Il glorioso primo posto dell’Atalanta
L’autorità con cui l’Atalanta ha affrontato questo girone di Europa League è sorprendente. Forse perché non siamo abituati a squadre che affrontano la minore delle competizioni europee con questa serietà. La partita di ieri ne è stata la conferma ulteriore e forse più grande. L’Atalanta era già qualificata e, a pari punti con il Lione, aveva la possibilità in casa di passare da prima nel girone. Di un girone complicatissimo, dove la maggior parte di noi la consideravano spacciata. Per una squadra con i mezzi dell’Atalanta, che sta smaltendo l’impegno europeo in Serie A, dove è a metà classifica, un perfezionismo simile non era richiesto.
Il Lione peraltro è una grande squadra. I bookmaker quotano a 16 la sua vittoria finale dell’Europa League, quindi la sesta squadra più probabile (l’Atalanta è quotata a 25). Lo scorso anno del resto è arrivata in semifinale e in questa stagione, pur avendo ceduto Lacazette, ha mantenuto l’ossatura della squadra. Ha recuperato del tutto Fekir, inserito il centravanti Mariano Diaz (12 gol in 16 partite) e sta beneficiando della crescita di giovani come Diakhaby, Cornet e Mendy. In Ligue 1 la squadra è seconda in classifica, 9 punti dietro il PSG, a pari punti con Monaco e Marsiglia.
Questo per dire che ieri l’Atalanta partiva sfavorita anche al massimo delle sue possibilità, figuriamoci in una partita in cui non era scontato dovesse o potesse fare il massimo. Gasperini invece ha schierato la sua formazione titolare, come sempre aggiustandola leggermente alle esigenze della partita. Particolarmente interessante, ad esempio, la posizione di Ilicic, che pur partendo a destra si accentrava più del solito per agire quasi da trequartista centrale classico, con Gomez più largo a sinistra
Le ricezioni tra le linee di Ilicic sono state un fattore. Spesso anche decentrandosi dal centro all’esterno per andare alle spalle dei mediani. Troppo facile per l’Atalanta costruirsi un vantaggio posizionale.
Per il resto l’Atalanta ha attaccato il Lione attraverso l’esecuzione dei suoi pattern tattici tradizionali. Costruendo soprattutto sulle catene laterali, come dimostrano queste pass-map gasperiniane così originali da essere diventate quasi un’opera artistica a sé. Nella galleria sotto l’azione del gol di Hateboer, con i classici triangoli di fascia sia a sinistra che a destra. L’Atalanta comincia l’azione a sinistra, poi va a destra passando dai difensori, e torna a sinistra grazie a un’ottima penetrazione di Petagna che corre in diagonale da destra per portare la palla a Spinazzola. Al momento del cross l’Atalanta attacca l’area in superiorità numerica.
A dire il vero è stata una partita con poche occasioni. Il Lione ha controllato il pallone cercando di rendersi pericolosa ma riuscendosi solo attraverso punizioni, calci d’angolo e tiri da fuori. Dei 9 tiri del Lione 7 sono arrivati da fuori area e se escludiamo il giro ravvicinato di Mariano Diaz sullo 0 a 0 - su cui Berisha ha compiuto un mezzo miracolo - i francesi non si sono costruiti un’occasione pulita. Segno dell’ottima prova difensiva dell’Atalanta, che in questa stagione di solito si è comportata molto meglio quando attaccava che quando difendeva.
La squadra di Gasperini in questa Europa League restituisce l’idea del campionato italiano come eccellenza tattica. Qualcosa che mentre ce la ripetiamo abbiamo paura di peccare di eccessivo patriottismo, o comunque di un difetto percettivo. Questo primo posto nel girone significa molto. È un esempio virtuoso di come si dovrebbe affrontare l’Europa League, ed è la dimostrazione che anche in Europa un’ottima preparazione tattica può fare la differenza con squadre di livello teoricamente più alto.
La partita di Felipe Anderson
Qualificata con due turni di anticipo, la Lazio non aveva molto da chiedere alla sfida in casa dello Zulte. Simone Inzaghi ne ha approfittato per far giocare le seconde linee e alcuni dei giovani più interessanti della Primavera biancoceleste. Il vero motivo di interesse era tutto nell'annunciato rientro di Felipe Anderson dopo più di 5 mesi di assenza, un ritorno spesso posticipato e atteso con ansia dai tifosi. Il brasiliano è entrato al posto di Crecco al decimo minuto del secondo tempo per aiutare la squadra a recuperare da un risultato di svantaggio di un gol.
Con il suo ingresso è arrivato anche un cambio di modulo. Il brasiliano si è posizionato tra le linee andando ad occupare il ruolo di trequartista in un 3-4-1-2 in cui Palombi e Caicedo erano i due terminali offensivi. Anderson soprattutto nei primi minuti si spostava spesso sul lato destro dell’attacco, come per cercare la sua comfort zone, per creare superiorità in quella zona insieme a Basta e Murgia, rendendosi più volte pericoloso nei suoi tagli verso l’interno.
Felipe Anderson è ripartito più o meno da dove si era fermato. In 35 minuti di gioco ha eseguito 5 cross, giocato un passaggio chiave, ma soprattutto completato 4 dribbling, almeno il doppio di ogni altro giocatore. In alcuni momenti sembrava essere l’unico vero giocatore di calcio tra i ventidue in campo: poco dopo il suo ingresso si è liberato di tre giocatori dello Zulte con un passo di danza rendendosi poi pericoloso all’interno dell’area; da una sua giocata in velocità sull’esterno destro è partita l’azione che ha portato al gol di Caicedo; si è occupato anche di calciare la punizione dalla quale è scaturito il momentaneo pareggio di Leiva. Il suo ingresso in campo ha dato alla Lazio un’altra marcia a livello offensivo, che infatti ha realizzato due gol in venti minuti.
I dribbling di Anderson, tutti molto vicini all’area.
Il brasiliano si è spento dopo il gol del pareggio, insieme a tutta la Lazio. È evidente che la sua condizione fisica è ancora deficitaria, e che ci vorrà del tempo per vederlo di nuovo al meglio.
Ieri ha giocato da trequartista, nella scorsa stagione ha spesso occupato il ruolo di esterno a tutta fascia. La sua posizione in campo è il dilemma più delicato per Simone Inzaghi. Ad oggi l’undici titolare della Lazio sembra ben equilibrato e inserire il brasiliano richiederebbe un cambio tattico importante o l’uscita dai titolari di Luis Alberto.
Al momento Anderson non ha i novanta minuti nelle gambe e può essere una carta davvero interessante da giocare in corsa per Inzaghi, con la sua capacità di puntare l’uomo che può diventare letale negli ultimi quarti di gioco. Arriverà il momento in cui Inzaghi dovrà trovare una soluzione, l’Europa League intanto ringrazia di aver ritrovato un giocatore così forte e bello da vedere.
Il giocatore più Europa League
Ormai siamo giunti alla terza puntata di questa nuova rubrica, per cui possiamo dare per assodato che sapete di cosa stiamo parlando. Non avendo molto tempo, per chi capitasse qui per la prima volta, userò un po’ di parole chiave per spiegarvi chi o cosa è un giocatore Europa League: successo, disgrazia, periferia del calcio, destino, Europa League.
Dmytro Chygrynskiy
Quanto ci abbiamo creduto: 8
Quanto è stato realmente forte: 7
Quanto è caduto in disgrazia: 9
Quanto sembra depresso: 9
Dmytro Chygrynskiy è nato a Izjaslav, una piccola cittadina dell’Ucraina famosa perché qui vi è morto Paolo Fontana, architetto italiano tra i più famosi esponenti dell’arte barocca ucraina. Conduceva la sua vita tranquilla da difensore di buon livello, arrivando a guadagnarsi il posto di titolare nello Shakhtar Donetsk, una delle migliori squadre del paese.
Coi suoi capelli lunghi e i calzettoni abbassati, ma soprattutto coi suoi 190 centimetri, Chygrynskiy rimandava proprio l’idea di difensore sovietico vecchia scuola, tutto pragmatismo e stazza. Invece l’ucraino eccelleva particolarmente quando si trattava di portare il pallone fuori dalla difesa. E questo lo ha fregato.
Nell’estate del 2009, mentre forse pensava che avrebbe giocato tutta la vita allo Shakhtar, si è fatto avanti il Barcellona. E allora che fai? Dici no al Barcellona? Il 31 Agosto 2009 i blaugrana si assicurano le prestazioni di Chygrynskiy per 25 milioni di Euro, confondendo quasi tutti.
Chygrynskiy ha giocato 12 partite in Liga, soprattutto brevi apparizioni, soprattutto giocando male. Nelle sue apparizioni appariva sempre un pesce fuor d’acqua, inadatto al gioco di Guardiola. E se alla fine di quella stagione il Barca ha sacrificato Ibrahimovic, la stessa cosa ha fatto con lui, senza particolari rimpianti.
Tornato a casa, Chygrynskiy non è più riuscito a riprendere il proprio posto. Piano piano è scivolato fuori dallo Shakhtar, passando al Dnipro, per poi finire all’AEK dove giochicchia a fasi alterne. Ieri era al centro della difesa nel noioso 0 a 0 tra i greci e l’Austria Vienna, per lui un cartellino giallo e la sensazione di aver buttato tutto per essersi voluto avvicinare troppo al sole.
Il figlio di Klinsmann ha parato un rigore
E niente, ieri Jonathan Klinsmann, figlio di Jurgen, ha esordito con l’Herta Berlino e ha parato un rigore. Bene così.
Conosci la tua squadra di Europa League: Zorya Luhansk
Lo stadio di Luhansk è stato costruito nel 1922 per ordine personale di Vladimir Ilyich Ulyanod, meglio conosciuto come Lenin. Dentro quello stadio dovevano ricoprirsi di gloria i giocatori del Metalist Luhansk, la squadra degli operai che lavoravano in questo distretto ferroviario all’est estremo dell’Ucraina che qualche anno dopo prenderà il nome di Voroshilovgrad, in onore di uno dei primi marescialli dell’Unione Sovietica, il commissario del popolo Kliment Efremovič Vorošilov.
Oggi Luhansk vive in una palla di cristallo imprigionata dell’URSS. Facendo un giretto tra Sovenska street e il Viale dei giovani comunisti si possono contare quattro statue di Lenin. La gente è povera e dura. L’economia della città si regge ancora, un secolo dopo la rivoluzione d’ottobre, su un’industria ferroviaria che ha la Russia come unico cliente. L’Unione Europea è disprezzata e i cittadini gradirebbero erigere un muro che li divida dall’ovest dell’Ucraina, troppo filo-occidentale per i loro gusti. Nei supermercati si possono comprare pochi prodotti europei: la cioccolata si chiama Olenka e ha il disegno di una piccola contadinella sovietica col fazzoletto in testa. In più punti della città sventola la bandiera separatista della Nuova Russia: simile alla bandiera dell’impero, con in mezzo una croce di Sant’Andrea che rimanda alla marina russa. Luhanks, insieme a Donetsk, si è autoproclamato stato indipendente dall’Ucraina dal 2014. È la Repubblica del popolo.
Lo Zorya, prima di chiamarsi Zorya, si è chiamato in molti modi diversi. Quando il Metalist e la Dynamo Luhansk si sono fusi è nato il “Dzerzhynets”, una squadra intitolata a Felix Dzerzhynets. Soprannominato “Il tipografo”, Dzerzhynets ha fondato i primi servizi segreti sovietici e ha dato il nome a una squadra che ballerà per decenni tra il campionato professionistico ucraino, che però è una specie di seconda serie, e il massimo campionato sovietico. La forma definitiva del club è arrivata nel 1964, quando è stata compiuta la fusione definitiva tra la squadra dei ferrovieri, o meglio: della Fabbrica di locomotive della rivoluzione d’ottobre e un’altra squadra locale.
Negli anni successivi lo Zorya vince un campionato e una coppa sovietica, e fornisce alla Nazionale dell’URSS diversi giocatori chiave.
Zorya in russo significa alba e fa esplicito riferimento all’alba della nuova era inaugurata dalla Rivoluzione d’ottobre. Dal popolo che si appropria finalmente dei mezzi di produzione. L’alba è raffigurata, gloriosa e vagamente giapponese, sul logo dello Zorya e fa da sfondo a un pallone base.
La squadra ha giocato un discreto gironcino di Europa League, ma si è sciolta nelle ultime partite, finendo terza alle spalle di Athletic Bilbao e Ostersund, ma comunque davanti a quei fighetti dell’Hertha Berlino. Bisogna per forza segnalare le prestazione, tutte testa e cuore, del capitano Mykyta Kamenyuka, nato a Voshilovgrad, idolo di casa, autore di più di 200 partite con la maglia storia dello Zorya.
La squadra Ucraina, forse per ragioni geopolitiche, è stata poco rispettata. Le ultime due, decisive partite contro Ostersund e Bilbao sono state condizionate da un arbitraggio odioso, probabilmente facente parte di una più vasta cospirazione capitalista di matrice giudaico-massonica.
Se passate per Luhansk, non vi inventate che l’Ossezia esiste.
“How old are u”: Ytalo
In questa rubrica il vostro compito è indovinare quanti anni ha un giocatore dell’Europa League, la coppa in cui una partita di 90 minuti dura in realtà 130 anni di tempo empirico.
Dopo la puntata dedicata a Raphael Holzhauser eccoci a viaggiare dall’Austria al Brasile, dove conosciamo YTALO Josè Oliveira Dos Santos. Attaccante del Vardar finito in Macedonia dopo aver cambiato 16 squadre in carriera.
Se amate questa rubrica lo sapete che non potete barare cercando su Wikipedia. Se durante il quiz vi viene voglia di aprire Wikipedia guardate questa rovega di Moussa Sow.
Per aiutarci ci siamo serviti dell’applicazione “How-old”, dove abbiamo messo delle foto di Holzhauser e la app ci ha detto quanti anni ha secondo il suo algoritmo.
Cominciamo con una foto di Ytalo che si allena in felpetta per proteggersi dai classici reumatismi dell’età. Ytalo ha 34 anni?
Ed ecco una foto di un giovane Ytalo all’Internacional di Porto Alegre. Un giovane, trentenne Ytalo.
Un promettente Ytalo veste la maglia del San Paolo, con uno sguardo vacuo verso l’orizzonte di un futuro incerto. Ha 32 anni.
Un Ytalo passato al Milan, un pochino invecchiato, smagrito. Quanti anni hai, tu, Ytalo?
Un Ytalo giovanissimo, completamente diverso. Un momento, è davvero Ytalo?
Soluzione: Ytalo è nato nel 1988, quindi ha 29 anni.
IL MOMENTO IN CUI UN CANE è ENTRATO IN CAMPO IN UNA PARTITA DI EUROPA LEAGUE
Cose che succedono in Vardar - Rosenborg, la sfida tra la terza e la quarta del Gruppo L:
3’ - Un tiro di Bendtner respinto da un difensore del Vardar sulla linea.
8’ - Gol di Ytalo, il centravanti senza età.
15’ - Niente.
20’ - Niente.
22’ - Quasi doppietta di Ytalo.
30’ - Fumogeni.
35’ - Niente.
45’ - Rigore per il Rosenborg.
46’ - Gol del Rosenborg. Meh.
50’ - Niente.
55’ - Fumogeni.
60’ - Vari passaggi sbagliati.
65’ - Niente di niente.
70’ - Molti fumogeni.
73’ - CANETTO IN CAMPO!
Un cane fermo a centrocampo annusa il terreno di gioco. È carinissimo. È un husky, cucciolo, prova a fare una buca a centrocampo: guardate quanto è carino. Si avvicina a lui Filip Glavcevski, il gigantesco portiere macedone del Vardar. È un uomo grande, barbuto e duro. In patria lo chiamano “Filip the Beast” (non è vero, inventato), ma non resiste di fronte a un cane così carino.
Guardatelo, come si lascia vezzeggiare. Come si stende per farsi coccolare. No, dico: GUARDATELO:
Nessuno sa bene cosa fare: fermare il gioco per dedicarsi tutti interamente alle sue coccole oppure riprendere quella noia di partita?
Il portiere è indeciso, cerca di prenderlo in braccio, il canetto si divincola, scappa, vuole che un intero stadio giochi con lui. Guardate quanto è simpatico. Aspettate, vi metto qui un paio di gif per farvelo capire meglio.
Simpatico!
MOLTO SIMPATICO!
Non devo neanche aggiungere che 1 minuto di cane in campo è stato di gran lunga più bello di 89 minuti di Vardar - Rosenborg. E allora, cara Europa League, non abbiamo niente da imparare da quello che è successo?
Secondo me sì. La cosa che abbiamo imparato è che le regole devono cambiare. Dalla prossima Europa League in situazioni di particolare noia l’arbitro è tenuto a intervenire per movimentare la partita, chiamando in campo l’invasione di animaletti. Macachi, pappagalli, cani, gatti, dromedari, cavalli imbizzarriti, cuccioli di zebra, alpache. La scelta della specie animale sarà appannaggio della squadra di casa e risponderà ai criteri della fauna locale.
Ecco alcuni vincoli regolamentari per questa nuova bella idea:
- Gli animaletti entrano in campo dal tunnel degli spogliatoi come se fossero giocatori, accompagnati da Africa dei Toto in filodiffusione nello stadio (in alternativa The Final Countdown).
- Nessun giocatore può espellere gli animaletti dal campo, né tantomeno fare qualcosa che li intimidisca o che non li metta perfettamente a proprio agio.
- I giocatori possono interagire con gli animaletti solo giocandoci, accarezzandoli o facendogli le coccole.
- Se dopo 5 minuti gli animaletti non sono ancora usciti dal campo i giocatori dovranno giocare il resto della partita con loro in campo, che saranno quindi dei fattori di gioco quanto la tecnica e la tattica.
Chi ci sta lo scriva nei commenti e mettiamo su una bella lobby. Tutta quella carineria di ieri non deve andare sprecata.
Il tunnel dello stadio Marakana
Il Colonia è ultimo in Bundesliga, con soli 3 punti in 14 partite giocate, ma ieri aveva la possibilità di accedere ai sedicesimi di Europa League vincendo in casa della Stella Rossa. Per farlo, prima di tutto, prima della tattica, dell’intensità e della tecnica, prima di segnare un gol in più dell’avversario, prima di tutto doveva entrare in campo. E se vi sembra facile entrare all’interno di un campo di calcio, anche di quello dello stadio Marakana di Belgrado, dovreste vedere questo video girato prima del derby contro il Partizan.
È una ripresa dal punto di vista di un giocatore che attraversa il tunnel che conduce all’interno del Marakana, ma potrebbe essere benissimo la scena di un film. Sembra la prigione/pozzo in cui viene rinchiuso Batman ne Il cavaliere oscuro, ma più claustrofobica. Le mura si restringono ad ogni passo fin quasi a diventare un cunicolo, una trincea; il primo tunnel è puntellato da poliziotti in tenuta antisommossa, che sono lì per proteggere i giocatori, ma che invece tendono a conferire al tutto una sfumatura più tetra, spaventosa. Dopo il primo corridoio c’è un momento in cui si pensa di essere arrivati, ma una grata in ferro sbarra l’accesso e bisogna girare a sinistra e avventurarsi per delle scale sporche e anguste, lì è facile immaginare che dietro l’angolo qualcuno sia pronto ad accoltellarvi.
Le scritte sui muri, fatte con lo spray rosso, sembrano opera di un pazzo o di una setta satanica, e gocciolano come sangue coi loro significati incomprensibili. La luce dei neon è asettica e terrificante, trema sotto i colpi inferti dai tifosi. E più di tutto fanno i suoni che si propagano nel tunnel come lame nelle orecchie: i petardi rimbombano tra i muri, ancora di più i tifosi che i giocatori ancora non vedono, ma sentono. Sembrano un milione, dieci milioni di voci.
Poi, come le stelle per Dante, arriva il campo. È il riscatto: anche se il pubblico è nemico, lo spettacolo è vero, il tifo pulsa, la curva sembra sul punto di crollare. Può iniziare la partita, il Colonia può farcela. Ma non ce l’ha fatta.
Chi sa solo di Europa League, non sa niente di Europa League
Se “l’abito non fa il monaco”, allora possiamo dire che “la competizione non fa la partita”. Una bella partita può essere giocata ovunque: al campetto sotto casa, una sera di gennaio al Bentegodi, con Tomovic in campo, ma soprattutto in Europa League. Chi pensa che le belle partite possano accadere solo in Champions League è un terrapiattista, ovvero uno che sta sbagliando alla grande. Se però siete tra loro, fare questo quiz è ancora più importante: sarete in grado di distinguere tra una partita di Champions League ed una di Europa League, se addirittura fanno parte della stessa edizione?Anche se parliamo solo di sfide ad eliminazione diretta? Sarete in grado di attraversare la sottile linea che divide i vincenti dai vincitori?
1) Anno 2009/10
a)Ajax - Juventus 1-2 (Sulejmani 17’, Amauri 32’,58’)
b)Lione - Bordeaux 3-1 (Lisandro 10’,77’, Bastos 32’, Chamak)
2) Anno 2010/11
a)Manchester City - Dinamo Kiev 1-0 (Kolarov 39’)
b)Copenaghen - Chelsea (Anelka 17’,54’)
3) Anno 2011/12
a) Atletico Madrid - Beşiktaş 3-1 ( Salvio 24’,27’, Adrian 37’, Simao 53’)
b) Inter - Marsiglia 2-1 (Milito 75’, Brandao 92’, Pazzini 96’)
4) Anno 2012/13
a) Liverpool - Zenit San Pietroburgo 3-1 (Hulk 19’, Suarez 28’, 59’, Allen 43’)
b) Borussia Dortmund - Malaga 3-2 (Joaquin ‘25, Lewandowski 40’, Eliseu 82’, Reus 91’, Felipe Santana 93’)
5) Anno 2013/14
a) Juventus - Lione 2-1 (Pirlo 4’, Briand 18’, Umtiti 68’(aut.))
b) Galatasaray - Chelsea 1-1 (9’ Torres, Chedjou 65’)
6) Anno 2014/15
a) Zenit San Pietroburgo - PSV 3-0 (Rondon 29’,67’, Givanildo 48’)
b)Porto - Basilea 4-0 (Brahimi 14’, Herrera 47’, Casemiro 56’, Aboubakar 76’)
7) Anno 2015/16
a) Tottenham - Borussia Dortmund 1-2 (Aubameyang 24’,70’, Son 74’)
b) Gent-Wolfsburg 2-3 (Draxler 44’,54’, Kruse ‘60, Kums 80’, Koulibaly 89’)
Risposte: quelle giuste sono tutte le a. Questa volta sono stato più clemente visto che vi siete lamentati dello scorso quiz, quindi mi auguro le abbiate indovinate tutte.
Tutte risposte a: Siete pronti per i sedicesimi, ora inizia il divertimento: le terze classificate della Champions scendono all’inferno e ogni sfida dura 180’. Si può morire e risorgere nel giro di un calcio di punizione sulla trequarti. Se la vostra squadra del cuore non partecipa all’Europa League, scegliete la vostra squadra e preparatevi a tifare.
Tutte risposte b: mi chiedo perché stiate leggendo questa rubrica. Forse state aspettando che la vostra ragazza esca dalla lezione di danza per andare a fare l'aperitivo? Se è così mi dispiace, nell’attesa potete leggere questo tutorial suo come tagliarsi i capelli da solo.
Tre parole sulla maglia del Viktoria Plzen
Mezza bella dai.
Le squadre che dobbiamo abituarci a salutare
Ti dico addio ma come è triste riperderti
e più mi guardi e più capisco di amarti
ma c’è qualcuno che sta aspettandomi
cosa farebbe mai senza di me.
Ti amo tanto ma io ritorno da lui.
È troppo tardi, troppo tardi per noi.
Ancora un bacio ma sarà l’ultimo,
io dovrò vivere senza di te.
E più ti guardo e più capisco di amarti,
ma è troppo tardi, troppo tardi per noi.
E più mi guardi e più capisco di amarti
Mina, Addio
Everton
All’inizio abbiamo pensato che l’Everton avesse affrontato l’Europa League con la spocchia di chi si sente superiore, poi abbiamo capito che invece era solo che facevano schifo. Però l’idea che Wayne Rooney potesse mettere a ferro e fuoco l’Europa League ci mancherà davvero.
Slavia Praga
Va bene così, siamo tutti concentrati sullo Sparta Praga e non si possono tenere i destini di due squadre praghesi contemporaneamente. Sorry.
İstanbul Başakşehir
L’İstanbul Başakşehir è una squadra nata dalle ceneri dell’Istanbul BB solo quattro anni fa. La storia è vaga, la dirigenza è vaga, i tifosi sono vaghi, però nel giro di un anno è passata dalla serie B turca all’Europa League. In rosa a Gaël Clichy, Eljero Elia, Stefano Napoleoni, Gökhan Inler, ma soprattutto Emmanuel Adebayor e Emre Belözoğlu. E allora cacchio quanto ci mancherà.
Rijeka
Con un presidente italiano e parecchi relitti della Serie A in rosa, il Rijeka ci mancherà come squadra rappresentante di traffici oscuri e loschi, che in Europa League sono sempre dei punti di merito.
Austria Vienna
L’Austria Vienna dava quel tocco di mitteleuropeismo ad una competizione che prova piacere nel rappresentare tutte le culture possibili, soprattutto quelle asburgiche e decadenti. Ci mancherà, ma non quanto ci sarebbe mancato il Rapid Vienna.
Sheriff Tiraspol
Dello Sheriff ci mancherà tutto. Lo stadio avveniristico, la stella dello sceriffo sulla maglia, la maglia dell’Adidas tutto sommato bella, e quindi strana sui giocatori dello Sheriff. Ziguy Badibanga, i suoi dreadlock, tutte quelle ‘b’, i suoi gol tutti storti. Ci mancherà una squadra di una regione fantasma, finanziata da fondi invisibili che però abbiamo la forte sensazione abbiano a che fare con lo scenario geopolitico mondiale. Con 9 punti non dovevi uscire, mio povero Sheriff, ci mancherai.
Lugano
Colonia
Colonia sembra un posto troppo preciso per avere una squadra in Europa League. E allora forse non ci mancherà nulla del Colonia.
Bate Borisov
Dovunque vai, qualunque competizione affronti, ad un certo punto ti imbatti sempre nel Bate Borisov. Per questo ci mancherà.
Konyaspor
Il Konyaspor ha una maglietta a righe bianche e verdi insignificante, uno stemma che è bello ma non abbastanza bello per una competizione piena di stemmi eccezionali, un nome poco altisonante. Però aveva dei tifosi ganzissimi, per questo ci mancherà.
Coreografia clamorosa dei tifosi del #Konyaspor. Bowling (e successivo "strike") in Coppa di Turchia @MondoFutbolCom pic.twitter.com/73SO3BVfXO
— Bruno Bottaro (@br1bottaro) 16 maggio 2017
Vitória Guimarães
Ogni volta che giocavano mi dicevo che mi sarei ritagliato uno spazio per parlare del loro stemma, studiare la storia del loro stemma, capire perché una squadra che sembra nata come l’estensione di una formazione di Beach Soccer possa avere uno stemma tanto particolare e pretenzioso, con quello che sembra un crociato in primo piano su sfondo bianco e nero. Beh il tempo del Vitória Guimarães in Europa League è finito e il loro stemma rimarrà un segreto come quello dei Rosacroce.
Zorja
Il Zorya o Lo Zorya?