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Emiliano Battazzi
Guida al Mondiale: Argentina
15 mag 2014
15 mag 2014
La Selección ha assolutamente bisogno di un riscatto internazionale. Soltanto una vittoria al Mondiale potrà incoronare Messi come il migliore di sempre, e il c.t. Sabella sembra averlo capito.
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Emiliano Battazzi
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A meno di un mese dall'inizio del Mondiale in Brasile, la Guida de l'Ultimo Uomo al massimo torneo calcisticoSenza una scadenza fissa, autori di volta in volta diversi analizzeranno le squadre più interessanti del campionato, con lo scopo comune di informare su giocatori, tattiche e raccontare storie rendendo così ogni partita degna di essere seguita. Buona lettura.INTRODUZIONE«Alla mia squadra chiedo concentrazione. Un medico deve rimanere concentrato fino a 12 ore per evitare che muoia un paziente; io chiedo solo 90 minuti, niente di più.» (Carlos Bilardo, calciatore, ginecologo e allenatore della nazionale argentina campione del Mondo nel 1986) A fine 2013 si è verificata una delle più forti ondate di caldo della storia argentina, ed io ero lì in mezzo: tutte le televisioni ne parlavano e c’era chi si buttava nei fiumi, anche a costo di farsi spolpare vivo dai piranha (o palometas). Buenos Aires era talmente deserta da farmi rimpiangere Roma a Ferragosto, era il 26 dicembre e probabilmente erano andati tutti da qualche altra parte, tranne me. Ormai smarrito nel surreale silenzio del barrio Palermo, individuo un solo bar aperto, con aria condizionata, e così sia. Ci rimango per ore, scoprendo che Tévez non andrà ai Mondiali, e che la Nazionale argentina sta cambiando pelle. “Una vera squadra ha bisogno di compattezza, non bastano i giocatori più forti. Tévez e Messi non funzionano bene, anche a livello caratteriale. Sabella l’ha capito, la cosa più importante è la squadra, basta con queste accozzaglie di singoli che non si sopportano. Il Brasile è favorito, logicamente, ma noi un po’ ci crediamo. Magari anche una preghiera del Papa, sai, hai visto il San Lorenzo?” Non sono parole di un giornalista, ma del barista che mi stava servendo una Quilmes. In quel momento ho cominciato a pensare all’Argentina come rivale principale del Brasile. https://www.youtube.com/watch?v=ragj02tKOmk#t=140

Maradona e Messi giocano insieme a calcio-tennis: anche così si vede la differenza caratteriale tra i due.

MESSI E L’ARGENTINIDAD Non è il caso di girarci troppo intorno: c’è una questione Messi nella Nazionale argentina. Nonostante i numeri siano sempre dalla sua parte (37 gol in 84 partite, più di Maradona, e secondo solo a Batistuta), le sue prestazioni non hanno mai davvero convinto i tifosi, e l’assenza di trofei importanti ha contribuito ad alimentare una strana prospettiva su Messi, una prospettiva tutta argentina. In parte è colpa della sua ridotta “argentinidad”: Lionel ha abbandonato il Paese a 13 anni; non ha mai giocato neanche una partita nel campionato argentino. Insomma, è sempre stato poco presente nella vita dei tifosi argentini, e anche la sua proverbiale timidezza è vista come una sorta di distanza dalla gente. Persino la figlia del c.t. della Nazionale ha espresso il suo parere negativo: Messi sarebbe un “pecho frio”, letteralmente uno freddo di petto, ma forse dovremmo ricorrere a una terminologia molto più forte, indicando un’altra zona del corpo, ma la sostanza è la stessa: Messi non ha grinta, si nasconde. Questo è il Mondiale decisivo per la sua carriera: ci arriva dopo una stagione non particolarmente dispendiosa (da 5 stagioni non giocava così “poco”: 46 partite in tutto con il Barça), anche se condita da vari infortuni e dai misteriosi conati di vomito; si gioca in America Latina, unica area geografica-culturale nella quale l’Argentina è riuscita a vincere la Coppa. Questo è il Mondiale da vincere a tutti i costi: dopo potrebbe essere troppo tardi. Nessun numero 10 ha vinto la Coppa del Mondo oltre i 30 anni (Messi ne avrà 31 nel 2018) e tutti l’hanno vinta entro il terzo tentativo (Russia 2018 per Messi sarebbe il quarto). Zidane a 34 anni stava per rompere il sortilegio dell’età (e non l’ha fatto, per fortuna), ma Zizou aveva già vinto un Mondiale a 26 anni, ed era già l’idolo della gente. Prendeteli come indizi di come si vince una grande competizione da leader designato della squadra, l’uomo che (volente o nolente) si deve caricare tutta la pressione sulle spalle. Insomma questo è il Mondiale giusto, o forse l’ultimo, per diventare l’idolo della gente, il vero punto di riferimento dei suoi connazionali. Adesso, infatti, el jugador del pueblo è un altro: Carlos Tévez.

Chi non vorrebbe Tévez nella propria Nazionale?

TÉVEZ, IL POPULISMO E LA BATTAGLIA DI EGO Non è bastata una grande stagione nella Juventus: l’Apache non è nella lista dei 30 pre-convocati. Il movimento d’opinione per la sua convocazione era molto forte (con tanto di sito internet di supporto), ma il c.t. Sabella non si è fatto intimorire. L’idea del barista del barrio Palermo sembra coincidere con quella del selezionatore argentino: Tévez e Messi non possono convivere nella stessa squadra. Se costretti a scegliere, in molti rinuncerebbero al campione del Barcellona, non a quello della Juve. È una questione affettiva, di appartenenza. Tévez è argentino in un modo in cui Messi non potrà mai esserlo: la sua storia si inserisce nella tradizione del “pibe” di Borocotò, giornalista uruguaiano che nel 1928 sul El Grafico ha descritto le caratteristiche del tipico giocatore argentino: che impara il dribbling per strada, con la faccia sporca e con gli occhi intelligenti e ingannatori. Un modello in cui tutti si sono sempre identificati in Argentina. Tévez non gioca con la Nazionale dal 17 luglio 2011: quarti di finale di Coppa America, contro l’Uruguay. La partita finì 1-1, ma ai rigori l’Argentina perse, a sbagliare il rigore decisivo fu proprio Carlitos. Quella Coppa America fu un disastro personale per lui ma anche per l’allenatore Batista, che subì pressioni di tutti i tipi (persino dal Governatore della Provincia di Buenos Aires) per mandarlo in campo. Tévez e Messi hanno disputato insieme due edizioni della Coppa America (2007 e 2011) e del Mondiale (2006 e 2010), con l’incredibile risultato di 4 gol segnati in 17 partite dal primo, e addirittura di 1 gol in 18 partite per il secondo. Messi ha vinto un Mondiale Under 20 (2005) e un oro olimpico (2008), quando in squadra non c’era Carlos. Tévez ha vinto un Sudamericano Under 20 (2003) e un oro olimpico (2004), quando in squadra non c’era Lionel. A livello tattico, i due tendevano ad attaccare nella stessa zona di campo, sulla destra; arretravano spesso sulla trequarti, per occupare lo spazio tra le linee, calpestandosi i piedi. Ovviamente, si tratta di due giocatori che potrebbero convivere sul campo, chiedendogli dei sacrifici. Ma non c’è riuscito nessuno. Non si capisce bene chi sia il maggior responsabile di questa situazione, però nella biografia di Guardiola (Otra manera de ganar in Italia tradotto come Pep Guardiola. Un altro modo di vincere, dal nostro Dario Vismara), scritta dal giornalista catalano Guillem Balagué, c’è un capitolo dal titolo “Messi, el devorador de delanteros”, cioè Messi il divoratore di attaccanti. E anche Ibrahimović ne sa qualcosa.

Sabella ci spiega come stava per vincere contro il Barcellona di Guardiola.

METTERSI IN PROPRIO A 55 ANNI Alejandro Sabella è subentrato a Sergio Batista sulla panchina della Nazionale dopo la Coppa America del 2011. Discepolo di Carlos Bilardo, ma soprattutto storico allenatore in seconda (dal 1990 al 2007) e tattico di Daniel Passarella. Da collaboratore ha già allenato la Nazionale argentina per 4 anni (e per 5 partite, tutte perse, l’abbiamo visto anche in Italia, al Parma, nell’autunno del 2001), insomma è uno che sa già come si prepara un Mondiale. A 55 anni, nel 2009, Sabella decide di diventare grande e fare il passo più importante della sua vita: essere un allenatore vero e proprio, secondo di nessuno. Nella stagione d’esordio con l’Estudiantes de La Plata (la squadra di Verón) vinse la Coppa Libertadores. L’anno dopo vinse anche il Torneo Apertura e nel frattempo riuscì a mettere in grande difficoltà una delle squadre più forti di tutti i tempi: il Barça di Guardiola, nella finale della Coppa del Mondo per club, dicembre 2009: mancava solo un minuto all’inaspettato trionfo, quando Pedro riuscì a pareggiare. Ai supplementari, Messi segnò il definitivo 2-1, l’Estudiantes perse quella partita. Dal 2011 allena la Nazionale argentina, sperando di ottenere risultati migliori di quando era assistente nel 1998 e la Selección venne eliminata ai quarti di finale dall’Olanda. Per ora sembrerebbe sulla buona strada: 32 partite ufficiali, di cui 19 vittorie, 9 pareggi, 4 sconfitte, per una media superiore ai 2 punti a partita; il girone di qualificazione ai Mondiali vinto con 32 punti, davanti alla Colombia. Nonostante tutto, la stampa non lo ama, anzi: persino la decisione di comunicare la lista dei 30 pre-convocati proprio di martedì 13 (giorno considerato sfortunato in Argentina) è stata aspramente criticata. Almeno sappiamo che non è scaramantico. Sabella ha provato circa 70 giocatori in meno di 3 anni: sono tanti, eppure adesso ha le idee molto chiare.

Il 4-3-3 atipico dell’Argentina: si trasforma spesso in un 4-2-3-1, con Gago e Mascherano davanti alla difesa. Higuaín tende a muoversi per allargare le difese avversarie, permettendo gli inserimenti di Messi, Agüero e Di María.

I VANTAGGI DEL TRASFORMISMO L’ultima partita della Nazionale argentina ai Mondiali, quelli del 2010, è stata una disfatta: 0-4 contro la Germania, nei quarti di finale, a Città del Capo. Era una grande squadra, allenata da Maradona, che faceva la fase difensiva con soli 6 giocatori. Per la Germania fu una passeggiata. Il successore di Maradona, Batista, fu schiacciato dal peso e dall’importanza di Messi: provò a copiare il modulo del Barcellona, sistemando Messi come falso nove, una mossa che non diede i frutti sperati. Sabella è ripartito da lì, per capire tutti gli errori, ed è riuscito, con fatica, con lentezza, a trovare un equilibrio. Oltre a provare molti giocatori, il d.t., "director técnico", come dicono loro, nel corso delle qualificazioni ha provato diversi moduli (persino il 5-3-2, contro la Bolivia, a La Paz, forse per l’altitudine), con il risultato che adesso la sua squadra sa giocare in vari modi anche nel corso della stessa partita ed è una delle squadre tatticamente più fluide del Mondiale brasiliano. Sin dal suo esordio, Sabella ha scelto il 4-2-3-1 come modulo base: l’assenza di un regista vero lo ha spinto verso l’adozione del doble pivote (Mascherano-Gago), con Messi dietro l’unica punta Higuaín. È un modulo che spesso viene riproposto, con Di María sulla fascia sinistra e Agüero sulla destra; oppure, con Messi sulla fascia destra e Di María a fare il pendolo dietro la punta centrale. Nelle ultime partite, il modulo preferito di Sabella sembra diventato il 4-3-3, con una specie di diamante a centrocampo: Mascherano è il vertice basso, Di María l’interno di sinistra, come accadeva sempre nel Benfica e quest'anno ogni tanto anche nel Real Madrid, con Gago interno destro. In attacco, Messi è libero di muoversi, partendo dalla posizione di trequartista, dietro le due punte Higuaín ed Agüero. Quando si esce dalla lavagna e si finisce in campo, i due moduli tendono a fondersi: Gago si abbassa spesso per giocare da secondo centrocampista; Di María sostiene la fase offensiva attaccando la profondità sia sulla sinistra che al centro; Messi tende a spostarsi verso destra, con Agüero sulla sinistra che prova ad allargare la difesa avversaria.

Quando l’Argentina attacca, Rojo rimane basso a creare una difesa a tre, coperta centralmente da Mascherano. Zabaleta diventa quasi un’ala, per poter dare ampiezza alla manovra; Agüero e Higuaín allungano la difesa avversaria, aprendo spazi per Messi.

LA FASE OFFENSIVA In questo contesto, la duttilità di Messi è fondamentale: può fare il vero playmaker offensivo, tra le linee, per ricevere i passaggi di Gago o Mascherano e allargare il gioco sulla fascia sinistra per Di María (Gago-Messi-Di María, la combinazione che vedrete spesso, se non sempre, durante le partite dell’Argentina), aiutando nell’impostazione bassa del gioco; può inserirsi in area di rigore, per ricevere i cross di Di María e così sfruttare gli spazi aperti da Higuaín e Agüero; può giocare da falso centravanti, portandosi via almeno un centrale difensivo, creando lo spazio per gli inserimenti del Kun e Di María. A tutto questo unite la possibilità di allargarsi sulla destra, dribblare tutti, rientrare sul sinistro e piazzarla all’incrocio. Forse Sabella è riuscito davvero a far sentire Messi protagonista della Nazionale, organizzando la squadra in modo che Lionel riesca ad essere sempre al centro del gioco. I 10 gol segnati nel girone di qualificazione, solo uno in meno del capocannoniere Suárez, lo dimostrano. Nelle partite di qualificazione, il tridente Messi, Agüero e Higuaín ha avuto un rendimento da 1,5 gol a partita. Le difese avversarie possono iniziare a preoccuparsi. https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=Yin8ZQtje3c

Una specialità argentina: la transizione offensiva. Se perdete palla sulla trequarti contro di loro, siete spacciati.

FASE DIFENSIVA, TRANSIZIONI E PUNTI DEBOLI In fase difensiva, difficilmente la squadra di Sabella riesce ad applicare un pressing uniforme sulla trequarti avversaria: è una strategia che l’Argentina ha utilizzato solo in casa, a tratti. Molto più spesso, si attende l’avversario nella propria metà campo, con Mascherano molto basso a formare un piccolo triangolo con i due centrali di difesa, mentre i due interni si accentrano per creare densità e recuperare il pallone. In questa fase, è decisivo il ruolo de “El Fideo” (lo spaghetto più fino, cioè il secco) Di María: è l’unico in grado di pressare con dinamismo il portatore avversario e al tempo stesso far partire il contropiede in campo aperto, una volta riconquistato il pallone. L’Argentina sa fare molto bene la transizione offensiva: quando gli avversari attaccano, Messi e Agüero si sistemano molto larghi sulle fasce, pronti a ricevere il pallone e far partire il contropiede, con Higuaín riferimento centrale. Siccome le Nazionali sono spesso più imperfette delle squadre di club, anche “la Albiceleste” ha i suoi difetti evidenti. In particolare, ha una linea difensiva statica, soprattutto nei due centrali, Garay e Fernández (per non parlare del Demichelis visto al City quest'anno); un portiere, Romero (ex Sampdoria), che oltre ad aver passato la stagione in panchina nel Monaco, è tendenzialmente inaffidabile, sebbene capace di grandi prestazioni. Sabella rischia molto di più escludendo Willy Caballero che Tévez: il portiere del Malaga ha disputato una grande stagione, ma non è stato convocato, perché nelle idee di Sabella il gruppo ormai è fatto e poi il portiere titolare non si mette mai in discussione. Lo schieramento a tre punte, poi, apre delle voragini sulle fasce: se non supportati in fase difensiva, i due terzini non riescono a contenere gli attacchi avversari. Ovviamente le punte (Messi, Higuaín, Agüero) non sono abituate a correre dietro ai laterali avversari, e così può capitare che Isla si travesta da Cafu, come accaduto nella partita Cile-Argentina di qualificazione ai Mondiali. Contro la Germania, nell’amichevole del 2012, Zabaleta venne letteralmente sopraffatto da Schmelzer e Reus. Questa difficoltà strutturale mi fa pensare che Lavezzi potrebbe giocare molte più partite di quanto si pensi ora, e con Agüero appena rientrato da un lungo infortunio, forse il tridente offensivo non sarà così scontato. La capacità del “Pocho” di svolgere la fase difensiva con la stessa intensità di quella offensiva potrebbe essere di grande aiuto all’intera struttura di gioco. https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=elCcJTOR3dA

Se Isla sembra un fenomeno, allora hai un problema sulle fasce.

I due terzini non aiutano molto in fase di impostazione, e l’Argentina gioca spesso per vie centrali. A Sabella però manca un grande regista, dello stile di Verón o Riquelme: Mascherano è l’uomo degli equilibri difensivi, e quindi tocca a Gago (anche se per noi che lo abbiamo visto in Serie A è impossibile da pensare). Quando il pallone ce l’ha Gago, tutto dipende dai ritmi degli avversari: se lo lasciano giocare, la manovra è fluida, e si arriva facilmente sulla trequarti. Quando l’avversario, invece, decide di pressare alto e mantenere tutta la squadra più avanzata, Gago va in tilt, Messi è completamente isolato, e la difesa rischia di subire un tiro ad ogni azione. È accaduto contro la Germania, che per puro caso non è riuscita a passare in vantaggio. Va detto che quando questi difetti sono stati smascherati dagli avversari, l’Argentina ha saputo soffrire, e vincere. CONCLUSIONI La Selección ha una grande opportunità per riaffermarsi a livello internazionale. Nel girone iniziale non ci sono avversari alla sua altezza, sebbene Bosnia e Nigeria possano essere le classiche sorprese da Mondiale (in bocca al lupo all’Iran di Queiroz). Il calendario della fase ad eliminazione diretta non dovrebbe prevedere scontri contro le altre favorite tradizionali fino alle semifinali (e se pensate che non sia importante, guardate il percorso della Germania del 2002 e dell’Italia del 2006). Più che nelle preghiere del Papa, questo Mondiale è nei piedi del numero 10 argentino, che ha davanti a sé una sfida enorme. Solo con la vittoria, infatti, sarà capace di creare un nuovo modello di argentinidad calcistica, più silenziosa, meno appariscente, forse meno popolare, ma comunque vincente. Solo così potrà svincolarsi dall’impossibile eredità di un Dio, per diventare il più grande di sempre in una diversa visione del fútbol, spingendo la propria tifoseria verso una sorta di politeismo calcistico. Cambiare lo spirito di un Paese attraverso il calcio: una sfida ai limiti dell’incredibile, ma affascinante. Il gioco del calcio è spesso paragonato agli scacchi per la sua attenzione agli schieramenti e alle mosse di ogni singolo giocatore. Jorge Luís Borges scriveva proprio a proposito di scacchi (in Ajedrez – Scacchi), di Dio e di giocatori: «Dio muove il giocatore, e questi, il pezzo. Quale Dio dietro Dio dà inizio alla trama Di polvere e tempo e sogno e agonie?»

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