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Foto di Clive Mason / Getty Images
Calcio Flavio Fusi 3 aprile 2017 9'

Il Bayern Monaco di Ancelotti

Con il campionato già in tasca, il Bayern Monaco arriva al massimo della forma nel momento più importante della stagione.

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Nonostante l’incredibile impresa, il completamento di una rimonta impossibile che l’ha messo al centro del palcoscenico, la squadra più impressionante vista negli ottavi di finale di Champions League, a livello di forza espressa, non è stata il Barcellona. Il Bayern Monaco ha rifilato un doppio 5-1 al derelitto Arsenal, e con una prepotenza che ha dato un segnale inequivocabile al resto delle pretendenti alla vittoria finale, a cominciare dal Real Madrid, che dovrà fare i conti con i tedeschi nel prossimo turno. In questo senso è indicativo il commento di Butragueño: «Peggio non poteva capitarci».

 

In Bundesliga poi sembra non esserci proprio storia: oltre ad aver perso una sola volta (meno di qualsiasi altra squadra nei cinque maggiori campionati europei), i bavaresi hanno il miglior attacco e la migliori difesa. I punti di vantaggio sul Lipsia, l’unica formazione che aveva dato la parvenza (anche se molto vaga) di poter impensierire il Bayern, prima di essere sconfitta per 3-0, sono ormai 13. Netto anche il cammino in DFB Pokal, dove il Bayern ha conquistato la decima qualificazione consecutiva ai quarti, un record assoluto. Insomma, si può tranquillamente affermare che Ancelotti sta mantenendo il dominio bavarese cominciato sotto Heynckes e proseguito con Guardiola.

 

 

La transizione da Guardiola ad Ancelotti

 

Le aspettative sulla squadra erano e rimangono altissime, tanto che, come già accaduto durante il triennio dell’allenatore catalano, sarà ancora una volta l’esito della Champions League a determinare il bilancio sportivo della stagione. Insomma, guardando il cammino del Bayern e la sua narrazione pare di assistere a un eterno ritorno, in cui è molto difficile capire cosa sia cambiato e cosa Ancelotti ha realmente portato nell’identità della squadra. Eppure l’impatto del tecnico italiano è stato considerevole e la virata rispetto al suo predecessore evidente.

 

Fin dalla prima uscita ufficiale, la Supercoppa di Germania vinta contro il Borussia Dortmund, il Bayern ha cambiato il suo modo di giocare. Nelle prime fasi della stagione Ancelotti ha impiegato il 4-3-3, cioè il sistema di gioco favorito da Guardiola, abbandonando i principi del juego de posición ma non l’idea di controllare il gioco con calma e lentezza. Lo stile che caratterizza “Der FCB” sin dai tempi di Heynckes.

 

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Nemmeno 3 minuti dentro la nuova stagione ufficiale e il Bayern Monaco non sembra già più neanche lontanamente una squadra che aderisce ai fondamenti del gioco di posizione.

 

In quella prima uscita, però, i bavaresi sono apparsi in difficoltà nel costruire il gioco e decisamente poco efficienti nel posizionamento in campo. Gli attacchi sono passati più spesso dalle fasce che dal centro, con Alaba e Lahm impegnati in un’interpretazione piuttosto classica del ruolo del terzino, sopprimendo l’istinto ad accentrarsi per supportare il centrocampo. Anche il modo in cui il Bayern ha portato il pressing, con l’uomo come punto di riferimento, è stato da subito diverso da quello di Guardiola.

 

Col passare delle settimane, pur senza forzare sperimentazioni coraggiose paragonabili a quelle del suo predecessore, Ancelotti ha iniziato a fare suo il Bayern, aggiustandolo lentamente alla sua idea di calcio.

 

Persino un allenatore capace di vincere in Europa, Italia, Inghilterra, Francia e Spagna ha dovuto fare i conti con le difficoltà del calcio tedesco. Dal punto di vista tattico, il profondo rinnovamento tecnico successivo al fallimento del Mondiale 2006 ha proiettato la Bundesliga ai vertici di questo sport: Klopp, Schmidt e Tuchel si sono affermati tra i migliori allenatori europei e l’avvento di Guardiola ha profondamente influenzato il modo di giocare delle squadre tedesche.

 

L’importanza che ha avuto per il campionato il triennio del catalano alla guida del Bayern è stato forse sottovalutato, passato in secondo piano dopo la mancata conquista della Champions League. Le invenzioni, praticamente settimanali, dell’attuale allenatore del Manchester City hanno spinto gli altri allenatori fuori dalla loro zona di comfort, costringendoli ad aggiornarsi e a cercare nuove soluzioni.

 

Ancelotti si è dunque trovato davanti uno scenario complesso. Per quanto paradossale, la maggior parte delle squadre affrontate in Bundesliga hanno finito per rappresentare un ostacolo decisamente più consistente dell’Arsenal.

 

Il più evidente dei cambiamenti strutturali introdotti dall’ex tecnico del Real Madrid riguarda la disposizione della squadra in fase di costruzione. Negli ultimi mesi del suo incarico, Guardiola era arrivato a proporre, a partire dal 4-3-3, una sorta di 2-3-5 (3-2-5 quando invece schierava in formazione tre centrali difensivi). Nel 2-3-5 i due terzini si stringevano sugli interni, andando ad agire praticamente da mezzali accanto al regista (solitamente Alonso), mentre le due mezzali “nominali” si posizionavano appena dietro il centravanti, con gli esterni d’attacco altissimi e larghissimi a fornire ampiezza a questa nuova “piramide rovesciata”.

 

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L’ultimo Bayern di Guardiola, schierato con il 2-3-5 (immagine da The Tactical Room).

 

Pur mantenendo il 4-3-3, Ancelotti ha abbandonato questa struttura, cambiando i compiti alla gran parte degli interpreti. Durante la fase di uscita Alonso (o Thiago, quando impiegato da mediano) si posiziona poco più avanti dei difensori centrali, mentre i due terzini, si posizionano il più avanti ed il più larghi possibili. Contemporaneamente, le due mezzali si orientano sui mezzi spazi di fronte alla propria trequarti, tanto che spesso sono entrambi più arretrati rispetto ai due terzini.

 

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Un esempio della nuova struttura introdotta da Ancelotti nel 4-3-3, tratto dalla gara di andata con l’Altético Madrid. Alonso è posizionato davanti ai centrali, Lahm e Alaba si alzano notevolmente lungo la fascia, mentre Thiago e Vidal si allargano di fronte alla trequarti difensiva.

 

Questo posizionamento serve ad assicurare il possesso, con Alonso che viene spesso marcato a uomo e a coinvolgere subito i centrocampisti nella manovra. Questo è uno dei più evidenti cambi di rotta rispetto all’era Guardiola, in cui i difensori toccavano molti più palloni e rivestivano un ruolo chiave nelle prime fasi di ogni azione.

 

Dai mezzi spazi i due centrocampisti interni si allargano sempre di più, nel tentativo di ricevere palla per poi servire il relativo terzino sulla fascia. Di solito, la mezzala opposta al lato di sviluppo del gioco avanza per fornire un’opzione tra le linee ai compagni, svolgendo compiti più offensivi (di solito è toccato a Vidal quando gioca con Thiago, o a Renato Sanches se è in campo assieme al cileno o a Kimmich).

 

Contrariamente a quanto succedeva nel 2-3-5 “guardioliano”, i due esterni offensivi si stringono alle spalle del centravanti, offrendosi come ricevitori dei passaggi dei terzini oppure direttamente delle mezzali.

 

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Con Ancelotti i due esterni d’attacco sono tornati a giocare più vicini al centravanti. Nell’esempio, con Lewandowski punta centrale, ci sono Douglas Costa e Robben posizionati sugli spazi di mezzo.

 

 

Le difficoltà del 4-3-3

 

Con il 4-3-3 però non si sono sempre visti meccanismi tattici puliti come in passato. Tralasciando le difficoltà a giocare sulle fasce, che una squadra della qualità del Bayern è però in grado di superare, le problematiche principali venivano fuori quando la squadra doveva stanare gli avversari e creare occasioni. I due esterni offensivi sparivano spesso dietro ai centrocampisti dell’altra squadra e non era per niente facile guadagnare accesso ai terzini con la velocità necessaria a scompaginare lo schieramento difensivo.

 

Più in generale, senza più uno spartito di mosse e contro-mosse specifiche da seguire in ogni momento di gioco a seconda del posizionamento della palla e dei compagni, il Bayern ha prodotto dinamiche tattiche inefficienti e poco sinergiche, con distanze non sempre ottimali e combinazioni non particolarmente ispirate. Anche la costruzione bassa, se pressata come hanno fatto Atlético Madrid ed Hoffenheim, non è sembrata al livello di quella dello scorso anno.

 

Molto spesso, con il 4-3-3, le mezzali dovevano portare palla fin troppo, rallentando ulteriormente la circolazione della palla che si risolveva principalmente in orizzontale. Se ben riusciti i cambi di gioco erano un’arma importante, con la differenza che rispetto al passato erano i terzini, non gli esterni, i destinatari dei lanci da una fasci all’altra. Però, contro squadre molto chiuse e organizzate o schierate a 5 (se non a 6) in linea difensiva, l’opzione non era facilmente percorribile. Inoltre un posizionamento così alto dei terzini tendeva a sguarnire le fasce, vulnerabili ai contropiedi avversari.

 

 

 

Lahm è altissimo e la fascia rimane scoperta. Ne approfitta Ji Dong-Won che converge verso il centro e corona il contropiede con una grande conclusione.

 

C’erano alcuni problemi anche nel pressing, se e quando veniva portato. I ruoli dei due esterni di attacco erano spesso asimmetrici e questo influiva sulla gestione delle transizioni, determinando in alcune occasioni una copertura sub-ottimale del campo e impedendo in alcuni casi di applicare in maniera efficace il gegenpressing. C’è però da dire che con Ancelotti il pressing è diminuito di intensità durante la gara. A seconda del momento e dell’andamento della partita, il Bayern ha cominciato a rinunciare a pressare, per usare un’espressione di Sacchi, “a tutto tempo e a tutto campo”, preferendo concentrarsi sulla copertura del centro del campo in zone più basse.

 

Ciò non è necessariamente un male, anzi: il Bayern si è dimostrato capace di proteggere la propria metà-campo anche senza l’urgenza di dover riconquistare il pallone immediatamente. Quando però decide di controllare la gara impedendo all’avversario di contrattaccare, i bavaresi sono tutt’ora in grado di proporre un pressing e un gegenpressing spietato, come si è visto contro l’Arsenal.

 

Considerate le sole tre sconfitte stagionali non si può certo dire che i problemi di inizio stagione abbiano condizionato particolarmente il Bayern, ma l’impressione che si aveva di partita in partita è che riuscissero a portare a casa il risultato facendo leva sulla propria superiorità individuale in ogni settore di campo, piuttosto che per questioni tattico-strategiche.

 

 

Il passaggio al 4-2-3-1 e la nuova centralità di Thiago

 

Viste le criticità evidenziate, tra l’altro ripropostesi di settimana in settimana, verso la fine del 2016 Ancelotti ha cominciato a sperimentare, proponendo il 4-2-3-1 che da quando è cominciata la Rückrunde è diventato il sistema di riferimento. Nella prima uscita con il nuovo modulo, l’1-3 contro il Mainz, la squadra di Ancelotti ha dimostrato subito migliori interazioni tra i giocatori in campo. Ad esempio Müller, impiegato da trequartista dopo che aveva giocato gran parte della stagione da ala destra, è risultato il compagno ideale di Robben, permettendogli di accentrarsi per disorganizzare la linea a 5 avversaria o di iniziare una combinazione con Ribery a sua volta accentratosi dalla fascia sinistra.

 

Col passare delle partite, però, è emersa una problematica non indifferente relativa al ruolo di Müller. Nel 4-2-3-1, Alonso è tra i due mediani quello deputato ad abbassarsi in mezzo ai centrali per formare una linea a tre e stabilizzare la fase di costruzione. In questo modo, con i terzini sempre alti, l’altro centrocampista centrale, Vidal (tra l’altro non eccezionale nello svolgere questo tipo di compiti), rimaneva l’unico elemento di raccordo tra le linee del Bayern, visto che per definizione, il “Raumdeuter” ha nelle sue corde la ricerca dello spazio dove rendersi pericoloso, piuttosto che il supporto ai compagni.

 

 

 

Thiago e Müller hanno mostrato quello che sanno fare meglio: il primo mettersi al servizio dei compagni (in questo caso con un assist), l’altro identificare lo spazio da attaccare.

 

Per risolvere questa situazione, Ancelotti ha avuto l’intuizione che potrebbe essere determinante per l’intera stagione dei rossi di Baviera. Dopo aver riportato Pirlo dal ruolo di trequartista a regista davanti alla difesa, reinventato Di Maria come mezzala, il tecnico di Reggiolo ha spostato Thiago sulla trequarti. Lo spagndolo cresciuto alla Masia è dotato di un’intelligenza calcistica impareggiabile e nel suo mettersi al servizio della squadra è in grado di influenzare anche i compagni, migliorando da solo la struttura e, di conseguenza, il gioco, di un’intera squadra. Un aspetto che viene troppo spesso sottovalutato.

 

 

 

Thiago detta il cambio di ritmo e favorisce una grande azione di squadra che poi finalizza in prima persona.

 

Persa l’ossatura del gioco di posizione, il Bayern ha dimostrato di aver assoluto bisogno di un giocatore del genere, poiché non solo le attitudini tattiche di Thiago, contrariamente a quelle di Müller, sono perfetto per giocare da trequartista nel 4-2-3-1 di Ancelotti, ma sono anche funzionali allo sviluppo di quei cambi di ritmo, all’innesco di quelle situazioni estemporanee in cui emerge tutta l’immensa qualità della rosa dei bavaresi.

 

 

 

Thiago cambia il ritmo dell’azione e, guardacaso, il Bayern va in rete.

 

L’abbandono dei principi di Guardiola ha infatti indebolito il Bayern dal punto di vista della tattica di squadra, ma sta mettendo i calciatori nelle condizioni di dover fare affidamento al proprio talento, di dover risolvere le diverse situazioni di gioco ricorrendo all’iniziativa individuale piuttosto che alle precise istruzioni del proprio allenatore. E questo è probabilmente quello che voleva Ancelotti: creare le condizioni per lasciare i propri uomini liberi di improvvisare.

 

È un po’ quello che è successo quando Guardiola ha lasciato il Barcellona. Luis Enrique ha gradualmente accantonato il juego de posición, scatenando tutto il potenziale offensivo dei blaugrana, capaci di segnare 180 gol nell’anno solare 2015, record assoluto per il calcio spagnolo, di cui 137 firmati MSN.

 

Il Bayern ha ora la possibilità di scegliere il proprio stile a seconda della partita e dell’avversario. In Bundesliga ha bisogno di controllare il gioco con dinamiche più vicine a quelle di Guardiola, seppur forse sfavorite dalle nuove prassi strutturali, ma è in Champions, cioè nella competizione che il catalano non è riuscito a conquistare, che i bavaresi possono essere più pericolosi. Forse anche perché non c’è miglior tecnico di Ancelotti nel far emergere il talento individuale, e nelle cinque partite che separano il Bayern dalla “coppa dalle grandi orecchie”, gli episodi e il talento potrebbero pesare ancora di più della tattica.

 

 

Tags : ancelottibayern monacobundesliga

Flavio Fusi è nato nel 1993 e vive ad Arezzo. Laureato in Economia e Commercio, collabora anche con il sito di analytics StatsBomb.

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