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Harden è tornato ed è ancora più mostruoso
18 dic 2019
18 dic 2019
Anche quest’anno James Harden ha raddrizzato la stagione degli Houston Rockets dopo un inizio difficile.
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Foto di Scott Taetsch/Getty Images
(foto) Foto di Scott Taetsch/Getty Images
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Un anno fa gli Houston Rockets avevano iniziato la stagione difendendo in modo ignobile, finendo tra le ultime dieci squadre della lega per punti subiti a partita e percentuale concessa al ferro. Dopo aver richiamato il loro ex assistente difensivo (Jeff Bzdelik, attualmente ai New Orleans Pelicans) e dopo che James Harden aveva iniziato a fare il mostro le cose si erano aggiustate, e i Rockets erano diventati grossomodo quello che ci aspettavamo da loro.Questa stagione i Rockets hanno fatto esattamente quello che hanno fatto l’anno scorso, solo che come per ogni sequel che si rispetti hanno dovuto le fare cose come prima ma più in grande e più in fretta, tanto la trama la conoscevamo già. Dopo le prime due settimane, nelle quali i Rockets erano in linea per diventare la peggior difesa della storia subendo più di 120 punti in tre partite consecutive, Harden e Westbrook hanno deciso che per il bene loro e della loro ritrovata alleanza in campo era bene mettere da parte le cattive abitudini del passato, piegare la ginocchia in difesa e non concedersi passaggi a vuoto. Oggi la difesa dei Rockets è la 15esima nella lega, un risultato che tenuto conto dell’inizio di stagione catastrofico ha qualcosa di entusiasmante. Ma l’ennesimo deja vù nella trama di questi Rockets è che Harden è tornato a fare il mostro, più terrificante che mai, e la sua squadra ancora una volta ne ha avuto bisogno come l’ossigeno.Harden e il resto del pianetaCome spiegato da Kirk Goldsberry nel suo libro Sprawlball, in un gioco di possessi limitati come è il basket 3 punti sono troppo meglio che soli 2, e le squadre dovrebbero fare tutto il possibile per cercare realizzazioni del genere.Nella passata decade le squadre NBA si sono spinte in questa direzione in tutti i modi immaginabili: con scarichi dal post, con i pick and roll scaricando sulle ali, con i penetra e scarica a ripetizione, i blocchi elevator, gli horns, qualsiasi cosa. Solo una squadra però è riuscita a costruire un attacco basato sulle triple in isolamento di un giocatore, ovvero i Rockets di Harden. Questa però è una naturale evoluzione del gioco, checché puristi e tradizionalisti ne vogliano dire. Perché se non ci fosse arrivato Harden sarebbe stato qualcun altro a farlo, ma un giocatore così fenomenale nel tenere palla per 20 secondi e realizzare triple dal palleggio (o quantomeno prendersi abbastanza falli mentre tira da tre punti) è in grado di rivoluzionare il gioco sfruttando un banale concetto matematico: i possessi che James Harden passa a prendere triple in isolamento sono più redditizi di qualsiasi altro schema elaborato che una squadra possa implementare.

Harden isolato a nove metri dal ferro con il suo diretto marcatore è la stilizzazione di una partita a scacchi con la morte.

Il risultato è ovviamente tutt’altro che piacevole agli occhi di chi guarda, ma questo non deve comunque distrarci da quanto straordinario sia il giocatore o che razza di numeri sia in grado di mettere. Harden sta mantenendo cifre surreali in questa stagione: 38.7 punti a partita di media, la miglior stagione per un umano che non sia Wilt Chamberlain abbia mai realizzato, 4 punti a partita in più di Kobe Bryant nell’anno di totale metempsicosi solista. Il confronto con i contemporanei è imbarazzante: Harden segna 9 punti a partita in più di Giannis Antetokoumpo, il secondo giocatore in classifica marcatori e autore anche lui di una stagione spaziale, ma la distanza tra i due è pari alla distanza tra Giannis e Buddy Hield, il 23° in classifica. Harden sta raggiungendo cifre del genere senza tirare particolarmente bene (34% da tre punti) e passando più tempo di chiunque al mondo raddoppiato sistematicamente, ma ciò nonostante riesce a sfiorare i 40 punti a partita con una costanza di applicazione quasi robotica: 14 triple e 14 liberi tentati a partita, una vera e propria macchina.Senza di lui Houston non esisterebbe per come è, e probabilmente starebbe lottando per l’ottavo posto come metà della conference invece che giocarsi il secondo alle spalle degli imprendibili Los Angeles Lakers. I restanti Rockets sono solo un’estensione di Harden, un pallido riflesso del suo gioco. Quando lui si siede il resto della squadra affonda: 105 di rating offensivo e 111 di difensivo per -6 di Net Rating, numeri buoni per la 26^ squadra della NBA; ma quando Harden è in campo la musica cambia completamente e i numeri lo testimoniano, salendo a 115 di rating offensivo e scendendo a 106 di difensivo e un totale di +9, rendimenti buoni per valere il miglior attacco e la decima miglior difesa della lega.Se negli anni passati Houston costruiva il proprio sistema attorno ad Harden, mai come in questa stagione è Harden il sistema. Nel primo periodo della stagione gli avversari si limitavano a mandare il loro miglior difensore su Harden giocando al proprio meglio su tutti gli altri, ma era una soluzione a dir poco scadente. Quando ha davanti un solo difensore Harden realizza serate insensate, in cui segna 50 punti a volontà (o 60 in tre quarti) senza che gli altri abbiano davvero possibilità di arginarlo. Non c’è davvero nulla schematicamente che si possa fare: concedergli un minimo di spazio vuol dire mostrare il fianco a una tripla in step back; giocare aggressivi in marcatura significa saltare ad una delle sue finte e concedergli tre liberi in successione. https://www.youtube.com/watch?v=qUdwXG3D8SA

Quando Harden riesce a mettere insieme tutte le parti del suo gioco diventa un cubo di Rubik con il fondoschiena curvo.

Ultimamente allora le squadre stanno provando a variare lo spartito, raddoppiando Harden sistematicamente quando supera la metà campo o sul finire del cronometro. La tattica del raddoppio sistematico era stata usata anche su Steph Curry nella sua seconda stagione da MVP, ma mai come quest’anno gli avversari hanno già pronto il raddoppio ancor prima che la palla superi la metà campo. In questi casi Harden si limita a scaricare sui propri compagni che devono giocare in 4 contro 3, ma tendenzialmente è un rischio che le squadre sono per ora disposte a prendersi, dato che spesso i Rockets hanno due non-tiratori come Westbrook e Capela in campo.Non è chiaro se i risultati siano positivi o meno, dato che non esistono metriche apprezzabili per tracciare situazioni di gioco del genere e paragonarle ad altre più standard. Second Spectrum (il sistema di tracciamento di riferimento) ha difficoltà a distinguere un raddoppio efficace da un difensore di un altro giocatore che orbita attorno al portatore di palla per seguire il suo marcatore diretto.L’obiettivo di questa tattica è palese: togliere la palla dalle mani di Harden e sfidare gli altri quattro giocatori a segnare. I risultati ottenuti fin qui non sono terribili: dalla gara con Denver del 20 novembre scorso, quando i raddoppi sono arrivati in modo sistematico, i Rockets hanno un record di 6-5 e le palle perse di squadra sono salite notevolmente. D’altronde improvvisamente Clint Capela e Danuel House si sono ritrovati al centro dell’area con la palla tra le mani e 18 secondi sul cronometro: non è facile per loro improvvisarsi playmaker dopo essere abituati a non pensare in campo. Quando però i Rockets riescono a battere il raddoppio con facilità, le cose peggiorano per gli avversari: Westbrook sta trovando improvvisamente delle linee al ferro aperte, e nel caso arrivino dei difensori in aiuto significa che c’è senz’altro un tiratore libero sul perimetro. Non è un caso che si stia assistendo a una crescita esponenziale delle percentuali dei compagni: P.J. Tucker sta registrando il 44% da 3 in stagione e un insensato 51% dagli angoli; Austin Rivers sta viaggiando oltre il 40% nel periodo dei raddoppi; Ben McLemore è vivo e lotta insieme agli altri (con una selezione di tiro emblematica: 27 tentativi da tre punti e nessuno da due punti nelle ultime tre partite); Danuel House Jr, tornato di recente da un infortunio, sta tirando col 43%, e non è chiaro se il ritorno di Eric Gordon dalla riabilitazione al ginocchio (38% da 3 nelle sue stagioni a Houston) pianterà il chiodo nella bara dei raddoppi. Sebbene i risultati in campo siano quantomeno sostenibili, questa tattica sta giocando in favore dei Rockets, che stanno logorando di meno il fisico di Harden e lo stanno allenando ad una possibile tattica che potrebbe vedere ai playoff. Lo stesso Mike D’Antoni non si è detto preoccupato della cosa, paragonandola al giocare contro una difesa a zona. Ha anche aggiunto che più tempo Harden farà pratica contro questo tipo di accorgimento tattico, più facile sarà per gli altri avere tiri aperti.L’anno scorso il Barba aveva trascinato la baracca da solo per troppo tempo, tentando oltre 700 triple in step back nel corso della stagione (un numero più alto di qualunque altra SQUADRA); se quest’anno potrà permettersi di arrivare ad aprile meno usurato dai compiti offensivi che sta sostenendo, pur mettendo su delle cifre da record - è sempre bene ricordarlo -, i Rockets potrebbero davvero essere il dark horse per vincere l’anello a giugno.Aggiustare la difesaEsattamente come l’anno scorso, i Rockets hanno messo a posto la difesa con l’andare del tempo. A inizio stagione avevano concesso la cifra record di 158 punti in quattro quarti agli Washington Wizards e 46 punti in un unico quarto ai Miami Heat, mettendo in campo la peggior difesa della lega e lasciando agli avversari il 43.1% da tre punti. Non ci hanno messo moltissimo però a trasformare una difesa catastrofica in una quantomeno nella media.Non c’è stato nemmeno bisogno del ritorno di Bzdelik nella cabina di regia difensiva, ma si è trattato più che altro di un coordinato aumento dell’impegno dei vari giocatori nella propria metà campo. Se nelle prime partite Harden era tornato quello degli anni passati, in cui si addormentava lontano dal pallone e perdeva di vista il marcatore diretto, nell’ultimo mese la sua presenza in difesa è tornata quella della passata stagione. Harden è costantemente in top 10 della lega per deviazioni su 100 possessi e secondo in assoluto per rubate a partita; inoltre accetta di buon grado i cambi sui blocchi e non ha problemi a tener testa a giocatori ben più grossi di lui in post. Durante la striscia vincente di inizio novembre - complice un calendario benevolo - il rating difensivo dei Rockets con lui in campo aveva raggiunto un incredibile 94.8, cifre che non raggiungono nemmeno i Bucks con Giannis in campo.La chiave della difesa di Houston è e rimane sempre Clint Capela, il miglior protettore del ferro e il miglior difensore in post della squadra. Durante le prime partite dell’anno D’Antoni aveva provato a tenere i Rockets con una versione più piccola per dare sfogo ai contropiedi di Westbrook, Rivers e Harden, limitando Capela a 26 minuti a partita. Dopo che i risultati difensivi erano stati tremendi, i minuti di Capela sono schizzati a oltre 35 a partita. La presenza della salma di Tyson Chandler e il miglioramento lento e graduale di Isaiah Hartenstein hanno garantito un minimo di profondità a un reparto lunghi ridotto fino all’osso. I Rockets hanno inoltre limitato la frequenza di Russell a rimbalzo difensivo, una tattica che a OKC veniva sfruttata moltissimo per aprire rapidamente il contropiede, e i numeri a rimbalzo di Capela sono aumentati in contemporanea ai miglioramenti difensivi dei Rockets. Escludendo il periodo iniziale, adesso Clint tocca punte del 30% a rimbalzo, il secondo dato nella lega.

L'abilità dello svizzero nell'essere efficace sia a protezione del canestro, sia quando è costretto a cambiare sul perimetro rimane la chiave di volta della difesa di Houston.

A completare il quintetto, PJ Tucker e Russell Westbrook sono quelli che alzano l’intensità difensiva della squadra. Tucker è il miglior difensore overall della squadra, mentre l’impegno di Russell, pur essendo più incostante, è di grande aiuto nel trascinare anche tutti gli altri. In ogni caso sono loro due le presenze più vocali e più aggressive sui portatori di palla avversari, e negli stop decisivi delle partite dei Rockets spesso c’è il loro zampino.Il miglioramento difensivo dei Rockets sembra un trend tutto sommato sostenibile: la loro comunicazione verbale è migliorata enormemente, e la guarigione alla spalla di Capela unita all’infortunio subito da Gordon (una blessing in disguise per la loro difesa) ha raddrizzato quella che sembrava una stagione difensiva destinata al disastro.I soliti insospettabiliAl netto delle loro disavventure, quindi, i Rockets sono sempre quelli degli scorsi anni, e il passaggio da Paul a Westbrook ha solo cambiato il loro stile di gioco più che rivoluzionarlo. In una stagione accecata dalle luci di Los Angeles troppe squadre passano colpevolmente in secondo piano: conviene ricordarsi che Houston è pur sempre l’unica squadra che ha messo alle strette gli Warriors nell’era Durant, nonché la squadra del miglior giocatore degli ultimi tre anni (con una pesante candidatura per essere nei primi due per la lotta al MVP anche per il quarto anno consecutivo).Se l’idea che vi siete fatti dei Rockets è rimasta alle prime tremende settimane di regular season, il consiglio è quello di rimettervi in pari sul cosa sta succedendo ora. Non è sicuramente lo spettacolo adatto ai puristi del gioco, ma escludere interamente la squadra di Harden e Morey dalla lotta all’anello in favore di qualche brillante novità è una decisione davvero poco lungimirante.

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