Dare un’identità di gioco che vada al di là di un modulo fisso con indicazioni prestabilite è molto più complesso di quanto si pensi. Far interiorizzare ai giocatori dei princìpi di gioco definiti, più che dei moduli, è un processo lungo fatto inevitabilmente di tentativi, mutamenti e fallimenti. Ieri la Roma, che da circa tre mesi sembrava aver trovato la quadratura del cerchio intorno al suo 3-5-2 asimmetrico, è giunta probabilmente al primo vicolo cieco della stagione. Il merito è della Lazio di Simone Inzaghi che, con un piano semplice ma terribilmente efficace, ha messo in mostra tutti i limiti dell’assetto di gioco di Spalletti.
Il tecnico biancoceleste, che in questa stagione aveva già dimostrato come l’adattamento all’avversario fosse il suo principale punto di forza, ha messo in campo una serie di misure non banali, capaci di mandare in tilt l’abituale piano gara della Roma.
Le trappole di Inzaghi
Innanzitutto Inzaghi ha schierato la retroguardia più fisica possibile per reggere l’impatto atletico della squadra di Spalletti, di solito devastante nei duelli individuali. Ha affiancato a De Vrij i due centrali più fisici e aggressivi a sua disposizione, Wallace e Bastos, per contenere l’abilità nell’uno contro uno di Dzeko. La punta bosniaca era costantemente messa in inferiorità numerica tra Bastos e De Vrij, e ha fatto più fatica del solito a far prevalere il suo strapotere fisico e tecnico sugli avversari. Sull’esterno sinistro, poi, Inzaghi ha puntato su Lukaku, un terzino estremamente potente e propositivo, che aveva il compito di abbassare il più possibile Bruno Peres, attaccando lo spazio in profondità alle sue spalle.
Il 3-4-2-1 di Inzaghi specchiava la Roma solo nel modulo: il baricentro della Lazio era piuttosto basso e non puntava a contendere il primo possesso all’avversario. Milinkovic Savic e Felipe Anderson, i due vertici superiori del quadrilatero di centrocampo, non salivano sui laterali di difesa avversari, ma più che altro schermavano le linee di passaggio verso i due mediani della Roma, Strootman e Paredes, che erano così costretti ad allargarsi fino alla linea del fallo laterale per ricevere palloni puliti.
Milinkovic e Anderson seguono quasi a uomo Strootman e Paredes, costringendoli ad allargarsi. In questo caso Nainggolan è addirittura costretto ad abbassarsi fino alla sua trequarti, togliendo un uomo tra le linee alla Roma.
Solo il serbo aggrediva Rüdiger quando quest’ultimo entrava in possesso del pallone, mentre Felipe Anderson rimaneva sempre ancorato centralmente. In questo modo la Lazio otteneva contemporaneamente due risultati: impediva la ricezione a Paredes, l’uomo migliore della Roma nella gestione del possesso basso e nel trovare passaggi taglia linee; e indirizzava il possesso giallorosso verso Manolas, il meno tecnico tra i tre centrali, per di più ieri a piede invertito a sinistra.
Eppure, nella prima mezz’ora la Roma è riuscita comunque a mettere in difficoltà la squadra di Inzaghi. Da una parte perché la schermatura del centro da parte della Lazio non era sempre perfetta, permettendo in alcune occasioni alla Roma di riuscire a trovare tra le linee Nainggolan, che Biglia ha inizialmente sofferto molto e su cui la difesa biancoceleste preferiva non salire.
Una delle volte in cui la Roma è riuscita a bucare centralmente il 5-4-1 in non possesso della Lazio: Biglia è attirato fuori posizione da Paredes e Milinkovic Savic scherma male la traccia centrale, permettendo a Nainggolan di ricevere libero.
Dall’altra perché nella prima mezz’ora la Roma è riuscita a pressare in maniera molto organizzata e intensa il primo possesso della Lazio, risultando efficace anche sulle seconde palle. La squadra di Spalletti inizialmente è stata molto aggressiva e pareggiava la superiorità numerica in difesa della squadra di Inzaghi facendo salire Nainggolan su De Vrij e Paredes su Biglia.
L’efficace pressing della Roma all’inizio, con le marcature orientate sull’uomo. Inzaghi chiede esplicitamente a Bastos di lanciare lungo verso Milinkovic Savic.
Il tecnico biancoceleste, però, non si è fatto trovare impreparato e ha pescato dalla stessa cassetta degli attrezzi di Spalletti per rispondere all’aggressività della Roma: di fronte al pressing organizzato dei giallorossi, la Lazio ha iniziato a lanciare sistematicamente lungo per la testa di Milinkovic Savic (non che questa sia una novità escogitata per l'occasione: il dominio fisico del serbo è, a ragione, una delle costanti su cui basa le proprie partite la Lazio) bravo non solo a contenere l’aggressività di Rüdiger alle sue spalle, ma anche a giocare bene di sponda e a far risalire l’azione della Lazio in maniera pulita.
La vittoria del duello individuale da parte del serbo è stato il primo tassello di un effetto domino che ha lentamente eroso le certezze individuali dei giocatori della Roma. Anche Immobile, ad esempio, col suo gioco di rimbalzi e iperdinamismo ha messo costantemente in crisi Fazio, che non riusciva né ad anticiparlo quando veniva incontro, né a stargli dietro quando si buttava in profondità.
Ma è stata soprattutto la posizione di Felipe Anderson che ha rotto l’equilibrio della partita. Il brasiliano sguazzava nel mezzo spazio di destra, quello tra Manolas e Paredes, e incredibilmente non veniva né aggredito alle spalle dal centrale greco, né seguito nei tagli in profondità dal centrocampista argentino, ieri di una passività sconcertante senza palla.
Proprio nell’azione del primo gol biancoceleste, Felipe Anderson taglia centralmente per ricevere palla tra le linee, seguito solo a distanza da Manolas e del tutto ignorato da Paredes. Fazio a quel punto è costretto a uscire infruttuosamente sul brasiliano, facendo collassare l’intero assetto difensivo romanista. Contribuisce al piccolo disastro difensivo Rudiger che, salito in pressione su Milinkovic, lo lascia subito dopo lo scambio, guardandolo inserirsi in area indisturbato.
Il copione perfetto della Lazio, l’immobilismo di Spalletti
Dopo l’1-0 della Lazio, la situazione per la Roma è andata gradualmente peggiorando. Gli uomini di Spalletti non riuscivano più a garantire un’intensità tale da mettere in crisi il primo possesso avversario, e oltretutto la difesa giallorossa - forse spaventata dai duelli individuali persi - ha smesso di essere aggressiva sugli attaccanti della Lazio, proteggendo la profondità. La somma delle due cose ha aperto un grande spazio tra la difesa e il resto della squadra, che la squadra di Inzaghi ha intelligentemente usato come leva per le sue transizioni.
Un esempio dopo il primo gol: Anderson riceve libero nel mezzo spazio di destra, mentre Paredes lo guarda da lontano. Manolas esce in ritardo e rimane a metà strada. Parolo ne approfitta e attacca lo spazio liberatosi alle sue spalle, costringendo la difesa della Roma a scalare.
Il timore della difesa romanista è stato palese nel secondo gol della Lazio, con Manolas che è stato divorato da Keita su due fondamentali su cui di solito eccelle, prima perdendo un duello aereo su un banale campanile e poi facendosi bruciare sullo scatto.
La Roma non riusciva nemmeno ad attaccare in maniera efficace il monolite centrale che la Lazio aveva messo a difesa di Strakosha.
La squadra di Inzaghi dall’inizio del secondo tempo ha abbassato ulteriormente il baricentro, schiacciando le linee di difesa di centrocampo e difesa in un 5-4-1 estremamente compatto (con Anderson e Milinkovic che si affiancavano a Parolo e Biglia), che costringeva la Roma a prevedibili cross dalla trequarti esterna. Salah non aveva profondità a disposizione, e tra le linee ha sofferto moltissimo l’aggressività di Wallace, mentre Dzeko ha concluso male le poche occasioni che gli sono capitate in area. Solo Strootman e Nainggolan sono riusciti a ricevere tra le linee in rare occasioni, ma entrambi hanno preso quasi sempre scelte affrettate e tecnicamente non sono stati precisi.
Di fronte alle difficoltà della sua squadra, Spalletti è stato molto, troppo, lento a reagire. Anzi, si può dire che più che altro le abbia ignorate, affidandosi a meccanismi consolidati e a uomini fidati anziché provare a correggere le inefficienze della sua squadra per provare a disorientare la Lazio. Le sue sostituzioni sono state di fatto conservative e il primo e unico cambio tattico (l’entrata di Totti per Bruno Peres e il passaggio al 4-2-4) è avvenuto a pochi minuti dalla fine, quando la Roma era ormai sulle gambe e alla disperata ricerca di una palla in area da trasformare in gol. Decisamente troppo tardi per una squadra che aveva dimostrato chiari segnali di difficoltà già nella parte finale del primo tempo.
La Lazio si è aggiudicata meritatamente la semifinale d’andata, individuando le crepe nell’assetto della Roma e aprendole attraverso le eccezionali prestazioni individuali di quasi tutti i suoi giocatori (su tutti, Milinkovic Savic, Immobile e Lukaku). Il 2-0 è un risultato netto, ma ancora aperto. Spalletti può scappare da questa sconfitta rifugiandosi nel bunker del suo 3-5-2 e sperare che al ritorno i suoi uomini riescano a dominare i duelli individuali con i suoi avversari; oppure può imparare da essa, cambiando la sua squadra nell’ottica di superarne i limiti a seconda dell’avversario e delle situazioni di gioco.
Da questo bivio non dipenderanno solo i risultati nel breve periodo, ma soprattutto la costruzione di un’identità che vada oltre i temporanei stati di forma dei titolari e approdi a dei principi di gioco validi per l’intera rosa.