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Guida al college basket 2017/18
13 nov 2017
13 nov 2017
Squadre da titolo, eroi di culto e fenomeni per il prossimo Draft, ma prima un punto su tutto quello che sta succedendo in NCAA
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Siamo all’inizio di una nuova, entusiasmante, appassionante, spumeggiante, palpitante stagione di basket collegiale. Anzi, di più. Non siamo mai stati così contenti di rivedere gli spalti riempirsi. Non è solo la consueta astinenza pluri-mestrale, appena lenita da estati, spiagge e mercato NBA. È anche un inedito senso di sollievo dopo che negli ultimi mesi il college basket è diventato improvvisamente un orrendo spin-off di The Wire, senza ovviamente i picchi di arte e umanità che ci hanno fatto tanto amare quella serie. Arresti, intercettazioni, operazioni sotto copertura, crimini grossolani, carriere distrutte: rivedere la palla che rimbalza non cancella tutto questo, anzi non deve cancellarlo. Ma almeno riequilibra le cose, ricordandoci che, pur ferito da questioni morali e legali da affrontare quanto prima, il college basket che ci ha fatto innamorare esiste ancora. Per il momento.

La calda estate collegiale

Lorenzo Bottini: Iniziamo subito da cosa è successo quest’estate: gli agenti dell’FBI sono entrati nei campus, hanno strappato il velo di Maya sui rapporti tra allenatori, giocatori e atenei e ora l’intera NCAA vive nell’ansia che prima o poi il proprio nome salti fuori facendoli diventare i Weinstein della palla arancione. Visto che ormai ogni volta che sento parlare di FBI penso solo a Mindhunter e già mi sogno Rick Pitino interrogato come Hannibal Lecter, facciamo un po’ di chiarezza su quello che è successo.

Andrea Beltrama:The Wire, dicevamo. Per chi l’ha visto, inutile aggiungere altro; per chi deve rimediare, è una serie ambientata a Baltimora, cinque stagioni di affascinanti storie urbane, con personaggi di rara complessità e un cruciale filo conduttore: un gruppo di poliziotti emarginati dai propri superiori, che indaga su complessi intrighi criminali servendosi di intercettazioni telefoniche. Sono indagini ai limiti dell’illegalità: farraginose, rallentate da burocrazia, limiti tecnologici, astuzie nemiche. Si protraggono per mesi, tra appostamenti, infiltrazioni, ore infinite passate ad ascoltare le conversazioni che avrebbero dovuto produrre colpevoli e prove. Ecco, ora sostituite la polizia di Baltimora con l’FBI, che ironicamente nella serie si rifiutava sempre di prendersi in carico i casi, contribuendo al loro naufragio. E rimpiazzate le gang con gli addetti ai lavoro del college basket.

Dopo oltre due anni di indagini, le ultime settimane dell’estate hanno portato alla luce i primi risultati: dieci arresti, la carriera di Rick Pitino in brandelli, un giro di corruzione di proporzioni mostruose. Sono emerse operazioni di reclutamento pilotate dagli agenti, sponsor che “vendono” futuri atleti agli allenatori, mediatori che si riempiono le tasche oliando contatti che, secondo le norme NCAA, non dovrebbero nemmeno esistere (qui, per i dettagli di cronaca). Il tutto grazie a una serie di operazioni che hanno visto cimici in stanze di albergo, adescamenti, pentiti che iniziano a cantare sotto minaccia. “Eh, ma queste cose sono sempre successe”, è la risposta intuitiva. Giusta a metà. Perché queste vicende vengono solitamente indagate tramite i meccanismi “interni” delle università, altra cosa rispetto agli organi di giustizia ordinaria; e men che meno si era mai mossa la polizia federale che, come è noto, non si scomoda se manca la possibilità di catturare i pesci grossi, dato che per quelli medi non si muove nemmeno.

Cosa abbiamo imparato? Pochissimo, visto che le indagini sono in corso da mesi, e gli esiti stanno iniziando a uscire solo ora. Al tempo stesso, però, abbiamo appreso moltissimo. Primo: la corruzione a livello NCAA è molto più sistemica di quanto il popolo laico pensasse. Al di là delle voci di corridoio, coinvolge una trama fittissima di addetti ai lavori, alcuni dei quali lontanissimi dall’aspetto tecnico, e con in ballo cifre da capogiro. Secondo: gli organi di autocontrollo interni della NCAA si sono dimostrati di un’inefficienza imbarazzante. Un po’ come quelle classi alle elementari a cui viene data la possibilità di autogestirsi, e che solo l’intervento congiunto di preside, maestre e provveditore salva dall’auto-implosione. Morale: bisogna cambiare, e in maniera efficace.

Difficile che slogan da tabloid — abolire la “One-and-Done rule”! Stipendiare gli atleti! Costringere tutti a restare quattro anni! — possano avere effetti magici. Più importante pensare a come svecchiare un sistema che spende una quantità di risorse mostruosa nell’applicare leggi cervellotiche, ad esempio quella che impone che un allenatore e un potenziale giocatore non possano andare oltre ad un “riconoscimento reciproco della presenza altrui” se si incontrano in certi periodi dell’anno; o quelle riportate in questo articolo. A maggior ragione se a farlo deve essere un sistema che si è riscoperto incapace di monitorare, figuriamoci combattere, l’attività criminale al proprio interno. In gioco non ci sono solo tre mesi di partite e tre settimane di March Madness: ci sono i concetti stessi di “studente atleta” e “sport amatoriale”. Pilastri dell’essenza NCAA, e facili vittime dei populismi in questi tempi di crisi.

È però importante ricordarsi che, per una Louisville al centro dello scandalo, ci sono decine di Colgate e Winthrop: atenei che, lontano dai riflettori, associano con rigore sport e formazione, levigando barriere all’istruzione altrimenti insormontabili attraverso il basket e gli altri sport, che grazie ai loro ricavi possono essere tenuti in piedi. Quando si parla di smantellare tutto, sono soprattutto queste istituzioni che rischiano di pagare il prezzo più alto: quelle che incarnano meglio lo spirito del basket collegiale, e che a metà marzo ci regalano gli upset per cui saliviamo un anno intero. Fine dello spiegone, occhi al tabellone.

La favorita

Bottini: Allora, per rovinarmi la vita più di quanto ci pensi già da solo, sarò io a dire che l’Associated Press nel ranking di inizio stagione ha messo al primo posto i Duke Blue Devils.

Lorenzo Neri: Le alternative c‘erano ed erano anche buone, ma tra chi vede tornare gran parte dell’organico della scorsa stagione e chi invece ha investito molto sulla caccia ai migliori freshman — anche in odore di One & Done, un anno al college e poi via verso la NBA — Duke si presenta ai nastri di partenza con un mix più che interessante, guidata principalmente da due giocatori che si propongo per essere tra i protagonisti della stagione. Grayson Allen, il collegiale più odiato d’America, torna a Durham per il suo quarto ed ultimo anno assetato di vendetta dopo una stagione sottotono; accanto a lui trova il debuttante più atteso, quel Marvin Bagley III che è stato il sogno proibito di tanti atenei, prima di cedere alla corte di Coach K. Già perchè poi ci sarebbe sempre Coach K…

Bottini: Quindi vogliamo far passare sottotraccia come qualche anno fa Coach K reclutasse i giocatori secondo un lombrosiano criterio di white power e irritazione sottocutanea, e ora ce lo ritroviamo tutto gioviale con quattro prospetti tra i primi dieci della nazione a fare il Calippo meglio del Calippo? E che ha già le mani su due dei tre migliori talenti del 2018? Il Signore della Morte ha mille facce e noi cosa diciamo a Coach K? Not this year.

Neri: Beh sì, è riuscito a imporsi nel recruiting in pochissimo tempo, sfruttando la sua fama e un ottimo programma per accaparrarsi i n°1 delle ultime due classi liceali secondo ESPN (Bagley e Harry Giles) e venerdì notte è arrivata la notizia che anche R.J. Barrett, fenomeno canadese classe 2000, vestirà Blue Devil nella prossima stagione. Ma oltre a prendersi i migliori, stavolta ha fatto bene anche nello scegliere i giusti tasselli da inserire a livello di organico. Detto di Bagley, che Coach K ha già anticipato di voler provare in più ruoli e non solo in quello da lungo, ha aggiunto anche la possente point guard Trevon Duval, un tiratore come Gary Trent Jr. e la versatilità offensiva di Wendell Carter in posizione di ala. Insomma, quest’anno non dovrebbero mancargli le bocche da fuoco.

E Duval e Bagley già nella prima partita contro Elon hanno dimostrato un bel feeling

Le alternative

Bottini: Quindi chi può salvarci dal sesto titolo di Duke? Io dico Arizona, Kansas o Michigan State.

Arizona è la squadra con il livello di talento più alto dopo Duke: se quest’anno ha imparato a contenersi, Allonzo Trier è un possibile Player of the Year. Poi ho visto una foto di DeAndre Ayton recentemente e fa davvero impressione: è tipo Apollo Creed con il tiro in sospensione. Se Rawle Alkins torna in campo a breve, nessuna squadra potrà rivaleggiare fisicamente con loro.

Michigan State ha riportato a Lansing tutta la recruiting class dello scorso anno, che era una delle migliori di sempre per Tom Izzo, compreso Miles Bridges che a quest’ora poteva stare tranquillamente in NBA. In più hanno aggiunto Jaren Jackson, figlio d’arte e McDonald All-American. Possono essere loro i successori dei Flintstones o spostando Bridges a giocare da 3 si comprometteranno le spaziature?

Infine Kansas, dopo aver vinto il quattordicesimo titolo consecutivo della Big12, riuscirà a tornare alle Final Four? La squadra è molto buona ma molto corta, anche se molti sottovalutano l’impatto che potrebbe avere Malik Newman. Devonté Graham potrà essere per Frank Mason Jr. quello che Joel Berry è stato per Marcus Paige. Poi quest’estate ho visto Azubuike rompere un canestro sotto i miei occhi, il che lo rende immediatamente uno dei miei giocatori preferiti.

Neri: Il ritorno di Miles Bridges credo sia stata una sorpresa per tutti, Izzo compreso. Per me sono loro i più pericolosi: completi in tutti i ruoli, allenati bene (ok, sono di parte) e soprattutto con una combinazione di capacità, stazza e atletismo che possono vantare in pochi.

Anche Arizona è molto interessante, pronta come sempre a buttarla sulla componente fisica a costo di uccidere le proprie spaziature offensive, e la stessa identica cosa la si può dire anche di Kentucky. John Calipari è famoso per avere grande appeal sui migliori liceali della Nazione con la promessa di renderli pronti al passaggio NBA nel minor tempo possibile, ma con questa strategia riesce a costruirsi ogni anno una corazzata giovane e atletica tale da mettere gli Wildcats sempre ai primi posti dei ranking: tra tutti, Hamidou Diallo è un giocatore che nelle sue mani può fare ottime cose grazie ai suoi incredibili mezzi atletici.

Le possibili sorprese

Bottini: Possiamo dire che queste squadre sono molto superiori alle altre o ci saranno delle sorprese? (SPOILER: è il college basket, ci sono sempre delle sorprese) A me personalmente piace molto USC: già lo scorso anno ha mostrato dei segnali incoraggianti, ma era stritolata in una conference molto selettiva verso alto, mentre quest’anno direi che in Pac-12 dietro Arizona ci sono loro. Il frontcourt Metu-Boatwright è di ottimo livello, oltre a McLaughlin in cabina di regia è disponibile anche Thornton dopo il trasferimento da Duke e hanno quel coltellino svizzero di Melton. In più Enfield è davvero un bravo coach.

Enfield era il coach della Florida Gulf Coast ribattezzata “Dunk City”, una delle squadre più divertenti di sempre. Con Chimezie Metu il coach può riportare un po’ di quella filosofia a South L.A.

Su Wichita State possiamo partire dal fatto che KenPom la metta al primo posto e che finalmente hanno lasciato la Missouri Valley Conference e sono approdati in American, che gli darà la possibilità di affrontare avversari migliori e di conseguenza di ricevere un miglior seeding per il torneo. Praticamente è la squadra che scorso anno è arrivata ad un possesso dallo sconfiggere Kentucky per le Elite Eight. L’unico dubbio è quando torneranno disponibili i due loro migliori giocatori, Landry Shamet e Markis McDuffie, entrambi infortunati in preseason. Ho anche scoperto che questo sarà l’ultimo anno di Connor Frankamp e ammetto che questa notizia mi ha turbato.

Last but not least ho sempre avuto una perversa passione per Bob Huggins e West Virginia, ma quest’anno i Mountaineers sono meglio della squadra che ha buttato l’occasione di eliminare Gonzaga. Jevon Carter è un Mike Conley che la mattina va in classe. Te chi ti giochi qui per iscritto così da farti sbeffeggiare fino a marzo?

Neri: West Virginia sarebbe anche nel mio taccuino se non fosse che tutta quella forza difensiva il più delle volte si perde in maniera oscena in attacco: ho ancora negli occhi l’ultimo possesso contro gli Zags nelle scorse Sweet 16, dove in 25 secondi sono riusciti a conquistarsi tre possessi per pareggiare senza avere la minima idea di come riuscirci.

Il mio dollaro sporco lo metto con grande convinzione su Villanova: la maturazione del coach più elegante di sempre aka Jay Wright ha portato il gioco degli Wildcats non solo ad essere bello da vedere ma pure efficiente, e il titolo NCAA conquistato nel 2016 lo testimonia. Vero, le perdite di Josh Hart e dell’eroe Kris Jenkins sono pesanti, ma Jalen Brunson sembra pronto a prendere le redini della squadra e Mikal Bridges può diventare il miglior two-way player del lotto.

Bottini: Me ne gioco altre due: Miami e Rhode Island. Se Larranaga non verrà ammanettato dai Federali prima di Marzo ha un paio di guardie come Bruce Brown e Ja’Quan Newton a proteggerlo dai guai e in più anche Lonnie Walker, il 5 star recruit che può fargli vincere l’ACC o farlo finire al gabbio (o entrambe le cose). I Rams di Dan Hurley sono fisici, esperti e tignosi: la squadra che non volete beccare al Torneo insomma.

Neri: A questo punto pure io ne aggiungo due. La prima è Cincinnati, che vede tornare i suoi migliori tre realizzatori della scorsa stagione tra cui Jacob Evans, uno dei dark horses per il ruolo di miglior giocatore della stagione. Non aspettatevi partite spumeggianti da parte loro, ma la solidità nella propria metà campo è un fattore che rischia di farsi sentire nella parte finale della stagione.

Infine, non vorremmo mica dimenticarci dei vicecampioni in carica? Gonzaga ha perso gran parte del quintetto in estate, ma coach Few rimane uno dei migliori allenatori del panorama collegiale e la squadra sembra particolarmente lunga anche quest’anno.

I giocatori da seguire

Bottini: Io so già da ora quale giocatore non seguirò questa stagione: Grayson Allen. Invece sono super eccitato dal ritorno del tandem Bonzie Colson-Matt Ferrell che spero apriranno un canale YouTube o un negozio di Pretzel quando verranno eliminati nelle Elite Eight. Conoscendo i tuoi gusti, Lorenzo, ti chiedo se Notre Dame è l’Arsenal di Wenger degli anni 2000.

Neri: Ti chiedo per favore di non cercare di ammorbidirmi con un mera operazione nostalgica. Detto questo, Colson si eleva senza alcun dubbio ad essere un beniamino da seguire costantemente durante l’anno: non arriva ai 2 metri (e forse neanche a 1.95), ma è di gran lunga il miglior 4 della nazione — una palla da cannone che trova il canestro con insospettabile facilità.

Ripeterò quanto già detto in precedenza, ma mi aspetto grandissime cose da Miles Bridges, chiamato a giocare in un ruolo molto più adatto al suo profilo e di avere intorno un supporting cast capace di permettergli di svariare sul campo a piacimento. Spero vivamente di sbagliarmi, ma la mia paura è che il suo gioco sia molto più adatto al college e alla NBA, e la sua decisione di rimanere un altro anno a East Lansing mi fa pensare che un po’ se ne sia accorto anche lui. Ciò nonostante, a questo livello rischia di essere realmente devastante.

E dannatamente divertente

Bottini: Quando quest’estate Kansas è venuta a giocare un paio di partite a Roma - non proprio a Roma, a Casal Palocco - mi sono presentato da Devonté Graham come il suo più grande fan italiano e lui mi ha risposto che un altro si era già definito così il giorno prima. Vorrei usare queste pagine per ribadire che io sono il fan numero 1 e che sono pronto ad un duello. Fatevi avanti.

Poi vorrei vedere Collin Sexton, ma i Federali non lo fanno giocare. :(

Neri: Se invece adorate i giocatori vecchio stampo con grande tecnica, gomiti tumultuosi ed esplosività ridotta al minimo indispensabile, allora virate le vostre attenzioni su Ethan Happ, un ragazzo con le movenze che gridano «HELLO WISCONSIN!» ogni volta che fa qualcosa sul parquet.

Nuovo allenatore, nuova vita

Molti college sono ripartiti da zero in panchina, ecco quelli più interessanti.

Bottini: Indiana ha perso di 20 contro Indiana State: dire che ci sono modi migliori per iniziare una stagione è un understatement. Archie Miller Jr, il fratellino dello Sean capo-allenatore di Arizona, è stato scelto per voltare pagina dopo la reggenza dostoevskijana di Tom Crean grazie all’ottimo lavoro svolto a Dayton, ma la Hoosier Hysteria ha già fatto più di una vittima eccellente e a Bloomington quest’anno c’è il cartello “Lavori in corso”. Conviene ripassare nel 2018, direi.

Su Cuonzo Martin e la parentopoli-Porter a Missouri non mi esprimo. Perché le stripper no, ma dare lavoro a tutta la famiglia per acquisire il miglior freshman della nazione è ok. Lo so che Martin non è il primo né sarà l’ultimo a usare questo trucchetto, però mi sembra una frode così esibita che la definizione Treccani di “ipocrisia” stenta a rappresentarla appieno.

A proposito di strippers: Louisville è nella kafkiana condizione di essere una delle possibili favorite e allo stesso tempo sull’orlo di finire come Corona (l’unica persona che io sappia sia finita in galera nella storia dell’umanità). Praticamente si è scoperto che per convincere i migliori talenti a firmare con i ‘Cards, l’università forniva abitualmente delle discinte signorine per allietarne la visita la campus. In effetti per un giocatore di college magari in odore di professionismo trovare disponibilità nell’altro sesso è da sempre un annoso problema.

Ora che Pitino è saltato, al suo posto siede ad interim il suo assistente David Padgett. Le ipotesi di cosa succederà a Louisville sono tre:

a) Vengono eliminati nelle Sweet Sixteen e finiscono tutti in galera;

b) Esplodono come una supernova a metà febbraio e finiscono tutti in galera;

c) Vincono rocambolescamente il titolo con una retorica che Kevin Ware spostati ma alla fine finiscono tutti in galera e il titolo viene revocato.

Quale scegli?

Neri: Vado con la d) ovvero fanno un campionato dignitoso — anche perchè il roster è molto buono — e Padgett (classe 1985) viene fuori come uno dei migliori coach emergenti, dato che abbeverarsi alla fonte di Rick Pitino nella maggior parte dei casi può dare solo un grande aiuto in vista di incarichi del genere.

Ma la storia più interessante non può che essere il ritorno di Patrick Ewing a Georgetown. Oltre ad essere stato uno dei migliori lunghi nella storia del gioco, Ewing è noto anche per essere stato preso a schiaffi da Michael Jordan a tre differenti livelli: da collegiale, da giocatore NBA (più volte e ben documentate) e da allenatore, dove da proprietario dei Bobcats/Hornets MJ non gli ha mai dato la possibilità di fargli provare l’esperienza da capo-allenatore negli ultimi quattro anni. Gli Hoyas nelle ultime stagioni sono andati male e Ewing dovrà dimostrare di essere portato con un ruolo del genere, forte anche dei suoi 32 anni di esperienza, da giocatore e allenatore, al piano di sopra.

Il Sottosopra NCAA

Tutte quelle storie che rendono l'NCAA la cosa più bella che c'è.

Bottini: Inizierei versando dell’Hennessy per chi non ce l’ha fatta. Mitchell Robinson ha provato in tutti i modi a inciampare nella sua scalata verso il professionismo e possiamo affermare con convinzione che alla fine, dopo tanto impegno, ce l’ha fatta. Durante il suo terzo anno di liceo si è accordato a voce con Texas A&M, poi quando il povero Rick Stansbury ha preso la panchina di Western Kentucky Mitchell incredibilmente lo ha seguito in un ateneo dallo scarso prestigio. Quindi prima delle vacanze estive è scappato nottetempo dal campus, poi ha tentato di riaprire il suo recruting per andare a Kansas, ma è stato ovviamente stoppato dal board dell’NCAA che lo avrebbe costretto a saltare la stagione nel caso in cui si fosse trasferito ai Jayhawks. Allora ha cercato di tornare a Western Kentucky, è stato riaccolto a braccia aperte da Stansbury (che per l’occasione ha ucciso anche il vitello grasso) ma è stato tutto inutile. Qualche settimana dopo ha fatto nuovamente le valigie e si è trasferito a Dallas per seguire un percorso individuale di preparazione per il Draft. Forse, più di un diploma, servirebbe un test psico-attitudinale.

Nell’American, la conference più competitiva dopo le major, non ci sono solo Cincinnati, UConn, SMU e Wichita State ma anche UCF, al secolo University of Central Florida. Un’università dalla scarsa tradizione ma con un’arma segreta — cioè neanche così segreta, visto che supera ogni altro giocatore in campo di due buone spanne. Misurato oltre i sette piedi e sei pollici (al cambio fanno 228,6 centimetri), Tacko Fall è il giocatore più alto del basket collegiale: scappato dalla povertà in Senegal, gioca con degli enormi occhialoni alla Steve Urkel perché è cieco come una talpa, e ciò nonostante guida la conference per stoppate a partita. Un incrocio tra Daredevil e Manute Bol. Cuoricini.

Per la rubrica “il vostro playmaker spaccacaviglie from New York City babyyyyy” dobbiamo invece spostarci nella gelida Minnesota, dove i Gophers saranno una delle mine vaganti della Big Ten e dove è finito Isaiah Washington, prodotto del cemento di Harlem ed inventore e capofamiglia della Jellyfam.



Isaiah Washington wasting no time bringing the Jelly to Minnesota! 🍇🍇🍇 @Jellyfam_Dimes pic.twitter.com/TMbjSharfL





— Courtside Films (@CourtsideFilms) 3 novembre 2017

Negli ultimi anni, Washington ha rivitalizzato la cultura street newyorkese con questa mossa, semplice quanto stilosa: bisogna saltare esponendo la palla come se si stesse per schiacciare, si aprono le gambe imitando il logo di MJ, quindi si mette uno spin eccessivo sulla palla e si urla «JELLY!» quando entra nella retina. Welcome to the family.

Neri: Se vogliamo rimanere in quel “Sottosopra” che è la mid-major — snobbato e dimenticato per gran parte della stagione finchè al Torneo una delle squadre emergenti butta fuori un blue-collar program dal nulla spostando gli equilibri dell’ecosistema NCAA, oppure prendendo possesso di Will Byers — allora non bisogna dimenticarsi di Tyler Hall. Nel piccolo ateneo di Montana State questa guardia polivalente a livello offensivo punta ad essere il miglior realizzatore del panorama collegiale dopo aver chiuso la scorsa stagione, da sophomore, con 23 punti di media e il 42% da dietro l’arco - un dato notevole per un giocatore con quel volume di tiri.

Poi ci sarebbe da parlare del grande esodo degli italiani in questa stagione, capitanati da Davide Moretti a Texas Tech, ma di questo hanno parlato in maniera più che completa gli amici di ItalHoop, a cui vi rimandiamo.

Oltre Luka Doncic

Quindi, chi sfida il fenomeno sloveno in vista del Draft 2018?

Bottini: Nonostante in questo periodo non si possa pronunciare il nome di Doncic invano, mi becco subito questa scomunica e elenco i giocatori che potrebbero soffiargli quella prima chiamata che gli spetta per diritto divino. Intanto però ti chiedo: ci sono altri nomi che credi possano finire in top-5 oltre a quelli di Porter, Bagley, Bamba, Ayton e ovviamente Doncic?

Neri: Credo che, se Sexton rimarrà fuori per le vicende giudiziarie precedentemente ricordate, se la giocheranno questi che hai citato. Il prospetto che a me intriga più di tutti tra questi è sicuramente Mo Bamba, lungo freshman che giocherà il suo (credo) unico anno di college sotto coach Shaka Smart a Texas. Potremmo fermarci ai 213 centimetri di altezza per 240 circa di apertura alare che lo assesta nel territorio-Rudy-Gobert in quanto a dimensioni e mobilità, ma a questo va aggiunta anche una mano che ha mostrato sempre buoni passi avanti, con raggio di tiro sempre più allargato e una mentalità propositiva che lo ha portato a partecipare per due volte allo Sloan Sports Analytics Conference al MIT (brevemente: la fiera delle nuove tecnologie legate allo sport, ve ne avevamo parlato un paio di anni fa). Insomma in un’era cestistica dove gli unicorni sono sempre più “di moda”, il nome di Bamba promette di farsi largo all’interno di questa nuova specie di giocatori.

Bottini: Se Leonardo Da Vinci fosse ancora vivo e facesse il GM di una squadra NBA (perché se Leonardo Da Vinci fosse vivo farebbe sicuramente il GM di una squadra NBA) disegnerebbe l’uomo vitruviano molto simile a Michael Porter Jr: un atleta formidabile, un realizzatore implacabile e un mismatch che cammina, anzi vola. Non stupitevi se a fine stagione guiderà i freshman per punti, finirà in cima ad ogni lista di premi e magari alla fine il suo sarà il primo nome pronunciato da Adam Silver. Un 2.10 con un gioco da guardia e un rilascio morbidissimo è materiale pregiatissimo in un gioco sempre più position-less nel quale la fluidità e la mobilità hanno soppiantato la potenza muscolare. E mentre gli altri prospetti inevitabilmente finiranno per pestarsi i piedi a vicenda, lui a Missouri avrà il palcoscenico tutto per sé (o da dividere col fratello Jontay): come ha già mostrato nell’esibizione contro Kansas, non sembra aver paura dei riflettori.

Il suo Ballo Delle Debuttanti l’ha già avuto alla scorsa Seattle Pro-Am di Jamal Crawford: 47, per gradire

Forza bruta è invece la terminologia corretta per definire DeAndre Ayton, il lungo bahamense messosi per la prima volta in luce tre anni fa in una esibizione contro North Carolina, quando a 16 anni fece registrare un’impressionante 17+18. Lungo moderno, dotato di un corpo bionico e di doti atletiche fuori scala abbinate a una mano educata, già a suo agio dalla media distanza e nel finire attorno al ferro. Un possibile dominatore sui due lati del campo come il suo idolo da ragazzo, Hakeem Olajuwon.

Se all’inizio della stagione c’erano dei dubbi legati alla sua condizione fisica e alla cattiveria agonistica, le prime uscite con la maglia di Arizona hanno messo a tacere anche i più scettici. Ayton si è presentato in campo con una muscolatura mai vista prima in carriera e impensabile sul corpo di un 19enne. Ora tenetela bene in mente quando guardate il video di lui che vola a spolverare il soffitto del McKale Center e ricordatevi che sta tirando i liberi con quasi il 90%.

Neri: Per la gioia del mio collega, bisogna tornare a parlare di Duke e in particolare ancora una volta di Marvin Bagley III. D’altronde se è uscito dal liceo da miglior prospetto secondo ESPN qualcosa da dare al piano di sopra dovrebbe avercelo, e infatti combina misure da lungo con movenze e dinamismo da esterno, con un ball-handling che lascia presagire un futuro anche lontano da canestro, a patto però che inizi a lavorare seriamente sul tiro e non si accontenti del rilascio mediocre che ha in dote al momento. Qualora gli andasse male può sempre intraprendere la carriera discografica: il feat. con Damian Lillard è già scritto.

Buona stagione di college basket a tutti!

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