Dopo l’affermazione e il fallimento del progetto Superlega si è parlato molto di videogiochi ed esports come unico settore attrattivo per le giovani generazioni, e quindi come mondo dominante nel futuro. Molto spesso, però, si parla di esports come un monolite, quando invece assomigliano più che altro a una galassia di realtà diverse, ognuna con i propri punti di forza e di debolezza. Per questa ragione ho pensato fosse utile una guida per orientarsi all’interno di questa galassia, parlando degli esports più importanti, a partire dai tre che rappresentato i veri e propri pilastri del circuito competitivo legato ai videogiochi: cioè Starcraft II, cioè “l’esports d’oriente” (cioè seguito maggiormente nei paesi orientali, a partire dalla Corea del Sud, la patria per eccellenza degli esports), CS:GO, quello d’occidente, e infine League of Legends, il primo ad aver saputo unire i giocatori delle due parti del mondo.
In ogni caso, definire quali siano gli esports più importanti significa entrare in un campo minato composto dagli orgogli e dalle gelosie delle community dei singoli videogiochi, giustamente fiere ognuna del proprio mondo. Anche l’utilizzo di criteri oggettivi non sempre comporta un accordo totale: è più importante il montepremi o la struttura competitiva? La possibilità di fare carriera a livello professionistico o il numero di spettatori dei vari eventi? L’analisi si può portare avanti su due binari: quello del giocatore professionista, o aspirante tale, da un lato, e quello dello spettatore e appassionato dall’altro.
Gli esports infatti non vivono in maniera conflittuale il rapporto tra competitività e intrattenimento, come succede con gli sport tradizionali in Europa, e sono naturalmente dei contenitori di intrattenimento in cui troviamo sia i tornei che le dirette streaming di content creator e influencer. Il confine tra le due cose non è così definito come negli sport tradizionali. Fortnite, come abbiamo raccontato qui, ha eliminato ogni confine tra la competizione nuda e cruda e lo spettacolarizzazione del medium videogioco, portando l’esports a un nuovo e più alto livello di attenzione mediatica verso il pubblico di massa. Tuttavia ciò che troverete in questa classifica riguarderà esclusivamente i titoli esports più competitivi, quelli con un circuito di tornei dalla struttura ben definita e organizzata che permette a chiunque, giocatore singolo o squadra che sia, di arrivare a sfidare i migliori.
La Top10 dei montepremi di tornei esports distribuiti nel solo 2020: dati The Esports Observer
Il secondo aspetto chiave da considerare è il numero di spettatori, ovvero quanto interesse genera un determinato titolo esports. Spesso è un aspetto legato al montepremi: la curiosità di sapere quale squadra o giocatore guadagnerà di più “giocando al PC” (o alla console) spinge gran parte del pubblico a seguire un evento. Altre volte è la capacità degli organizzatori di saper raccontare e creare delle linee narrative, delle storie, delle rivalità tra giocatori e squadre tali da suscitare interesse nello spettatore, che sia un appassionato navigato o un neofita del titolo in questione. Ultimo aspetto che non può essere non preso in considerazione è il contributo dato da un determinato videogioco alla giovane storia degli esports, in un percorso ovviamente ancora in itinere. Ecco, allora, quali sono i principali titoli esports di oggi.
Starcraft II: “l’esports d’oriente”
L’esports, inteso come unione tra intrattenimento e competizione, e non semplicemente come “torneo di videogiochi”, è nato in Corea del Sud. Era il 1998, da poco era uscito Broodwar, l’espansione di Starcraft, il primo capitolo RTS (strategico in tempo reale) a tema fantascientifico di casa Blizzard che permetteva di scegliere tra tre razze da giocare: Zerg, Terran o Protoss. A lanciarlo come il titolo esports per eccellenza, però, è la trasmissione dei primi tornei in diretta nazionale sulla TV coreana. Il successo è immediato e i giocatori diventano delle star mediatiche, trattati come veri e propri teen idol. Già nel 2005 si stima che circa 120.000 persone assistono, sul lungomare di Busan, alla finale della Starcraft Proleague Championship tra SK Telecom T1 e KTF MagicNs (poi diventati KT Rolster).
Lungomare di Busan: circa 120.000 persone, secondo le stime, seguono la finale della Starcraft Proleague Championship nel 2005.
Nel 2010 arriva Starcraft II, il secondo capitolo seguito da tre diverse espansioni. Nel frattempo Starcraft è già diventato uno dei più importanti titoli esports, questa volta passato dalle TV allo streaming: sono proprio le dirette dei giocatori sulle varie piattaforme a dare un primo impulso alla nuova era del gaming competitivo. Le competizioni si distribuiscono su due circuiti principali: l’Intel Extreme Masters (IEM) e la World Championship Series (WCS). Il primo organizzato da ESL, il più importante tournament organizer al mondo, il secondo direttamente da Blizzard, publisher del videogioco. Nonostante le WCS abbiano una certa “ufficialità”, dato che sono organizzate proprio da Blizzard, l’IEM viene percepito allo stesso livello, sia per qualità competitiva in quanto partecipano gli stessi giocatori, sia per spettacolo organizzativo. Nell’arco di dieci anni il montepremi dell’IEM è salito dai 30mila dollari del 2011 ai 400mila del 2019, mentre le fasi finali della WCS sono partite da subito con un montepremi di 250mila dollari nel 2012 fino a raddoppiare con 500mila distribuiti nel 2019.
Dall’uscita di Starcraft II tutti i montepremi più alti sono quasi sempre stati conquistati da giocatori coreani, con il solo Kim "sOs" Yoo capace di imporsi per due volte. Le uniche eccezioni sono rappresentate dal finlandese Joona "Serral" Sotala, primo non coreano ad arrivare in finale di WCS e a vincere, e dall’italiano Riccardo “Reynor” Romiti, secondo alle WCS 2019. Discorso identico per l’IEM: in nove edizioni a vincere è sempre stato un coreano, tra cui figurano anche il già citato “sOs” e Lee "Rogue" Byeong Yeol, unici due giocatori ad essersi laureati campioni del mondo nei due diversi circuiti.
Alcuni dei migliori momenti di Reynor.
Una rivoluzione epocale avviene a cavallo tra il 2019 e il 2020, quando si è deciso di unire i due circuiti in un’unica competizione, l’ESL Pro Tour. Una decisione storica a cui si aggiunge l’altrettanto storica vittoria finale dell’italiano “Reynor”, che abbiamo intervistato qui proprio all’indomani del raggiungimento di questo traguardo. Reynor è il secondo non-coreano a vincere il mondiale di Starcraft II ma il primo a conquistare l’Intel Extreme Masters di Katowice in un gioco dominato da sempre dai coreani.
Counter-Strike: GO: “l’esports d’occidente”
Nato da una mod di Half-Life, la sua prima versione debutta nel 1999, attirando da subito l’interesse di migliaia e migliaia di giocatori. Una crescita esponenziale per un titolo che conquista in particolare il pubblico occidentale (da qui la mia definizione di “esports d’occidente"). Mentre in oriente spopola lo strategico Starcraft, con la sua versione Broodwar, in Europa e Nord America è Counter-Strike a diventare sinonimo di gaming competitivo. Una popolarità dettata principalmente dalla sua semplicità: due squadre da cinque giocatori, da un lato i terrorist e dall’altra i counter-terrorist, che si sfidano su una mappa con l’obiettivo rispettivamente di far esplodere la bomba o di evitare che accada. Nessuna abilità particolare dei personaggi, tutti uguali: ciò che cambia sono le armi, dalla semplice pistola al fucile di precisione, passando per i mitragliatori. CS:GO ha anche un sistema interno di valuta monetaria e guadagno, dipendente dall’esito di ogni round di gioco.
È un titolo che mette in risalto due aspetti del gaming competitivo: l’abilità singola di ogni giocatore, in particolare la sua prontezza di riflessi, e la sinergia tattica della squadra. Per anni ha rappresentato un titolo esports unico nel suo genere, non solo per il realismo del movimento delle armi nel momento dello sparo ma anche per la diversità strategica offerta da ogni singola mappa. Un lungo percorso iniziato con il primo torneo Major della storia: quello che nel 2001, nel circuito della Cyberathlete Professional League Winter Championship, è stato vinto dai Ninjas in Pyjamas, una delle organizzazioni storiche della scena competitiva internazionale.
La vittoria dei NiP all’IEM Oakland 2017.
Mentre il gioco si evolve, passando a Counter-Strike: Source, e un nuovo motore grafico figlio di Half-Life 2, e infine a Counter-Strike: Global Offensive, a evolversi era la stessa scena competitiva. A intuirne per prima le potenzialità furono gli organizzatori dell’Intel Extreme Masters, abbreviato come IEM, che nel 2006 crearono un circuito competitivo con i migliori giocatori e le migliori squadre al mondo. Oggi CS:GO offre diverse possibilità a livello competitivo con un montepremi da primo della classe. Nel solo 2020, nonostante l’era Covid-19 e l’impossibilità di svolgere eventi dal vivo, Counter-Strike: GO è stato l’esports che ha distribuito il più alto montepremi con 14,75 milioni di dollari totali. L’ESL One, l’ESL Pro League, l’IEM e infine Flashpoint, l’ultimo arrivato, sono i principali circuiti oggi esistenti, alcuni con un montepremi di addirittura un milione di dollari in totale per singolo evento. Non sono inferiori i cosiddetti Minor che distribuiscono ai vincitori anche 250mila dollari.
La semplicità del gioco si riflette anche sugli spettatori, sia dal vivo che da casa. Le finali dell’IEM di Katowice, in Polonia, sono sempre sold-out con un pubblico di 15mila spettatori che urla a ogni singola giocata. Discorso simile per le trasmissioni in streaming: Counter-Strike:GO detiene il record del numero di spettatori su un singolo canale per un evento esports, battuto più volte. Nel 2018 più di 1,8 milioni di persone hanno guardato simultaneamente la finale della ELEAGUE Major aspettando le giocate dei propri idoli.
Alcune delle migliori azioni di Dev1ce con gli Astralis.
Giocatori come Nikola "NiKo" Kova, Patrik "f0rest" Lindberg o Robin "flusha" Rannquist hanno fatto la storia di CS:GO, chi più chi meno a seconda delle varie “epoche” storiche che il titolo ha attraversato. Marcelo "coldzera" David e Gabriel "FalleN" Toledo sono stati i protagonisti dell’epopea dei Luminosity Gaming e degli SK Gaming, i team brasiliani più vincenti di sempre. Olof "olofmeister" Kajbjer è stato il fiore all’occhiello dei Fnatic durante la loro serie di vittorie, mentre Nicolai "dev1ce" Reedtz, considerato da molti uno dei migliori giocatori di sempre, ha condotto gli Astralis alla vittoria di tutti i tornei più importanti, conquistando per primi quello che viene chiamato Intel Grand Slam: un premio di un milione di dollari al primo team che vince quattro tra i principali tornei nell’arco di 10 eventi consecutivi. Da qualche giorno appena, però, dev1ce ha lasciato gli Astralis per passare ai Ninjas in Pyjamas, detentori di un record storico e ancora ineguagliato: i NiP sono stati capaci dal settembre 2012 all’aprile 2013 di vincere 87 mappe consecutive nei tornei in LAN, fermati infine dai Virtus Pro.
Il nome più caldo di oggi è però un altro, nuovo, specchio della nuova generazione che avanza: Mathieu "ZywOo" Herbaut, francese classe 2000, premiato per due anni di fila nel 2019 e nel 2020 dal prestigioso portale specializzato HLTV come il miglior giocatore. Sotto contratto con i Vitality, ZywOo ha guadagnato finora in carriera quasi 375mila dollari dai soli tornei.
Di sicuro CS:GO rimane il titolo che più permette la scalata verso l’élite, partendo dalla propria cameretta per arrivare a sfidare i migliori dal vivo nei grandi palazzetti da 10mila posti. Un circuito che permette ancora a tutti di competere quindi, basandosi esclusivamente sulla qualità competitiva della squadra e non solo sulla sua forza economica.
League of Legends: il trait d’union tra oriente e occidente
Senza dubbio il titolo con il circuito competitivo più strutturato esistente al momento, l’unico a essere stato in grado di andare avanti, quasi senza problemi, anche durante il difficile periodo Covid-19 (sì, è stato difficile anche per gli esports). Unico titolo, inoltre, ad aver disputato una finale mondiale dal vivo con pubblico durante la pandemia. È successo al Pudong Stadium di Shanghai il 31 ottobre 2020: 6mila spettatori, muniti di mascherine, estratti a sorte su più di 3 milioni di richieste.
League of Legends è il MOBA (acronimo che sta per Multiplayer Online Battle Arena)più seguito al mondo, intuitivo e fruibile nella sua semplicità per tutti (come vi abbiamo raccontato qui): gli scorsi mondiali hanno registrato un picco di spettatori contemporanei di 45,95 milioni e una media di 23,04 milioni ogni minuto.
Il Pudong Stadium di Shanghai dove si è disputata la finale dei Worlds 2020 di League of Legends.
La scena competitiva è suddivisa per regioni geografiche o nazioni: Europa, Cina, Corea del Sud e Nord America le principali, seguite da Vietnam, Sud-Est Asiatico, America Latina, Brasile, Turchia, Russia e stati limitrofi, Oceania. Campionati professionisti gestiti quasi tutti in via diretta da Riot Games, publisher del gioco. Vanta una struttura competitiva definita e capillare dai circuiti amatoriali a quelli professionistici. È il titolo che più di tutti ha creduto nel sistema franchising, relegando la partecipazione alle principali leghe non solo all’abilità dei giocatori quanto alla disponibilità economica delle squadre: per partecipare alle quattro principali leghe competitive è infatti necessario pagare una cifra tra gli 8 e i 10 milioni di dollari, senza possibilità di arrivarci tramite un sistema di promozione e retrocessione.
Nel 2020 League of Legends ha distribuito 8 milioni di dollari di montepremi in tutto il mondo, classificandosi al terzo posto tra tutti i videogiochi che hanno un proprio circuito competitivo. Ogni stagione è suddivisa in due split, indipendenti l’una dall’altra e intervallate dai due principali eventi internazionali: tra lo Spring e il Summer il Mid-Season Invitational; dopo il Summer i Worlds, il mondiale di fine stagione.
Accanto a leggende viventi come Lee Sang-Hyeok, conosciuto come “Faker”, di cui abbiamo già raccontato la storia, sono ormai numerosi i giocatori diventati figure pubbliche al pari degli sportivi tradizionali, almeno in Corea del Sud. Martin “Rekkles” Larsson, giocatore passato dopo otto anni dai Fnatic ai G2 Esports, due squadre rivali. Rasmus “Caps” Winther, Kim “Doinb” Tae-sang, Luka “Perkz” Perkovic, fino a nuovi nomi come Jang “Nuguri” Ha-gwon, nell’arco di un anno finalista sia nel campionato coreano LCK che in quello cinese LPL, Barney “Alphari” Morris o il giovanissimo Javier Prades “Elyoya” Batalla, premiato di recente come il miglior esordiente della lega europea. Alcuni di loro si scontreranno a breve al Mid-Season Invitational di Reykjavik.
La Top10 delle migliori giocate di Rekkles.
Call of Duty: l’esports per console
Tutti i titoli esposti finora hanno un denominatore comune: si giocano su PC con mouse e tastiera. Su console, invece, il gaming competitivo ha fatto molta fatica a imporsi. Solo pochi titoli negli ultimi vent’anni sono riusciti a ritagliarsi un proprio spazio e tra questi chi lo ha fatto con costanza, crescendo ed evolvendosi sempre di più, è stato senza dubbio Call of Duty, titolo che abbiamo esplorato in modo più approfondito qui.
La scena competitiva di CoD inizia nel 2013 con la prima edizione della Call of Duty Championship. Organizzato direttamente da Activision, è il principale circuito esports su console: solamente FIFA riesce a competere per struttura e organizzazione, seppur abbia una storia decisamente più breve come titolo competitivo.
eUnited VS OpTic Gaming - CWL 2019 VEGAS FINALS.
Call of Duty ha anche un’altra particolarità. Il videogioco su cui competono i migliori giocatori cambia di anno in anno con l’uscita del nuovo capitolo di Activision. Non solo: il numero di giocatori per squadra è cambiato più volte, passando da quattro a cinque e viceversa più di una volta. Nessun freno invece sul montepremi: già la prima edizione dei CoD Championship nel 2013 registra un milione di dollari complessivi solo per la fase finale. La stagione 2017 ha invece totalizzato un montepremi di 4 milioni di dollari, salito fino ai 6 della scorsa stagione 2020. Quella dell’anno scorso però è stata anche la prima stagione che ha adottato il sistema franchising: una vera e propria rivoluzione per un titolo che era sempre stato aperto a chiunque, a prescindere dalle proprie risorse finanziarie. Adesso, invece, ci sono dodici squadre, ognuna associata a una città di appartenenza: gli Atlanta Faze, i Chicago Huntsmen, i Paris Legion, i Minnesota Rokkr o i London Royale Ravens.
Per fornire un’idea più ampia dell’importanza mediatica di Call of Duty basti pensare che i cinque giocatori dei Dallas Empires, squadra vincitrice della Call of Duty League 2020, sono tutti nella Top10 dei player di esports che hanno guadagnato di più lo scorso anno secondo la classifica di The Esports Observer: inaugura al secondo posto della classifica James “Clayster” Eubanks con 373mila dollari, seguito da Ian “Crimsix” Porter, Indevir “illeY”Dhaliwal, Anthony “Shotzzy” Cuevas-Castro e infine al sesto posto Cuyler “Huke” Garland con 347mila dollari. Se escludessimo gli scacchi, che in un certo senso nel 2021 possono essere considerati a tutti gli effetti degli esports, questi pro-player occuperebbero tutte le prime cinque posizioni.
La Top10 di The Esports Observer su chi ha guadagnato di più dai soli montepremi di tornei esports nel 2020.
Nel 2021, però, probabilmente la presenza dei giocatori di CoD nella Top10 diminuirà: Activision ha infatti deciso di tornare nuovamente a quattro giocatori titolari per squadra dai cinque dell’anno precedente e soprattutto di spostarsi su PC. Si utilizza ancora il controller, niente mouse e tastiera, ma da quest’anno si abbandonano le console a favore dei computer, più spendibili a livello di sponsor.
Una tradizione, però, è rimasta: chi vince il titolo mondiale ottiene l’anello celebrativo, come già avviene nel basket e nel football americano. Con la vittoria 2020 con i Dallas Empire, i già citati “Clayster” (che nel frattempo ha cambiato maglia accettando la corte dei New York Subliners) e “Crimsix” hanno raggiunto Damon “Karma” Barlow, ormai ritiratosi dalle scene, nella classifica All-time diventando gli unici tre giocatori ad aver vinto tre campionati. Dietro di loro l’unico che potrebbe raggiungerli è adesso Bryan "Apathy" Zhelyazkov, attualmente ai Los Angeles Guerrillas.
Dota2 vs Fortnite: gli esports dei record
Se parliamo esclusivamente di montepremi non possiamo escludere dalla corsa due colossi, seppur non rappresentino esports di primo piano. Dota2 è un altro MOBA, stesso genere di League of Legends, nato qualche anno dopo ma diventato tra i più seguiti, almeno una volta all’anno. Vanta infatti una community, sia di videogiocatori che di spettatori assidui, più ristretta rispetto ad altri titoli ma più affezionata, e che una volta ogni 12 mesi in occasione del The International, il mondiale di Dota2, cresce enormemente. Allo stesso modo nel tempo sta crescendo l’interesse per la competizione che mette in palio un montepremi complessivo da decine di milioni di dollari (l’ultima edizione disputata, quella 2019, aveva un montepremi complessivo di più di 34 milioni di dollari).
Solo una squadra, nella storia, ha saputo vincere due volte il torneo: gli OG, vincitori sia nel 2018 contro i cinesi PSG-LGD che nel 2019 contro i Liquid nel derby europeo. Rendendo, di fatto, i cinque componenti del team tra i giocatori che hanno guadagnato di più nella storia degli esports: Anathan "ana" Pham, Topias Miikka "Topson" Taavitsainen, Sébastien "Ceb" Debs, Jesse "JerAx" Vainikka e Johan "N0tail" Sundstein.
Gli OG, vincitori del torneo di Dota2.
Il record di montepremi distribuito in un’intera stagione appartiene però a Fortnite, il titolo che ha aperto al mainstream il settore esports. Una diffusione talmente di massa che ha permesso di costruire un circuito competitivo accessibile a chiunque dalla propria cameretta, con tornei ufficiali settimanali e mensili per un montepremi totale per la stagione 2018-2019 di 100 milioni di dollari, messi sul piatto direttamente da Epic Games, azienda publisher del gioco. L’evento finale, disputato ad agosto 2019 all’Ashe Arthur Stadium di New York, lo stesso complesso dove si disputano gli US Open, aveva un montepremi di 30 milioni di dollari complessivi, la cui fetta più consistente è stata vinta dal giovane sedicenne Kyle “Bugha” Giersdorf che si n’è portati a casa tre. Per il momento, tuttavia, l’esports di Fornite sembra essersi fermato: una seconda stagione competitiva non c’è ancora stata e la stessa Epic sembra essere più interessata a creare contenuti e collaborazioni in-game, anche meta-mediatici come concerti (come quello di Trevis Scott) e film fruibili direttamente dentro il gioco.
Hearthstone vs MTG Arena: le carte digitali
Che cosa succede quando i giochi di carte diventano esports? Hearthstone è stato senza dubbio il titolo, targato Blizzard, che ha dato il via allo sdoganamento dei giochi di carte tra i videogiochi competitivi grazie alla sua semplicità sia di utilizzo che di fruibilità per lo spettatore. Un gioco che si è evoluto nel tempo e che ha iniziato a dettare lo standard sul come presentare un videogioco statico, mentale, strategico ma anche con una significativa componente di casualità al pubblico abituato alle azioni convulse e repentine di Counter-Strike o League of Legends. Oggi Hearthstone ha raggiunto una popolarità da decine di milioni di giocatori quotidiani, soprattutto da quando è stata pubblicata nel 2018 la versione mobile. L’esports si è strutturato in modo sempre più orientato verso la vetta della scena competitiva, creando un’elité di giocatori (tra cui, nella stagione tuttora in corso dei Grand Masters, troviamo il primo italiano che abbia mai partecipato, Simone “Leta” Liguori dei Samsung Morning Stars), per un montepremi stagionale di circa 500mila dollari.
Il successo di Hearthstone vive anche della mancanza di effettiva concorrenza. Artifact, il videogioco di carte basato su Dota2, non ha mai convinto nonostante gli sforzi di Valve. Gwent è riuscito a ritagliarsi un piccolo spazio ma senza davvero conquistare giocatori e pubblico. Legends of Runeterra, basato sui personaggi di League of Legends, al momento si trova ancora in uno stato di transizione in cui Riot Games sta cercando di comprendere come poterlo sfruttare al meglio.
Leta, il giocatore di Hearthstone dei Samsung Morning Stars vincitore del Red Bull The Br4wl nel 2019.
L’unico che in questo momento sembra essere l’avversario ideale di Hearthstone è Magic: The Gathering Arena, la versione digitale del più famoso gioco di carte collezionabili al mondo. Wizards of the Coast fin dal primo momento ha puntato in modo deciso sul futuro competitivo del proprio videogioco creando in particolare una struttura competitiva ben definita sulla cui sommità si trovano i tornei Mythic Invitational da un milione di dollari di montepremi ciascuno. La prima edizione nel 2019 è stata vinta da un italiano, Andrea “Mengu” Mengucci, già nome conosciuto nel competitivo cartaceo. Tuttavia in questo momento MTG Arena paga forse il mancato arrivo di un consistente numero di nuovi giocatori: chi gioca, per competizione o per puro divertimento, è soprattutto chi ha già esperienza con il gioco cartaceo.
Gli eredi di CS:GO: Overwatch, Rainbow Six Siege e Valorant
Counter-Strike è un titolo che ha ormai più di vent’anni. E per questa ragione è difficile prevedere quanto ancora riuscirà a rimanere un esports di punta tra gli sparatutto tattici in prima persona. Chi per primo ha provato a scardinarne la supremazia è stato Rainbow Six Siege, titolo Ubisoft che dopo le difficoltà iniziali dovute a un gioco leggermente più complesso, attendista e strategico, ha finalmente trovato il suo posto nel mondo del gaming competitivo, ritagliandosi una significativa fetta di giocatori e pubblico. È partito dal basso, organizzando prima una struttura competitiva open e su più livelli, locale, regionale e internazionale, fornendo al tempo stesso una direzione ben precisa al percorso che un player che volesse diventarne un professionista. Oggi ogni continente ha la sua lega, l’Europa ha addirittura un intero sistema di campionati nazionali legati tra loro che confluisce poi nell’European League. L’obiettivo finale, a livello globale, rimangono però i Major internazionali e il Six Invitational, il mondiale di Rainbow Six Siege a cui, per la prima volta nell’edizione 2021, si è qualificata anche una squadra italiana, i Mkers.
L’intervista di Simone Trimarchi a Torok, coach dei Mkers all’epoca della qualifica al Six Invitational.
Chi invece ha tentato, e tuttora tenta, di cercare una strada ibrida presentando un prodotto simile ma al tempo stesso differente, è Blizzard che con Overwatch ha due grandi meriti. Il primo è di aver proposto il primo titolo esports ready, pensato non solo come videogioco ma anche come titolo competitivo. Fin da subito, come avevamo già detto qui, Blizzard ha presentato Overwatch come un titolo esports, pronto a ritagliarsi il suo posto da protagonista nel settore con la prima lega esports in franchising: niente promozioni o retrocessioni, ogni squadra compete pagando una quota d’ingresso, salita dai 20 milioni di dollari del primo anno ai 30-40 per chi è entrato successivamente. Un sistema ereditato dallo sport tradizionale nordamericano, inclusa l’associazione delle varie squadre partecipanti alle città di appartenenza: è così che esistono i Los Angeles Valiant, i San Francisco Shock, i London Spitfire, gli Shanghai Dragons o i Seoul Dynasty. Nel 2021 competeranno per un montepremi totale di 4,25 milioni di dollari, all’interno di un ecosistema unico che tutela i giocatori e garantisce uno stipendio minimo a ogni professionista.
A sparigliare le carte, nel 2020 e in piena pandemia, è invece arrivato Valorant, titolo Riot Games. Con la sua semplicità e intuitività vuole porsi come l’unico vero erede di CS:GO. Design simile delle mappe (hanno assunto persino ex-designer di Counter-Strike), movimento realistico delle armi, identica natura di gioco: l’unica differenza è che i personaggi non sono tutti uguali ma ognuno ha delle abilità proprie. Si tratta, tuttavia, di un titolo nuovo che solo nel 2021 ha iniziato a fornirsi di una struttura competitiva: un sistema aperto a chiunque, fatto di tornei di qualificazione che offrono l’accesso alle competizioni più importanti. Ancora bassi i montepremi: da 50mila a 150mila dollari, a seconda della regione competitiva, il prizepool del primo Major dell’anno. Ma ad attirare l’attenzione del pubblico è la presenza già in questi primissimi anni di vita di tanti ex-giocatori competitivi di CS:GO, Rainbow Six Siege e Overwatch, convinti a proseguire, o a volte iniziare, la carriera da professionista sul nuovo titolo di Riot Games: “Mixwell”, “Wardell”, “Hiko”, “Tenz” e “Scream”, solo per citarne alcuni, hanno abbandonato gli FPS su cui avevano raggiunto la notorietà. Il motivo è semplice: non è tanto Valorant in sé come videogioco, quanto l’esperienza che Riot ha dimostrato di saper portare con sé con il circuito competitivo di League of Legends, il più spettacolare e apprezzato del mondo.
Wardell, uno dei migliori giocatori Valorant, in azione.
E gli altri
Come detto all’inizio, l’esports ormai non è più solo competizione ma un grande contenitore in cui inserire tutto ciò che è legato al mondo del gaming o dell’online, sia competizione che intrattenimento (persino gli scacchi, volendo). In questa pentola in continua ebollizione troviamo i vari titoli picchiaduro, rappresentanti di una community affezionata e coesa ma numericamente esile se confrontata ai videogiochi di cui abbiamo parlato.
Troviamo ad esempio titoli ibridi come Rocket League, a metà tra una partita di calcio e una corsa automobilistica, forse il prossimo che riuscirà a diventare di grande attrattiva per il pubblico. Alle olimpiadi di Tokyo 2020 sarebbe dovuto essere presente come uno dei due esports, insieme a Street Fighter, inseriti nel torneo pre-olimpico organizzato da Intel in collaborazione con lo stesso Comitato Olimpico Internazionale ("sarebbe” perché dopo l’annuncio del rinvio delle olimpiadi al 2021 la stessa Intel ha comunicato il rinvio del torneo, senza però ancora oggi fornire aggiornamenti in merito). Un altro esempio è Apex Legends, forse l’unico Battle Royale riuscito a diventare realmente un esports, di cui vi avevamo raccontato gli esordi qui.
E infine c’è, soprattutto, il mobile gaming. Perché l’esports ormai si gioca anche molto direttamente da cellulare, non più solo come schermo per lo streaming ma anche come joypad. Titoli come Clash Royale, Brawl Stars, lo stesso League of Legends: Wild Rift di recente uscita sono tra i dominatori delle classifiche di app e contano milioni di giocatori in tutto il mondo. Chi tra tutti sembra essere un passo avanti è PUBG Mobile, la versione per smartphone e tablet di PlayerUnkown’s Battlegrounds. Per la stagione 2021 il publisher Blu Hole ha messo sul piatto un montepremi da 14 milioni di dollari, il più alto mai registrato per un torneo esports su mobile, insieme a una struttura competitiva definita e rappresentante di quasi tutte le regioni del mondo. Con tanti cari saluti al PUBG originario che si giocava su PC, ormai surclassato in appetibilità da un fenomeno mondiale e mediatico alla pari quasi di Fortnite.
La caratteristica principale del mondo degli esports, che come abbiamo visto al suo interno è molto eterogeneo e vario, è il suo continuo cambiamento. In questo, sì, ha un grande vantaggio rispetto agli sport tradizionali, che ovviamente non possono reagire ai cambiamenti del mondo esterno in maniera così repentina.