Quella tra Toronto Raptors e Golden State Warriors è stata una serie finale di livello tattico altissimo, preparata con dovizia di particolari dai due staff tecnici che hanno svolto un lavoro di scouting capillare per togliersi vicendevolmente i punti di forza. Con la posta in palio così alta, la sfida tra Raptors e Warriors è diventata da subito una sofisticata partita a scacchi tra due squadre completamente agli antipodi: da una parte una squadra allenata in modo lineare, che gioca una pallacanestro semplice ma concreta con gerarchie solide come i Raptors di Nick Nurse; dall’altra una squadra che ha ridefinito i canoni del gioco con il suo attacco elitario, fusione perfetta tra principi di Triple Post Offense, Motion Offense spursiana ed attacco up-tempo d’antoniano come gli Warriors di Steve Kerr.
I campioni in campo hanno mostrato tutto il loro talento, i due allenatori dalla panchina tutta la loro scienza cestistica come in ogni finale NBA che si rispetti, ma questa non era la solita serie finale: era la prima volta dei Raptors a rappresentare un’intera nazione e l’ultima volta dei Warriors per come abbiamo imparato a conoscerli negli ultimi cinque anni. Lo spettacolo, le storie, le tragedie che queste Finals ci hanno lasciato in eredità ci accompagneranno da qui fino al prossimo autunno, ma serviranno anni per metabolizzare tutto quello che è accaduto tra la Scotiabank e la Oracle Arena.
Gli Warriors falcidiati dagli infortuni di Durant, Looney, Thompson e Cousins si sono rotti nel corpo ma non nello spirito arrivando a un tiro dal miracolo di forzare gara-7, nonostante i limiti - ben noti ma usciti fragorosamente allo scoperto - di un supporting cast che non ha saputo e potuto surrogare così tante defezioni. I vari Andre Iguodala, Draymond Green e Shaun Livingston sono stati commoventi nell’energia e nello sforzo profuso, ma sono stati ignorati dalla difesa per tutta la serie e Kerr ha dovuto fare di necessità virtù alla ricerca di qualcuno o qualcosa che togliesse la pressione dalla spalle degli Splash Brothers.
I Raptors invece hanno colto la palla al balzo e si sono stretti attorno a Kawhi Leonard e Kyle Lowry con la forza del collettivo: per la prima volta dai leggendari Boston Celtics del 1986, una finalista ha chiuso l’ultimo atto mandando in doppia cifra di media ben sei giocatori trovando dai vari Siakam, Van Vleet, Gasol, Ibaka (e Danny Green) le giocate spesso decisive.
Come per le finali di conference abbiamo deciso di raccontarvi le Finals attraverso i temi tattici che le hanno determinate, gli X&Os dietro le giocate decisive, le strategie offensive e difensive messe in campo dagli staff tecnici. Da ogni partita abbiamo estrapolato i tre aspetti rilevanti tra i centinaia proposti, sempre diversi tra loro per darvi un’idea di cosa è il Gioco al suo livello più alto in assoluto.
Gara-1
Warriors e Raptors sapevano benissimo a cosa andavano incontro già da gara-1 e non si sono fatti cogliere impreparati: Curry e Leonard sono stati i sorvegliati speciali, destinatari di trattamenti difensivi studiati ad hoc che hanno coinvolto tre se non addirittura quattro giocatori. È stata una guerra senza quartiere tra due squadre che hanno avuto la pazienza e la lucidità di “andare lungo” e continuare a dipanare le proprie trame nonostante la prima opzione offensiva venisse sistematicamente disinnescata.
Secondo le statistiche avanzate raccolte da Cleaning The Glass, Golden State si è fermata a un rating offensivo di 84 punti per 100 possessi a difesa schierata, mentre Toronto ha chiuso oltre 109 punti per 100 possessi. Banalmente, i Raptors hanno strappato la prima storica vittoria in una finale NBA perchè in una partita così equilibrata hanno fatto canestro più degli Warriors.
L’attacco degli ormai ex campioni in carica non ha più segreti: il caos organizzato con cui i giocatori si muovono e muovono la palla è una sfida ad alto tasso aerobico per ogni difesa che non può permettersi mai il lusso di tirare il fiato. Eppure, nonostante tutti abbiano imparato a conoscerli, nessuno riesce davvero a fermarli con una difesa tradizionale. Per provare a limitare i danni è necessario quindi darsi delle priorità: quella dei Raptors è stata non mollare mai la presa su Steph Curry accettando di farsi battere dagli altri. La Dea Bendata è stata benevola perchè Iguodala e Green - i Warriors più battezzati - hanno divelto i canestri della Scotiabank Arena con i loro errori.
I Raptors hanno deciso di fare contenimento sui pick and roll per Curry con un leggero “hedge”, ovvero posizionando il difensore del bloccante a mezza strada per non concedere il tiro e ritardare la penetrazione quel tanto che bastava per far arrivare un terzo difensore a sbarrare la strada. Lontano dalla palla invece Curry è stato semplicemente preso faccia a faccia, seguito in ogni scorribanda senza mai essere perso di vista. La difesa dei Raptors, in particolare quella di VanVleet, è stata eccezionale nonostante Curry alla fine sia riuscito a griffare comunque 34 punti con 14 viaggi in lunetta. Pazzesco.
Il sistema di gioco dei Raptors invece è molto meno strutturato, forgiato sulla capacità “LeBronesca” di Kawhi Leonard di generare attacco e di riflesso mettere in moto i compagni. Kawhi viene coinvolto velocemente e può mettersi in proprio ogni volta che fiuta la possibilità di isolarsi contro la vittima in un mismatch favorevole. Gli Warriors sono stati molto attenti nel selezionare quali isolamenti consentire accettando anche di cambiare su eventuali mismatch per poi organizzare raddoppi, costringere l’ex Spurs a cedere il pallone e rompere la fluidità offensiva dei Raptors con rotazioni difensive aggressive.
Con questo tipo di difesa Leonard è stato tenuto a soli 14 tiri in gara-1, ma i Raptors sono stati caparbi - ed anche fortunati - nel trovare un paio di canestri chiave a giochi rotti contro delle ottime difese degli Warriors.
L’exploit di Pascal Siakam è stato clamoroso - 32 punti all’esordio in finale con 14/17 dal campo, 11 canestri a fila di cui 6 al ferro in una partita in cui nessun altro è riuscito a segnarne più di 3 - e le sue improvvisazioni sono state una basilare valvola di sfogo per l’attacco dei Raptors. Ma da un punto di vista puramente tattico, la variabile che ha fatto saltare il banco per i canadesi è stata la prestazione sublime di Marc Gasol che ha giocato una partita alla Draymond Green su ambo i lati del campo: alla fine ha chiuso con 20 punti e 7 rimbalzi, ma la qualità delle piccole cose che ha fatto ha avuto un valore e un impatto inestimabile.
Lo spagnolo è stato il totem difensivo contro cui si sono schiantate le penetrazioni al ferro degli Warriors e il suo senso della posizione ha permesso alla difesa sul pick and roll contro Curry di funzionare. In attacco ha agito da playmaker occulto contro i raddoppi su Leonard, innescando la circolazione di palla perimetrale dei Raptors e trovando nelle pieghe della partita alcuni mismatch che gli Warriors non hanno saputo gestire.
Gara-2
Lo staff degli Warriors, dopo aver visto i filmati della prima partita, ha notato due cose: Gasol ha avuto troppa libertà di movimento in difesa - né Jordan Bell né Kevon Looney sono stati ritenuti una minaccia - e i raddoppi sistematici su Leonard hanno esposto gli Warriors alla minuziosa circolazione di palla dei Raptors che li ha fatti ballare.
È quindi toccato a Steve Kerr fare il primo grande aggiustamento nella serie schierando in quintetto DeMarcus Cousins dopo una gara-1 in cui era apparso in evidente e ovvia difficoltà fisica dopo la lunga assenza per infortunio. Quella di buttarlo nella mischia da subito è stata una scelta rischiosa, a tratti disastrosa dopo i primi minuti di partita, ma l’azzardo ha pagato dividendi nel corso della partita, in particolar modo a inizio del terzo quarto, ovvero durante il parziale di 18-0 con cui i Warriors hanno spazzato via i Raptors ed ipotecato l’1-1. Nel quarto periodo, con Cousins ad àncorare l’area, Kerr si è anche permesso il lusso di dirottare Draymond Green in marcatura singola su Leonard e toglierlo dal dirigere la seconda linea difensiva.
La presenza di Cousins ha neutralizzato l’impatto difensivo di Marc Gasol e sgombrato l’area dei Raptors soprattutto quando l’ex Kings è stato usato come passatore, consentendo inoltre agli Warriors di difendere in modo più conservativo per ridurre al minimo le rotazioni difensive. I Raptors hanno provato a mettere Cousins in mezzo ai pick and roll ogni qualvolta si presentava l’occasione, ma il centro di Golden State ha tenuto sorprendentemente botta e i canadesi non sono riusciti a entrare con facilità nei loro meccanismi di penetra-e-scarica.
Il secondo aggiustamento decisivo di Steve Kerr è stato quello di volgere a proprio vantaggio la marcatura stretta dei Raptors su Curry usandolo come bloccante e sfruttando la “gravità” che esercita sulla difesa per aprire spazi ai compagni. In questa veste Curry è stato determinante quando, dopo l’infortunio al bicipite femorale di Klay Thompson, gli Warriors sono stati costretti a schierare quattro non-tiratori ed i Raptors avevano occhi solo per lui.
Steph Curry è il miglior “piccolo” bloccante della NBA perché mette la difesa in uno stato di incertezza - cambiare o non cambiare - che contro una squadra dal QI cestistico degli Warriors risulta fatale. Inoltre, quando si muove da una parte all’altra del campo, anche apparentemente estraneo all’azione, attira le attenzioni di tutti i difensori che sono nelle vicinanze.
Sotto in doppia cifra a 5 minuti dalla fine Nick Nurse ha provato a giocarsi l’arma della disperazione tirando fuori dal cilindro la box-and-one su Curry, una difesa mista che prevede quattro giocatori posizionati a zona negli angoli del pitturato e un giocatore a uomo sull’avversario più pericoloso. È un tipo di difesa desueta in NBA, un retaggio del passato per imbrigliare i bomber avversari, ma Nurse l’ha tirata fuori nel momento giusto per rompere la fluidità di gioco degli Warriors orfani di Thompson. La mossa a sorpresa ha permesso ai Raptors di recuperare fino a giocarsi la partita all’ultimo possesso.
I Raptors hanno usato la box-and-one per 8 possessi nel finale del quarto periodo e gli Warriors sono stati presi alla sprovvista da una difesa così speculativa ed estrema. Non a caso non sono riusciti a organizzare un attacco decente nemmeno dopo aver chiamato due timeout: in 8 possessi di box-and-one hanno segnato un solo canestro, l’ultimo, quello decisivo firmato da Andre Iguodala a 6 secondi dal termine, peraltro a seguito di un’azione in cui avevano rischiato di perdere il pallone.
Gara-3
I Warriors hanno lottato con le unghie e con i denti cercando in tutti i modi di sopravvivere alle assenze pesantissime di Klay Thompson e Kevon Looney, mentre Toronto è stata spietata nel girare il coltello nella piaga nel primo e nel terzo quarto - in cui ha segnato in entrambi i casi 36 punti, con 1.44 punti per possesso nel primo e 1.57 nel terzo - e cinica nel ricacciare indietro ogni tentativo di rimonta con la forza del collettivo. Alla fine il confronto tra le due squadre è stato impietoso: per i Raptors 17 triple a segno e il 52% al tiro con sei giocatori in doppia cifra, mentre per gli Warriors solo il 39% dal campo ed “appena” - per gli standard dei Dubs - 25 canestri assistiti su 36 totali, con un eloquente 11/33 al tiro complessivo dal quintetto Curry escluso. A queste condizione era impossibile vincere per gli Warriors, tenuti in vita dai 47 punti di Curry nonostante fosse letteralmente accerchiato e stremato dopo 43 minuti sul parquet di cui 33 consecutivi senza mai uscire dal campo.
Ne è venuta fuori una partita selvaggia, non bella dal punto di vista estetico ma con alcune finezze tattiche notevoli: dopo aver incassato le mosse di Steve Kerr, è toccato a Nick Nurse e il suo staff muovere le pedine e ricacciare al mittente ogni singolo aggiustamento precedente degli Warriors.
Dopo essere stati messi in scacco dai blocchi di Curry i canadesi, come i Cavalieri d’Oro dei Cavalieri dello Zodiaco, non si sono fatti prendere alla sprovvista per due volta a fila dalla stessa mossa: secondo i dati Second Spectrum snocciolati da Zach Lowe, i Raptors nelle prime due partite hanno usato il cambio sistematico solo 17 volte su 159 blocchi lontano dalla palla (e mai su Curry), ma in gara-3 ricorrere al cambio in modo selettivo su ogni blocco portato dal figlio di Dell e Sonya ha tolto agli Warriors un’arma tattica importante con cui innescare il supporting cast, incapace altrimenti di crearsi un tiro con le proprie forze.
I Raptors hanno continuato a marcare faccia a faccia Curry, cambiando però marcatura ogni volta che il 30 portava un blocco per un compagno. Quando invece Curry il blocco lo sfruttava, i Raptors hanno mantenuto la strategia classica di non cambiare per tenere Gasol o Ibaka a protezione del ferro e non a spasso sul perimetro.
In una partita in cui le risorse tattiche erano ridotte ai minimi termini, i padroni di casa sono rimasti in partita grazie al pick and roll tra Curry e Green. Sfruttando il gioco a due con Green, Curry ha potuto crearsi diversi “tiri facili” (solo per lui), tuttavia non è bastato solo quello a scardinare la difesa preparatissima dei Raptors: Kerr e il suo staff hanno dovuto ridisporre i giocatori in campo cambiando le spaziature e quindi alterare il timing e lo spacing del terzo uomo in aiuto, ovvero il giocatore adibito a fermare la penetrazione come successo in in gara-1 e 2.
Qui osserviamo una situazione di “Drag” - ovvero un pick and roll d’infilata dalla corsa portato anche a 10 metri dal canestro -, con il lungo che non blocca messo sul lato debole e due giocatori sempre “dietro la palla”: questo semplice escamotage ha permesso agli Warriors di dilatare gli spazi e dare Curry più terreno per accelerare in palleggio. Le nuove spaziature inoltre hanno ritardato - in alcuni casi anche del tutto azzerato - i tempi di rotazione dei difensori in aiuto.
Dopo due partite di grande sacrificio e ardore agonistico difensivo costellato però da qualche passaggio a vuoto in attacco, i Raptors avevano bisogno di qualcosa di più da Kyle Lowry. In gara-2 era talmente avulso dal gioco che gli Warriors si sono permessi di battezzarlo mandando il suo difensore diretto (Draymond Green, bella mossa di Kerr) a raddoppiare/aiutare sulle penetrazioni. Per Toronto era categorico coinvolgerlo di più in fase offensiva, non tanto per il suo contributo realizzativo - che peraltro in gara-3 è stato eccellente come dimostrano i 23 punti e 5 triple a bersaglio con il 50% dal campo - ma per usare il suo QI cestistico e la sua astuzia per rendere più dinamico e imprevedibile l’attacco dei canadesi.
In gara-3 coach Nurse ha chiesto ai suoi giocatori di bloccare meno il pallone per creare il contesto ideale in cui far emergere il talento di Lowry, che ha avuto molti più possessi giocabili - 99 tocchi totali, 18 in più rispetto agli 81 di gara-1 e 30 in più rispetto ai 69 di gara-2 - trasformandoli in oro: in primis per i compagni, infine prendendosi le sue responsabilità contro una difesa a cui non è stato dato il tempo di resettare.
Gara-4
Il ritorno in campo di Klay Thompson ha dato respiro a Steph Curry e ha spinto gli Warriors avanti anche di 11 lunghezze in un primo tempo in cui padroni di casa hanno flirtato con il 50% al tiro dal campo, ma non ne ha risolto i problemi critici con Toronto che è rimasta aggrappata alla partita per poi esplodere nel terzo quarto. Il 37-21 di parziale nel terzo quarto dei Raptors guidati da Leonard - per lui 17 punti nella frazione e due triple consecutive per firmare il sorpasso - è stato il colpo del KO che ha mandato al tappeto gli Warriors, che nel corso degli anni ci hanno abituato a salire di livello dopo la ripresa, non a cedere di colpo.
I Raptors sono riusciti ad aprire la difesa degli Warriors come mai nessun altro era riuscito a fare finora, facendolo sembrare semplice come tirare fuori le caramelle da un sacchetto aperto. Nurse e il suo staff in gara-4 hanno compiuto un altro capolavoro tattico nel mandare a vuoto la difesa in rotazione degli Warriors manipolando le spaziature in modo tale da costringere Draymond Green e compagnia a percorrere distanze proibitive e rendere vani i loro tentativi di raddoppio su Leonard.
I movimenti e il posizionamento lontano dalla palla dei Raptors hanno messo gli Warriors nelle condizioni di arrivare in ritardo a raddoppiare Leonard, lasciandolo mietere vittime dalla media distanza; oppure troppo in anticipo, con i Raptors pronti a riposizionarsi nelle voragini che si aprivano.
Nel corso dei playoff i Raptors hanno sempre trovato un modo, più o meno creativo, di far funzionare il loro machiavellico pick and roll centrale contro qualsiasi difesa. Da gara-3 in poi i Raptors hanno rispolverato dal loro playbook un vecchio gioco dei Suns di Mike D’Antoni e Steve Nash (Steve Kerr che lo ha persino inserito nel playbook degli Warriors), chiamato “Angle Short”: si tratta di un pick and roll direzionato verso il centro con due giocatori spaziati sul perimetro e un terzo che anziché fuori dai tre punti, è posizionato sulla linea di fondo e si muove “a specchio” con la palla.
Con il taglio iniziale sulla linea di fondo, i Raptors sono riusciti nel duplice obiettivo di portare via un aiuto difensivo mettendo un uomo sulla linea di fondo a giocare dietro la difesa e aprire praterie in area per i roll a canestro del bloccante. La difesa degli Warriors in gara-4 non è riuscita a trovare rimedio a questo semplice gioco.
Per gli Warriors le cose che hanno funzionato in gara-4 si contano sulle dita di una mano, anche perchè nessuno oltre a Curry e Thompson ha fatto canestro (il solo Looney l’unico altro Warrior in doppia cifra) facilitando il compito dei Raptors, impietosi nello stringere ancora di più la morsa difensiva contro gli Splash Brothers battezzando chiunque altro. Le uscite dai blocchi per Curry e Thompson sono state le uniche chiamate contro cui la difesa dei canadesi è stata “solo” buona e non ottima.
Sui blocchi per gli Splash Brothers portati dai lunghi, i Raptors hanno continuato non cambiare perchè per loro il minore dei mali è prendere un canestro da Curry e Thompson con la mano in faccia piuttosto che permettere agli Warriors di giocare nelle zone d’ombra del cambio sistematico e regalare canestri facili. Golden State ha sfruttato la scelta difensiva dei Raptors per aprire spazi agli Splash Brothers e di rimando ai compagni di squadra, ma lo sforzo fisico per Curry e Thompson è stato immane e alla lunga hanno finito la benzina.
Gara-5
Una partita dai mille colpi di scena destinata a diventare un’instant classic: Kevin Durant che torna, non fa in tempo a piazzarne 11 in 12 minuti che si rompe di nuovo gettando un’ombra oscura sull’imminente free agency e la geografia futura dalla NBA; la bolgia infernale della Scotiabank Arena e del Jurassic Park; le smorfie sul volto di Looney che gioca sul dolore; quei de minuti di onnipotenza cestistica di Kawhi Leonard che sapevano di titolo; il 9-0 degli Splash Brothers da Splash Brothers per restare vivi; gli ultimi 30 secondi di caos con il tiro finale di Lowry spizzicato da Draymond Green in un ultimo sforzo sovraumano.
È stata una partita giocata per 48 minuti sul filo del rasoio, in cui la componente nervosa ha giocato un ruolo fondamentale nelle percentuali dal campo, come dimostrano il computo delle triple messe a segno: 20 per i Warriors con 4/10 del trio Green/Iguodala/Cousins; 8 per i Raptors con il 4/20 del quartetto Siakam/Green/Lowry/VanVleet.
A questo punto della serie il playbook delle due squadre era talmente scarnificato che si intravedeva l’osso. Warriors e Raptors hanno cercato semplicemente di sopravvivere, possesso dopo possesso, restando aggrappati alle ultime certezze rimaste.
Per il Raptors sopravvivere ha significato affidarsi quasi esclusivamente al pick and roll centrale per attaccare il cambio sistematico contro la “Hampton 5 lineup” finchè Durant non è crollato a terra, o mettendo il mezzo al gioco a due i lunghi meno mobili degli Warriors.
Gasol ha fatto la voce grossa nel primo tempo anche perchè il quintetto piccolo dei Warriors ha sofferto i suoi tagli a canestro nei mismatch lungo vs esterno. Poi è stato Lowry a spostare il pallino del gioco sul perimetro con i suoi cambi di velocità e la sua astuzia nello stanare fuori dal pitturato Cousins e forzare gli Warriors a concedere il mismatch lungo/piccolo.
Per Golden State sopravvivere ha significato francobollare Iguodala addosso a Leonard, ottenendo una prova difensiva maiuscola dell’ex MVP delle Finals 2015 - 6/17 al tiro complessivo per Leonard marcato da Iguodala - ed orientare quasi tutto l’attacco verso le uscite dai blocchi di Curry e Thompson, finora l’unico vero tallone d’Achille della difesa impostata da Nurse. Contro una difesa refrattaria a cambiare, la velocità di esecuzione e la pazienza con cui i compagni hanno cercato gli Splash Brothers è risultata indigesta ai Raptors.
Gli Warriors hanno usato praticamente due soli set offensivi per le uscite dai blocchi di Curry e Thompson: quello chiamato “elbow stagger” e quello chiamato “fist side”. Il primo prevede un passaggio di entrata al gomito del tiro libero (elbow) e due blocchi sfalsati (stagger), con varie letture e opzioni sul lato debole. Il secondo invece Kerr lo ha copiato dal playbook dei Celtics del 2008 ed è sviluppato attorno a un falso stagger che serve a liberare un quarto di campo per un blocco verticale, con letture e opzioni annesse. I Raptors hanno fatto un buon lavoro, ma quando gli Warriors eseguono così non basta. La bomba del pareggio di Curry è arrivata dopo una perfetta esecuzione del “Fist Side”.
Quando il tendine di Achille di Durant ha fatto “pop” dopo 14 minuti di partita, e dopo la gragnuola di canestri di Leonard a metà quarto periodo, gli Warriors sembravano spacciati. Ma Steve Kerr, perennemente inquadrato professava calma e fiducia (ovviamente stava bluffando), anche in una situazione disperata ma è riuscito a venirne fuori con degli impercettibili aggiustamenti e qualche situazione speciale, le cosiddette “ATO”.
Senza KD e nuovamente alle prese con la necessità di schierare quintetti infarciti di non-tiratori, si è reso necessario escogitare qualche stratagemma per “rubare” canestri facili: chiedendo a Livingston, Green e Iguodala di attaccare negli enormi spazi che gli concedeva la difesa in primis, successivamente disegnando schemi ad hoc per soluzioni estemporanee, che la difesa dei Raptors non si aspettava. Il primo canestro da tre di Thompson nel parziale di 9-0 Warriors è stato mandato a bersaglio proprio su una situazione speciale di “veer”, ovvero pick and roll senza rollata, ma con successivo blocco per il tiratore.
Gara-6
Epica!
La posta in palio era altissima, l’attesa spasmodica: i Raptors dovevano vincere per il Nord e per fare la storia, gli Warriors dovevano vincere per sopravvivere e sfidare il destino nell’ultima partita alla Oracle Arena. Poteva essere una gara brutta, tesa, giocata in trincea, invece ne è venuta fuori una partita di grande basket, in cui le grande giocate si sono sprecate, piena di momenti iconici, destinati a riverberarsi nel tempo e di momenti drammatici destinati a ripercuotersi sul futuro prossimo. Ha vinto meritatamente Toronto nonostante la stoica resistenza degli Warriors, ha vinto la squadra che ha sbagliato meno - soprattutto dalla linea della carità, dove ha pesato il 5/14 del terzetto Green, Iguodala, Cousins - e che è stata più lucida in un finale a cui gli Warriors sono arrivati esausti, senza più benzina.
Parlare di tattica dopo una partita del genere sminuisce ciò che le due squadre hanno messo in campo, la resilienza con cui hanno giocato, ma il nostro è un lavoro sporco e qualcuno deve pur farlo. Dopo sei partite non c’erano più segreti: Warriors e Raptors conoscevano vita, morte e miracoli dell’avversario, c’è stato bisogno di raschiare il fondo del barile alla ricerca delle ultime cartucce da sparare, più simili a mosse della disperazione per confondere l’avversario che vedere e proprie risorse da sfruttare.
I Raptors per cinque partite si sono imposti di difendere sui blocchi per Curry e Thompson senza coinvolgere i lunghi nei cambi difensivi, eventualmente solo cambi se costretti e in emergenza. Dopo una gara-4 e un gara-5 in cui gli Splash hanno fatto il diavolo a quattro trovando canestri “facili” contro questo tipo di difesa, Nick Nurse ha ceduto e ordinato ai suoi di cambiare dove fosse necessario. Un unico mantra: possono segnare tutti tranne Curry e Thompson. Ne è venuto fuori un mezzo disastro.
Si fa presto a dire cambio, ma contro una squadra che sull’attaccare i cambi ci ha costruito tre titoli, bisogna eseguire alla perfezione, ed i Raptors non lo hanno fatto, permettendo agli Warriors di “aprire i blocchi”, ovvero creare vantaggio al bloccante che poi si apre a canestro. Cambiare su tutto, a questo punto della serie, dopo cinque partite di abitudini consolidate e con il senno di poi è stato un azzardo che poteva costare molto caro se Thompson non si fosse rotto.
Secondo i dati Synergy Sports, prima di gara-6 gli Warriors avevano difeso a zona per 11 possessi durante tutta la stagione e per due possessi in tutti i playoff. Per permettersi il lusso di tenere in campo Cousins (costantemente messo in mezzo ai pick and roll), Kerr a un certo punto del primo quarto e a metà terzo quarto ha ordinato la zona 2-1-2 per sparigliare le carte in tavola.
Nel primo quarto tre azioni a fila, le prime due mandando in corto circuito l’attacco dei Raptors; nell’ultima invece le scelte dei canadesi sono state più veloci, la difesa si è chiusa e la circolazione di palla ha innescato una tripla dall’angolo con i piedi per terra. Nel terzo quarto un’azione sola, gestita male dalla prima linea difensiva che ha portato ad un’altra tripla dall’angolo smarcata, graziati da Van Vleet.
Orfani di Durant, rimasti senza Thompson, senza più niente a cui appigliarsi se non al cuore che non smetteva mai di battere, gli Warriors in qualche modo sono riusciti ad arrivare alla fine della partita forzando una palla persa ai Raptors a 9 secondi dalla fine sotto di 1 nel punteggio, guadagnandosi il pallone della possibile e a quel punto incredibile vittoria. Timeout chiamato da Steve Kerr, l’ultimo disponibile, per disegnare il tiro del destino. Tutti sapevano che quel tiro se lo sarebbe preso Steph Curry, c’era solo da capire come liberarlo dalla stretta marcatura dei Raptors: la “EOG”, acronimo di End Of the Game, disegnata da Steve Kerr ha realmente creato i presupposti per dare al due volte MVP quel secondo necessario e prendere e sparare un tiro - per lui - relativamente facile.
Lo schema disegnato da Kerr per l’ultimo tiro è farina del sacco di Rick Carlisle e Brad Stevens: blocco “zipper” per Curry che non è altro che un depistaggio per mandare Green sul quarto di campo opposto completamente vuoto, passaggio lob di Iguodala, impreciso ma che arriva a destinazione, in contemporanea blocco orizzontale di Cousins per Curry che prende alla sprovvista la difesa dei Raptors, Ibaka in particolare, e permette al numero 30 degli Warriors di prendersi il tiro che tutta la Dub Nation vorrebbe veder uscire dalla sue mani. Esecuzione perfetta al di là del risultato.
Si spegne sul secondo ferro la dinastia dei Warriors, festeggia il Canada proclamando re del Nord Kawhi Leonard aka “Il Distruttore di Dinastie”, 3° MVP delle Finals di sempre ad aver vinto il Bill Russell Trophy con due maglie differenti, primo ad averlo fatto in due conference differenti. Paul “corvo a tre occhi” Pierce aveva previsto tutto: Raptors in six.
Noi abbiamo cercato di spiegarvi come è successo. Ci risentiamo l’anno prossimo.