Youssouf Sabaly
Daniele V. Morrone
In un Mondiale povero di terzini sinistri protagonisti (ci si aspettava Marcelo ma niente; ci si aspettava Kolarov ma a parte l'inizio) sono stati invece quelli di piede destro a brillare, paradossalmente anche quando sono stati spostati a sinistra, come nel caso di Youssouf Sabaly. Forse proprio il fatto di essere un destro naturale lo ha aiutato a gestire meglio la manovra della squadra. Fuori dalla sua comfort zone, Sabaly è stato costretto a prendere decisioni proattive: ha mostrato l’utilità della conduzione nei corridoi centrali in un Mondiale di terzini vecchio stampo; la capacità di farsi regista in vari punti del campo, potendo ricevere aperto e con la possibilità di muovere il pallone su un angolo maggiore. La tecnica di base ha fatto il resto, con opzioni a disposizione che vanno dal dribbling al tocco di prima.
Nei primi minuti della partita d'esordio contro la Polonia supera il marcatore con un controllo orientato, corre entrando nello spazio di mezzo e fa partire un filtrante spezza linee di pressione per la punta. Un'azione manifesto del suo stile di gioco. Purtroppo lo abbiamo visto per solo tre partite, ma che hanno suggerito un repertorio ampissimo.
In un Mondiale in cui si è giocato soprattutto per non sbagliare, dove anche i singoli hanno evitato di prendere rischi, Sabaly si è mostrato sempre pronto ad assumersi delle responsabilità, con la palla e senza.
Sabaly è cresciuto praticando judo e basket, due sport che lo hanno aiutato ad aumentare il controllo del proprio corpo e che ha continuato a praticare fin quando il calcio non gli ha chiesto l'esclusività. Un atleta di medio-bassa statura ma dalla muscolatura esplosiva come lui è perfetto per correre la fascia, ma al Mondiale abbiamo visto un gioco tridimensionale. Ha fatto vedere un approccio al ruolo inedito perché fatto di tecnica e letture, pur difendendo sempre aggressivo (se n’è accorto Cuadrado nell’ultima partita dove ad ogni stop aveva Sabaly a mettergli il corpo per cercare il pallone o il contatto).
Sabaly è nato in Francia e fa parte della generazione vincente al mondiale U-20 del 2013 con Pogba, Veretout, Kondogbia, Thauvin e Areola. Aveva fatto parte di tutte le squadre giovanili francesi dall’U-17 in poi, ma dopo il Mondiale U-20 non è riuscito a trovare spazio con l’U-21. Lui che è cresciuto nelle giovanili del PSG, con cui ha fatto tutto il percorso dai 10 anni in su e con cui però non ha mai esordito, dovendo andare via per diventare professionista.
I prestiti all’Evian prima e al Nantes poi non hanno convinto abbastanza il PSG, che ha finito per accettare di lasciarlo andare in prestito al Bordeaux, che a fine anno ha pagato per averlo definitivamente. Aliou Cissé lo ha convinto a giocare per il Senegal per gli spareggi del Mondiale nel novembre del 2017, portandolo quindi ad esordire con una Nazionale solo a 24 anni. Forse un altro dato che fa capire la profondità della miniera del talento francese: anche il terzino sinistro più interessante del Mondiale poteva giocare per loro.
Ante Rebic
Marco D'Ottavi
Magari non abbiamo “scoperto” Ante Rebic in questo Mondiale. Magari ce lo ricordavamo per le 18 presenze in Serie A tra Fiorentina e Verona. Ma è almeno vero che abbiamo scoperto un “nuovo” Ante Rebic, uno che ha finalmente capito come si comporta un calciatore.
Pur arrivando da una stagione più che positiva nell'Eintracht Francoforte, prima dell’arrivo di Dalic sulla panchina della Croazia - in concomitanza dello spareggio contro la Finlandia - Rebic non aveva mai giocato da titolare in Nazionale e non veniva convocato da quasi tre anni. Eppure gli è bastato un attimo per inserirsi negli schemi del CT croato, che sembrano essergli stati cuciti addosso.
Rebic è un ex centravanti dirottato dagli eventi sull’esterno. Alto 185 centimetri, è molto veloce in progressione (con una velocità di punta di 34 km/h è stato uno dei giocatori più veloci del Mondiale) e soprattutto ha una grande resistenza nei duelli corpo a corpo, dove è quasi impossibile da spostare.
In una squadra molto verticale, che provava ad innescare i suoi giocatori offensivi il più rapidamente possibile, queste sue capacità sono risultate decisive. Partendo da destra o da sinistra (tra le altre cose Rebic può giocare con tutti e due i piedi), Dalic sfruttava questa sua superiorità fisica isolandolo il più possibile contro gli esterni avversari, o mandandolo in progressione negli spazi aperti da Mandzukic, come nell’azione del rigore procurato nei supplementari degli ottavi contro la Danimarca.
Rebic è stata una delle rivelazioni di questo Mondiale. A giocate che denotano grande sensibilità tecnica, come il gol al volo con cui ha aperto le marcature contro l’Argentina, ha unito una cattiveria agonistica davvero stupefacente. Rebic insegue sempre il suo avversario e non molla mai niente. In questo sembra una versione meno cattiva ma più coatta di Mario Mandzukic,
In un torneo in cui hanno brillato gli esterni dal talento conclamato come Hazard e Mbappe, Rebic è una variante nel ruolo interessante. Manchester United, Bayern Monaco e anche Napoli sembrano interessate al giocatore, che grazie a questo Mondiale potrebbe portare la sua carriera ad un altro livello.
Luis Advincula
di Flavio Fusi
Nel calcio del terzo millennio l’atletismo è ormai un elemento imprescindibile ed attributi come velocità, intensità ed esplosività, specie se combinati assieme nello stesso profilo, sono sempre più determinanti nella valutazione di un calciatore.
Doti che di certo non mancano a Luis Advincula, laterale peruviano che nello sfortunato Mondiale della sua Nazionale è riuscito a mettersi in mostra anche e soprattutto grazie allo spaventosa velocità di punta (36,15 km/h) che è riuscito a toccare nella gara contro la Francia.
Un record così non era stato mai registrato su un rettangolo verde e, se è vero che non sono certo gli sprint a fare un calciatore (altrimenti il sogno di Bolt di diventare professionista si sarebbe già concretizzato da tempo), Advincula ha dimostrato di essere qualcosa in più di un velocista coi tacchetti che quando scatta mette il corpo all’indietro proprio come i centometristi.
Ovviamente si tratta di un giocatore con caratteristiche specifiche, che lo rendono adatto a squadre che mirano a ribaltare rapidamente il fronte offensivo, oppure come sfogo alla manovra sul lato debole. Il suo approccio è diretto anche nei passaggi ed è abile a trovare i riferimenti offensivi per poi lanciarsi in progressione e chiudere una combinazione. Si esprime al meglio quando può condurre palla in spazi ampi, anche per un controllo ravvicinato che lo limita nello stretto, ma negli ultimi anni è migliorato anche in situazioni di gioco in cui il ritmo è più basso. In Russia ha dimostrato di sapere gestire il possesso anche quando c’è da uscire dalla metà-campo difensiva e in questo lo aiuta molto anche il fatto di essere praticamente ambidestro.
Oltre alle gambe esplosive, ha forza fisica anche nella parte superiore del corpo, fatto che lo rende solido anche nei contrasti, seppur sia probabilmente più adatto a giocare da esterno a tutta fascia, anziché da terzino puro, soprattutto se dovesse tornare in Europa, dove ha già militato, con poca fortuna nell’Hoffenheim, nel Vitoria Setubal e nel Bursaspor.
A 28 anni gioca nel Tigres in Liga MX, ma nell’ultima stagione è stato prestato al Lobos BUAP. Nel recente terremoto che colpito il Messico era stato addirittura dato per morto sotto le macerie. Ora potrebbe tornare in Europa, stavolta per restarci.
Manuel Akanji
di Dario Saltari
Il gesto dell’aquila di Xhaka e Shaqiri nella partita ai gironi contro la Serbia ha risollevato il dibattito intorno ai giocatori con la doppia nazionalità, anche se non solo nei modi che abbiamo immaginato subito dopo. Alex Miescher, segretario generale della federazione svizzera di calcio, ad esempio ha dichiarato: «L’incidente ha dimostrato che c’è un problema. Dobbiamo farci una domanda: vogliamo davvero i giocatori dalla doppia nazionalità?». Anche se il riferimento era ovviamente ai due giocatori di origine kosovara, Xhaka e Shaqiri non sono stati gli unici a sentirsi chiamati in ballo dopo questa dichiarazione. Pochi giorni dopo, ad esempio, Manuel Akanji ha messo su Twitter una foto in cui si rilassa in piscina con indosso una maglietta della Nigeria.
Figlio di padre nigeriano e madre svizzera, Manuel Akanji è stata una delle grandi sorprese della Nazionale di Petkovic, che si affidava soprattutto a lui quando c’era da gestire il possesso basso sotto pressione in maniera pulita. E anche se in Svizzera l’impegno dei giocatori con la doppia nazionalità continua ad essere messo in discussione, Akanji è stata l’ennesima conferma che le fortune della Nazionale elvetica negli ultimi tornei internazionali si basa soprattutto su di loro.
Nonostante la giovane età (compirà 23 anni il prossimo 19 luglio), Akanji ha già un curriculum non irrilevante, che adesso include anche un Mondiale da titolare. Cresciuto nel Winterthur, piccolo club del cantone di Zurigo, il centrale svizzero è passato nel 2015 al Basilea, dove ha vinto due campionati svizzeri e una coppa nazionale. Nel gennaio di quest’anno è entrato definitivamente nel calcio europeo d’élite, passando al Borussia Dortmund per la cifra non indifferente di 21,5 milioni di euro.
Dopo essersi imposto tra i titolari anche nel Borussia Dortmund, Akanji ha fatto un Mondiale di grande personalità, facendoci dimenticare la sua inesperienza a questi livelli. Akanji è un difensore molto moderno, che abbina una grande esplosività nella copertura della profondità ad un’ottima tecnica con entrambi i piedi (anche se, in genere, preferisce il destro al sinistro). La sua quasi ambidestria gli permette di coprire praticamente qualsiasi ruolo in difesa, compreso quello di terzino sinistro, che ha ricoperto al Borussia Dortmund aiutandosi con la sua sorprendente progressione palla al piede.
La qualità più spiccata di Akanji è però la previsione delle linee di passaggio avversarie, evidente in maniera crudele anche nello sfortunato autogol che ha decretato l’eliminazione contro la Svezia, quando ha cercato di respingere un tiro di Forsberg dal limite dell’area mettendo inavvertitamente il pallone sotto al sette alla destra di Sommer. Più in generale, sembra essere molto più a suo agio nel difendere all’indietro (dove si aiuta anche con un ottimo tempismo negli interventi) che in avanti, e sembra perfetto per quelle squadre che vogliono difendersi dentro l’area abdicando al controllo del pallone, anche se non è propriamente dominante nei duelli aerei (in Bundesliga ne perde 1.5 ogni 90 minuti sui 2.8 totali).
Al Mondiale, però, Akanji ha dimostrato di avere grandi margini di miglioramento anche nelle fasi più propositive della Svizzera, prendendosi la responsabilità di avviare l’azione della propria squadra, anche se non sempre con grande creatività. Se la sua crescita dovesse continuare in maniera lineare come ha fatto finora, la Svizzera potrebbe aver trovato un centrale affidabile ad alti livelli almeno per i prossimi quattro appuntamenti internazionali, tra Europei e Mondiali. Con questa qualità, anche chi critica i giocatori con il doppio passaporto potrebbe ricredersi.
Gaku Shibasaki
di Daniele Manusia
Dopo due minuti dall’inizio del secondo tempo di Belgio-Giappone, Thomas Meunier perde una palla sulla trequarti offensiva, sul lato sinistro. Inui si gira subito verso il centro, dove sta salendo Gaku Shibasaki al lato della coppia di centrali di centrocampo belga. De Bruyne si sposta con lentezza e quando lo raggiunge Shibasaki è già a centrocampo. De Bruyne però, arrivando da sinistra, gli preclude la possibilità di giocare verso Osako o Kagawa rimasti nella fascia centrale di campo. A destra c’è Haraguchi, partito a tutta velocità sull’esterno destro, ma con parecchi metri di svantaggio su Vertonghen. L’angolo è stretto e la finestra temporale per giocare un filtrante quasi inesistente, ma Shibasaki non ci pensa due volte e gioca un rasoterra verticale stretto e forte, che Vertonghen arriva a sporcare appena, perdendo il passo nella corsa e lasciando Haraguchi solo all’ingresso in area, che chiuderà l’azione con un diagonale vincente portando in vantaggio il Giappone in quella che oggi possiamo ricordare come la partita più pazza del Mondiale.
Il Giappone di Nishino, partito tra mille dubbi e incertezze proprio a causa della scelta della federazione di cambiare allenatore appena prima delle ultime amichevoli primaverili, è andato a un passo dal sogno di giocare i quarti di questo Mondiale con il Brasile. Il Giappone è stato tutto sorprendente e Kagawa contro il Belgio è stato eccezionale, dimostrando una classe da primo della classe, ma il giocatore più sorprendente in assoluto - quello che se non lo conoscevate prima adesso lo conoscete di sicuro - è stato Gaku Shibasaki.
Shibasaki gioca da una stagione in Liga, al Getafe, dove indossa la numero 10 giocando a volte in coppia a centrocampo, come in questo Mondiale, a volte su una linea più avanzata. È alla sua prima esperienza fuori dal Giappone ed ha già 26 anni. In finale di Coppa del Mondo per Club del 2016 ha segnato al Real Madrid, poi lo scorso anno al Barcellona: l’unico giapponese nella storia ad aver segnato alle due potenze calcistiche spagnole.
Se state pensando al solito giocatorino giapponese ipertecnico con cui possono andare in fissa solo i nerd vi sbagliate, ma neanche troppo. Shibasaki in effetti ha un piede fatato, il destro, e un’intelligenza che posso descrivere solo usando un aggettivo da nerd: posizionale. Difficilmente se ha un appoggio libero sbaglia il passaggio, o prende una decisione forzata, anche negli spazi stretti. Con la sua visione di gioco vede spesso corridoi per spezzare tagliare le linee avversarie, oppure cambia campo con colpi di mezzocollo pornografici.
Come da stereotipo, fisicamente soffre la pressione degli avversari: non ha la velocità per spostarsi palla al piede per lunghi tratti, né l’esplosività di Kagawa per anticipare la giocata, o i chili per proteggere palla sul posto. Per sopravvivere deve muoversi di continuo, si salva grazie all’intelligenza senza palla, con cui recupera anche palla (meglio se difendendo in avanti).
Gaku Shibasaki è un giocatore particolare, perfetto per un gioco fluido e verticale, a casa nel calcio spagnolo. Se il Mondiale del Giappone è servito per farvelo scoprire adesso cercate di non dimenticarvi di lui.
Jo Hyeon-Woo
di Emanuele Atturo
Jo Hyeon-Woo ha un colorito cadaverico, pochi muscoli e una cresta arancione che sottolinea il suo aspetto un po’ adolescenziale. La sua somiglianza con un insetto stecco è la cosa che lo rende più di ogni altra cosa un portiere affascinante, che appaga la nostra idea del portiere come una specie di animale in preda agli istinti e fatto di materia liquida.
Per innamorarvi di Jo Hyeon-Woo dovrebbe bastare una prima occhiata. Se non vi basta, però, dovreste sapere che il suo soprannome è “L’anguilla”, che rimanda bene la natura poco esplosiva del suo talento tra i pali. Jo Hyeon-Woo sembra semplicemente “sgusciare” tra i pali come animato da una forza nervosa. D’altronde come altro dovrebbe fare una persona totalmente sprovvista di muscoli a coprire una porta da calcio in tutta la sua grandezza?
Jo Hyeon-Woo ha giocato benissimo: è stato il secondo portiere dei Mondiali per salvataggi ogni 90 minuti - dietro solo all’invasato Ochoa. La sua prestazione contro la Germania è stata forse il singolo fattore che ha compromesso la qualificazione dei tedeschi. Se guardate la parata sul colpo di testa a colpo sicuro di Thomas Muller non ha niente di normale, e sembra contenere quella nota di preveggenza propria dei grandi portieri. Una prestazione che in Messico gli ha fatto guadagnare la beatificazione.
Jo Hyeon-Woo, insomma, ha tutte le caratteristiche di un innamoramento da Mondiale: è strano, folkloristico, forte in modo originale, giovane (26 anni, pochi per un portiere) e gioca ancora in patria. Ha già detto che vuole mettersi alla prova in Europa, chi non lo vorrebbe con la maglia della propria squadra, un essere umano così simpatico?
Oghenekaro Etebo
di Emanuele Atturo
Se escludiamo la stupenda prima maglia - comunque vista in campo una sola volta - non c’erano molti motivi di interesse attorno a questa Nigeria. Pochi giocatori di talento, pochi giovani e un’organizzazione tattica che non riusciva certo a sopperire a queste carenze.
In questo contesto deprimente, dove le “Aquile” sono comunque riuscite a vincere contro l’Islanda, un giocatore è riuscito almeno a mettersi in mostra. Oghenekaro Etebo, da mezzala sinistra del 4-3-3, ha brillato più degli attesi Obi Mikel e Wilfred Ndidi. Nella partita d’esordio contro la Croazia ha realizzato 9 dribbling: gli stessi di Hazard contro il Brasile. È il giocatore con la migliore percentuale di dribbling riusciti, il 94%, e il centrocampista con più dribbling realizzati in assoluto. Non vi basta questo per innamorarvi di lui?
Nonostante sia alto appena 1,74 m, Etebo non è mai sembrato in difficoltà sul piano fisico, anche contro centrocampi fisici come quello islandese o croato. È una mezzala dinamica, con una mentalità verticale. Appena prende palla scandaglia il campo davanti a sé per cercare l’opzione di passaggio più diretta possibile, oppure si mette in proprio e parte in conduzione. Etebo non ha un grande primo controllo e ha bisogno di giocare fronte alla porta. Quando si gira, però, con il suo baricentro basso e l’ottima tecnica in conduzione diventa un giocatore difficile da fermare. È un giocatore perfetto per squadre che amano giocare in transizione e che hanno bisogno di centrocampisti che rompano con facilità le linee avversarie.
In un Mondiale per vecchi, Etebo, che è del 95, è stato - anche dal punto di vista statistico - uno dei migliori U-23 ammirati. Sfortunatamente il calcio inglese era arrivato su di lui ancora prima che potesse mettersi in mostra al Mondiale. Lo Stoke ha già pagato circa 7 milioni di sterline per portarlo via dal Feirense, dove era finito dopo che nel 2015 era stato eletto “Giocatore africano più promettente”. Bisognava accorgersi di lui prima del Mondiale, in Liga, dove è stato uno dei più positivi nella complicata stagione del Las Palmas. Ora, chi vorrà continuare a seguirlo, dovrà accendere il televisore sul campionato di Championship :(
Ludwig Augustinsson
di Emanuele Atturo
Della squadra che ha vinto l’Europeo U-21 nel 2015 la Svezia in questi Mondiali ha schierato solo due giocatori nell’undici titolare. Uno di loro era Lindelof, che solo in Nazionale sembra tornare ai suoi livelli, l’altro era Ludwig Augustinsson, che non è esagerato forse definire il miglior terzino sinistro dei campionati del mondo.
È strano, in un’epoca in cui i terzini sono i nuovi registi, che abbia spiccato un laterale in fondo piuttosto classico come Augustinsson, che come i terzini di una volta fa tutto più o meno bene senza eccellere in nulla in particolare. È grosso ma non enorme; abbastanza veloce ma neanche troppo; tecnico quanto basta per non sfigurare, ma non abbastanza per essere un regista occulto.
Questo non significa che Augustinsson non abbia una grande influenza sulla propria squadra. In una Svezia solida sul piano fisico e tattico, ma povera di qualità tecnica, è addirittura lui ad occuparsi dei calci piazzati. È di quei terzini che preferiscono ovviamente correre senza palla che col pallone, traendo beneficio dai sistemi particolarmente oliati e da ali offensive che si accentrano lasciandogli il binario libero. La catena di sinistra che ha formato con Forsberg nel Mondiale, in questo senso, è stata stranamente qualitativa per una squadra come la Svezia.
Credete nei vostri sogni, etc. etc.
Si è messo in mostra in una grande gara difensiva contro la Germania, ha segnato l’importante gol dell’uno a zero contro il Messico e ha mostrato la propria versatilità nelle due fasi contro la Svizzera. Già prima del Mondiale il suo nome veniva menzionato per dovere di cronaca quando bisognava pur citare qualcuno della Svezia, dopo le prestazioni in Russia Augustinsson ha dimostrato di poter spiccare anche ad alti livelli. Augustinsson è il terzino perfetto per quei tifosi che dagli esterni bassi si aspettano pochi fronzoli e molta solidità. Ha 24 anni, gioca nel Werder Brema e ha tutta l’aria di un terzino che vedremo in Premier League il prossimo anno.
Johan Mojica
di Daniele Manusia
È stato soprattutto il Mondiale dei terzini destri (Pavard, Trippier, Vrsaljko, Mario Fernandes) ma anche quelli sinistri non se la sono cavata male. In realtà, in un contesto in cui la maggior parte delle squadre senza il pallone difendeva il centro rinunciando a pressare alto è stata una conseguenza naturale che le fasce acquistassero importanza. Così, nella Colombia è venuto fuori Mojica, terzino di 26 anni che ha giocato lo scorso anno la sua prima stagione intera in Liga, con il Girona, dopo aver passato gli ultimi anni in Segunda.
Si sa che le competizioni internazionali non sono l’ideale per fare shopping, ma il fascino di Mondiali e Europei sta anche nel chiedersi se un giocatore come Mojica è così più scarso di ________________ (inserite il nome di un terzino di prima fascia per cui sono stati spesi molti soldi recentemente).
Mojica è grosso (185 centimetri), veloce e gioca a ritmo alto. È difficile da saltare lungolinea perché ha un ottimo recupero e in marcatura non sta fermo a guardare la palla, anticipa e infila le gambe lunghe tra quelle degli avversari, se non si getta direttamente in scivolata come ha fatto con Trippier, nell’ultima partita del Mondiale, togliendogli palla in maniera non pulitissima ma regolare. Con la palla si muove su un binario immaginario, è un terzino di spinta classico, che va sul fondo e crossa al centro. Ha un sinistro discreto con cui può metterla dentro in velocità o anche in situazioni statiche - lo scorso anno 4 assist in Liga, 0.7 cross che hanno mandato al tiro un compagno in media ogni 90’.
Sul repertorio del terzino di categoria Mojica carica (oltre ad una qualità tecnica non da tutti e una stazza da centrale difensivo) una capacità di corsa impressionante per cui può giocare anche a tutta fascia, difendendo vicino alla propria area e attaccando il lato cieco fin dentro l’area. E va sottolineato anche il suo carattere, il coraggio e la creatività (con interventi irruenti, scomposti, ma da cui è uscito spesso vincitore) con cui ha affrontato qualsiasi avversario del Mondiale.
Proprio contro Trippier, durante l’ottavo di finale, si sono visti i limiti di Mojica. Non ha saltato una sola volta l’inglese e solo raramente è riuscito ad aggirarlo con un cross. È vero però che Trippieri ha giocato un gran Mondiale e viene da una grande stagione, in una squadra che a lungo ha lottato per la Premier League, e che quindi parliamo di un terzino di livello alto. Mojica in Liga prova tantissimi driblling (4.9) ma ne sbaglia di più (2.9 in media su 90’) di quelli che gli riescono (2).
Un terzino poco cerebrale, muscolare ma anche tecnico, enorme e veloce, che dribbla come un ala e crossa palloni tesi tra portiere e difesa. L’ideale per passarci un Mondiale insieme.
Benjamin Pavard
di Emanuele Atturo
A differenza di alcuni altri nomi di questa lista, Pavard non arrivava certo a questo Mondiale da perfetto sconosciuto. A 22 anni aveva già quasi 100 presenze tra i professionisti e da due anni gioca in Germania, allo Stoccarda, dove nell’ultima stagione di era rivelato come uno dei migliori difensori della Bundesliga. Prima dei Mondiali, però, aveva giocato poche partite con i “Bleus” e quell’aria da ragazzino smarrito dall’aspetto patrizio - in una squadra di supereroi - lo faceva sembrare fuori posto. So Foot gli ha dedicato una rubrica intitolata “Il diario di Benjamin Pavard”, dove potete trovare frasi come «Ora capisco cosa intendeva Kurt Cobain quando parlava di portare il peso di tutta una generazione».
Nel suo club Pavard gioca da difensore centrale, ma l’abbondanza di talento della Francia - che poteva schierare centrali una coppia incredibilmente assortita come Varane e Umtiti - lo ha dirottato sulla fascia destra (dove ogni tanto gioca anche nel club), in cui si è segnalato come uno dei terzini destri migliori del Mondiale. Pavard è stato preferito al più offensivo Djibril Sidibé per non perdere forza fisica e attenzione in marcatura neanche ai lati, in una squadra ossessionata dalla fase difensiva. Ma anche per avere una fonte di gioco in più. Pavard è un centrale difensivo raffinatissimo nell’impostazione dal basso, possiede una grande visione di gioco e una sensibilità speciale col piede destro, sia nel gioco corto che in quello lungo.
Da terzino, con un angolo di campo più ristretto, Pavard ha giocato in maniera semplice ma non scolastica. Incarnando bene l'idea di una Francia che pensava soprattutto a minimizzare i rischi. I "Bleus" uscivano dalla difesa preferibilmente dal suo lato: Pavard è il quarto giocatore della squadra ad aver toccato più palloni per 90’, un dato che testimonia la sua influenza silenziosa sul gioco. Da lì poi Pavard andava al centro, verso Pogba, la mezzala più vicina, oppure, molto più spesso, su Mbappé.
Pavard e Mbappé, 42 anni in due, hanno formato una delle catene laterali più entusiasmanti del Mondiale. La tendenza a rimanere bloccato e a giocare semplice di Pavard si compensava bene con gli strappi in velocità di Mbappé, che spesso da solo faceva progredire la manovra francese.
Se però Pavard sarà ricordato come una delle migliori sorprese di questi Mondiali è soprattutto per un’azione valsa più di mille passaggi e disimpegni. Il gol segnato all’Argentina è stato tra i più belli di tutta la competizione: Pavard colpisce la palla fuori equilibrio, quasi schiaffeggiandola con il collo del piede. L’inquadratura da dietro Pavard riassume quell’estetica da videogiochi in cui i palloni assumono traiettorie sparate da cannoni militari.
Fuori ruolo Pavard se l’è cavata bene, anche se ha mostrato alcuni limiti: tecnici contro il Belgio, dove Hazard ha messo alla prova le sue qualità nell’uno contro uno difensivo; fisici contro la Croazia, dove Mandzukic e Rebic hanno messo alla prova un corpo atletico ma non al livello dei più fisici attaccanti contemporanei. Limiti che magari sarebbero stati ancora più evidenti se Pavard avesse giocato centrale difensivo.
Proprio per questo sarà interessante che piega prenderà, ora, la sua carriera: verrà considerato un difensore centrale o un terzino destro? Il presidente dello Stoccarda lo ha dichiarato incedibile, che significa più che altro che non lo cederà a una cifra che non sia folle (quindi attorno ai 50 milioni di euro). Il Tottenham, a quanto pare, ci sta pensando.