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Hype João Mário
23 ago 2016
23 ago 2016
Per la sesta puntata di Hype: Joao Mario, nuovo centrocampista dell'Inter.
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Cercare di tracciare la parabola di João Mário sul web, perdersi nel mare magnum delle voci che si sono avvicendate attorno alla sua figura nel presente della sua carriera, significa rischiare di convincersi che non è esistito nessun João Mário prima degli Europei di Francia, o addirittura prima delle trattative successive agli Europei, e che la sua essenza più profonda sia fatta della stessa materia di cui sono fatti i rumors del mercato: intorno a lui si è scatenato un uragano che sembra destinato a cambiare in maniera definitiva e irrevocabile la nostra percezione del centrocampista portoghese. Dopotutto non è di questi sacrifici che si nutrono le sacre fauci del Dio Hype?

 

Di colpo, le aspettative riposte in lui si sono fatte sproporzionate: dopo il trionfo dello Stade de France, del quale il numero dieci della Seleçao non è stato personaggio iconico ma al quale è stato inequivocabilmente funzionale, abbiamo assistito a una lievitazione esponenziale del presunto grado di

: nessun grande club europeo, dal Real Madrid al Manchester United, sembrava davvero completo senza di lui. Ciò ha ovviamente avuto una ripercussione direttamente proporzionale sulle sue quotazioni, con il risultato che oggi in molti sanno che João Mário costa all’incirca 40 milioni di euro senza sapere precisamente

li valga, e

si possa giustificare il suo valore.

 

Cesária Évoria, la più celebre cantante dell’Isola di Capo Verde, nella quale affondano anche le radici di João Mário, la regina della

, che calcava i palcoscenici a piedi scalzi, cantava «se conosco una verità al mondo è che la vita ha una sola vita». Per lo Sporting, quella

, in quanto unica, per un lungo periodo è stata praticamente incommensurabile. E quando s’è deciso che bisognava proprio dargli un prezzo, quel prezzo è stato identificato come qualcosa di vicino ai 40 milioni di euro.

 

Ammesso che ci sia qualcuno disposto a pagarli, e che la presidenza dello Sporting abbia davvero voglia di lasciarlo partire.

 

 



 

La domanda

, ovviamente, non ha senso, perché in questo caso dovremmo accettare il fatto che la risposta possa essere bilaterale: la bilancia dei benefici del trasferimento a un club europeo di vertice non penderebbe solo dalla parte dello Sporting Club, ma anche da quella di João Mário, perché corrisponderebbe grosso modo a una

. Soprattutto, sarebbe un ripagarsi mutuo. Quando a giugno, prima dell’inizio degli Europei, tra lui e il presidente Bruno de Carvalho la situazione ha cominciato

, credo che João Mário sentisse

di essere poco valorizzato, più che poco pagato.

 

João Mário è nato ad Oporto, ma già a nove anni si è trasferito allo Sporting che gli ha dato qualsiasi cosa un ragazzo di nove anni che vuole diventare calciatore professionista possa desiderare: una famiglia, la possibilità di allenarsi in un centro sportivo all’avanguardia, di ritagliarsi un percorso sportivo basato sulla fedeltà. Lo Sporting lo ha fatto esordire in Europa, appena diciottenne, contro la Lazio, quando non era ancora neppure in pianta stabile nella rosa della prima squadra.

 

Luis Filipe Duarte Gonçalves oggi è l’allenatore in seconda di Abel Xavier sulla panchina del Mozambico, ed è stato uno dei primi tecnici a guidare João Mário. Uno dei ricordi più nitidi che ha è legato al suo carattere, all’ambizione, al fatto che fosse sempre il primo a rincuorare i compagni quando dovevano lasciare il campo.

 

come un calciatore che sarebbe potuto passare inosservato - come di fatto è successo, fino all’esplosione dell’anno scorso - per la calma, il rispetto e la dignità che metteva, da quattordicenne, nel suo vivere una quotidianità imperniata sul calcio: tutt’altro che un protagonista, una primadonna.

 

È interessante provare a conoscere le persone cercandone i tratti nei giudizi di chi li ha conosciuti prima che diventassero

: nessuno di noi rimane per sempre lo stesso, ci evolviamo, però qualcosa di fondo persiste. Forse è una questione di DNA. O forse, più semplicemente, è che la materia grezza di cui siamo fatti, al di là degli affinamenti e delle sfumature, sopravvive nell’attesa di risalire in superficie, quando si spalanca una faglia.

 

 



 

Gonçalves è anche colui che ha preso João Mário dal centro della difesa e l’ha spostato a centrocampo: «Anche se non gli piaceva giocare da 6, io credo che sia molto bravo in quella posizione. Però ci piaceva sperimentare: a volte giocava da 6, a volte lo mettevo da 8».

 

Il 6, nel discorso di Gonçalves, identifica il centrocampista difensivo. L’8, la mezzala che giostra in una zona intermedia, tra le linee e tra le corsie, con la naturale tendenza a sfociare in un impiego sulla linea laterale. Il processo evolutivo di João Mário spiegato con i numeri.

 


Gli esordienti dello Sporting Club de Portugal campioni nazionali nel 2003/4: João Mário è il primo in piedi da destra.


 

Un aspetto che emerge prepotente dalle parole di Gonçalves è che João Mário, fin da ragazzo, fosse dotato di un forte senso critico. Racconta come gli facesse domande sul gioco, sulla tattica, sui movimenti che avrebbe dovuto fare.

 

In un’intervista João ha raccontato che da piccolo era

, cicciottello. Che gli mancava la velocità, e che un po’ anche per questo è stato costretto ad approfondire la sua intelligenza nel gioco. “Intelligente” è la parola che sceglierei se dovessi ridurre in un bignami iperstriminzito la sua essenza in campo. La stessa parola che ha usato spesso Rui Bento, tecnico dell’U21, per definirlo, e che lo stesso João Mário si sente in diritto di arrogarsi quando dice, rispetto al suo gioco, che «è tutta questione di conoscere le proprie caratteristiche, e la mia è quella di pensare a giocate sempre diverse». Sul sito dello Sporting, quando gli chiedono di descriversi in tre aggettivi, uno è «intelligente». Gli altri due “testardo” e “amichevole”.

 

Gonçalves racconta che il suo principale pregio era infondere calma alla manovra: anche in situazioni di palle «com ratos», un’immagine che usa per descrivere quelle situazioni in cui la palla rimbalza tra una selva di gambe come se fosse spinta dai topi, sapeva già dettare i tempi; e se è vero che gli mancava la velocità nelle ripartenze, di certo non si può dire gli facesse difetto quella di pensiero.

 



 

Una classica giocata «da 8», con piedi particolarmente di velluto, senza una particolare predisposizione alla corsa ma con una velocità di pensiero cristallina: la strategia «all-eyes-on-me» serve a creare i presupposti per l’illuminazione di una giocata che innesca la transizione offensiva.


 

La polivalenza è un’altra espressione, in campo, dell’intelligenza di un giocatore: sapersi adattare a più ruoli, a più situazioni di gioco, presuppone avere le caratteristiche giuste per farlo ma anche il sufficiente livello cognitivo per capire

e

ricoprire quei ruoli diversi.

 

Della sua posizione sulla fascia, quella attuale, quella con la quale è esploso nella Liga NOS dell’anno scorso, dice: «Ormai è la mia posizione normale, quella alla quale sono più abituato, ma il fatto di essere polivalente mi permette di avere idee sempre nuove, e di darne alla squadra e agli allenatori».

A differenza di altri talenti della sua generazione, come Bernardo Silva, André Gomes o Ivan Cavaleiro, João Mário non ha scelto di emigrare all’estero per cercare di esplodere, e nella ricerca dell’esplosione, magari, anche crescere; ha accettato di trasferirsi in prestito proprio al Vitórial, dove è stato allenato da Vitor Paneira, ex ala destra del Benfica.

 



 

L’avventura di João Mário con la maglia della Nazionale portoghese, per ora, è tutta circoscritta nel lasso di tempo che intercorre tra due partite contro la Francia.

 

Nella prima, quella dell’esordio con la Nazionale maggiore nel 2014, subentrò a Cristiano Ronaldo e dopo qualche minuto andò a guadagnarsi un calcio di rigore, risucchiando Pogba in una trappola tessuta con intelligenza, appunto, e malizia.

 

https://www.youtube.com/watch?v=Aen6AxyYx3c&feature=youtu.be&t=85

 

In quel momento João aveva già giocato un Mondiale U20 e un Europeo U19, ma con lo Sporting aveva appena iniziato ad inanellare le prime presenze in prima squadra. Aveva 21 anni e un profilo discretamente diverso da quello di qualsiasi altro centrocampista portoghese passato per la Seleçao nell’ultimo lustro.

 

Nel 2015 João Mário è stato uno dei protagonisti dell’Europeo U21 vinto dalla Svezia. In

di quel torneo, Lorenzo De Alexandris lo descriveva come un giocatore che, per quanto non corresse molto, sapeva far muovere, al posto suo, la sfera, brillando negli spostamenti in fase di non possesso: capace di materializzarsi tanto nel ruolo di regista occulto quanto in quello di terminale - a sorpresa - del giro palla.

 

Mi sono reso conto, guardando un po’ di partite di João Mário, che la sua intelligenza esce prepotentemente alla luce, oggi che lo conosciamo un po’ di più come giocatore offensivo, anche nelle letture che intraprende quando è coinvolto nella fase difensiva.

 

Ho scelto due azioni particolarmente significative. La prima, è un’immagine che assume tutto un altro valore se interpretata alla luce della parabola della sua carriera: guardatevi questa chiusura su Kiese Thelin.

 

https://www.youtube.com/watch?v=Aen6AxyYx3c&feature=youtu.be&t=85

 

La stessa intelligenza, testimonianza di un retaggio difensivo mai dimenticato, l’avremmo ritrovata un anno più tardi, sull’

del palcoscenico continentale, in quella che finora chiude il cerchio della sua esperienza Nazionale, la finale che gli ha permesso di alzare la Coppa Delaunay.

 

All’inizio del secondo tempo supplementare Griezmann innesca una pericolosa ripartenza. João Mário, dalla posizione di mezzala sinistra, con un movimento che deve esserglisi inscritto sottopelle, scala quasi in posizione di terzo difensore centrale, e

.



 

Giuliano Adaglio, nella nostra

, ovviamente ha inserito João Mário, definendolo un «centrocampista moderno, ala-non-ala alla Koke, duttile tatticamente».

 

Se a Fernando Santos va riconosciuto il merito di averlo consacrato nella posizione di ala-non-ala, quello di aver pensato per primo a questa posizione per João Mário va invece ascritto a Jorge Jesus, che nello Sporting della stagione scorsa, anche per via della

Carrillo che ha portato il giovane peruviano fuori rosa, ha di fatto

João Mário a un’esistenza più marginale, fuor di metafora, sulla linea laterale.

 



 

L’interpretazione perfetta del ruolo di laterale moderno: recupera basso, scambia con gli altri ingranaggi della catena, si propone in progressione.


 

Nel 4-4-2 con il quale Fernando Santos ha iniziato gli Europei, il ruolo di laterale destro nel centrocampo

, a rombo, inevitabilmente è finito per essere il suo.

 

Con la metamorfosi tattica che ha interessato il reparto centrale dei portoghesi durante il torneo, però, João Mário ha saputo ritagliarsi uno spazio importante soprattutto come mezzala destra in un 4-3-3; oppure, se preferite, come

, dal momento che i suoi cambi di posizione con Renato Sanches su quella fascia sono diventati un marchio di fabbrica del gioco di Santos.

 



 

Non un neofita neppure da mezzala, comunque: qua con lo Sporting, in posizione di mezzala sinistra, catalizza su di sé tutta l’attenzione degli avversari prima di scaricare sul laterale d’attacco (Schelotto, destro come lui, in una speciale messa in scena di una catena intera a piede invertito) che affonda nella difesa del Braga e serve a Teo una palla facile facile.


 

Il ruolo di intermedio, più vocato all’associazione che non all’incursione, sembra quello che più valorizza le caratteristiche di João Mário: velocità e flessibilità, agilità e resistenza. Gli dà la possibilità di scambiare una fitta trama di passaggi (ha una percentuale di passaggi riusciti tremenda, che supera il 90%), di imprimere alla manovra la lucidità della sua visione, ma anche di sfruttare al meglio la velocità di pensiero in una sfida continua al record del mondo di lancio del contropiedista più forte del mondo. Non trovo sia un caso che Paulo Futre, uno dei suoi predecessori con il Dieci della Nazionale sulla schiena, per quanto un diverso tipo di Dieci (ma va anche detto in una diversa Nazionale), lo abbia investito come «

».

 

Quella di mezzala, inoltre e soprattutto, è la posizione che gli permette più di ogni altra di fare sfoggio della sua fisicità. A differenza di molti esempi recenti di

nel centrocampo del Portogallo, tipo Meireles o Miguel Veloso o Joao Moutinho, João Mário fa dell’uso del suo corpo nello spazio, nonostante non sia un gigante e non appaia come fisicamente fuori dalla norma: il corpo è un mezzo più che il fine.

 


Perché il fine ultimo, nel Portogallo, così come in qualsiasi squadra che abbia tra le sue fila un attaccante

, è sempre quello di metterlo nelle condizioni di trasformare una palla scolpita nel fango e nel sudore, e rivestita nel velluto, in un’opera d’arte da esporre all’Ermitage di San Pietroburgo.

 



 

João Mário incarna tutte le caratteristiche della mezzala moderna, dinamica e tecnica: come Lucio Dalla immaginava per i motori, è «veloce e silenzioso / con lo scarico delicato». Non solo ha piedi molto educati, che gli permettono di portare palla con uno stile che somiglia a quello brasiliano ma ripulito dalla sua patina glam grazie a una profonda cultura del lavoro; detiene una visione di gioco limpida, una strategia di decision-making che nella vorticosità imposta dal gioco moderno rifugge tuttavia l’improvvisazione, e in più, dalla sua, c’è il fatto che sia decisamente a suo agio nella fase di possesso.

 

Viene quasi da pensare che per l’Inter, che lo insegue da settimane, possa essere un acquisto imposto da De Boer, più che richiesto da Mancini. Come ha

, De Boer ama tenere gli esterni molto larghi e alti, quasi a calpestare le linee laterali: l’obiettivo della sua strategia è quello di metterli nelle condizioni di crossare o cercare ripetutamente lo scambio con l’intermedio arrivato a supporto. In questo tipo di gioco il ruolo degli intermedi, si comprenderà, è fondamentale: non possono limitarsi al minimo sindacale, ma assumersi le responsabilità di ogni giocata. Sono il perno attorno al quale ruota la manovra offensiva. Per realizzare un gioco del genere servono calciatori duttili e atletici: il leit-motiv che ha accompagnato la costruzione della squadra nerazzurra, che sembra essere (a eccezione del solo Banega) proprio la fisicità, quasi per una fortuita coincidenza finisce per calzare a pennello a João Mário.

 

Se la sua firma dovesse arrivare prima della fine del mercato, João Mário si troverebbe, forse suo malgrado, chiamato a essere il simbolo di molti aspetti della nuova Inter : perfetto esponente di quell’Idra a tre teste che sembra dover essere ogni centrocampista nerazzurro (fisicità marcata, qualità nel possesso, brillantezza delle letture di gioco), investimento ambizioso della nuova proprietà, e infine giocatore perfetto per inserirsi negli schemi di De Boer per capacità tecniche, dinamiche e



 

Se non possiamo usare João Mário per spiegare cosa sia l’hype, ditemi allora voi chi.

 

 

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