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Il giocatore più umile: Mirco Antenucci
23 mag 2018
23 mag 2018
Gli Ultimo Uomo Awards continuano con il premio meno glamour di tutti.
(articolo)
5 min
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Nella lingua del racconto sportivo ci sono alcune parole che vanno maneggiate con sensibilità. Sono una specie di “grilletto empatico”: il semplice gesto di evocarle scatena una retorica appiccicosa dal quale farsi risucchiare è un attimo. Umiltà è una di quelle parole, insidiosa e potenzialmente fuorviante.

Quest’anno nella categoria dei nostri Awards che celebra il valore morale dell’umiltà non è stato semplice decretare un vincitore. Nelle votazioni, chissà se per contegno o per umiltà, nessuno dei due candidati - Kevin Lasagna e Mirco Antenucci - sembrava voler sopraffare l’avversario. Devo mettere in chiaro da subito che del mio personalissimo podio, quello del giro di votazioni preliminare in redazione, non è finito tra le nomination finali che un candidato, cioè Sandro, poi piazzatosi terzo. Il brasiliano, che pure ha riscosso molti voti in redazione, era la punta di diamante delle mie nominations perché ho considerato soltanto una delle potenziali accezioni del termine, e cioè quella secondo la quale l’umiltà sarebbe il «sentimento e conseguente comportamento improntato alla consapevolezza dei propri limiti, e al distacco da ogni forma di orgoglio e sicurezza eccessivi di sé». Non so, credo che «consapevolezza dei propri limiti e distacco da ogni forma di orgoglio» mi fosse parsa l’esatta riproduzione dei pensieri che dovevano vorticare nella testa di Sandro nelle ore immediatamente precedenti alla firma del contratto con il Benevento.

Alla fine, invece, ha vinto Mirco Antenucci della SPAL, che ha superato sul filo di lana, come si dice, Lasagna: anzi, sono arrivati praticamente a braccetto, entrambi incapaci di esercitare un allungo dominante, una situazione in linea di principio coerente con la base concettuale della votazione. Se oggi stessimo aspettando con impazienza un Governo Dell’Umiltà Della Serie A, probabilmente dovremmo sperare in una coalizione tra le punte dell’Udinese e della SPAL, che non a caso, forse, si sono salvate in contemporanea dalla retrocessione.

Livello umiltà dell’hashtag #keepgoingfellas: 9

Livello umiltà dell’hashtag #illupodiroccavivara: 6

Livello umiltà dell’hashtag #ignoranza: 4,5

Se c’è un aspetto per il quale “Il Lupo di Roccavivara” e Lasagna si somigliano è per il modo di incarnare il ruolo degli eroi silenti di piazze minori, cioè dei bomber di provincia: due uomini, e giocatori, che senza clamore, il cui picco massimo di trasgressione è far guidare la macchina all’orsacchiotto gigante della figlia, tralasciano l’ambizione e la spocchia per riversare in ciò che fanno, alla fine della fiera, sudore e passione. Perché la passione è pure il motore principale della perseveranza. Forse è questo che i nostri lettori interpretano come “umiltà”: approcciarsi a un contesto difficile e patinato come quello del calcio professionistico con modestia e riservatezza; con quel contegno che fotografa perfettamente i tuoi limiti, ma anche con tenacia e costanza, l’unica spinta per spingerti un pezzettino più in là rispetto al punto che la visione che gli altri hanno di te ha segnato come invalicabile.

Antenucci, per certi versi lontano dalla perseveranza di Lasagna, è un personaggio un po’ sfortunato e un po’ vittima di se stesso, che non ha saputo cogliere le occasioni al volo e forse, a un certo punto, ha anche smesso di cercarsele, e si è accontentato della comodità di contesti dalle dimensioni misurabili. Mirco che è cresciuto per strada e la strada ha assurto a scuola di vita, che ha cambiato 11 squadre negli ultimi 11 anni, tutte galleggianti nel limbo della Serie B: cosa è stato il suo, un eterno ridimensionamento o la fuga perenne dalle responsabilità? «Quando andai a Leeds», ha raccontato «avevo 29 anni e non ci pensavo più alla A: un limite caratteriale, certo. Magari ho pagato un po’ l’etichetta di attaccante di categoria, che in fondo» e qua devo mettere un corsivo, perché mi pare si nasconda tutta qua l’umiltà di Mirco «non mi dispiaceva nemmeno. Forse non credevo tanto in me stesso».

In Antenucci, invece, ha creduto la SPAL. Mirco ha contribuito a portare i ferraresi a una promozione inattesa, la stagione scorsa; poi, però, in estate sono stati acquistati Borriello e Paloschi, e in un attimo si è ritrovato al quarto posto nelle gerarchie di Semplici, dietro gli esperti nuovi arrivi e Floccari. Ce n’era a sufficienza per sobillare ancora una volta gli istinti remissivi. Invece, con modestia e costanza, Antenucci si è guadagnato un posto tra i titolari, e anche la fascia di capitano. Nonché, un mese fa, in piena lotta per la salvezza, il rinnovo del contratto, e della fiducia di una squadra che ha preso per mano fino a portarla, un pezzetto ancora in più, nella Storia.

Nonostante quello che stia dicendo, insomma, non sia proprio umile, ecco: Mirco riesce a farlo comunque con umiltà.

L’umiltà di Mirco Antenucci, insomma, e tutto sommato sarebbe un discorso valido anche per Lasagna, non è per niente lo specchio della grossolanità, o dell’approssimazione delle sue caratteristiche tecniche (perché è capace anche di giocate tipo questa, è bene non dimenticarcelo) ma la fotografia di quanto sia in grado di asservirle a uno scopo principe, obbediente a un criterio di funzionalità, che è il bene della squadra. In questo senso, premiarla significa riconoscergli il merito di essere riuscito a smorzare il proprio ego, coltivandolo al contempo con abnegazione, mettendolo al servizio del gruppo che lo riconosce come guida più che come leader.

Uno sforzo che a inizio stagione sembrava immane, e che invece, all’ultima giornata, addirittura grazie a una sua doppietta, è servito a regalargli la permanenza in A: una soddisfazione ben più grande dell’umile riconoscimento che abbiamo scelto di tributargli con questo Award.

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