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Il giocatore da portare in una rissa: Tomás Rincón
13 giu 2019
13 giu 2019
Il centrocampista venezuelano è stato il più minaccioso dell'ultima stagione.
(articolo)
5 min
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Qui trovate gli altri Ultimo Uomo Awards assegnati in questa stagione e quelli assegnati nelle scorse stagioni.

Se per questo premio esistesse davvero un trofeo da assegnare - intendo un trofeo fisico, un oggetto fatto di una lega di metallo resistente e possibilmente di una forma acuminata tale da poter tornare utile in una scazzottata che si sta mettendo male; io lo immagino come un ammasso di corpi umani sovrastati da una figura che sta menando un fendente, ma con il sorriso sulle labbra - poco prima di consegnarlo nelle mani di Tomás Rincón mi schiarirei la voce e mi scuserei per la prolissità, ma farei sicuramente una premessa.

Giunto alla quarta edizione, il premio ha finalmente sperimentato un punto di svolta lampante: un cambio di rotta geopolitico. Nelle precedenti, infatti, sembrava quasi che menare o sprizzare minacciosità fosse una prerogativa dell'area mitteleuropea. Mario Mandzukic, che è stato il vincitore delle prime due edizioni, epitome di una cattiveria che ha anche un hashtag tutto suo, #nogood, ha lasciato poi lo scettro (contundente, ovviamente) nelle mani (piene di pruriti) di Aleksandr Kolarov. E anche quest'anno, a voler essere sinceri, nel quartetto dei finalisti sono finiti ancora una volta Kucka (sul podio anche nel 2017) e Vanja Milinkovic-Savic, insieme a Emre Can, una specie di prolungamento verso est del cliché, con il suo naso da pugile e l'aria di chi sta per imbruttirti, come si dice a Roma, di notte tardissimo in una strada buia, per uno sguardo di troppo.

Tomás Rincón ha vinto davvero sul filo di lana, con soli 5 punti di distacco (e uno soltanto, nella nostra votazione di redazione) su Kucka, e la sua vittoria mi sembra significativa perché, tanto per iniziare, per esempio, la riottosità del venezuelano, per quanto cristallizzata nelle stesse espressioni incupite, la bocca con gli angoli inarcati all’ingiù dietro la barba folta, è di un tipo completamente diverso da quella del suo principale rivale.

Cosa ha Tomás Rincón che gli altri non saprebbero offrirmi durante una rissa? La sua candidatura, che si è rivelata poi vincente, poggia su un concetto di base per niente scostato, un pensiero laterale che potremmo riassumere in una frase: la rissa la vuoi creare per il gusto di crearla, oppure vuoi uscirne vivo e possibilmente vittorioso? Ma soprattutto: cerchi una rissa estemporanea o la guerriglia?

Tomás Rincón, soprattutto in questa stagione, non ha per niente incarnato lo spirito del giocatore malvagio in maniera meschina, falloso e cattivo: rispetto all'anno scorso ha addirittura mantenuto una media di falli onesta, per niente sopra le righe, venti in meno rispetto all'anno scorso. Non ha il fisico soverchiante, che incute timore, di Milinkovic-Savic o Emre Can. È anzi piuttosto basso, compatto, ha la conformazione fisica di un pitbull. Che se da una parte sublima lo stereotipo, dall'altra rende più complicato convincerti di riporre nelle sue mani la tua incolumità.

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Full-time Napoli vs Toro 0-0 Punto combattuto, avanti così. Un punto peleado en un campo difícil. Forza Toro 🐂

A post shared by Tomás Rincón (@tomasrincon8) on Feb 17, 2019 at 2:39pm PST

Per dare l'idea di qualcuno che si sta mangiando l'avversario ho dovuto trovare questa foto con Insigne.

E poi, tutto sommato sembra un tipo tranquillo, che si concede qualche lettura in giardino, anche se non ci giurerei che una volta provocato non arrivi a togliersi l'amabile baschetto, riporre gli occhiali e venirtene a dare quattro. Rincón dà l'idea di uno che non accende la miccia della rissa ma che però, se proprio viene tirato in ballo, non si risparmia. Anche il suo trash-talking è educato, rispettoso, per quanto non meno spigoloso: qualche anno fa, poco prima di affrontare l’Argentina con il Venezuela (battendola: una vittoria da festeggiare con un po’ di insolenza) disse che Messi era il migliore, certo, però che si preparasse perché gli avrebbe masticato gli stinchi. Anche il mezzo parapiglia con Sirigu in allenamento poco prima che finisse il campionato ci restituisce l’idea di un Rincón che non è un attaccabrighe, ma più uno pronto a difendere la sua idea (nella fattispecie l’aggressività durante l’allenamento come strumento per tenere alta la soglia di vigilanza, e comunque non è un accenno di rissa come questo che rovina le amicizie).

Poi, però, sopraggiungono certi dettagli che ti convincono che forse, sai, Rincón al tuo fianco meglio avercelo sempre, anziché contro. Questa passione per il pugilato, per esempio, accompagnata da un costante affinamento della tecnica: basta un secondo o la scintilla giusta per trasformarlo in un’epifania di lucida follia.

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Pon el día y la hora @jorgelinares 🥊

A post shared by Tomás Rincón (@tomasrincon8) on Nov 5, 2018 at 4:20am PST

Quoto Armando Izzo: vedere Rincón che «sta perdenn a capa» e realizzare «che cazzo di fisico che c’ha» innalza il livello fedeltà di svariati punti.

Rincón-dalla-maglia-sudata, Rincón con il cuore grande e i polmoni gonfi, Rincón che non si arrende mai, con la divisa da Generale tipo M Bison di Street Fighter o quella da guerrigliero centramericano, Rincón che cita Steven Pressfield, un ex marine, prima del derby o che stringe la sua bandiera come la stringe qua, ti spinge a seguirlo non solo in una rissa ma in una guerra.

Un carisma che contagia anche me, personalmente, proprio adesso che sto scrivendo: come il ragazzino nel video di presentazione della "Vinotinto" alla prossima Copa América sono e sarò sempre pronto a portarmi la mano sulla fronte, per Rincón. Che sia in una rissa come a capo di una rivoluzione. ¡Hasta siempre, General!

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