodotta dalla tenuta del campo di Djoković e dall'ostinazione di Wawrinka a continuare a provare a rompere la difesa dell'avversario. Poi perde il servizio e resta dietro Djoković tutto il set, ma lo conclude tenendo sempre i suoi turni di battuta rimasti: dopo ore di scontro estenuante, la grande scoperta di Wawrinka è il valore di perdere nel migliore dei modi possibile. https://www.youtube.com/watch?v=EH9RFCnfv8M

La prima parte della finale dell'Australian Open 2014. Qui la seconda.

Da lì l'esordio alle finali ATP raggiungendo la semifinale, poi questo 2014 in cui è ancora imbattuto: prima il torneino di Chennai, poi la vittoria impensabile all'Australian Open, dove batte 9-7 al quinto Djoković nei quarti, Berdych in quattro set (e tre tie-break) in semifinale e poi l'assurdo psicodramma della finale con Nadal, finita per 6-3, 6-2, 3-6, 6-3. Un primo set splendido di Wawrinka, poi l'infortunio di Nadal all'inizio del secondo, il litigio con il giudice di sedia durante il medical time out di Nadal per sapere cosa avesse davvero, l'avversario che ritorna e che non riesce più a servire o correre, poi però un po' corre di nuovo, mentre Wawrinka torna quello delle peggiori sconfitte contro Federer e non ne mette una dentro, ora che ha capito che l'altro non ce la può fare, ma ha paura lo stesso che ritorni. A metà quarto set va 4-2, concede il controbreak e poi toglie di nuovo il servizio a Nadal ritornando quello del primo set, ricordandosi forse di tutte quelle sconfitte da cui ha deciso di imparare, ricominciando a colpire, inventando il proprio gioco invece di aspettare l'errore dell'altro. Dopo può servire come sa fare, tiene a zero e vince il torneo, alza solo le braccia e stringe la mano a Nadal, a rete si parlano a lungo. In conferenza stampa dice che il suo allenatore Norman prima della partita gli ha detto di giocare non pensando al risultato ma a come volesse giocare, a come volesse vincere ogni singolo punto. Da un po' di tempo a questa parte Wawrinka nei punti chiave esulta puntandosi il dito alla tempia, come per motivarsi a pensare, a non dimenticare quello che riesce a fare in campo in qualsiasi momento di una partita, anche quando sta perdendo. Per questo la sua vittoria è stata così tanto celebrata: privo di un appeal mediatico alla Federer o Nadal, Wawrinka incarna la vittoria dei secondi, il valore terapeutico della sconfitta, accompagnata dal più bel rovescio a una mano del circuito. Un tennista che si tatua l'elogio formativo del fallimento su un braccio, che perde a così poco dalla vittoria e poi si riprende tutto l'anno dopo, che vince uno slam quando 34 degli ultimi 35 (tolto il solo Del Potro all'US Open del 2009) sono stati vinti da Federer, Nadal, Djoković o Murray è una delle cose di cui più aveva bisogno il tennis di questi anni. Nessuno aveva vinto un major battendo le teste di serie 1 e 2 dal 1993; nessuno lo aveva mai fatto battendo Djoković e Nadal nello stesso torneo; senza neanche un Masters 1000 o un ATP 500 in bacheca, Wawrinka si è preso direttamente i 2000 punti dell'Australian Open. Dopo la vittoria gli hanno chiesto se crede di poter diventare numero 1, lui ha risposto: «Non ci penso proprio». Intanto adesso nessuna posizione della top 10 è occupata dallo stesso giocatore che la teneva dodici mesi fa: di più non si poteva chiedere all'umile Stan.

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