Domani prenderà il via, in Gabon, la 31a edizione della Coppa d’Africa. Gabriele Anello, Andrea Bracco, Giulio Di Cienzo e Fabrizio Gabrielli analizzano, in 11 punti, i risvolti più interessanti, le favorite, i potenziali MVP e gli aspetti più folkloristici della più variopinta competizione continentale per Nazioni.
Il ritorno dell’Egitto dopo un’assenza durata tre edizioni può essere un ritorno in grandissimo stile?
Arrivato al Cairo quasi per caso, Hector Cúper si è rivelato subito, come Mr Wolf, l’uomo giusto al momento giusto per risolvere problemi. Sotto la sua guida, infatti, l’Egitto si è trasformato da squadra incompiuta a vera e propria mina vagante.
Il ct ha sin da subito messo in chiaro le cose: se vogliamo tornare ad essere quelli dei tre successi continentali consecutivi occorre cambiare, e in fretta. Così Cúper ha iniziato a girare il paese in lungo ed in largo assieme ai suoi assistenti, creando un database con tutti i possibili giocatori convocabili e le loro caratteristiche: un lavoro preciso e metodico, che ben presto ha dato i suoi frutti.
La qualificazione alla Coppa d’Africa è il primo risultato ottenuto nel breve periodo, ma il vero obiettivo è Russia 2018. La portata dell’impatto di Cúper sull’ambiente la spiega questo video, girato il giorno dopo il 2-0 rifilato al Ghana (i Faraoni guidano il loro girone a punteggio pieno) .
Per questa Coppa d’Africa si punta decisi sul nucleo delle due squadre dominanti in patria, Al- Ahly e Zamalek, più una buona serie di giocatori impegnati in varie leghe europee. La stella è ovviamente Mohamed Salah, clamorosamente escluso dalle nominations finali per il Pallone d’Oro africano. Ma sarebbe un errore considerare i Faraoni dipendenti esclusivamente dall’esterno della Roma. Ahmed Hassan, detto Koka, è un profilo da seguire con molta attenzione: quest’anno, con la maglia dello Sporting Braga, sta facendo molto bene. Lo stesso discorso vale per Mahmoud Hassan, soprannominato Trezeguet per la forte somiglianza con l’ex bomber juventino.
Koka e la sua esperienza portoghese.
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Possiamo considerare l’Algeria il Belgio di questa Coppa d’Africa?
Giulio Di Cienzo (@AguanteFutbol)
Tolgo subito la maschera: l’Algeria da qualche anno è la mia nazionale africana preferita, non solo come interpreti ma anche come interpretazione di calcio collettiva.
Il problema è che negli ultimi anni ha fatto una figura migliore ai Mondiali che non in Coppa d’Africa, segno che forse la concentrazione per il torneo continentale non è proprio al massimo.
L’Algeria ha effettivamente alcuni punti di contatto con il Belgio. Le due si somigliano soprattutto per la discrepanza tra aspettative e risultati, per avere una rosa di livello assoluto che però finisce in qualche modo per deludere.
Poi c’è l’allenatore. George Leekens è nato a Meeuwen-Gruitrode, in Belgio, ha giocato per il Belgio e lo ha pure allenato in due occasioni.
Infine la squadra ha come migliori giocatori due esterni e il centravanti, più o meno come il Belgio attuale con De Bruyne, Hazard e Lukaku.
Per il massimo coefficente di hipsterismo invece l’Africa può regalare di meglio.Ciò che rende l’Algeria una perenne favorita è senza dubbio la qualità diffusa: molti elementi della rosa giocano in Europa ai massimi livelli da anni (Ghoulam, Mesbah, Taïder, Bentaleb, Mahrez, Brahimi e Slimani sono nomi noti anche a chi non segue il calcio africano) e questo permette al ct di schierare una formazione tatticamente accorta, con pochi punti deboli, che in più si conosce e si amalgama bene.
Il problema principale dell’Algeria, semmai, sta proprio nella discontinuità: alterna grandi partite a prestazioni mediocri senza apparente motivo. Un salto di qualità a livello mentale potrebbe voler dire molto.
Le punte di diamante sono i giocatori offensivi: Brahimi, Slimani e Mahrez formano un tridente pericolosissimo, pieno di qualità e soluzioni.
L’osservato speciale in questa CAF sarà chiaramente il numero 26 del Leicester: l’uomo più atteso non solo dell’Algeria, ma forse dell’intera competizione, reduce da una stagione da vero e proprio Re Mida che lo ha visto vincere la Premier col suo club, come potreste aver sentito, e a livello individuale i titoli di miglior giocatore in Inghilterra secondo giocatori, tifosi e qualunque genere di premio assegnato in Africa, compreso ovviamente il Pallone d’Oro.
Classy Riyad.
Accanto a lui, potrebbe giovare del fatto di non essere al centro del palco Brahimi. L’esterno del Porto ha qualità che possono spaccare ogni partita, soprattutto se trova spazi, ma fatica ad avere continuità.
Alle loro spalle sta crescendo Ghezzal, una delle novità di questa selezione. L’esterno del Lione, che a livello giovanile ha rappresentato la Francia, potrebbe rivelarsi un’ottima carta da giocarsi a partita in corso.
Il complemento ideale per esterni così estrosi, veloci e capaci di produrre cross è un centravanti come Slimani. L’ex Sporting, oggi al Leicester con Mahrez, è una prima punta vera, con forza fisica, spirito di sacrificio, abilità nel gioco aereo e nelle sponde. Non è un caso che con la maglia della nazionale segni circa un gol ogni due partite.
Un mese con questi uomini sintonizzati sulle frequenze giuste e l’Algeria potrebbe davvero vincere la Coppa.
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A che punto è il rinnovo generazionale della Costa d’Avorio post Golden Era?
La Coppa d’Africa 2017 sarà il punto di rottura tra la vecchia generazione e quella nuova, tra coloro che han fatto la storia e chi dovrà continuarla. Non c’è Renard, che ha lasciato la panchina sostituito da Michel Dussuyer, che dopo tre stint da ct con la Guinea (di cui l’ultimo molto positivo) ha accettato la sfida di guidare gli Elefanti. Potenzialmente, è una scelta giusta: Dussuyer ha fatto benissimo con una Guinea dall’età-media di 23,7 anni all’ultima Coppa d’Africa, raggiungendo i quarti (seppur con il sorteggio).
Ci sarà la pazienza di attendere? Perché no: dopotutto la Costa d’Avorio si è finalmente liberata del fantasma della vittoria continentale, che era un obiettivo fin dal Mondiale 2006, dopo aver subito due sconfitte ai rigori in altrettante finali - Egitto nel 2006 e Zambia nel 2012, macchie incancellabili sul curriculum della generazione d’oro.
Molti hanno lasciato: Kolo e Yaya Touré, Copa Barry, mentre Drogba aveva già chiuso dopo il Mondiale 2014. Due anni più tardi, le defezioni sono ancora pesanti: davanti mancheranno Gervinho e Doumbia, ma la Costa d’Avorio ha scelto di rinnovarsi e di farlo subito.
Il nuovo capitano è Serey Die, l’età-media è di 25,4 anni e ci sono alcune novità. Bailly non è più il rookie di due anni fa, ma un giocatore del Manchester United. Franck Kessiè è sulla bocca di tutti dopo la cura Gasperini a Bergamo, mentre c’è persino l’aggiunta di Wilfried Zaha, naturalizzato negli ultimi mesi e presente all’appello.
Zaha: prima partita, primo assist.
Tutto passa da quanto velocemente questo processo di ringiovanimento sarà portato a termine. Si spera prima di subito, perché le qualificazioni Mondiali sono importanti - la Costa d’Avorio punta al quarto biglietto di fila - e perché riconfermarsi ad alti livelli sembra comunque importante per certificare che i giovani stiano facendo il loro lavoro, e che la direzione intrapresa sia quella giusta.
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Cosa manca al Senegal per puntare con credibilità al titolo?
Forse questo è il Senegal più forte di tutti i tempi, anche di quello che stupì nel mondiale nippo-coreano del 2002. In quattordici anni di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, ma - sebbene la nazionale sia cresciuta dal punto di vista tecnico - non sono arrivati i risultati tanto sperati. A Dakar, da qualche anno, si è scelta la soluzione più ovvia: coltivarsi i giocatori in casa fornendo fondi a chiunque voglia creare un settore giovanile. Il risultato è ottimo, e lo dimostra il fatto che ben 21 dei 23 convocati di oggi giochino stabilmente in Europa.
Ora però manca lo step successivo: vincere, anche a dispetto della sfortuna che sembra essersi messa tra i Leoni del Teranga e i sogni di gloria. Il girone B, con Algeria e Tunisia, potrebbe risultare fatale, soprattutto se anche lo Zimbabwe dovesse mantenere le aspettative di outsider pericolosa.
Keita Balde piazza l’asticella delle aspettative molto in alto.
Aliou Cissé è il tecnico che dovrà cercare di compiere l’impresa e, al contempo, di smorzare i facili entusiasmi della stampa locale; al suo arco ci sono frecce affilatissime, tanto che - paradossalmente - il suo compito più difficile sarà farle convivere tutte insieme. La stella della squadra, soprattutto alla luce dell’ultima stagione disputata, è Sadio Mané, terzo giocatore africano per rendimento del 2016 secondo la CAF. Il Senegal è costruito per esaltare le sue caratteristiche di imprevedibilità e velocità. Cissé è passato stabilmente al 4-3-3 rinunciando al doppio centravanti (congedando, di fatto, Demba Ba), con Mané e Keita Balde sugli esterni protetti da una mediana muscolare composta dal trio Diamé, Kouyaté e Gueye.
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Quali potrebbero essere le potenziali outsider?
Ripartire dal buon vintage (che a Tunisi è Kasperczak) o dalle delusioni (Duarte a Ouagadougou) forse non è la chiave migliore per far bene. Il Gabon è cresciuto rispetto ai quarti di finale del 2012, ma avere Aubameyang conta un filo di meno se in panchina c’è José Antonio Camacho. Certo, alzare la Coppa d’Africa avrebbe un impatto notevole sulle sue chance da Pallone d’Oro, ma questo è un altro discorso.
Ci sarebbe poi la RD Congo. Il gruppo C è duro e sfidare la Costa d’Avorio e il Marocco non è facile. Così come non è semplice rimpiazzare la perdita di Bolasie (infortunato) o di Afobe (naturalizzato per la RD, avrebbe dovuto esordire per i Leopardi, ma la Football Association ha mandato i documenti al “Congo sbagliato” e poi Afobe ha posticipato tutto, concentrandosi sulla carriera al Bournemouth).
Tuttavia la RD Congo viene dal terzo posto del 2015, dove il gruppo ha dimostrato di esser a buon punto della propria crescita. Con più o meno gli stessi effettivi, esclusi Bolasie e Kidiaba ma con M’Poku, Bakambu e Tisserand in più, i Leopardi si presentano in Gabon per riprovarci.
Bakambu troppo inarrestabile per la difesa malgascia.
Il vero fuoriclasse è in panchina: FourFourTwo aveva già inserito il ct Florent Ibengé tra i 50 tecnici del 2015, sembra un tecnico in ascesa e i giocatori credono ciecamente in lui: una combinazione rara per il calcio africano. Ora che la nazione spera di tornare ai Mondiali nel 2018 - anche grazie al lavoro di scouting su giocatori belgi o francesi - chissà che i fasti calcistici dello Zaire non tornino in voga.
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Il Cameroon è definitivamente retrocesso a potenza continentale di seconda fascia?
Andrea Bracco (@Falso_Nueve_IT)
La situazione che stanno vivendo i Leoni Indomabili nell’ultimo decennio è un mix di desolazione e rassegnazione. La federazione cambia praticamente un ct all’anno, ma permangono problemi che andrebbero risolti e sanificati alla radice: corruzione, stipendi non pagati e faide interne alla squadra. Quindi sì, quella che fu una grande potenza continentale (ricordiamo che il Camerun è la nazionale africana ad aver preso parte al maggior numero di Coppe del Mondo), oggi guarda la targa alle nuove realtà in rampa di lancio. Le porte girevoli in panchina hanno portato Hugo Broos a prendersi carico di un bel po’ di responsabilità; il belga, alla prima esperienza sulla panchina di una nazionale, è stato nominato ct nel febbraio del 2016 dopo una scrematura di curriculum online.
Broos ha sin da subito provato a rinnovare la squadra ed in Gabon si presenta con un gruppo giovane (solo sette elementi sono nati prima del 1990, il più vecchio è un classe ‘86) che recentemente - contro pronostico - ha detto la sua nel girone di qualificazione al prossimo mondiale russo. Alcune delle sue scelte sono state sofferte e contestate. Il primo a farne le spese è stato Joel Matip, escluso sin da subito dalle convocazioni di Broos per “poca motivazione”, seguito dall’ex Udinese Nyom, da Maxime Choupo-Moting e soprattutto da Alex Song, uno dei protagonisti della battaglia contro Samuel Eto’o in tempi recenti. Una faida che ha inquinato un sistema già traballante di suo.
Aboubakar come NON lo vedremo in Africa.
Però i giovani interessanti sono molti: dal talentuoso portiere Ondoa al terzino di spinta Oyongo, passando dall’esterno Salli, fino alle due punte Aboubakar - che in Turchia sta facendo bene - e N’Jie, rinato con Rudi Garcia a Marsiglia. Attorno a loro anche alcuni elementi di esperienza come Nkoulou, Siani e Moukandjo. Leoni feriti? Forse. Ma occhio al loro ruggito.
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Il Ghana può arrivare ancora lontano?
Forse il treno buono per le Black Stars è già passato. Dal 2006 - anno del primo Mondiale e dell’esplosione definitiva della nazionale - ci sono stati molti passi in avanti. I quarti di finale a un Mondiale (persi ai rigori), una finale di Coppa d’Africa nello stesso anno (persa a cinque minuti dalla fine dei 90’).
Eppure oggi c’è la sensazione che il meglio del calcio ghanese sia già alle spalle: si può sentire il rumore della dissolvenza, iniziato con lo scoccare sordo di questo pallone sulla traversa.
La squadra è ancora di ottimo livello, è tra le favorite anche in quest’edizione e la qualità-media è incoraggiante. Però nel 2010 c’erano Inkoom, un Essien sano e arruolabile, Asamoah in rampa di lancio. C’erano un altro vibe e speranze per il gruppo che aveva appena vinto il Mondiale U-20 un anno prima: ad oggi si può dire abbiano sfondato solo André Ayew e Badu. Dominic Adiyiah - MVP di quel Mondiale - oggi a malapena segna in Thailandia. Per dire.
Nelle ultime cinque edizioni, il Ghana è sempre arrivato nella top 4. Se non ha mai vinto, non è una coincidenza: qualcosa deve mancare. Senza benzina non ci si può mettere al riparo prima che faccia notte.
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Hervé Renard + Marocco = un’equazione che può funzionare?
Gabriele Anello (@nellosplendor)
Mi piange il cuore, ma Hervé Renard non può sorprenderci un’altra volta. I neutrali sarebbero impazziti, in Marocco l’avrebbero fatto re nel giro di un’ora, con tanto di stella nella Hall of Fame del calcio africano (che già meriterebbe).
Se non fosse che ci si è messa la sfortuna.
Tutto sembrava pronto per il terzo capitolo della saga “Hervé: Mission Impossible”, dopo l’incredibile trionfo con lo Zambia nel 2012 - pieno di rimandi e significati nascosti - e il job done con la Costa d’Avorio - riuscendo dove tutti gli altri avevano fallito, e senza Drogba.
La nuova avventura con il Marocco poteva rappresentare un nuovo capolavoro da scrivere: per la storia personale di Renard; perché il Marocco doveva ospitare l’AFCoN nel 2015, salvo ripensarci per l’epidemia del virus ebola con conseguente squalifica dalle edizioni 2015 e 2017 (poi il verdetto è stato limitato alla Coppa d’Africa di due anni fa); ma soprattutto perché il Marocco ha un gruppo in crescita, interessante, nonostante l’assenza di Ziyech dai convocati.
Cose che ci perderemo per colpa di Renard.
La presenza nel gruppo C di RD Congo e Costa d’Avorio “chiamerebbe” l’upset, con Renard a giustiziare i suoi ex datori di lavoro. Sceneggiatura thriller e poi tutti in finale, magari con il ct francese a sperare nel terzo titolo con altrettante nazionali. Invece, la sfortuna ha optato per la vendetta karmica: in un mese, Renard ha rinunciato per infortunio a Belhanda, Tannane, Amrabat e infine Soufal Boufal, che sarebbe stato una delle stelle di questa Coppa d’Africa.
Cose che ci perderemo malgrado Renard.
Con un 40% della propria forza persa per strada, cosa può fare Renard? Se s’inventasse qualcosa, anche solo svoltando il girone (il Marocco ce l’ha fatta una sola volta nelle ultime nove edizioni), sarebbe già da leggenda.
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Le speranze del Gabon padrone di casa sono tutte nelle mani di Aubameyang? Sì, per almeno due motivi (più uno extra). a) Aubameyang da quando è arrivato al Borussia Dortmund è cresciuto di anno in anno come lo sviluppo di un movimento allegro in una sinfonia, raggiungendo un livello che forse nemmeno il suo fan più accanito si sarebbe aspettato. Da contropiedista eccezionale con senso del gol, capace anche di sfruttare la fascia, ormai è diventato l’incubo di ogni difesa, una punta totale con doti fisiche straordinarie e piena comprensione dei propri pregi e difetti, con conseguente capacità di giocarci attorno. A livello africano il suo impatto può essere semplicemente devastante, e avere un riferimento offensivo di questo livello è sempre un fattore. b) Il Gabon ha pochi giocatori con esperienze di gioco di un certo livello, per di più quasi tutti in difesa, e una rosa abbastanza giovane: escludendo Aubameyang il nome più noto è quello di Mario Lemina. Anch’egli un fattore. Di conseguenza la punta del Dortmund, che è anche capitano, sarà chiamato a trascinare i suoi compagni con l’esempio e soprattutto coi gol, visto che è anche il miglior scorer all-time. c) Volendo c’è l’extra: a livello africano Aubameyang sta nell’elite assoluta visto che è arrivato secondo nel Pallone d’Oro nel 2014 e nel 2016, vincendolo nel 2015, e il Gabon gioca in casa. La responsabilità di cui è investito diventa chiara anche guardando il rendimento recente del Gabon. Nelle ultime due edizioni della Coppa prima non si è qualificato e poi è stato eliminato ai gironi vincendo solo la prima partita. Ovviamente indovinate chi aveva segnato? [blocco] Fabrizio Gabrielli (@conversedijulio) Dopo la slavina di serendipità del 2016 abbiamo una certa ritrosia a usare il termine Cenerentola senza credere almeno un po’ alle zucche che si trasformano in carrozza: ma i pianeti dovrebbero essersi disallineati e la Carne Da Macello potrebbe essere tornata un concetto di moda, oltre che terribilmente reale. Vediamo in che percentuali di probabilità. Uganda - Probabilità CDM: 80%. Yoweri Museveni, appena rieletto al quinto mandato, è Presidente dell’Uganda da 30 anni. Eppure, non era ancora in carica ai tempi dell’ultima partecipazione alla Coppa delle Gru (il soprannome deriva dalla gru coronata, l’uccello nazionale), nel 1978, così come nessuno dei calciatori che parteciperanno a questa edizione era ancora nato. Il plotone esotico (ci sono calciatori che militano in Vietnam, in Islanda e in Libano) guidato dal serbo Micho Sredojević si troverà al cospetto di colossi come Egitto e Ghana: complicata, la situazione. Ma è pur vero che le Gru sono imbattute negli ultimi tre scontri contro le Black Star, e possono contare sullo stato di forma di Onyango, portiere dei Mamelodi Sundowns campioni della Champions continentale nonché African Player of the Year. Molto, ma forse non abbastanza. Onyango in una bella scena dall’ultima finale di CAF Champions League. Guinea-Bissau - Probabilità CDM: 60% I Djurtus, i cani selvaggi, alla loro prima partecipazione, sono la più inattesa delle protagoniste. Talmente inattesa che l’allenatore Baciro Candé, nell’indecisione della scelta dei calciatori da selezionare, ha presentato la lista con qualche giorno di ritardo, rischiando una squalifica. Se tutti i ragazzini che dalla G-B, ex-colonia, emigrano in Portogallo per cercare fortuna nelle giovanili dei colossi lusitani poi tornassero ad abbracciare la nazionale, forse la squadra sarebbe davvero di livello assoluto, tra le migliori del continente. Guineensi famosi. Invece Edgar Ié e Agostinho Cà, per citarne due, hanno deciso di rifiutare e continuare a sognare la maglia portoghese, forse dimenticando che nel calcio, e nella vita in generale, è più facile diventare Keita Baldé che Renato Sanches. Zimbabwe - Probabilità CDM: 85% La sera prima della partenza per il Gabon i calciatori dello Zimbabwe si sono rifiutati di presentarsi alla cena di arrivederci (e buon augurio, invalidato c’è da supporre) in cui sarebbe dovuto essere presente anche il vice-presidente della Nazione. Al centro della polemica gettoni di presenza ed eventuali premi. La federazione è in semi-default già da un pezzo: nel 2016 i Warriors sono stati esclusi dalle qualificazioni mondiali a Russia 2018 per via di un debito di quasi 70mila dollari nei confronti dell’ex allenatore José Claudinei Georgini. L’economia del paese intero non se la passa meglio, sull’orlo del collasso, affetta da iperinflazione e corruzione. Nonostante il contesto che la circonda, la nazionale è calcisticamente quanto di più somigliante a quel gruppo che nei primi anni ’90 stava per conquistare, con Grobelaar e Ndlovu in campo, una qualificazione a Usa ’94. Ha giocatori di buon livello e nomi incredibilmente belli, come Khama Billiat, Knowledge “The Smiling Assassin” Musona e Marvelous Nakamba. Però è capitata nel girone con tre dei migliori cinque team africani: Tunisia, Algeria e Senegal. Forse, con tutto l’aiuto della fortuna del quale lo Zim avrà bisogno, non si dovrebbero disdegnare così le serate di buon auspicio. Tutta la knowledge di Knowledge. [/blocco] Giulio: Riyad Mahrez Visto che ho confessato il mio debole per l’Algeria, dico Riyad Mahrez. L’esterno del Leicester non ha bisogno di presentazioni, e non escluderei che in questa stagione sia stato distratto proprio dalla Coppa d’Africa oltre che dalla Champions League. Ottenere un titolo con la sua Algeria dopo aver sconvolto l’Europa col Leicester sarebbe una consacrazione oltre ogni attesa per un giocatore che fino a un anno fa era uno dei tanti. Andrea: Pierre-Emerick Aubameyang Il 2016 ha rinsaldato la mia infatuazione per PEA. Nonostante l’attaccante del Borussia Dortmund sia ormai uno degli interpreti migliori nel suo ruolo, trovo che venga ancora clamorosamente sottostimato. Gli elementi per portarsi a casa il titolo di MVP ci sono tutti. A partire dal contesto: in Gabon, davanti alla sua gente, Aubameyang avrà sicuramente le motivazioni giuste per provare a prendere per mano la squadra, ad oggi collettivo interessante in rampa di lancio. Ciò che più mi impressiona di lui è la facilità nel trovare soluzioni varie per andare in gol; in questi anni a Dortmund si è affinato ulteriormente grazie all’incontro con Klopp, ma con Tuchel è arrivata la definitiva consacrazione. E no, non era per nulla scontato nonostante le buone premesse di Saint Etienne. Gabriele: Essam El-Hadary Tra l’Egitto tri-campione negli anni 2000 e quello attuale, c’è stato di tutto: un capo di stato destituito, la primavera araba, i 74 morti al Port Said Stadium. Se si scorre la rosa dell’Egitto alla prossima Coppa d’Africa, solo quattro giocatori sono reduci dalla vittoria nel 2010. Il più importante è il capitano, nonché il più vecchio di tutta la manifestazione. Essam El-Hadary è una leggenda vivente: gioca per l’Egitto dal 1996, quando aveva già 23 anni, un’età forse “vecchia” per esordire oggi in nazionale. Didier Drogba l’ha etichettato come “l’avversario più difficile” mai incontrato e questo ragazzo diventato uomo - nato a Damietta nel 1973 - non sembra ancora aver finito di stupirci. È stato una colonna dell’Al-Ahly, ha giocato in Svizzera, in Sudan e ha fatto un provino per l’Hull City. Ha vinto quattro Coppe d’Africa e vuole la quinta. Ma soprattutto vuole arrivare a Russia 2018 per battere il record di Mondragon - «Mi alleno come se avessi ancora vent’anni» - e vincere la sua quinta Coppa, magari aggrappandosi alla traversa come fa da una vita. Fabrizio: Sadio Mané Non saprei dire in che percentuale le sorti del Senegal come collettivo pesino sulla potenziale affermazione di Sadio Mané come MVP e viceversa, ma mi sembra ci sia un legame inscindibile. Sadio, nell’ultimo scorcio di 2016, è diventato fondamentale per i Leoni di Teranga tanto quanto per il Liverpool: se lo stato di grazia con cui salta l’uomo, usa il fisico in ogni fase di gioco, esplode nelle transizioni offensive e risulta implacabile sotto porta in Premier League quest’anno godessero di una naturale prosecuzione in questa Coppa d’Africa, allora le due condizioni cui accennavo in apertura non dovrebbero faticare troppo a realizzarsi. Deve davvero valere la pena aver lasciato il Liverpool in un momento così delicato della stagione: che le maturazioni di Sadio e della sua generazione coincidano sfociando in una vittoria corale e personale mi sembra davvero l’obiettivo minimo. [blocco] Bonus Track: Power Ranking delle Maglie Il leone stilizzato, o le macchie di Rorschach policromatiche che lo compongono con le quali possiamo testare la nostra affettività e il contatto sociale col calcio africano, ci sembra pacifico, fanno di questa maglia la più cool non solo di questa, ma di tutte le Coppa d’Africa, forse. [/blocco]
Guinea-Bissau, Uganda e Zimbabwe: Carne Da Macello?
Chi potrebbe essere l’MVP della Coppa?
Egitto (Adidas) (ma Egitto Fake: 🔝): certo che sarebbe stato magnifico se l’Egitto avesse puntato alla vittoria indossando davvero questa cotta di maglia nubiana (ideata da Dahhan Sports, che è un po’ un COPA afroamericano) anziché il tartan anacronistico e geodelocalizzato che invece vestirà.
Marocco (Adidas): Classica e intramontabile, austera nella semplicità delle linee, con la stessa punta di rosso e di verde dal 1998. La maglia del Marocco è rassicurante, ti fa pensare che da un momento all’altro potrebbe spuntare Mustapha Hadji.
RD Congo (O’Neills) / Costa d’Avorio (Puma): c’è più africanità nel leopardo che fa capolino dal cacocromatico accostamento delle maglie congolesi (repubblica democratica delle) o le zanne d’elefante incrociate sulle spalle degli ivoriani?
Cameroon (Puma): Il connubio tra la società francese con sede in Germania ed il Camerun è ormai storico; ai mondiale del 2014 i Leoni Indomabili vestivano forse una delle maglie più belle della competizione, esaltate dall’aderenza (forse eccessiva?) che trasmetteva un messaggio molto profondo del tipo: “Questa non è solo una maglietta, è la nostra seconda pelle”. In Gabon il Camerun vestirà i classici colori con un leone, simbolo nella nazionale, sul petto. Un magnifico gioco con le diverse tonalità di verde, che conferma l’ottimo rapporto storico tra questa nazionale e la tradizione di maglie di alto livello.
Senegal away (Romai): Romai Sports, nata nel 2012 negli Emirati Arabi Uniti, si sta facendo un nome nel settore: sponsorizzerà la Bahrain Premier League dal 2017, ma soprattutto le nazionali. Dopo Palestina e - appunto - Bahrain, è toccato alla Giamaica. Da quest’anno, entra in vigore anche la partnership con il Senegal. Partenza ineccepible.