
Quando Lewis Hamilton ha fatto pubblicamente visita per la prima volta a Maranello, scattando quella foto, qualcuno ha addirittura ipotizzato che la Ferrari avesse ingaggiato un pilota più grande di lei stessa. È un’esagerazione per molti aspetti, ma è clamoroso notare come Hamilton, attivo in Formula 1 dal 2007, abbia da solo praticamente la metà dei numeri della Ferrari, debuttante nel 1950: i titoli mondiali piloti sono 15-7 per la Rossa, le vittorie 248-105, le pole position 253-104.
Quello tra Hamilton e la Ferrari sembrava un matrimonio nobiliare tra i due rampolli di due famiglie in declino; il tentativo gattopardesco di riportare entrambe dove credono di meritare di stare nella scala sociale - mentre nel frattempo il mondo è cambiato. La Formula 1 presenta tuttavia dinamiche complesse: per una scuderia ritornare al successo dopo anni difficili è un’operazione che richiede tempo e una riprogrammazione interna tutt’altro che immediata. L’acquisto di un pilota fenomenale dovrebbe rappresentare solo l’ultima parte del processo, l’operazione conclusiva della ricostruzione.
È forse questo il vero errore della dirigenza della Ferrari. L’ingaggio di Hamilton non è stata una pura mossa di marketing, come ha incautamente suggerito qualcuno – un marchio come Ferrari non ha bisogno di marketing – ma rischia di essere una scelta precipitosa, in anticipo su altri investimenti sul comparto tecnico che potevano essere fatti prima o in contemporanea – come nel caso di Michael Schumacher nel 1996.
A distanza di mesi, e con 12 Gran Premi nel frattempo trascorsi, il sentimento attorno alla mossa è cambiato radicalmente. Si è passati dall’hype iniziale al chiedersi se fosse opportuno per la Ferrari l’investimento per un pilota che, dati alla mano, si sta dimostrando meno competitivo del suo predecessore, Carlos Sainz. Puntare su un quarantenne presuppone un coefficiente di rischio non inferiore a quello di scommettere su un giovane debuttante, restringendo volontariamente l’orizzonte temporale della propria programmazione.
La Ferrari ha puntato tutto su un pilota che al momento, in un angolo non troppo remoto della sua psiche, e dopo difficoltà così grandi come quelle di quest’anno, può avere pensieri legittimi su un proprio ritiro. Hamilton ha già dimostrato tutto, che interesse avrebbe a sporcarsi ancora le mani? E una scuderia così importante, sempre in lotta nel campionato costruttori, con ingenti somme di denaro di premi in ballo, non può permettersi di smarrire la competitività di uno dei propri piloti. In questi giorni Hamilton ha dichiarato di "sentirsi completamente inutile".
COSA SUCCEDE DAVVERO AD HAMILTON
Al momento della sua presentazione con la Rossa, i toni di Hamilton erano decisamente diversi. Come suo solito non aveva esitato nell’autocelebrazione: «Probabilmente io e Charles siamo la coppia più forte della storia della Formula 1». Un'affermazione inattaccabile sul piano statistico – visto che nessuna coppia di piloti ha mai detenuto, sommate, 113 vittorie nelle rispettive carriere – ma molto più discutibile su quello sportivo. Una dichiarazione del genere sottintendeva però una convinzione importante nella testa di Hamilton: non tanto una sopravvalutazione del suo livello generale e/o di quello di Leclerc, quanto soprattutto la certezza di essere ancora, a 40 anni compiuti, competitivo quanto meno alla pari con uno dei piloti più veloci e talentuosi del mondo.
Eppure bisognava aspettarsi, e ce lo attendevamo anche noi, che almeno sul giro secco da qualifica l’inglese avrebbe potuto pagare dazio nei confronti del suo compagno di squadra. Non solo perché Leclerc, come testimoniato anche nell’ultima qualifica in Ungheria, è probabilmente il migliore al mondo – almeno alla pari di Verstappen – in questo fondamentale, ma anche perché una tendenza che si è potuta osservare negli ultimi anni in Formula 1 è stata quella che ha visto i piloti più anziani cedere innanzitutto proprio sul giro secco.
Le vetture di ultima generazione, essendo diventate relativamente meno impegnative dal punto di vista fisico, non lo sono più come una volta sulla distanza lunga della gara, dove anzi l’esperienza nella gestione dei vari momenti può essere di grande aiuto. Per un over 35 la perdita di riflessi e più in generale di “esplosività” nel giro secco, dove ogni fattore tecnico, meccanico ma anche atletico viene massimizzato all’estremo, appare più incisiva. Questa tendenza, oltre al caso più eclatante di Hamilton, è stata visibile ad esempio su Fernando Alonso e forse ultimamente anche su Nico Hülkenberg, sempre più in difficoltà in qualifica rispetto al giovane compagno Gabriel Bortoleto.
Nel 2021, ultima stagione in cui ha lottato per il Mondiale, Hamilton ha conquistato soltanto 5 pole position in 22 Gran Premi; da quel momento a oggi ne ha ottenuta solo una – clamorosa – in una qualifica “normale”, in Ungheria nel 2023, più quella nella qualifica sprint del Gran Premio di Cina 2025, convertita poi anche nella vittoria della gara sprint, formidabile eccezione di una stagione da incubo fino a questo momento. L’efficace interpretazione della difficilissima curva 1 del circuito cinese è stato probabilmente l’unico vero momento in cui Hamilton ha fatto la differenza con il suo talento e la sua esperienza nella stagione in Ferrari, prima di tornare a essere sconfitto da Leclerc già dalla successiva gara della domenica, sulla stessa pista.
L’appannamento di Hamilton non nasce quindi per colpa della Ferrari, ma sembra seguire un declino già in nuce nel periodo 2022-2024; nel suo periodo in Mercedes in coabitazione con George Russell. L’ultima stagione, in particolare, è stata rappresentativa di questa ultima fase della sua carriera: Hamilton ha perso per 19-5 il confronto con Russell in qualifica – che ha ottenuto anche 4 pole position, nessuna invece Hamilton – e per 5-1 quello nelle qualifiche sprint. D’altro canto c’è la gara, dove Hamilton è stato autore di grandi prestazioni. Alla fine ha perso di misura il duello in classifica piloti (22 punti).
Il fisiologico e progressivo peggioramento delle proprie prestazioni corporee non sembra tuttavia sufficiente a spiegare. Come è possibile che il pilota più vincente di sempre, da molti considerato il migliore di tutti i tempi, sia ora arrivato a soffrire così terribilmente a centro gruppo. La Formula Uno sembra anche premiare la longevità, di recente, nonostante i debutti avvengano mediamente a età più precoci rispetto a prima.
Vincendo a Spa nel 2024, a 39 anni, 6 mesi e 21 giorni, Hamilton è stato il più anziano vincitore di un Gran Premio di Formula 1 negli ultimi 30 anni. È quindi già diventato un fenomeno di longevità, dopo esserlo stato più in generale nell’intera storia di questo sport. Il suo record più impressionante, al di là di quelli più famosi, è forse quello di essere stato l’unico pilota ad aver ottenuto almeno una pole position e almeno una vittoria per 15 stagioni consecutive, non sempre quindi con una vettura dominante come la Mercedes post-2013.
Si è parlato del fatto che uno dei motivi del calo delle sue prestazioni sia proprio quello di non aver digerito l’attuale ciclo tecnico di vetture, iniziato nel 2022 e in scadenza alla fine di quest’anno. Il regolamento ha voluto limitare la quantità di carico aerodinamico proveniente dalle ali e dalle appendici in favore di una deportanza generata nel fondo della vettura, il cosiddetto “effetto suolo”. Hamilton stesso, dopo il Gran Premio di Arabia Saudita di quest’anno, ha definito questa epoca della Formula 1 come «la peggiore per me. Spero che dal 2026, con un minor effetto suolo, le cose possano cambiare un po’».
Guardando un po’ in retrospettiva la sua carriera è possibile ritrovare almeno in parte questa tendenza che lo vuole più competitivo nelle stagioni nelle quali i regolamenti consentivano, invece, un maggior carico aerodinamico nella zona delle ali e in generale nella parte superiore della vettura. Hamilton fu straordinariamente competitivo nei suoi primi due Mondiali, quello sfiorato nel 2007 e quello vinto nel 2008, arrivando da debuttante a rivaleggiare alla pari contro un Alonso al suo massimo splendore. Una fase più tentennante della sua carriera fu invece quella dopo un ritorno a vetture più “semplici”, post-2009, prima di rispolverare le sue migliori prestazioni di sempre probabilmente nel biennio 2017-2018, di nuovo caratterizzato da una maggiore aerodinamica.
Questi fattori non sembrano tuttavia sufficienti per spiegare il motivo per cui Hamilton stia soffrendo il confronto con Leclerc, come non era mai avvenuto con alcun compagno di squadra incontrato nel corso di tutta la sua carriera. Tra l’altro, rispetto alla scorsa stagione dove in gara riusciva spesso a esprimere un ritmo superiore a quello di Russell, anche su questo aspetto Hamilton sta perdendo con costanza il duello con il pilota monegasco. Questo inverno, al momento del suo arrivo in Ferrari, era stato sottolineato come i rispettivi stili di guida fossero più simili rispetto a quelli molto spesso divergenti di Leclerc e Sainz, con la speranza che le scelte tecniche potessero maggiormente convergere tra i due piloti. Hamilton ha sempre fatto la differenza in frenata ma mai come quest’anno si trova, invece, in difficoltà proprio in quel momento dell’approccio alla curva.
QUALE FUTURO IN FERRARI?
La Ferrari ha fornito a Hamilton in Belgio una nuova pastiglia dei freni Brembo, ma i passi in avanti sperati non sono arrivati. La questione è allora probabilmente più legata al freno motore: Hamilton ha evidentemente sofferto molto il passaggio dal propulsore Mercedes a quello Ferrari nella gestione del freno motore in scalata, nel momento della frenata. Tra tutti i rischi dell’ingaggio di un quarantenne, per giunta proveniente da una scuderia per la quale è stato sotto contratto per ben 12 stagioni consecutive, c’è proprio quello di mettersi in casa un pilota ormai irrigidito dagli anni, privo della flessibilità che appartiene ai piloti più giovani.
È da queste dinamiche che nasce quell’atteggiamento di Hamilton di provare a mettersi a capo della scuderia, a tirare in prima linea le fila dello sviluppo della Ferrari del nuovo ciclo tecnico che partirà nel 2026, ben sapendo di essere agli ultimi fuochi. Non potendo mettere sul piatto i risultati in pista di quest’anno, Hamilton ha tentato di rivendicare il suo status di leggenda: «La squadra negli ultimi anni ha avuto piloti straordinari come Alonso e Vettel che però non hanno vinto un titolo con la Ferrari, e io mi rifiuto che questo accada anche a me», sottolineando anche di aver mandato agli ingegneri delle indicazioni utili sugli aspetti da migliorare per l’anno prossimo.
Hamilton ha sicuramente più esperienza di Leclerc, ma bisognerebbe chiedersi a questo punto se ha senso seguire in tutto e per tutto un pilota che da ormai tre anni e mezzo, e in particolare in quest’ultimo a parità di macchina, sta ottenendo meno del monegasco. La Red Bull è diventata dominante per alcune stagioni pur avendo sacrificato completamente il secondo pilota per assecondare al massimo lo stile di guida molto estremizzato di Verstappen: tentare di seguire strade tracciate anche da Hamilton potrebbe certamente aiutare a recuperare almeno una parte della competitività di un pluri-campione del mondo, ma al tempo stesso potrebbe limitare l’espressione del talento più brillante di Leclerc che in molti casi, nell’ultimo anno e mezzo, sembra essere sbocciato a piena maturazione, con più continuità e consapevolezza.
I due piloti della Ferrari hanno dichiarato proprio negli ultimi giorni di star vivendo rispettivamente la migliore e la peggiore stagione delle loro carriere in Formula 1. E ancora una volta la Rossa è chiamata a una scelta difficile: isolare tecnicamente il pilota più pagato dei due, una condizione ovviamente per lui inaccettabile, o accontentarlo per ottenere risultati di spicco con il rischio di non riuscire però a vincere con nessuno dei due? Di certo se la Ferrari diventasse una vettura dominante e molto facile da portare al limite, ne trarrebbero beneficio entrambi, ma in condizioni tecniche incerte e di minore competitività c’è bisogno a volte di prendere strade che, inevitabilmente, vadano a scapito di qualcuno.
Le gerarchie sportive del prossimo ciclo tecnico sono ancora impronosticabili, ma il fatto che saranno decisive per tracciare il futuro del pilota più vincente di sempre in questo sport è un’assoluta certezza. L’ultimo grande obiettivo di Hamilton resta l’ottavo titolo mondiale, che gli permetterebbe di scalzare definitivamente anche Michael Schumacher. Il tempo rimasto però sembra quasi esaurito.