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Guida ai quarti della Copa América Centenario
16 giu 2016
16 giu 2016
Ora si fa sul serio.
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Tratto dal sito ufficiale della CAC.



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Non me lo aspettavo, soprattutto dopo il brutto esordio contro la Colombia. C’è però anche da dire che se gli Stati Uniti sono arrivati primi, grosso “merito” va ai

, capaci di perdere contro il già eliminato Costa Rica. Più in generale, la squadra di Klinsmann non mi ha rubato l’occhio, anzi, anche nella goleada contro i

ha giocato un bruttissimo primo tempo, in cui il Costa Rica meritava addirittura di chiudere in vantaggio. Il CT tedesco sta utilizzando la competizione come occasione per fare esperimenti, testare giocatori: l’interesse primario è quello di preparare un gruppo solido in vista del mondiale russo. Il quarto di finale contro l’Ecuador rappresenterà la vera cartina di tornasole, perché in caso di vittoria la USMNT avrà sicuramente fatto il suo.

 



Io non penso per niente che Klinsmann stia

, anzi: la tenace coerenza, che vien facile confondere con qualcosa di simile a un’inguaribile teutonica cocciutaggine, con la quale ha schierato per tre partite consecutive gli stessi uomini lascerebbe presagire che Klinsi abbia un’idea di fondo e si stia sforzando di rispettarla. In previsione Mondiale 2018, ma anche nell’hic et nunc.

 

I quattro (perché non sono di più) capisaldi sui quali Klinsmann ha voluto fondare la sua squadra sulla media distanza hanno sortito i loro effetti. Il rifiuto della

MLS (un afflato del quale la formula Pulisic sì

Jordan Morris no è il più cristallino esempio), il suo puntare un terzo delle fiches del gioco d’attacco su Gyasi Zardes nel ruolo, inedito per lui, di laterale di manovra (quello che gioca con i LA Galaxy è tipo un altro calciatore) e i rimanenti due terzi sulla figura di Clint Dempsey (se gli States fanno fatica a dimenticare Landon Donovan non voglio neppure immaginare quanto sarà complicato superare la

di Deuce), e poi  la fiducia ossessivo-compulsiva concessa al “blocco tedesco” (Brooks e Johnson in difesa, un Wood più sfocato che altro là davanti): la USMNT attuale è questo, nulla di più e nulla di meno. Magari non andranno più in là della semifinale, ma forse tendiamo a sottovalutare l’importanza nella

del calcio yankee di una semifinale di Copa América contro l’Argentina.

 

https://www.youtube.com/watch?v=vW8HsnqYX2k

L’USMNT ha acquisito sicurezza con il tempo: avreste mai immaginato che un centrale difensivo yankee avrebbe potuto mettere in scena una ruleta?



 



Forse sulla classifica finale del girone hanno influito del calcoli da parte della Colombia che, in un modo strano e arzigogolato, si sono rivelati giusti.

 



Ma sai che è il mio pensiero dominante da qualche giorno a questa parte? Magari dopo lo spiego meglio.

 



Tralasciando questo, gli Stati Uniti ci hanno dato una dimostrazione chiara riprendendosi dopo il brutto, bruttissimo stop dell'esordio. Il grande successo di Klinsmann è quello di aver creato un gruppo e un sistema, capace di fare esattamente ciò che interessava maggiormente al CT: crescere. Guardate ad esempio la prestazioni di Wood e Zardes: sempre in crescendo, sempre più effettivi. In più il centrocampo, il reparto più esperto, ha trovato le giuste dinamiche per farsi rispettare. Poi, anzi prima di tutto, il nome da fare è quello del faro eterno di questo movimento: vedere giocare Clint Dempsey e vedere come guidi tecnicamente, tatticamente e mentalmente questa squadra è un vero gusto, oltre che un grande premio per un giocatore che merita di finire la carriera in questo modo, una carriera che potrebbe portarlo anche al Mondiale di Russia, visto che al momento, nonostante qualche critica prematura, pare imprescindibile.

 

https://www.youtube.com/watch?v=MQO2wJzf69E

Gyasi <3 Clint.



 



Contro la Colombia gli USA avevano dimostrato buon palleggio, ma totale sterilità offensiva. E la mancanza di attaccanti veri resta il limite maggiore di questa selezione, che per segnare deve spremere le ultime stille di talento da Dempsey o contare sulla rapidità di Wood. Già che ci sono, un giocatore che mi ha fatto davvero una buona impressione è Brooks, che in difesa ha saputo disimpegnarsi bene in diverse situazioni.
Klismann comunque sta gestendo bene i suoi uomini, che sanno stare in campo e anche soffrire, come dimostra la partita contro il Paraguay. Non andranno ai quarti da vittima sacrificale, e in ogni caso da questa Copa usciranno avendo seminato qualcosa di utile per il futuro.

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Mi sa che c'è ancora qualche margine, e non parlo solo della Copa América. Questa generazione promette di avere qualcosa da dire ancora per tutto il prossimo biennio, perché la

ha finalmente trovato il modo di coniugare la propria storica fisicità con velocità e sincronismi, il che si traduce in una caratteristica che nel calcio di oggi è molto molto importante: elasticità e impatto. I fronzoli non sono molti, ma il calcio ecuadoriano non ha una scuola fine e pretenziosa e quindi non ci si possono aspettare merletti, anche se Jefferson Montero quando veste di giallo fa spesso vedere il giocatore che potrebbe (dovrebbe) essere anche in Europa. Questa è una squadra diretta e sincera, nel senso che affronta l'avversario di petto senza nascondere le carte, è la presenza di due attaccanti come Enner Valencia e Miller Bolaños è la miglior cosa possibile per un calcio del genere, visto che danno la possibilità di soluzioni diverse per la loro apprezzabile mobilità, senza però far scendere il peso della squadra. Ragion per cui l'indisponibilità di Bolaños contro gli Stati Uniti può essere un grandissimo problema per Quinteros. Però la semifinale rimane un obiettivo fattibile e sarebbe un altro passo avanti nel percorso di crescita di questo movimento che, nell'ultimo decennio, dal miracolo della LDU nel 2008 in poi, ha trovato continuamente vette inesplorate.

 

https://www.youtube.com/watch?v=k19jNJ6H9oc

Di cosa parliamo quando parliamo di atleticità, di strappi, di sincronismi.



 



Questo Ecuador è una squadra da seguire. Hanno un mix di tecnica, fisicità ed esperienza interessante, che può portarli fino alle ultimissime fasi del torneo.
In contropiede, o in generale negli spazi, l’Ecuador è assolutamente letale perché in attacco ha quattro centometristi e uno come lo

Noboa a lanciarli. Questo paradossalmente li rende avversari durissimi contro le squadre più forti e più votate al controllo del gioco, tipo Argentina e CiIe. Nei quarti contro gli Stati Uniti invece potrebbero soffrire se Klinsmann opterà per una tattica attendista. Presumibilmente non avranno la liberà vista contro Haiti, e soprattutto dovranno mostrarsi cinici davanti alla porta. Un limite della

infatti è la fase di finalizzazione (Montero, se avesse il tiro, sarebbe uno degli esterni più forti del mondo): un bel guaio, soprattutto se non gioca Miller Bolaños.

 



A proposito di atleticità, un calciatore sul quale mi pare doveroso spendere due parole è Arturo Mina: mi ha colpito la

che esercita al centro della difesa. Voglio dire: è

, è tecnicamente dotato, è fisicamente superiore. Proffonde sicurezza. C’è una scuola di pensiero secondo la quale il meglio calcio ecuadoriano degli ultimi anni sia nato e cresciuto nella culla di Esmeraldas: Ayoví, Cazares, Enner Valencia, Miller, lo stesso Mina, vengono tutti da là. Gli afroecuadoriani sono in percentuale minore rispetto al resto della popolazione, il 3%: eppure gli elementi più interessanti della Nazionale appartengono a quella categoria. Crescono giocando sulla spiaggia, dove controllare la palla è più difficile, sviluppano doti tecniche che si appalesano anche nelle scelte di gioco mai banali; sviluppare tocco e resistenza fisica sono priorità complementari per poter giocare. E poi è Esmeraldas è nella zona più povera del paese: il cliché del calcio come strumento di riscatto è abusato, ma forse racchiude in sé meglio di ogni altra cosa il movimento propulsivo che l’Ecuador cercherà nella sfida contro gli States.

 

https://www.youtube.com/watch?v=8b7pYWUA_ws

Imposta, verticalizza, attacca, chiude. Ma soprattutto: svetta.



 



Forse parlare di stupore riferendosi all’Ecuador non è corretto. La

è una squadra matura, preparata anche dal punto di vista mentale a un certo tipo di battaglie. In tal senso, significativa è stata la rimonta sul Perù, iniziata dalla panchina con le modifiche di Quinteros, e poi culminata con la grande reazione in campo. Questo Ecuador sa cambiare, sfruttando ogni singolo errore avversario grazie all’intelligenza del suo CT, tra i migliori quando si tratta di adattarsi a una certa tipologia di match. Inoltre la rosa è di valore assoluto. Magari non giovanissima, ma esperta quanto basta per reggere certe pressioni, come sta dimostrando nel girone di qualificazione a Russia 2018. Jefferson Montero e Cristian Noboa sono i due personaggi da copertina: l’esterno dello Swansea in Nazionale riesce a trovare una continuità straordinaria, mentre Noboa - uomo d’ordine oggi in forza al Rostov - è uno di quei giocatori che in carriera avrebbe potuto raccogliere di più. Ai quarti incontreranno gli USA: il sogno può continuare.

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Dal punto di vista del risultato sicuramente il Venezuela è la sorpresa di questa Copa. Guardandoli giocare però ci si rende conto che nulla viene per caso: la

è una squadra vera, che mette in campo un gruppo che riesce a coprire i limiti dei singoli. In questo contesto emergono anche valori tecnici che, per ignoranza, di solito non si attribuiscono a giocatori venezuelani: Peñaranda, Guerra, Martínez si sono dimostrati pronti a raccogliere il testimone di Juan Arango, che da poco ha dato l’addio alla Nazionale, come riferimenti tecnici sul campo.

 

L’Argentina potrebbe soffrire un avversario così combattivo e organizzato, e Martino farà bene a prepararsi a modo.

 



Ma se vi dicessi che a tratti il Venezuela ha giocato il miglior calcio della Copa, mi prendereste per matto? La

è una squadra qualitativamente ricca, infatti non mi spiego (o meglio, me lo spiego, ma dovremmo parlarne in un capitolo a parte) come possa essere ultima nel girone di qualificazione a Russia 2018. Dudamel ha messo il suo dal punto di vista tattico, rinunciando al 4-2-3-1 ereditato da Sanvicente, e passando ad un più equilibrato 4-4-2, con il

Guerra e Peñaranda “finti” esterni autorizzati ad accentrarsi per provare il tiro o l’ultimo passaggio. Molto ben assortita è anche la coppia d’attacco: Rondón non ha certo bisogno di presentazioni, Martínez - seconda punta pura - ben si integra con il centravanti del WBA. I quarti di finale metteranno la

di fronte all’Argentina, dove si scontreranno due filosofie completamente diverse.

 

https://www.youtube.com/watch?v=kuOfhqbuHo0

La costruzione del gol in occasione dell’1-0 contro la Giamaica è significativa di come Dudamel abbia lavorato sul concetto di manovra.



 



Io sono convinto di essere in grado di identificare l’esatto

del cammino della

in questa Copa América. Sono cinque secondi durante i quali se ti concentri bene puoi veder maturare la consapevolezza dei propri mezzi nell’undici di Dudamel: tre li impiega il colpo di prestidigitazione del

Guerra per giungere, anche grazie a un tocco disperato di Muslera, a dare un bacino alla traversa. Altri due Rondón per prendere la mira e affossare con la freddezza del boia l’Uruguay.

 

Ovviamente nessuna squadra si ritrova seconda nel suo girone per una giocata di cinque secondi: eppure, in quegli attimi fondamentali abbiamo capito, forse i calciatori venezuelani prima di noi, che non possono disporre

della rocciosità del

Rincón o della spigolosità di Vizcarrondo, ma anche di un

capace di determinare una svolta con una invenzione, e di un centravanti finalmente all’altezza della sua nomea, implacabile e cinico.

 

https://www.youtube.com/watch?v=sxijnsXvaOM

E poi quando in campo c’è la Vinotinto è tutto così stupendamente fluo.



 



Questo Venezuela proprio non me l'aspettavo. Non tanto per il valore della squadra (la migliore nella storia del calcio

?), quanto per il caos che ha accompagnato l'ultimo anno di calcio venezuelano e in generale la situazione drammatica del Paese, che sconsigliava di puntare sui ragazzi di Dudamel. Che invece sono arrivati qui spavaldi e baldanzosi: il Venezuela ha vinto e ha giocato un bel calcio, con Josef Martínez finalmente continuo e preciso (ottima notizia per il Torino), con Rondón che riesce a diventare un terminale perfetto sia in termini di manovra che di finalizzazione, soprattutto con un'asse di centrocampo veramente gustosa, ovvero quella creata dai muscoli e dall'intelligenza di Rincón combinati con la tecnica e la mentalità ribelle di Alejandro Guerra, che con quella vaselina improvvisa, focosa e geniale con cui ha propiziato il gol contro l'Uruguay ci ha regalato una delle giocate più spettacolari del torneo. Ora però la montagna da scalare è veramente alta.

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L'Argentina marcia fortissimo. La fase a gironi ha portato solo buone notizie al

, escludendo solamente l'infortunio (l’ennesimo) di Di Maria, che comunque pare meno grave del previsto e potrebbe permettere al

di rientrare per l'eventuale semifinale. Tre vittorie su tre, tre dimostrazioni chiare di superiorità sotto tutti i punti di vista, con anche la possibilità di concedersi il lusso di utilizzare Leo Messi solamente per 75 minuti, che peraltro gli sono bastati per far vedere che questa ha tutto per essere la sua Copa. Oltretutto, il fatto di aver recuperato due pedine come Lavezzi e Biglia, entrambi pronti e freschi per la fase conclusiva, è un ulteriore bonus per una squadra che si esprime esattamente come dovrebbe e come il proprio tecnico vorrebbe. Ottima l'idea di puntare sulla coppia centrale Otamendi-Funés Mori. Perfetta la veste tattica, un 4-2-3-1 fondamentalmente che garantisce omogeneità in entrambe le fasi e che apre linee di comunicazione continue fra gli architetti di gioco, da Banega agli esterni fino al terminale, il tutto sostenuto dalle fondamenta rappresentate da Mascherano e Augusto. E in attesa che entri in circolo definitivamente Messi. Un'Argentina devastante, bella e solida. Fin qui non si poteva immaginare di meglio. Ora però arrivano le prove vere e difficili, ma questa Selección mi sembra finalmente pronta per cancellare il più grande paradosso calcistico dell'ultimo quarto di secolo.

 

https://www.youtube.com/watch?v=LeNH0fk3JEI

Un assist e un gol, ma anche la morte di una nonna alla quale era molto affezionato. Dále Fideo che siamo tutti con te. 😭💪



 



C’è un paradosso, minuscolo al confronto ma sempre significativo, in questa squadra allestita dal

: gli attaccanti, forse in assoluto il miglior

di punte del mondo (ovviamente, per la legge dei sistemi, anche di questa Copa), non stanno segnando, o comunque stanno segnando meno di quanto ci si aspettasse. Per dire, Gonzalo non ha ancora timbrato il cartellino pur avendole giocate tutte. Però tutto il resto gira a meraviglia, da Banega alla difesa, ed è questo che fa la

dell’

.

 

Ma è su Messi che mi sembra importante fare un appunto: l’impatto maggiore che ha avuto nella gara contro Panama non è stato tanto sul campo (oddìo, tre gol in meno di mezz’ora…), quanto fuori. Quando si è alzato dalla panchina Chicago è letteralmente impazzita: non è solo il calciatore Messi, il capitano della Selección

, a meritare di alzare questa coppa, e non è neppure l’uomo; è il simbolo, ciò che rappresenta. I tifosi statunitensi, ne sono certo, preferirebbero cento volte la polaroid di Leo campione a quella della USMNT sul podio della premiazione. Perché questa Copa, innanzitutto, tendo a ribadirlo anche a costo di ripetermi, in ogni sua interpretazione e intento è la celebrazione di un Gioco; e Leo ne incarna la quintessenza.

 


Leo lo scatena-locura.



 



Ammesso e per nulla concesso che questo Uruguay, e soprattutto questo Brasile, fossero

attendibili, ho sempre indicato l’Argentina come favorita assoluta e proseguo con coerenza: la

può solo perdere il torneo, specie vedendo da che lato del tabellone è finita. Questo non significa dare tutto per scontato. Affrontare avversari poco prestigiosi porta un naturale rilassamento, cosa che per una squadra che tende a dipendere dalle invenzioni dei singoli può risultare letale, e l’Argentina da troppo tempo ci ha abituato a magre figure in queste condizioni.

 

Martino dovrà tenere tutti ben svegli e puntare sul pieno recupero di Messi. Anche perché Di Maria continua con la sua personale maledizione, e quindi l’Argentina dovrà fare a meno di quello che probabilmente è il suo giocatore in assoluto più decisivo.

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Peggio di così? Difficile, ma non impossibile. A ore Tite, tecnico del Corinthians, verrà nominato nuovo CT, e ben presto vedremo se il vero punto debole del Brasile era seduto in panchina o se - come penso io - sia un problema di contesto. Tite all’inizio sicuramente metterà tutti d’accordo, il che è un vantaggio rispetto agli inizi della gestione Dunga 2.0, ma se i risultati non dovessero arrivare in tempi brevi, anche all’attuale salvatore della patria verrà riservata una forca personale. I risultati infatti sono figli di un movimento calcistico che da diversi anni si è fermato, producendo meno giovani, affidandosi completamente a fondi di investimento e diritti tv, senza lavorare sul lungo periodo. Il problema sono i dirigenti, perché il Brasile rimane il Brasile: un paese dove si vive per il calcio e lo si respira 24 ore su 24. Per quanto riguarda Dunga, ha ereditato una squadra a pezzi dopo il Mondiale del 2014 provando a risistemarla ed ha fallito. Non solo per colpa sua.

 



Difficile scendere più in basso, e ribadisco quello che dico da tempo: siamo di fronte alla più grande crisi della storia del calcio brasiliano. Dunga ha pagato per tutti e non poteva essere diversamente, anche perché il CT ha delle colpe personali. Però sono infinitamente inferiori rispetto alle responsabilità di chi ha amministrato il movimento nell'ultimo decennio, un movimento dove impera il malaffare e nel quale l'obiettivo si è spostato di molto, perché quello che è sempre stato il

oggi è un calcio costruito per riempire di denaro le tasche di una élite. Il monito deve essere chiaro anche al di qua dell'oceano: il Brasile è stato il paese da cui ha preso origine il sistema dei fondi di investimento e delle TPO. In un decennio il movimento è stato completamente svuotato: la Seleçao inanella disastri storici, i club non vincono più niente a livello internazionale e i campionati domestici sono manifestazioni senza più un'anima, con un livello ai limiti dell'imbarazzante. Occhio…

 

https://twitter.com/gabigol/status/742037130629681152

Fatevi un giro sui social dei calciatori brasiliani: sono come cristallizzati al giorno della sfida contro il Perù. E un po’ ovunque regna una fiducia cieca e un po’ bigotta nella “fede”; come se un po’ tutti se lo aspettassero, il patatrac, e lo considerassero una disgrazia dalla quale solo Dio poteva metterli in salvo. Ammesso che Dio esista, e guardi ancora giocare il Brasile.



 



Due anni fa il 7-1 con la Germania, un anno fa l’eliminazione ai quarti contro il Paraguay, ora fuori ai gironi. Manca solo di fallire le Olimpiadi in casa (a proposito, in bocca al lupo Tite).

 

Dunga ha pagato per tutti, ma anche per me non è affatto l’unico colpevole, né quello con più colpe. Il Brasile è in un contesto generale di crisi e non può essere un solo uomo a salvare calcisticamente un paese, né allenatore né giocatore (ciao Neymar, e in bocca al lupo anche a te). Servono innanzitutto dirigenti che capiscano la situazione e abbiano voglia, coraggio e interesse a cercare una svolta. A quel punto, forse, si potrà tornare a lavorare sui talenti locali, che ci sono e ci saranno sempre, e a parlare di allenatori.
Come squadra invece il Brasile deve trovare uno spirito di gruppo, tipo quello che, come dicevo, mette in campo il Venezuela. Ormai la differenza di talento con le altre squadre non è più tanto accentuata da potersi permettere di puntare solo su quello. Dunga nella sua prima esperienza aveva trovato risultati basandosi proprio sullo spirito operaio, cosa che questa volta ha fatto meno. Vedremo Tite, uno che ha vinto una Libertadores e un Mondiale per Club con un Cortinthians molto poco brasiliano come spirito.

 



Vi invidio la lucidità nella ricerca delle cause di questa ecatombe, e l’ottimismo con il quale vi sento salutare l’arrivo di Tite, nei panni del quale non vorrei invece trovarmi ma neppure se quello di CT del Brasile fosse l’ultimo posto di lavoro disponibile al mondo. Detto questo, e scusatemi se sono un po’ catastrofico, secondo me uno scenario ancora peggiore c’è, e non è neppure troppo remoto: il Brasile di Neymar che arriva a giocarsi la finale per l’oro olimpico al Maracanã. Contro l’Argentina. Il risultato non ve lo dico. Anzi sì. Inizia per Sette. E poi segna O’ Ney.

 



Più che nostro l’ottimismo su Tite è di tutto il Brasile. Lo volevano fin dal giorno successivo alla partita con la Germania e ora ce l’hanno. Arriva come il salvatore della patria, con oneri e onori del caso.

 



Madonna quanto non lo invidio.

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Il Perù è una Nazionale da tornei corti, come spiegava giustamente l’editoriale di apertura su

(uno dei quotidiani di Lima) in edicola la mattina successiva al passaggio del turno: i  giocatori passano tutto il tempo in ritiro, anziché - come succede quando soggiornano nella capitale - tornare a casa ogni sera. Questa condizione si rispecchia in campo, dove il Perù di Gareca è più combattivo e concentrato, non avendo distrazioni di alcuna natura. Certo, di errori se ne sono visti (anche da parte del CT, secondo me), ma questo Perù ha giocato con testa e cuore, portandosi a casa cinque punti in un girone tutto sommato non facilissimo. La vittoria contro il Brasile è stato l’epilogo migliore che potesse verificarsi, perché rappresenta un successo storico ma al contempo tale da poterci ironizzare su (per via della mano di Ruidiaz sul gol decisivo). Ora però servono più cattiveria ed organizzazione: vietato gestire il minimo risultato come nel match contro Haiti, vietatissimo farsi rimontare due gol come successo contro l’Ecuador.

 


Cos’è il genio? Qualcosa che se è argentino e c’è di mezzo il Brasile si scatena definitivamente.



 



I fatti sono sempre più contro di me, però continuo a pensare che questo Perù non valga un posto nella fase ad eliminazione diretta. Basterebbe aggrapparsi al gol palesemente irregolare di Ruidiaz che ha portato la truppa di Gareca ai quarti. Ma si può anche andare oltre: i risultati sono stati ottimo, d'accordo, però sia l'1-0 alla squinternata Giamaica che il 2-2 con l'Ecuador (incassato dopo un doppio vantaggio nei primi venti minuti) a ben vedere hanno evidenziato, sul piano tecnico, più limiti che non risorse: la mediana si regge su Vílchez, buon elemento in entrambe le fasi però indiscutibilmente il perno di centrocampo di minor caratura fra quelli rimasti in corsa, in difesa sia il portiere Gallese che il

Rodríguez sono spesso imprecisi, il trequartista più importante è Cristian Cueva che può portare lampi ma spesso sparisce (soprattutto quando si alza la pressione) e il solo

Guerrero non può bastare anche stavolta. Questa presenza nei quarti può essere una fondamentale iniezione di ossigeno per il lavoro di Gareca, ma ho l'impressione che rappresenti già un generoso premio per il suo Perù.

 

https://www.youtube.com/watch?v=Gc6K-Gm5XOY

Sono state riscontrate testimonianze del talento di Cueva anche nei petroglifi di Pusharo a Manu.



 



Ogni volta che credo nel Perù finisco deluso, quindi tendo alla cautela. Ma questo gruppo guidato da Guerrero sembra avere un feeling unico con la Copa América.
Nel girone hanno dimostrato di poter essere pericolosi contro chiunque e di avere più qualità di quanto molti pensano, con un Cueva singolarmente ispirato. Però per ottenere risultati serve concentrazione per tutta la partita. Il Perù non può permettersi di uscire mentalmente dalla gara perché resta comunque una squadra con limiti evidenti che in difesa concede troppo, e meno male che Gallese finora ha sempre risposto presente. Per la crescita futura sarà determinante questo salto di qualità mentale, uno step notoriamente ostico da ottenere.
In ogni caso la Copa della squadra di Gareca difficilmente andrà oltre i quarti visti gli accoppiamenti. Anche se il Perù giocasse bene il rischio che avversari più forti giochino meglio è concretissimo.

 

Ho una domanda: Gianluca Lapadula quanto servirebbe a questa squadra?

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Considerato che in campo c’era una squadra che possiamo definire la Colombia B, direi di no. Ma un’indicazione chiara e forte è arrivata: i

non possono giocare senza James e Cardona. Va bene il fisico, va bene la qualità, ma per controllare il gioco da metà campo in su serve almeno uno di loro due come punto di riferimento. Se entrambi meglio, perché si integrano e risultano più difficili da marcare.

 

Ora viene il bello. La fase a eliminazione ci dirà di che pasta è questa nuova Colombia e quanto è cambiata rispetto a un anno fa, quando contro l’Argentina perse completamente identità e idea di gioco, rifugiandosi in fisicità e difesa.

 

https://www.youtube.com/watch?v=kmy23OPnoCU&feature=youtu.be&t=22

Non tutti i mali vengono per nuocere: schierare la squadra delle “riserve” ha significato anche dare spazio - e l’opportunità di segnare il suo primo gol per la Nazionale cafetera - a Marlos Moreno.



 



Io mi sono costruito in testa tutta una teoria sulla gestione delle gare del girone da parte di Pékerman che potrebbe suonare paranoico-complottista, ma che ha una sua coerenza (almeno a posteriori) e che se solo contenesse un pizzico di veridicità potrebbe elevare il tecnico colombiano al rango di Best Stratega Ever. Conquistata la vittoria contro gli Stati Uniti nella partita inaugurale, e sbarazzate con facilità le velleità paraguayane, la Colombia aveva il primo posto più che alla sua portata, direi quasi che l’aspettava alla fine di un red carpet. Forse competizioni di questo tipo non permettono calcoli con questo livello di sofisticazione, ma qualificarsi al secondo posto significava in soldoni avere accesso alla parte bassa del tabellone, quella cioè in cui

avrebbe pescato né un Brasile per il quale era reale la possibilità che si qualificasse come seconda del suo girone, né l’unica squadra per la quale si può davvero sentire la necessità di procrastinare l’incrocio fin quando non si renda necessario, cioé l’Argentina.

 

Poi se a decidere le sorti dei

sarà stato il caso, la contingenza degli eventi o la lungimiranza calcolatrice di Pékerman ce lo sapremo dire nei prossimi giorni.

 

Anche se le mie congetture stanno prendendo una china preoccupante.

 



La Colombia è forte, al netto della battuta d’arresto subita contro il Costarica. Ciò che però non mi è piaciuto è l’atteggiamento del

Pékerman, che convinto di prendersi il punto necessario a vincere il girone, ha praticamente cambiato tutta la squadra titolare. Io rimango dell’idea che in una manifestazione così corta, al netto della gestione diffidati, in campo ci debba scendere la formazione migliore, perché - come in questo caso - una serata storta può precluderti il risultato che magari ritenevi scontato. Fortunatamente per i

, il secondo posto del gruppo A permette di trovare il Perù nei quarti (e non l’Ecuador). Quasi un paradosso, che però non cancella la scelta sbagliata in origine dal tecnico argentino. A parte questo però, penso che la Colombia rimanga nel lotto dell tre favorite per vincere il torneo assieme a Messico ed Argentina; la squadra gira bene e Pékerman è stato molto bravo ad esaltare la coppia Cardona - James cucendogli intorno tutto il contesto di squadra.

 


Un altro che abbiamo scoperto definitivamente in questa Copa è Edwin Cardona. Siamo già molto innamorati di lui.



 



Più che un campanello di allarme, direi che la battuta d’arresto contro Costa Rica deve essere un insegnamento. D'altra parte, Pékerman ha sempre detto che questa Copa América sarebbe stato prima di tutto un grandioso test propedeutico al grande obiettivo, che è il Mondiale del 2018. Detto questo, ribadisco quanto dicevo prima del via: i

devono arrivare fra le prime

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